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Strofa 2 Ritornello 36 battute (ABA Chorus-Bridge-Chorus) ½ Chorus

½ Chorus

VOCE V

di vento. L’armonia e il ritmo sono volutamente sospesi per introdurci nella dimensione onirica raccontata nella strofa. Da questo momento Modugno canta per circa tre minuti.

 La lirica comincia con una quartina di versi di 14 sillabe con rime baciate aabb accompagnate da una melodia con terzine su suoni ribattuti. È stata definita una sorta di recitativo, anche perché l’accompagnamento è ancora privo di una chiara ritmica (a piacere è indicato sullo spartito). È evidente in particolare l’orga- no Hammond che risponde alle frasi del cantante. Con un balzo verso l’alto nei versi 3 («Poi d’improvviso venivo dal vento rapito») e 4 («E incominciavo a volare nel cielo infinito») la melodia è trasposta all’ottava superiore e si conclude con una cadenza sospesa (accordo di fa7, settima di dominante di sib maggiore che è la to- nica d’impianto).

Nel famoso ritornello la metrica pare dissolversi in due versi-parola («Vola- re-Cantare»), seguiti da sillabe nonsense. La melodia su suoni lunghi e nel regi- stro più acuto disegna un chiaro planare e risalire, mentre la base ritmica diven- ta gioiosamente evidente, quasi a sostenere il “volo”. L’armonia ha un momento di indefinitezza (Savastano, 2005): sul verso «Volare» la tonica non viene tocca- ta, anzi sembrerebbe quasi di trovarsi in una situazione di modulazione in do minore. È sulla sillaba accentata di «Cantàre» che, in battere, c’è l’appoggio sulla tonica sib. Credo non sia irrilevante questa soluzione armonica. In fondo è pro- prio il verbo “cantare” che risolve armonicamente e concettualmente la tensione della canzone. Fino a questo punto non si poteva capire dove avrebbero condot- to le incognite del volo onirico. Ma se si tratta di “cantare”... siamo a Sanremo alla vigilia del boom economico, si vola senza pericolo (come con api, per chi ricordasse la pubblicità di un olio da carburante) e la gioia sprizza da tutti i pori. 

La struttura formale della canzone è un felice compromesso tra stilemi americani e italiani.

A un primo e parziale ascolto può sembrare di trovarsi nella forma del song teatrale classico con un verse («Penso che un mondo così ecc.») e un refrain composto da chorus («Volare ecc.») e bridge («E volavo vo- lavo felice ecc.»). Gli ingredienti in effetti ci sono tutti: il verse ha un ca- rattere recitativo, il bridge si distacca sia melodicamente sia armonica- mente dal chorus e, soprattutto, il chorus si ripresenta dopo il bridge. E invece dopo il refrain arriva un nuovo verse-strofa («Ma tutti i sogni nell’alba ecc.») con una chiara funzione narrativa: la notte sta finendo e l’alba ci introduce a un più realistico tipo di volo, quello negli occhi blu

della donna amata (Jachia, 1998). La forma strofa-ritornello della chan- son francese e della canzone italiana prebellica sembra quindi avere la meglio, nonostante l’articolazione chorus-bridge del ritornello stesso. Tanto è vero che, come avveniva sovente proprio nelle canzoni francesi, il secondo ritornello è leggermente variato testualmente per adattarsi alla nuova situazione («Nel blu degli occhi tuoi blu / felice di stare quaggiù / con te»). Modugno deve dunque cantare integralmente anche il terzo refrain-ritornello senza condividerlo con l’orchestra. La canzone si conclude perciò con un ulteriore ritornello (a questo punto è il quar- to), ridotto al solo chorus e suddiviso tra l’orchestra e la voce.

Nella versione discografica (Fonit, sp 30222), nella quale manca il ritornello orchestrale di apertura, la canzone si presenta invece con la forma strofa-ritornello-strofa-ritornello-ritornello, un modello, come si è accennato, destinato ad aver fortuna a Sanremo nei decenni suc- cessivi.

 È interessante osservare anche la struttura interna del ritornello. Come ab- biamo detto la forma classica dei refrain all’americana era AABA, con 32 battute divisibili in 8 + 8 + 8 + 8. Anche in canzoni molto popolari dei Platters o di Paul Anka, così amati dagli italiani, questa forma sopravviveva (Smoking in Your Eyes, Diana). Nei brani lenti il numero delle battute poteva dimezzarsi (4 + 4 + 4 + 4), come abbiamo osservato in Amami se vuoi. I ritornelli “all’italiana”, dal canto loro, si basavano generalmente su strutture di 8 o 16 battute. L’edera, che si classificò se- conda nel 1958, aveva un ritornello di 16 battute (divisibili in 8 + 8, AB), che era immediatamente ripetuto con qualche variante (ABAB1), per complessive 32 bat- tute. Insomma nella costruzione di queste forme sono prevalenti numeri multipli esclusivamente di 2.

In Nel blu dipinto di blu, invece, c’è un’intrusione del 3.

Il ritornello conta complessivamente 36 battute divise in tre frasi da 12. Ne ri- sulta una macroforma ternaria ABA (chorus-bridge-chorus) al posto di quella qua- ternaria (AABA).

Le melodie in 12 battute, nel xx secolo, sono normalmente associate al blues, un altro genere che ha fatto la storia della musica americana, in particolare quella nera. Negli anni cinquanta questo tipo di forma melodica passò anche al rock and roll. Le 12 battute del blues sono divisibili in 3 frasi aab20. Il famosissimo chorus di Nel blu dipinto di blu non ha assolutamente il carattere di un blues, soprattutto nell’armonia e nella metrica, ma la melodia si basa in realtà su una forma simile, con una suddivisione ternaria anche a livello microstrutturale:

Volare oh oh (a = 4 battute) Cantare oh oh oh oh (a1= 4 battute)

Nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù (b = 4 battute). 

Val la pena anche sottolineare come nel chorus ci sia molto di più che un ibrido richiamo a forme differenti. I primi due versi-parola («vola- re», «cantare») sono accompagnati da un gesto vocale ampio, che ose- remmo definire tutto “latino”. C’è un’eco della vocalità spiegata del Sud d’Italia, ma anche del cante jondo andaluso o dello stile dei mariachi messicani. La terza parte del chorus (b) è in totale contrasto ritmico e dinamico, con il suo stile “consonantico” di tipo anglosassone, che nella interpretazione di Johnny Dorelli è enfatizzato addirittura dalla pro- nuncia lievemente da anglofono.

In conclusione Nel blu dipinto di blu aveva molti punti di forza, pri- mo fra tutti il semplice e universale messaggio del testo (chi non ha so- gnato di volare almeno una volta?). I vari elementi di discontinuità for- male come il contrasto interno al chorus, la macro e micro struttura ter- naria, l’ambiguità tra le forme (song, chanson-canzone, blues), proba- bilmente hanno aiutato a renderla interessante, intramontabile, ovvero un evergreen. Questi elementi inoltre fanno della canzone di Modugno un significativo momento di passaggio, un riassunto di quel che c’era stato e un’anticipazione di quel che il futuro poteva promettere.

Semprini comprese lo spirito della canzone e ne fece un arrangia- mento solidamente ancorato allo specifico linguaggio armonico della tradizione orchestrale dello swing di cui faceva parte. Ma seppe anche inserire elementi di novità.

In una lettera a “tv Sorrisi e Canzoni” la figlia di Alberto Semprini, Viviana, riferì come Modugno avrebbe definito il maestro «pietra miliare della sua esistenza» (Semprini, 11 agosto 2006). La canzone ha avuto un gran numero di arrangiamenti e versioni nel corso degli anni, ma alcune delle soluzioni di Semprini, in effetti, le sono particolarmente legate.

Il maestro disponeva di una piccola formazione di buoni professioni- sti, il Sestetto azzurro. Si affidò dunque a un uso particolare dei timbri, a un solido sostegno ritmico e alle sue doti di pianista accompagnatore per esaltare l’atmosfera sognante e felicemente irreale della canzone.

 Nella strofa manca la sezione ritmica con un effetto di sospensione del tem- po. Non era una soluzione nuova, anzi era quasi una regola. Gli strumenti scelti

hanno tutti un preciso segno descrittivo: i piatti e l’arpa per esempio sono evocativi di cimbali e cetre angeliche.

Lo strumento più significativo nella caratterizzazione timbrica della canzone, sia nella strofa sia nel ritornello, è però l’organo Hammond, capostipite di tutte le tastiere elettriche ed elettroniche privilegiate, anche nel decennio successivo, allor- ché si voleva evocare una sonorità siderale. L’Hammond suonato da Mario Mi- gliardi (compositore nel 1972 della colonna sonora di un seguitissimo sceneggiato televisivo di fantascienza, A come Andromeda) faceva parte dell’organico e veniva usato sistematicamente dal Sestetto insieme al pianoforte e al posto delle sezioni di fiati e archi per riempire le zone intermedie della tessitura. In Nel blu dipinto di blu ha però un rilievo immenso sia nella strofa, sia anche nel ritornello, dopo l’entrata della sezione ritmica. È costantemente presente insieme alla voce e non si limita al sostegno armonico, bensì interviene in maniera, si direbbe, “effettistica”, con brevi inserti che rispondono alla voce, creando un sound imprevisto. Il pianoforte di Semprini è un sostegno sicuro, ma nello stesso tempo ricco di cambi di scena. Il terzinato in questa canzone aiuta a raccontare il dinamismo del volo, ma non è os- sessivo ed emerge in primo piano solo nei ritornelli orchestrali. È spesso interrotto da brevi momenti jazzati, quasi piccole improvvisazioni, che arricchiscono la me- lodia. 

La versione di Angelini e cantata da Johnny Dorelli ha un carattere mol- to diverso (Volare). Dorelli era un debuttante ventenne e fu apprezzato per la sua giovinezza (da Grazzini fu definito un fanciullo, sul “Corriere della Sera”) e per il suo garbato modo di cantare nello stile dei crooners rappresentato a Sanremo soprattutto da Teddy Reno. Il suo linguaggio era dunque più convenzionale rispetto a quello di Modugno. Questi tendeva a troncare i suoni, a spezzare le frasi, a creare cambi di intensità improvvisi, dando una maggiore enfasi ritmica alla sua interpretazione (Jachia, 1998; Jachia, Paracchini, 2009). Dorelli con la sua voce vellutata allungava i suoni, collegava le frasi tra loro, utilizzava sapientemente le dinamiche senza asprezze.

Più convenzionale era anche l’orchestrazione di Angelini. L’orche- stra Canzoni e Ritmi era una grande formazione con sezioni di archi, le- gni e ottoni. Angelini alternò le varie sezioni creando momenti più lirici (come quando usò i violini nell’accompagnamento del verso «Una mu- sica dolce suonava soltanto per me») ad altri più ritmico-swing. In gene- rale però non concesse molto ai contenuti della canzone, se si eccettua la breve introduzione basata su una progressione ascendente. Un arrangia- mento ricco e “di mestiere” potremmo dire, che alla fin fine riuscì ad

omologare nel sound sanremistico dell’epoca questa canzone. Tanto è vero che Angelini operò una forzatura nella struttura formale, eliminan- do la seconda strofa e aggiungendo una coda su suoni tenuti, alla Sina- tra. In questo modo la struttura della canzone finì per rientrare in cano- ni più sentiti, allora, nel Festival.

Non sono disponibili per ora testimonianze sul perché Angelini abbia tagliato la canzone di Modugno. Ma è ipotizzabile che egli volesse sem- plicemente accorciare la canzone facendola rientrare in un quadro for- male più consueto. Gorni Kramer, riporta Borgna, aveva dichiarato: «Che pazzia è questa canzone? Non ha stile, non esiste» (Borgna, 1998, p. 60). Un direttore esperto come lui probabilmente più che al conte- nuto si riferiva all’ambigua e inconsueta forma. Angelini dimostrò di aver capito che la forza della canzone non era certo nelle strofe e in par- ticolare nella seconda strofa, che riconduceva a una dimensione più rea- listica e dunque banalizzante la situazione, bensì nel ritornello, sul quale puntò tutto.

«Volare» del resto divenne famosa soprattutto per il suo ritornello.

«Volare oh oh cantare»: il boom

«Se l’ape cerca il fior / se il fiume cerca il mar, anch’io / cercavo solo te / per annullarmi in te anch’io», declamava Riccardo Pazzaglia, autore di

Amare un altro/un’altra, secondo che fosse interpretata da Nilla Pizzi o

da Claudio Villa. L’esaltazione della dipendenza femminile, della «don- na-cane» come l’avrebbe definita Bianciardi qualche anno dopo (Bian- ciardi, 2008, pp. 1336 ss.) sembrava ancora legare le generazioni. Una perfetta espressione ne era L’edera di Vincenzo D’Acquisto e Saverio Se-

durata complessiva3’10’’

15’’ 49’’ 2’’ 2’24’’

Introduzione Ritornello 36 battute (ABA Chorus-Bridge-Chorus) Strofa 1

Interludio e ritornello (½ Chorus)

½ Chorus ripetuto tre volte + Coda

0

W

O VOCE

racini, cantata dalla «regina» Pizzi e dall’erede al trono Tonina Torrielli: «Son qui tra le tue braccia ancor / avvinta come l’edera / son qui respiro il tuo respiro / son l’edera legata al tuo cuor / sono folle di te e questa gioventù / in un supremo anelito / voglio offrirti con l’anima / senza nulla mai chiedere». E nessuna bocca avrebbe potuto alleviare l’amore-

Arsura, canzone di Cherubini-D’Acquisto e Schisa affidata a Consolini

e a Carla Boni: «Sembra di fiamma l’orizzonte / arde la terra sotto il sol / E questo ardore che fa bruciare la fronte / mette un’arsura che mi con- suma il cuor». Nisa poetava in Timida serenata, scritta con Gino Redi per Fierro e Gloria Christian, Latilla e Boni: «Canta tra i rami un dolce usignolo / segue le note della mia chitarra / timidamente gorgheggia un assolo / cantando alla luna s’inebria come me». Panzeri assemblava gli stereotipi dei canti di montagna in Fragole e cappellini, scritta con Sera- cini e cantata da Fierro col Trio Joyce e da Villa col Duo Fasano: «Lei aveva un mazzolin di fior / e le fragole nel cappellino / ogni fragola un bacin d’amor». In alternativa l’amato agiva «come il vento che nell’aria turbina / sollevando per le vie la polvere / vorticoso, perfido e mutevo- le», come recitavano i versi di Mille volte di Zibio e Fabor, interpretata da Cristina Jorio e Tonina Torrielli.

Un cantare, dunque, assai tradizionale – non va dimenticato il de- butto di Umberto Bindi come autore della musica della canzone- dépliant I trulli di Alberobello –, uno strano debutto per il compositore genovese, con un valzerotto in stile “folkloristico” affidato in gran parte alla fisarmonica e alla ritmica della chitarra – nel quale l’unico brivido pareva provenire dall’esordio sanremese di Aurelio Fierro dopo il gran- de successo di Guaglione. Invece, la sola autentica novità assorbì tutto il resto e divenne l’emblema di un’attesa primavera, dopo il lungo e fati- coso inverno della ricostruzione. Il 1958 si era aperto con l’approvazione definitiva, nei giorni del Festival, della legge Merlin. Il processo a mon- signor Fiordelli, il giovane vescovo di Prato che nel 1956 aveva denun- ciato dal pulpito come pubblici concubini due cittadini colpevoli di es- sersi sposati civilmente, provocò, con la prima condanna, la durissima reazione cattolica, rivelando quanto fosse ancora lungo e difficile il cam- mino verso una società pluralista e rispettosa delle scelte altrui. In mag- gio le elezioni politiche parvero un incoraggiamento al psi in marcia verso la strategia di centro-sinistra (Craveri, 1995). E, in ottobre, la mor- te di Pio xii e l’elezione a papa del cardinale Angelo Roncalli col nome di Giovanni xxiii immerse nel vivo della contemporaneità la Chiesa cattolica, ponendo sullo sfondo le tensioni tra le aspirazioni alla moder-

nità adulta della società italiana e le resistenze delle quali erano emble- ma le chiuse rivendicazioni temporali dell’istituzione (Melloni, 2009).

Di tutto questo parlava Nel blu dipinto di blu, la canzone di Franco Migliacci e Domenico Modugno che non solo vinse a Sanremo, ma ol- trepassò i confini nazionali, sbarcò in America, una delle poche canzoni italiane non riferibile alla tradizione napoletana od operistica a essere conosciuta in tutto il mondo. Eppure per Massimo Mila, che tuttavia aveva scorto un soffio d’aria nuova nella produzione dialettale del can- tautore pugliese e aveva apprezzato Musetto, l’urlo liberatorio di Modu- gno era regressione ai «desideri imbelli», a una «poetica velleitaria». Si collocava nella lunghissima sequela tesa a «vagheggiare paradisi di astratta felicità» (Mila, 1959, p. 506), anziché esprimere pulsioni di vita reale come era nel caso degli chansonniers, punto di riferimento obbliga- to per gli innovatori della canzone italiana. Pur nostalgico del Modugno “siciliano”, per l’inviato dell’“Unità” la canzone di Sanremo percorreva «una strada che oltr’Alpe ha incontrato recentemente grande successo, soprattutto con le ultime produzioni di Bécaud e di Breuil {sic}, quella della canzone {...} surrealistica» (Gismondi, 30 gennaio 1958). E l’agget- tivo ricorreva anche nelle corrispondenze di Gigi Ghirotti (1ofebbraio

1958).

La prima edizione del Festival non organizzata direttamente dalla raie affidata ad Antonio Cajafa risultò opaca nei metodi di votazione, come e ancor più delle precedenti, tanto che il maestro Ruccione («quello di Faccetta nera e di Buongiorno tristezza», Ghirotti, 2 febbraio 1958) ricorse alla magistratura. Fu però segnata dalla canzone di Modu- gno, sul cui significato di irruzione di una profonda discontinuità è già stato detto molto (Zoppa, 2008), ancorché forse si sia sottaciuto che il consenso generalizzato affondava le radici nella mirabile sintesi di conti- nuità e innovazione. In fin dei conti, raccontava un «sogno» molto più vero e reale di tanti oggetti trasfigurati, perché parlava di quel che stava accadendo in Italia e in Occidente, in un momento in cui le aspettative erano rese finalmente realizzabili. Era una canzone sulla libertà demo- craticamente adulta, il cui conseguimento imponeva preliminarmente di liberare dal bisogno, dalle gerarchie, dalle costrizioni. Gli stessi inter- preti – Modugno e Dorelli – erano, oltre che giovani, debuttanti, ed esprimevano la stessa forza dei cambiamenti sui quali lavoravano le in- telligenze culturali e politiche del tempo. Proprio i giovani, ai quali era- no rivolte le innovazioni tecnologiche che si riverberavano nei consumi

con il massiccio acquisto dei 45 giri e con la diffusione dei juke-box, sta- vano divenendo i maggiori acquirenti di dischi21.

I contemporanei ne furono immediatamente consapevoli, sebbene l’enfasi posta nella vittoria e nella rottura di Nel blu dipinto di blu sia or- mai un luogo comune. Mai inaspettata soluzione di continuità, improv- visa rivoluzione furono maggiormente annunciate e attese. Anche il non giovanissimo ed elegante pubblico andò in visibilio, sventolando fazzo- letti bianchi e intonando il refrain: «Un fatto simile non si era mai veri- ficato fino a questo momento», registrò Grazzini al quale premeva che la canzone tradizionale «fresca, elegante, garbata» non fosse «messa in di- sparte» (Grazzini, 2 febbraio 1958).

I giornali, progressisti o conservatori che fossero, furono unanimi:

Nel blu dipinto di blu «è parsa, pur tanto semplice e orecchiabile, la voce

più distaccata e originale dell’intero festival» (Ghirotti, 1o febbraio

1958). L’“Unità”, – pur con riserva, ché la canzone era «inferiore» alle precedenti composizioni di Modugno (Gismondi, 1o febbraio 1958) e

che «il più bravo e ancora il più moderno di tutti» aveva il nome di Na- talino Otto (Gismondi, 31 gennaio 1958) – non mancò di osservare che aveva vinto «la canzone di gran lunga migliore». Modugno aveva dimo- strato che poteva essere apprezzata dal pubblico e «che due cantanti seri e preparati come lui e il giovane Johnny Dorelli hanno la possibilità di imporsi sui “divi” costruiti e artificiosi, dai milioni in banca e dalle la- crime nel fazzoletto» (Gismondi, 2 febbraio 1958). Grazzini apprezzava

Tu sei del mio paese, una summa del sentire convenzionale sull’emigra-

zione ( «Tu sei del mio paese / e solo a te dirò / rimpiango troppe cose / certamente un dì tornerò {...} E quando è l’ora dell’Avemaria / più forte è il desiderio di tornar») definita «una delle canzoni più felici, più fre- sche, più ispirate e più intelligenti di questo Festival». Egli tuttavia con- veniva nel ritenere Nel blu dipinto di blu la «più nuova, più originale e più estrosa» composizione. «Questo personaggio che vola nel blu del cielo, con mani e viso dipinti di blu, non ci pare che abbia precedenti nella storia della canzone» (Grazzini, 1ofebbraio 1958).

La teatralità di Modugno, non a caso accusato di istrionismo dagli osservatori, quel suo girarsi di scatto e di impeto erano la svolta vitale di un paese che aveva incominciato a volare, a significare la distanza già percettibile tra la realtà della società italiana e il suo effettivo governo. Non si dimentichi, però, che era anche il periodo delle prime imprese spaziali: nel novembre 1957 era stato lanciato dai sovietici lo Sputnik con a bordo la cagnetta Laika.

Modugno e Dorelli trionfarono anche nel 1959 con Piove. La canzo- ne di Dino Verde e del cantautore pugliese era «capace di serrare nel suo piccolo giro melodico un nocciolo concreto di realtà. Diciamo, un noc- ciolino» – osservò Mila (1959, p. 506), anche se a molti osservatori la canzone apparve un ritorno nell’alveo del già conosciuto e sperimenta-

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