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PIANO REGISTRO GRAVE (FRASE A) FORTE REGISTRO MEDIO ACUTO (FRASI B C) PIANO REGISTRO GRAVE (FRASE A)

di un paese in ascesa (1961-67)

PIANO REGISTRO GRAVE (FRASE A) FORTE REGISTRO MEDIO ACUTO (FRASI B C) PIANO REGISTRO GRAVE (FRASE A)

Mano sulla spalla Mani che gesticolano di fronte all’interlocutore Carezza-buffetto Suggerimento interlocutorio Sfuriata e argomentazioni Raccomandazione

Anche Giorgio Gaber, in E allora dai, utilizzò il “tu”. Sembrava ri- volgersi ai nascenti movimenti giovanili, ma, come si dirà meglio in se- guito, in modo ironico e dissacratorio. C’era un’impronta da cabaret in questa canzone che cominciando con il parlato dichiarava: «Questa è una canzone di protesta». Le canzoni di protesta erano un genere ben individuabile in quegli anni. Ne erano state riproposte e composte di- verse in seno al gruppo di Cantacronache e successivamente con l’attivi- tà del Nuovo canzoniere italiano, movimenti nei quali operavano artisti e intellettuali quali Michele Straniero, Fausto Amodei, Sergio Liberovi- ci, Roberto Leydi, Giovanna Marini, Ivan della Mea, Gianni Bosio, e diversi altri. I riferimenti formali della “canzone di protesta” erano da una parte gli inni, dall’altra le ballate popolari. Una forte influenza veni- va anche dal movimento statunitense del folk music revival dal quale si diffuse rapidamente il modello voce + chitarra, che, tutto sommato, non aveva in Italia una tradizione così consistente, se si eccettuano alcuni re- pertori urbani di artigiani (i barbieri) e di musicisti ambulanti (canta- storie, posteggiatori ecc.).

Gaber imitò dunque la “canzone di protesta”. Le tre strofe della sua canzone sono in perfetto stile “logogenico”19, le parole sono non solo

scandite in maniera chiara, ma anche interpretate in modo da soppesar- ne ed esaltarne il senso tra il ridente e l’amaro. Il ritornello, «E allora dai / e allora dai / le cose giuste tu le sai / e allora dai / e allora dai / dimmi perché tu non le fai», è particolarmente coinvolgente, adatto a un’esecu- zione corale, ma privo di qualunque connotazione da inno. È invece uno scanzonato tormentone, per sottolineare l’intento ironico della canzone confermato da un’ulteriore ripetizione dopo un falso finale.

Ciao amore ciao: la crisi

Il «trauma» della morte di Luigi Tenco concluse la fase aurea del rac- conto di Sanremo e l’avvio di un convulso lungo periodo dopo il quale l’Italia non fu più la stessa e, conseguentemente, neppure la trama che il Festival ne forniva.

Ingigantito nel numero di interpreti e di canzoni, nel 1967 Sanremo propose un’articolata narrazione delle correnti che attraversavano il pae- se. Erano disposte su tre fronti (Ghirotti, 25 gennaio 1967). La “linea verde” esorcizzava le tensioni evidenti, il senso di insoddisfazione che era seguito alle grandi aspettative interne e globali degli anni sessanta in-

cominciati con l’elezione di Kennedy, i preparativi del Concilio Vatica- no ii, la prosecuzione della decolonizzazione, la stabilizzazione della frattura sul continente europeo con il muro costruito a Berlino. La rivo-

luzione (Gian Burrasca/Rita Pavone aveva avvisato pochi anni prima:

«La storia del passato / ormai ce lo ha insegnato / che un popolo affama- to / fa la rivoluzion») era uno scampato pericolo per Mogol e Piero Sof- fici, nel brano affidato a Gianni Pettenati e Gene Pitney: «È finita la ri- voluzione / per sempre è finita / mai più si farà / è finita la rivoluzione / l’amore alla fine ha vinto e vincerà». Amore e speranza erano gli ingre- dienti con i quali rinsaldare un presente che appariva scosso: «Qualcuno di voi / potrebbe non credermi ma / io sono sincero / io spero in un mondo più buono» diceva Non prego per me scritta da Mogol e Battisti per Mino Reitano e gli Hollies. In C’è chi spera, che Pace, Panzeri e Co- lonnello affidarono a Riki Maiocchi e a Marianne Faithfull, «il mondo volta le spalle al bene / e lottano tutti come iene / ma quando finisce il giorno e si fa sera / c’è chi spera», mentre Il cammino di ogni speranza – di Umberto Napolitano e cantata da Caterina Caselli e Sonny and Cher – «si ferma un momento e poi se ne va».

La linea di protesta si rifaceva al quadro di molti ragazzi, di diversa estrazione sociale, che con I Giganti lanciavano la loro Proposta (ripetu- ta dai Bachelors, era di Albula, Giordano Bruno e Augusto Martelli): «Mettete dei fiori nei vostri cannoni». L’obiettivo polemico era la guer- ra, sebbene, come al tempo osservò Tenco (Fegatelli Colonna, 2002, pp. 183-4), fosse questione estranea all’Italia alle prese invece con faticosi e irrisolti processi di secolarizzazione. E tuttavia incontrò un favore diffu- so perché le strofe non solo parlavano della condizione giovanile, ma av- vertivano su una realtà sempre più interconnessa. Più ambiguo era il messaggio di Uno come noi di Bertero, Martucci e Marini: premesso che «la tua vita non ha padroni», Milva, trasformata in improbabile icona beat, e Los Bravos reduci da Black is Black, invitavano, in verità senza grande ascolto, a unirsi con loro: così «vincerai / senza lottare / la tua battaglia / per la libertà».

Vi era infine una linea non identificata, eterogenea che conteneva tutto il resto. Resisteva e anzi vinceva la tradizione personificata da Claudio Villa-Iva Zanicchi, con Non pensare a me, e da Orietta Berti con Io, tu e le rose di Pace, Panzeri e Brinniti. Era assai nutrita, come nel 1961, la schiera dei cantautori: Modugno, Endrigo, Donaggio, Tenco, Gaber, Fontana, Don Backy, Tony Del Monaco. Bindi e Franco Califa- no con Nisa firmarono La musica è finita per Ornella Vanoni e Mario

Guarnera; Meccia Ma piano (per non svegliarmi) per Nico Fidenco e Sonny and Cher; Tony Renis Quando dico che ti amo per Annarita Spi- naci e Les Surfs. Sopravvivevano felicemente il rock all’italiana con Cuo-

re matto opera di Ambrosini e Savio per Little Tony, artefice del mag-

giore successo di vendite, e il beat di Bisogna saper perdere di Cassia-Ci- ni, interpretata dai Rokes e da Dalla20. Modugno fu eliminato e inco-

minciò una fase discendente che durò qualche anno.

Gian Pieretti e Ricky Gianco composero Pietre, che si collocava nel- la linea della protesta ed era interpretata da Pieretti e da Antoine, la cui versione si affermò nelle vendite. Il richiamo a Dylan era in origine più esplicito, anche se estraneo alla composizione della società italiana di al- lora: «Se sei bianco ti tirano le pietre / se sei negro ti tirano le pietre», ma la censura s’impuntò e volle si ripiegasse sul più tranquillo «Tu sei buo- no e ti tirano le pietre / sei cattivo e ti tirano le pietre» (Ionio, 29 gen- naio 1967).

Bongusto senza fortuna e Gaber con maggiore efficacia reagirono al clima del tempo. Il cantautore molisano, affiancato dalla cantante del socialismo reale Ann German, con le parole di Vito Pallavicini sostene- va: «Gi (cioè giovane) non dare retta a chi / ti sta dicendo che / il mon- do cambierà». Gaber ironizzava sugli idola fori del progressismo giova- nile (la fedeltà dell’amicizia, il disprezzo nei riguardi del denaro come misura della riuscita umana, l’uguaglianza degli uomini: «lo diceva an- che il vangelo / già duemila anni fa») e sul presunto conformismo con cui questi principi si stavano generalizzando: «Questa è una canzone di protesta / che non protesta contro nessuno... anzi... / siamo tutti d’ac- cordo». Fu la sua ultima partecipazione a Sanremo. Trovò alla fine del decennio una dimensione che si espresse negli spettacoli teatrali scritti con Sandro Luporini e nei dischi che ne scaturirono, una delle principa- li colonne sonore di quanti si riconoscevano nei gruppi a sinistra del pci. E in effetti per “l’Unità” la sua E allora dai era «un luogo comune sulla validità dei luoghi comuni» (Ionio, 25 gennaio 1967). Bindi e Do- naggio proseguivano il loro consolidato percorso.

Endrigo e Tenco erano invece accomunati da un medesimo interes- se per un altrove che era esperienza concreta per milioni di donne, uo- mini, bambini, la cui vita mutò radicalmente in virtù della dinamicità della crescita della società italiana. Ma era un altrove di sofferenza irri- solta, a differenza di quella de L’immensità di Don Backy, che scrisse con Mogol e Detto Mariano e cantò in coppia con Dorelli – «Io son si- curo che / in questa grande immensità / qualcuno pensa un poco a me /

e non mi scorderà» – divenendo un grande successo. Endrigo e Tenco ne parlavano in modo speculare. Il cantautore istriano proponeva una lettura introspettiva: la chiarificazione interiore era preliminare a ogni possibile cambiamento: «Dove credi di andare / se il tempo che è passa- to non passerà mai / povere le tue notti / se tu le spenderai per dimenti- care / il mondo non è più grande di questa città / la gente si annoia ogni sera come da noi / Dove credi di andare / se ormai non c’è più amore dentro di te».

Invece, in Ciao amore ciao di Tenco, affiancato da Dalida, musa in Francia e star internazionale di forte impatto anche in Italia, l’altrove era l’emigrazione che per la prima volta assumeva a Sanremo accenti realistici (cfr. pp. 144 ss.). L’abbandono di una plurisecolare condizione di necessità e di miseria, l’incontro con un universo avanzato e scono- sciuto, il senso di una strutturale inadeguatezza – «in un mondo di luci / sentirsi nessuno» –, il disagio delle diverse velocità del mondo più vasto – «saltare cent’anni in un giorno solo / dai carri dei campi agli aerei nel cielo» –, la nostalgia impellente di un caldo ventre – «e non capirci nien- te / e aver voglia di tornare da te» –, conferivano all’emigrazione il senso di una perdita irrimediabile. Lo «smarrimento» dell’«emigrato prove- niente dalla campagna» (Pivato, 2002, p. 165) si congiungeva a un dolo- re primigenio che ritornava ed era così acuto da rendere aspra, angoscio- sa, impossibile, ogni aspirazione di crescita e di cambiamento. Ciao

amore ciao confermava pertanto aspetti costitutivi della poetica di Ten-

co: l’altro, l’altrove non come incontro, ma decisiva e terribile conferma dello smarrimento di sé, al pari dell’amore in Ho capito che ti amo. Si ac- compagnava alla certezza di non poter soddisfare alcuna aspettativa, come sosteneva Vedrai vedrai, e all’inanità dell’impegno come in Io vor-

rei essere là, «perché anche nel mio campo qui c’è ancor tanto da fare»,

«perché non ho trovato ancora il mio posto nel mondo», ribadendone però continuamente l’importanza e l’urgenza, come in E se ci diranno, retro di Ciao amore ciao. Tenco ricercava disperatamente serietà, auten- ticità, la sostanza della democrazia (Cara maestra, Ragazzo mio).

Erano anche qui le radici del trasformarsi di quel dramma indivi- duale in un lutto collettivo. Il giovane cantautore divenne una sorta di rivelazione di una scissione lacerante, del «noi diviso» (Bodei, 1998), in- capace e impossibilitato a ricomporsi nelle sue pur plurali sfaccettature: non Paolo Rossi, il giovane politicamente impegnato ucciso all’Univer- sità di Roma l’anno precedente dal concorso della violenza fascista e del- l’autoritarismo del rettore conservatore, ma Luigi Tenco divenne il no-

stro simbolo di vittima del sistema, di martire. Si trasformò nell’«imma- gine di un simile frame», è stato osservato, perché garantiva «una signifi- cativa risonanza non solo con l’ideologia di sinistra, ma anche con quel- la cattolica che stava al fondo della cultura popolare italiana» (Santoro, 2010, p. 112). O, più precisamente, nei modi in cui quelle culture in evoluzione erano reinterpretate dai movimenti giovanili di protesta. Non furono sicuramente estranee le logiche della società dello spettaco- lo con la morte quasi in diretta, con lo stridente contrasto tra la legge- rezza del contesto e l’irrimediabile pesantezza del colpo di pistola. La «congiuntura temporale in cui avvenne il suicidio» ne favorì la «dram- matizzazione pubblica, persino politica» (Santoro, 2010, p. 103): il rapi- dissimo e traumatico mutamento del paese, l’insofferenza delle ragazze e dei ragazzi ormai al rifiuto della realtà nella quale crescevano, l’appro- fondirsi del divario tra le generazioni che divenne conflitto aperto, la chiara sconfitta dell’ipotesi riformatrice nella realizzazione della pro- messa di inclusione spirituale e materiale allargata all’insieme della so- cietà. E se ne ricavò anche che a quel gesto avevano recato un contribu- to decisivo i meccanismi di selezione disumanizzanti e malvagi. Tenco era stato estromesso dalla finale e alla sua canzone erano state preferite – come scrisse nel suo biglietto – Io, tu e le rose, per tutti i giornali un ri- torno all’operetta, e La rivoluzione, unanimemente stigmatizzata per il testo banale.

«Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell’Italiano medio» – commentò a caldo Salvatore Quasimodo (Fegatelli Colonna, 2002, p. 115). Era una morte che il paese visse come un evento collettivo che lo riguardava, sebbene Tenco fosse conosciuto e apprezzato in ri- stretti circoli e alquanto estraneo all’universo canoro, tanto che al suo funerale furono presenti solo Fabrizio De André e Michele. Ma, oltre che autore, era cantante, appartenente cioè a una categoria assurta nel- l’ultimo quindicennio a emblema dei divi. La sua morte coincideva quindi con la fine delle aspettative crescenti del miracolo economico, con l’avvio di una lunga stagione effervescente, contraddittoria, ma an- che terribilmente luttuosa con le stragi, coi terrorismi, con la «strategia della tensione».

La morte di Tenco produsse timore nell’immaginario collettivo dei giovani e parve confermare la ferocia, il cinismo dell’indistinto potere, sensazioni corroborate dall’assenza totale di pietas, sancita dalla decisio- ne di proseguire il Festival come se nulla fosse, incominciando la secon- da serata con l’accenno veloce di Bongiorno alla tragedia consumatasi la

notte precedente, tacendo persino il nome della vittima (Santoro, 2010, p. 73). E per Sanremo non fu più come prima.

Note

1 Nei dischi più venduti al primo posto era Nata per me di Celentano, seguita da Il mondo di Suzie Wong e Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco, 8oCome sinfonia (Donaggio), 17o24.000 baci (Celentano), 37oIl mare nel cassetto (Milva), 42oUn uomo vivo (Paoli), 43oAl di là (Tajoli), 63oAl di là (Curtis), 64oLe mille bolle blu (Mina), 82oNon mi dire chi sei (Bindi), 88oCarolina dai! (Bruni), 100oCa- rolina dai! (Granata); http://www.hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1961.htm. 2 «Dal 1960 al 1963 il Festival di Sanremo divenne un’arena nella quale conver- geva l’intero mondo della popular music italiana. Nello spazio di pochi anni, il Fe- stival fu percorso da cambiamenti drammatici, insieme alle canzoni e al main- stream della popolar music italiana».

3 «Nonostante le varie esplosioni di rinnovamento menzionate qui, le canzoni a Sanremo rimasero particolarmente omogenee, in quanto al momento dell’impat- to con il Festival, ogni sforzo di cambiamento si scontrava con la “tradizione melo- dica” e il bisogno di stabilire un contatto con il grande pubblico».

4 Borgna (1998, p. 77) afferma che molti in realtà cantavano «ti voglio al più presto scopar».

5 Un senatore dc presentò una interrogazione parlamentare affinché i movi- menti «epilettoidi» di Celentano non fossero presentati in televisione. L’interroga- zione finì in un nulla di fatto; il cantante del resto per presentarsi a Sanremo du- rante il servizio di leva aveva avuto un permesso di Giulio Andreotti, allora mini- stro della Difesa (si 1961b).

6 Roberto Agostini ha dedicato alle performance delle cantanti di fine cinquan- ta, in particolare Wilma De Angelis, un intervento inedito per la 14thBiennial In- ternational Conference della iaspm, Roma 2005.

7 La qualità delle registrazioni comparate (negli originali dell’epoca) non era di buon livello qualitativo. Comunque i tratti che verranno messi in evidenza (tenuta dei suoni, tipi di attacco, uso del vibrato) sembravano sufficientemente chiari da non dover effettuare ulteriori ricerche dei campioni da osservare.

8 L’anno fu dominato da Celentano con Pregherò (1o) e Stai lontana da me (3o); 4ofu Quando quando quando (Renis), 30oTango italiano (Milva), 39oAddio... ad- dio... (Modugno), 72oTango italiano (Bruni), 76oGondolì gondolà (Bruni), 84o Gondolì gondolà (Bonino), 87oQuando quando quando (Pericoli), 92oStanotte al luna park (Milva); http://www.hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1962.htm.

9 Nell’anno di Rita Pavone – 1ocon Cuore, 3ocon Come te non c’è nessuno e con altri quattro brani tra i cinquanta dischi più venduti – 23ofu Giovane giovane (Do- naggio), 25oUno per tutte (Renis), 52oAmor, mon amour, my love (Villa), 71oRi- corda (Milva), 74o Giovane giovane (Mazzetti), 78o Uno per tutte (Pericoli), 81o

Non costa niente (Dorelli), 85oAmor, mon amour, my love (Foligatti); http://www. hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1963.htm.

10 L’anno del successo di Gianni Morandi – 1ocon In ginocchio da te – coincise con il boom dei dischi (Borgna, 1998, p. 97), del quale poterono profittare anche le canzoni di Sanremo con sei milioni di copie vendute: 3oUna lacrima sul viso (B. Solo), 10o Non ho l’età (per amarti) (Cinquetti), 13o Ogni volta (P. Anka), 20o Quando vedrai la mia ragazza (Pitney), 44oUn bacio piccolissimo (Robertino), 45o Stasera no, no, no (Germani), 46oSabato sera (Filippini), 50oQuando vedrai la mia ragazza (L. Tony), 55o Che me ne importa a me (Modugno), 65oMotivo d’amore (Donaggio), 75oLa prima che incontro (Ferretti), 86o Un bacio piccolissimo (Ry- dell), 90o Come potrei dimenticarti (Dallara), 94o Ieri ho incontrato mia madre (Prieto); http://www.hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1964.htm.

11 Fu la canzone più venduta di quell’edizione, classificandosi nella versione di Donaggio 13onella hit annuale guidata da Il silenzio (Nini Rosso). Seguivano: 15oLe colline sono in fiore (The New Christly Minstrels), 16oSe piangi, se ridi (B. Solo), 39o Amici miei (Pitney), 49oSi vedrà (Les Surfs), 53oE se domani* (ed. 1964) (Mina), 55oInvece no (P. Clark), 68oAbbracciami forte (Vanoni), 70oAmici miei (Di Bari), 75oCominciamo ad amarci* (Foster), 77oHo bisogno di vederti (Cinquetti), 79oLe colline sono in fiore (Goich), 84oPrima o poi (Germani), 91oAspetta domani (Bongu- sto), 94o L’amore ha i tuoi occhi (Filippini); http://www.hitparadeitalia.it/hp_ yends/hpe1965.htm.

12 Il disco di maggiore successo fu Strangers in the Night (Sinatra), 6oNessuno mi può giudicare (Caselli), 10oIl ragazzo della via Gluck* (Celentano), 20oNessuno mi può giudicare (Pitney), 36o Dio come ti amo (Modugno), 39o In un fiore (Goich), 49oUna casa in cima al mondo (Mina), 55oIn un fiore (Les Surfs), 58o Mai, mai, mai Valentina (P. Boone), 65oIo ti darò di più (Vanoni), 67oDio come ti amo (Cinquetti), 68oAdesso sì (Endrigo), 71oUna casa in cima al mondo (Donag- gio), 76oMai, mai, mai Valentina (Gaber), 81oNessuno di voi (R. Anthony), 84o Così come viene (Germani), 89oCosì come viene (Les Surfs), 90oUna casa in cima al mondo (Villa), 96o Nessuno di voi (Milva), 99o Parlami di te (Hardy); http:// www.hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1966.htm.

13 La versione live disponibile su YouTube di Paff... bum è in inglese. Il gruppo ha inciso diverse versioni della canzone, ma non in italiano. Di Questa volta, inve- ce, c’è una versione in italiano su disco cantata da Keith Relf senza il resto del gruppo.

14 È detta “modulazione da camionista”, traduzione italiana di “truck diver mo- dulation” (Everett, 2000; Agostini, Marconi, 2003).

15 In una conferenza tenuta presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Roma Tor Vergata nel 2007, il maestro Ennio Morricone, ricordando la sua collaborazio- ne con la rca, lamentava proprio come l’obbligo dell’inserimento della batteria, voluto fortemente in quegli anni, abbia condizionato l’operato degli arrangiatori e, di conseguenza, l’evoluzione della canzone italiana, che ancora una volta si trovò schiacciata verso i modelli anglo-americani.

16 rca pm3387. La versione dal vivo, pare inesistente presso gli archivi rai, cir- cola in internet in un file di qualità sonora molto scarsa.

17 Vincenzo Caporaletti, che ringrazio particolarmente, ha definito «attitudine depulsiva» il modo peculiare di galleggiare nel tempo, tipico dei cantanti jazz (e, aggiungo io, africani) (Caporaletti, 2000, pp. 60, 125-277). L’introduzione dello swing nella canzone francese, favorita da figure chiave come Ray Ventura (Calvet, 1991), produsse risultati di particolare leggerezza ed eleganza. Ringrazio a questo proposito Stefano La Via per le acute osservazioni su questo argomento durante un seminario sulle chansons tenuto comunemente per gli studenti del Dottorato di Ricerca in Musicologia di Cremona.

18 Per questo tipo di stilemi musicali, che assurgono a richiami comunicativi, molto frequenti nella popular music e leggibili in molte canzoni sanremesi si ri- manda all’utilizzo del concetto di musema (Tagg, 1994).

19 I termini logogenico e patogenico furono usati da Curt Sachs in Le sorgenti della musica (1979) per distinguere due differenti modalità di origine delle melodie, una appunto dal logos, ovvero dal linguaggio parlato, l’altra dal pathos, ovvero dall’e- spressione, attraverso la voce, delle emozioni. Una melodia come quella di Immen- sità di Don Backy è maggiormente riconducibile, per esempio, a modelli patoge- nici.

20 Guidata da A chi di Fausto Leali, la hit parade del 1967 vide 3oCuore matto (L. Tony), 11oL’immensità (Dorelli), 13oPietre (Antoine), 21oProposta (I Giganti), 32oBisogna saper perdere (Rokes), 39oCiao amore ciao* (Tenco), 40oIo, tu e le rose (Berti), 51oL’immensità (D. Backy), 58oIl cammino di ogni speranza* (Caselli), 64o Quando dico che ti amo (Spinaci), 78oE allora dai (Gaber), 80oNon pensare a me (Villa), 83o La rivoluzione (Pitney), 95o La rivoluzione (Pettenati); http://www. hitparadeitalia.it/hp_yends/hpe1967.htm.

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«La festa appena cominciata

è già finita»: tra centro-sinistra

e “lungo Sessantotto” (1968-80)

Il Sessantotto al Casinò

Anche in Italia in quegli anni i consumatori di musica leggera incomin- ciarono a prediligere gli lp. Con Revolver dei Beatles e Aftermath dei Rol- ling Stones, entrambi del 1966, si oltrepassò il «compendio dei singoli» per imboccare la via della «rappresentazione continua, quasi narrativa» (Sassoon, 2008, p. 1311). Nella classifica italiana dei più venduti del 1967 Luigi Tenco era presente all’8oe al 9oposto con due raccolte pubblicate

rispettivamente nel 1966 dalla rca e dopo la morte da Ricordi. Nel 1968 il primo e il secondo posto erano di Fabrizio De André con il suo primo

concept album Tutti morimmo a stento e con la raccolta che si apriva con

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