• Non ci sono risultati.

PIERGIORGIO WELBY

Nel documento Eutanasia: quid ni? (pagine 64-72)

Piergiorgio Welby (Roma, 26 dicembre 1945 – Roma, 20 dicembre 2006) balzava agli onori delle cronache negli ultimi anni di vita quando, gravemente ammalato, nei sui scritti chiedeva ripetutamente l’interruzione delle cure che lo mantenevano in vita.

Il Welby risultava affetto dalla nascita da distrofia muscolare progressiva – probabilmente distrofia facio-scapolo-omerale come riportato dalla Associazione Luca Coscioni di cui era co- presidente anche se alcune fonti riportano quali possibili patologie la distrofia muscolare di Becker (Avvenire) o la distrofia di Duchenne (www.sclerosi.org) – che, manifestandosi già dall’età di 10-12 anni, lo costringeva nel 1997 ad un esistenza sostenuta da presidi di ventilazione meccanica ed alla completa immobilità. Già il questo periodo l’uomo manifestava ripetutamente la volontà di mettere fine ad

una esistenza che percepiva come insopportabile ma le sue richieste non venivano accolte poiché parevano contrastanti con le leggi in vigore20.

Nel settembre 2006 Piergiorgio Welby inviava una lettera all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la quale richiedeva il riconoscimento del diritto all’eutanasia; nella sua risposta il Presidente della Repubblica si limitava ad auspicare un confronto politico sull’argomento.

Pur senza nessun tipo di interpello la Chiesa Cattolica, attraverso il Consiglio Episcopale Permanente, il 21 novembre 2006 riaffermava la sua contrarietà all’eutanasia poiché per i religiosi, a loro dire, “Chi ama la vita si interroga sul suo significato e quindi anche sul senso della morte e di come affrontarla[...]Ma non cade nel diabolico inganno di pensare di poter disporre della vita fino a chiedere che si possa

legittimarne l'interruzione con l'eutanasia, magari

mascherandola con un velo di umana pietà”.

Il 16 dicembre 2006 il tribunale di Roma respingeva le richieste avanzate dai legali di Welby di porre fine all’accanimento terapeutico dichiarandole inammissibili in ragione del presunto vuoto legislativo in materia.

La Chiesa Cattolica, nuovamente motu proprio, il 20 dicembre 2006 tramite il Cardinale Javie Lozano Barragan interveniva con la seguente richiesta “I medici dicano se la macchina che

aiuta a respirare Welby è inutile o sproporzionata e se non fa altro che prolungare l’agonia di una imminente morte”.

Lo stesso giorno Piergiorgio Welby si congedava dai sui cari e, coadiuvato dal dr Mario Riccio, previa sedazione chiedeva di essere staccato dal ventilatore meccanico pervenendo a morte alle ore 23:45 circa.

Il 1/02/2007 l’Ordine dei medici di Cremona riconosceva che il dr Riccio aveva agito nella piena legittimità etica e professionale.

Il 08/06/2007 il Gip imponeva al PM competente l’imputazione del medico per omicidio del consenziente,

respingendo l’archiviazione del caso ma, il giorno 23 luglio 2007 il GUP di Roma , Zaira Secchi, lo proscioglieva definitivamente ordinando il non luogo a procedere poiché il fatto non costituisce reato.

La sentenza con cui è stato prosciolto il medico anestesista muove dall’analisi del “diritto della persona a rifiutare le

terapie mediche”, come discendente dall’art. 32, comma 2

Cost. e dal quale deriverebbe, secondo il GIP, che “rifiutare le

cure o… interromperle… non può voler significare l’implicito riconoscimento di un diritto al suicidio, bensì soltanto l’inesistenza di un obbligo a curarsi a carico del soggetto”.

In particolare, viene riconosciuto come “il diritto al rifiuto dei

trattamenti sanitari fa parte dei diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 Cost. e si collega strettamente al principio di libertà di autodeterminarsi riconosciuto all’individuo dall’art. 13 Cost”.

“Appare, quindi, evidente – continua il giudicante –come, alla luce del dettato chiarissimo dell’art. 32. comma 2, della

Costituzione, nonché alla luce dell’interpretazione che di esso è stata data dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non possano, in nessuna sede, essere disattesi il riconoscimento e la tutela del diritto all’ autodeterminazione della persona in materia di trattamento sanitario, diritto che contempla ovviamente anche il caso di rifiuto di nuova terapia e lo speculare caso di interruzione della terapia già iniziata. Infatti il diritto soggettivo riconosciuto dalla norma costituzionale nasce già perfetto, non necessitando di alcuna disposizione attuativa di normazione secondaria, sostanziandosi in una pretesa di astensione, ma anche di intervento se ciò che viene richiesto è l’interruzione di una terapia, da parte di terzi qualificati in ragione della loro professione”.

In caso di conflitto tra diritto alla autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari e diritto alla vita, si chiarisce, pertanto, che non è più il diritto alla vita a porsi quale limite al diritto all’autodeterminazione, quanto piuttosto il contrario:

“anche la difesa approntata dall’ordinamento all’inviolabilità della vita deve cedere di fronte alla condotta del medico che possa metterla a rischio o addirittura pregiudicarla, se tale condotta sia stata posta in essere in ossequio alla volontà liberamente e consapevolmente espressa, sulle terapie cui sottoporsi o non sottoporsi, dallo stesso titolare del bene protetto”.

Considerato, dunque, che “la condotta posta in essere

dall’imputato integra l’elemento materiale del reato di omicidio del consenziente, in quanto, oltre all’effettiva sussistenza del dato estrinseco del consenso della vittima, il distacco di quest’ultima dal respiratore artificiale effettuato dal predetto determinava il suo decesso dopo poco” e che “del reato contestato sussiste anche l'elemento psicologico, poiché il dottor Riccio ben sapeva che l’ interruzione della terapia di ventilazione assistita avrebbe comportato il decesso del paziente ed il fatto che egli abbia adempiuto alla volontà del paziente non esclude di per sé la volontarietà della sua azione

direttamente causativa del decesso di quest'ultimo, in quanto è proprio la volontà conforme della vittima a costituire l’elemento caratterizzante la fattispecie dell'omicidio di consenziente rispetto all'omicidio volontario” occorre

necessariamente riconoscere che sussiste la scriminante di cui all’art. 51 c.p (adempimento di un dovere): dalla ricostruzione dei fatti, infatti, “discende con certezza che Piergiorgio Welby

da tempo, almeno da sei mesi, aveva deciso di porre fine alla terapia di ventilazione assistita cui era sottoposto dal 1997 e a tale scopo aveva perseguito tutte le strade possibili, anche rivolgendosi al Giudice civile, per poter vedere riconosciuto il proprio diritto all’interruzione del trattamento sanitario. Vari medici per motivi diversi si erano rifiutati di assecondare la sua volontà, fino a che era entrato in contatto con il dottor Riccio, medico specializzato in anestesia e rianimazione. Il rapporto che si costituiva tra i due è qualificabile come quello tipico che si instaura tra un medico ed il suo paziente, preceduto da una precisa acquisizione di informazioni da

parte del medico sulle condizioni del paziente ed esso aveva ad oggetto competenze di carattere squisitamente sanitario, quali quella di porre fine al trattamento di respirazione assistita con il distacco del predetto dalla macchina e quella di somministrare contestualmente una terapia sedativa al paziente. Il contesto entro il quale, pertanto, si consumava la condotta dell'imputato era quello presupposto dal legislatore costituzionale per il legittimo esercizio del diritto all’autodeterminazione della persona attraverso la richiesta di interruzione del trattamento sanitario.

Inoltre va detto che la richiesta di interruzione della terapia formulata da Piergiorgio Welby aveva tutti i requisiti di validità in precedenza evidenziati ovvero era personale, autentica, informata, reale ed attuale, infatti sono riscontrabili nella decisione del malato la piena consapevolezza e la determinazione tenuta fino all’ultimo.

Si rinvengono pertanto nel caso in esame tutti gli elementi in precedenza enucleati per la sussistenza della scriminante di

cui all'art. 51, c.p., con conseguente liceità della condotta posta in essere dall’imputato”.

Nel documento Eutanasia: quid ni? (pagine 64-72)

Documenti correlati