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PIEVE DI SANTA FELICITA

CAPITOLO 4 PIEVE A ELIC

4.1 Notizie storiche fondamentali

Pieve a Elici è l’ultima pieve della Versilia che viene visitata e quella che, tra le tre, si trovava più a meridione, confinante addirittura con la diocesi di Pisa47. Abbracciava ed aveva giurisdizione su un territorio mediamente ampio: confinava con le pievi lucchesi di Camaiore a nord, di San Macario al Monte e di Arliano a est, e con la pieve pisana di Massaciuccoli a sud. A differenza delle altre, pieve a Elici non si trovava sulla via Francigena, ma era comunque degna di importanza grazie alla storia del suo territorio: nel 932, infatti, i re Ugo di Provenza e il figlio Lotario donano al Capitolo della cattedrale di San Martino di Lucca la “curtis” di Massagrausi, appartenuta alla contessa Berta, madre di Ugo48.

Una curiosità sull’etimologia: il toponimo Elici sembra derivare da ilex, “leccio”, e tale denominazione probabilmente è stata attribuita perché nelle vicinanze c’erano boschi di lecci49

.

Quanto all’origine di questa pieve, secondo la tradizione fu una delle pievi fondate dal vescovo di Lucca San Frediano nel V secolo. In un documento del 892 risulta un primo edificio pievanale dedicato a Sant’Ambrogio “in loco Ilice”. In un documento del 984 è accostato a Sant’Ambrogio anche San Giovanni Battista e risultano dipendenti le “ville” di Massa (Massarosa), Biscitulo (Ricetro), Luciano (Luciano), Millano (Miglianello), Spetio (Spezi), Chonule (Casale o Conca),

Orzale (Orzale), Sclava (Stiava), Gabulare (Gomborale), Sasreto (Sasseto),

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Il confine era posto presso Chiatri, ultimo paese facente parte della diocesi di Lucca. La zona di Massaciuccoli, che oggi fa parte della diocesi di Lucca, in epoca medievale era parte della diocesi di Pisa.

48 A questa donazione, negli anni successivi, ne vennero aggiunte altre, così i canonici arrivarono

ad estendere la propria giurisdizione su un vasto territorio che oltre alla “curtis” comprendeva le ville di Montigiano, Gualdo e Ricetro, e infine la “curtis” di Fibbialla. Su queste terre, che costituirono la “Jura”, il Capitolo esercitò giurisdizione fino alla caduta della Repubblica di Lucca.

77 Crescionaticho (Crescinatico), Exscespaticio (Pitoro?), Montisciano (Montigiano)

e Genestrule (Ginestraglio). L’edificio originario era costituito da quattro pareti nude, senza navate, con l’abside volto a levante. Nel XIII secolo la pieve crescerà d’importanza e non sarà più capace di accogliere l’aumentata popolazione, per cui nel corso di questo secolo ci saranno grossi lavori di ampliamento e di ristrutturazione che porteranno la pieve a diventare un edificio di pianta longitudinale a tre navate, con abside in fondo alla navata centrale e con la torre dell’antico castello che si trasforma in campanile. Infatti, dal 1148 la pieve è intitolata a San Pantaleone e la modifica del santo patrono, come di solito accade, accompagna un’importante trasformazione dell’edificio. A questo secolo, come abbiamo visto anche per le altre due pievi, risale pure una importante proliferazione di nuovi edifici sacri nel piviere. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. CXXV) e del 1387 (lib. II, s. XVI).

Le chiese che dipendevano dalla Pieve di Elici erano;

- Chiesa di San Iacopo di Massarosa: una prima attestazione si ha in un documento50 del 16 settembre 1150, nel quale il pontefice Eugenio III rinnova all’arciprete Pietro ed ai suoi confratelli canonici di San Martino di Lucca la bolla di Gelasio II del 1118; riconosce e ricorda tra i possedimenti del Capitolo quello della chiesa di “Massagrosi”. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. CXX) e del 1387 (lib. I, s. VII). Tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 il colle su cui sorge la chiesa è ormai disabitato e la chiesa versa in uno stato di abbandono, infatti le rendite sono da tempo unite alla chiesa di Sant’Andrea.

- Chiesa di Santa Lucia di Montigiano: con un atto51 del 20 novembre 1143 Ildebrando e Guido del fu Ugo e Sibillia di Sichiero moglie di Guido offrono “ad ecclesiam edificandam et cimiterium habendum in onore beati Mathei apostoli et evangeliste et beati Donati episcopi et confessoris et beate Lucie virginis” un pezzo di terra in “Montisciano” entro la quale tale chiesa e cimitero debbono essere costruiti. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. LXX) e del 1387 (lib. I, s. III, d. VI).

50 R.C.L. II/1062. 51 R.C.L.I/ 974.

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- Chiesa di San Giusto di Gualdo: si ha una prima attestazione in un documento52 del 16 settembre 1150, quando il pontefice Eugenio III conferma ai canonici di San Martino i privilegi contenuti nella bolla di papa Gelasio II, del 13 settembre 1118, e ricorda, tra i possedimenti quello della chiesa di Gualdo. Documenti in cui si ribadiscono tali diritti si avranno anche negli anni successivi. Ad esempio, nel 1252 si ha una bolla53 di papa Innocenzo IV con la quale si riconoscono, tra gli altri, i diritti sulla chiesa di Gualdo. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. LXX) e del 1387 (lib. I, s. XVIIII, d. VI).

- Chiesa di Santa Maria di Stiava: il primo documento che conferma l’esistenza del luogo di “sclava”, e di terre della chiesa di Santa Maria è dell’anno 96254

. Nel 1132 venne smantellata un’antica torre, sulla cui base circolare è stato costruito il campanile. In un documento del 116255, papa Alessandro III affida e ne riconosce il possedimento a Giovanni, abate della chiesa e del monastero di Quiesa. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. CL). Passerà poi, prima al piviere di San Pantaleone a Elici, poi nell’anno 1359 sarà unita a San Martino di Bargecchia e infine, nel 1363, a seguito della riduzione della popolazione dovuta alla peste nera, a San Lorenzo di Conca. E’ presente nell’estimo del 1387 (lib. I, s. X). Nel 1400 l’edificio si trovava in uno stato di forte decadimento.

- Chiesa di San Pietro di Montegravati: la chiesa faceva parte del castello di Montramito. In un documento del 1234 Fazio di Massaciuccoli cita il rettore della chiesa di “Montegravante”56

. E’ presente nell’estimo del 1260 (lib. LX) e del 1387 (s. III).

Le chiese di San Iacopo di Massarosa e di San Giusto di Gualdo non vengono visitate perché sono di pertinenza del Capitolo di Lucca.

52 R.C.L.II/1062. 53 A.C.L.BB 5. 54 M.D.V/3 d.1392. 55 R.C.L.II/1198. 56 A.C.L. LL9 c.202 v.

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Estimo 1387 Visita pastorale

1465/1467

Dipendenze dichiarate

Visita pastorale

1465/1467

Chiese e luoghi pii visitati

Pieve a Elici Pieve di San Pantaleone a Elici

Chiesa di San Iacopo di Massarosa

Chiesa di San Iacopo di Massarosa

Chiesa di Santa Lucia di Montigiano

Chiesa di Santa Lucia di Montigiano

Chiesa di Santa Lucia di Montigiano

Chiesa di San Giusto di Gualdo

Chiesa di San Giusto di Gualdo

Chiesa di Santa Maria di Stiava

Chiesa di Santa Maria di Stiava

Chiesa di Santa Maria di Stiava

Chiesa di San Pietro di Montegravati

Chiesa di San Pietro di Montegravati

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Pieve di Elici

Giorno 12 marzo anno della natività del Signore 1467 Visita alla pieve di San Pantalone di Elici

Per la quale si presenta come pievano Spinetto di Giovanni e mostra il proprio titolo. La chiesa viene trovata consacrata con un altare maggiore e con altri due non dotati. Interrogato se la chiesa è dotata del fonte, risponde di si; interrogato sul valore, risponde che rende 60 staia di grano, 19 salme di vino e 4 salme d’olio; non ha altari dotati. Riguardo al popolo, vengono trovati cattolici, ad eccezione di alcuni, come Dominica moglie di Antonio di Cristoforo di Casaccio, una maga, la quale viene ammonita a non incantare sotto pena della legge prevista in questi casi, con riserva di punizione e condanna, e altri che non partecipavano ai riti ai quali viene ordinato di farlo sotto pena di scomunica.

Possiede le seguenti cappelle:

- Chiesa di San Iacopo di Massarosa - Chiesa di Santa Lucia di Montigiano - Chiesa di San Giusto di Gualdo - Chiesa di Santa Maria di Stiava - Chiesa di San Pietro di Montegravati Possiede altri benefici;

Riguardo alla persona dello stesso pievano, viene trovato non sufficientemente competente, così gli viene ordinato di apprendere gli articoli di fede e le altre cose che spettano ad un sacerdote, soprattutto il rito dell’assoluzione e il rito della consacrazione, e che entro due mesi applicasse il tutto sotto pena di 5 fiorini. L’opera rende 35 staia di grano e 33 libbre d’olio e per quest’opera si presentano come operai i seguenti: sia il rettore sia gli operari facciano l’inventario sotto pena di due fiorini;

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- Giacomo di Martino, debitore [all’opera] di 22 fiorini e 4 bolognini per un totale di 36 bolognini per fiorino, alla presenza degli uomini e del comune;

- Signor Antonia, debitrice di 3 fiorini 4 bolognini in nome di suo marito;

- Domenico Parduccini, debitore per gli anni 1462, 1463, 1464, 1465 di 14 fiorini 5 bolognini;

- Signora Domenica, debitrice per due anni di 6 staia di grano, 1 fiorino; - Nicola di Antonio Giovanni, debitore di 5 fiorini 20 bolognini;

- Lorenzo di Pietro;

- Guglielmo di Michele pro affictu annorum pro libris olei 36 restat in totum

computando ei expensas factas pro domo opere florenos 7 bologninos XI ad dictum computum.

Giorno 12 marzo 1467

Visita alla chiesa di Santa Lucia di Montigiano della diocesi di Lucca La quale viene trovata consacrata con un altare maggiore e mostra il suo titolo Spinetto, il pievano sopracitato. La chiesa viene trovata con una trave rotta. Interrogato se è curata, il pievano risponde di si; interrogato sul valore, risponde che rende 24 staia di grano e 40 bolognini. Riguardo al popolo, vengono trovati cattolici. Viene ordinato al suddetto rettore, sotto pena di 10 fiorini, di riparare la trave rotta entro due mesi e di fare l’inventario.

Giorno 13 marzo 1467

Visita alla chiesa di Santa Maria di Stiava della diocesi di Lucca

Per la quale non si presenta nessuno come rettore, ma giunge Spinetto, precedentemente citato, in qualità di governatore, e disse di governare la stessa in nome di [manca]. E in seguito si presenta nel giorno [manca]aprile 1467 e mostra il titolo. Interrogato se è consacrata, risponde che celebrava la festa della consacrazione e che anche l’altare era consacrato. Viene trovata pericolante da una parte e in cattivo stato, all’interno quanto nella canonica, per cui viene ordinato di restaurare la canonica entro due mesi sotto pena di scomunica e di 10

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fiorini d’oro, tanto da parte degli uomini quanto da parte dello stesso rettore e cappellano. Inoltre viene ordinato allo stesso rettore di risiedere stabilmente presso la detta chiesa o mantenerci un cappellano, entro due mesi successivi, celebrare i riti sacri nei tempi debiti e i sacramenti per il popolo. Riguardo al popolo, vengono trovati cattolici ad eccezione di alcuni che non partecipavano ai riti per cui viene ordinato loro di farlo. Viene trovata una donna che si dice avesse gettato il Corpo di Cristo sopra il fuoco su istigazione di una maga, così dopo aver fatto la comunione viene ordinato che potesse essere sanata dall’infermità nella quale si trovava. Interrogato sul valore, risponde che rende 65 staia di grano e 2 salme di vino. Riguardo alla persona dello stesso rettore, viene trovato.

84 Pieve a Elici

85 Chiesa di Santa Lucia di Montigiano/Chiesa di San Giusto di Gualdo

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CONCLUSIONI

Dagli atti della visita pastorale delle pievi della Versilia possiamo osservare quanto segue.

Per la pieve di Camaiore il quadro è abbastanza articolato. Il pievano Bartolomeo da Fermo non si presenta e compare per conto di lui il cappellano Giovanni di Checco. La pieve viene trovata mal governata: il cappellano non riesce a far fronte alle richieste dei parrocchiani nella somministrazione del battesimo e dell’estrema unzione; inoltre si ordina di riparare la canonica, amministrare correttamente il patrimonio e nominare un cappellano che risieda stabilmente a Gombitelli o Torcigliano, le due chiese unite alla pieve. L’unica altra chiesa nel piviere dotata del fonte battesimale è la prioria di Santa Maria di Camaiore. Il resto del piviere si compone di sette edifici con cura (dei quali San Biagio di Lombrici e San Michele di Montemagno necessitano di lavori rilevanti) e due sine cura. I rettori sono ritenuti generalmente idonei, tranne Francesco Bonuccelli di Camaiore, rettore di San Biagio di Lombrici, ritenuto non satis competens. Tra i provvedimenti più diffusi troviamo l’ordine di imparare gli articoli di fede e di non partecipare ai giochi. Nel piviere ci sono infine numerosi ospedali, scarsamente operativi, maldisposti, scoperchiati o con pochi letti; al rettore dell’ospedale di San Lazzaro dei lebbrosi fuori le mura di Camaiore, per compenso del malgoverno, viene addirittura ordinato di distribuire ogni anno ai poveri pane, olio e vino.

Anche per la pieve di Santa Felicita il quadro è variegato e complesso. La pieve viene trovata ben tenuta, ma il pievano Nicolao di Giovanni Cellini, promosso al presbiterato prima del tempo stabilito, è giudicato ignarus. Pratica in modo scarso la cura d’anime e ufficiatura della chiesa, in parte giustificato da una canonica pericolante che non permette di abitarvi stabilmente. L’altro importante centro religioso è la prepositura di San Martino. Nel piviere ci sono altre quattro chiese dotate del fonte battesimale: San Pietro di Retignano, Santa Maria di Stazzema, San Michele di Farnocchia e San Nicolao di Pruno. I rettori sono generalmente ritenuti idonei: soltanto Giovanni da Vali, il rettore della chiesa di Pruno, è giudicato ignarus et rudis, e per questo dovrà studiare e prepararsi per assolvere

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alle funzioni del suo ruolo. Abbiamo poi tre chiese con cura d’anime, i cui rettori sono tutti giudicati non competenti: vengono infatti riscontrate gravi negligenze nella cura d’anime, come il caso di una donna deceduta senza il sacramento e la mancanza di ufficiatura regolare. Infine abbiamo tre edifici sine cura e sei ospedali, abbastanza ben conservati.

Infine abbiamo la pieve di Elici, la quale risulta ben tenuta, consacrata, col fonte battesimale in ordine, l’altare maggiore e altri due altari. Però il pievano Spinetto di Giovanni, che è anche rettore della chiesa di Montigiano e governatore di quella di Stiava, è ritenuto satis non competenes e i provvedimenti presi nei suoi confronti, - dovrà infatti imparare anch’egli gli articoli di fede, le formule dell’assoluzione e della consacrazione e tutto ciò che attiene alla funzione del suo ruolo, - ci mostrano che egli ha gravi lacune. Per la chiesa di Santa Lucia di Montigiano si ordina di provvedere alla riparazione di una trave del tetto rotta, mentre per la chiesa di Santa Maria di Stiava si ordina al rettore, di cui non sappiamo il nome, di stabilirvisi o nominare un cappellano, curare l’ufficiatura e l’amministrazione dei sacramenti.

La maggior parte della bibliografia e degli studi esistenti sull’istituzione della pieve è concentrata sull’origine e gli sviluppi tra XII-XIII secolo. L’evoluzione del sistema pievano nel periodo tra il basso Medioevo e il Rinascimento è ancora un argomento poco affrontato e meriterebbe ulteriori approfondimenti. Grazie agli atti della visite pastorali, che costituiscono una delle fonti primarie esistenti, possiamo approfondire il tema. Essi infatti ci fanno avere una visione di quale fosse la condizione del sistema in quel periodo, sia per quanto riguarda lo stato materiale dell’edificio sia per quanto riguarda lo stato spirituale del clero e della cura d’anime.

L’analisi delle tre pievi considerate in questo lavoro può essere presa come esemplificazione di un fenomeno generale, i cui risultati tuttavia, pur considerando sempre la presenza di differenze dettate dalla dinamiche dei singoli territori, possono essere estesi e generalizzati, portandoci a concludere che tutta la struttura ecclesiastica dell’area centro-settentrionale fosse in crisi.

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All’epoca in cui viene effettuata la visita, nella seconda metà del XV secolo, in teoria il sistema è ancora in piedi; la visita stessa infatti parte dal sopralluogo alla pieve, ed è seguita dall’elenco delle cappelle dipendenti. Ma attraverso l’analisi degli atti vediamo come il sistema, già compromesso dai cambiamenti avvenuti nel XII-XIII secolo, ha ormai preso la strada dell’irreversibile declino. Questo si manifesta sia con l’esautorazione della pieve dalle originarie prerogative, conseguente al distacco delle chiese succursali, sia con la bassa condizione morale e spirituale del clero.

Come già accennato nel capitolo introduttivo, il prestigio della pieve e il ruolo di preminenza di essa inizia a venir meno già nel XII-XIII secolo, quando le cappelle minori, che fino ad adesso erano state completamente dipendenti dalla chiesa madre, acquisiscono alcuni diritti, come la possibilità di celebrare funzioni sacre o il diritto di sepoltura, e si rendono semi-indipendenti da essa.

Infine, mano a mano che le parrocchie otterranno il fonte battesimale, diventeranno quasi completamente autonome. Questo è quello che accade, ad esempio, - per quanto riguarda il territorio considerato in questo lavoro, - quando nel 1387 papa Urbano VI concede il fonte battesimale alle chiese di Santa Maria di Camaiore e di San Martino di Pietrasanta, che ottenendo la più importante prerogativa della pieve, ovvero la facoltà di battezzare, si sottraggono in buona sostanza dalla pertinenza di essa. Successivamente, come testimoniano gli atti della visita, otterranno il fonte battesimale anche altre quattro parrocchie del piviere di Santa Felicita. È importante notare come nel caso di queste ultime, molto probabilmente il fonte fu concesso per fini politici e non per effettiva esigenza spirituale, dato che le suddette parrocchie erano costituite da pochi abitanti ed erano inoltre molto vicine tra loro.

La decadenza delle pievi è legata sicuramente a fattori esterni come guerre, pestilenze, crisi demografiche, e più in generale una crisi del tessuto insediativo del contado, che fa sì che la pieve si ritrovi in una posizione ormai isolata: una posizione che ha avuto sin dalle origini per sua natura, ma che adesso non è più adeguata alla nuova realtà, che richiede una chiesa inserita organicamente nel tessuto abitativo della comunità. È quindi ormai scomparso il significato

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originario che legava il popolo alla sua pieve ed essa non è più concepita come punto di raccolta.

Nel XII-XIII secolo le istituzioni ecclesiastiche si legheranno sempre più a quelle civili. Infatti, per il passaggio da cappelle a parrocchie e per l’ottenimento da parte di queste di prerogative e diritti, un ruolo fondamentale è svolto dai comuni rurali, i quali, per rafforzare il proprio prestigio, si adoperano per far ottenere alla propria chiesa prerogative ed autonomia, e parteciperanno all’elezione del rettore designando o presentando i candidati.

In origine, i chierici vivano in collegialità presso la pieve, ma con la nascita delle parrocchie e delle canoniche, il concentramento dei chierici si disgrega e nascono i benefici personali. Molto spesso queste prebende avevano un reddito molto esiguo, così i chierici erano costretti a sopperire all’esiguità e a cercare altre fonti di reddito accumulando benefici, anche lontani uno dall’altro o celebrando messe. Inoltre dal XIV il sistema dell’organizzazione della cura d’anime e le istituzioni ecclesiastiche si erano sempre più legate alla politica. Infatti, in particolare nello scontro tra papato e stati nazionali e nel periodo dello scisma d’Occidente (1378- 1417), il papato farà ricorso ai benefici e al controllo diretto delle strutture ecclesiastiche per rafforzare la propria supremazia. Così nel corso del 1400 si accentua la pratica di affidare i benefici a persone estranee e lontane dalla vita ecclesiastica della comunità, prevaricando anche le norme del diritto canonico e la volontà del vescovo, e diventa una prassi normale la pratica dell’accumulo di benefici. Negli atti della visita, tra i tanti prelati che godono di innumerevoli benefici ecclesiastici troviamo Cristoforo di Ser Michele da Lucca, Leonardo di Agostino da Lucca e Stefano, arcidiacono della cattedrale di Lucca. Inoltre molti tra i chierici hanno benefici ecclesiastici in luoghi tra loro distanti; è quindi facilmente comprensibile come non possa esserci corrispettivamente un’adeguata cura d’anime. L’evoluzione finale avverrà con l’assegnazione di benefici sine

cura, ovvero benefici di cui si percepisce soltanto il reddito senza che ci sia una

ufficiatura dei riti divini ed una cura d’anime.

Il cumulo di benefici e il legame con i meccanismi politici avranno come conseguenza clero non preparato, trascuratezza, non residenza e assenteismo, e

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una non adeguata cura d’anime. Infatti tra le disposizioni che troviamo più spesso abbiamo l’ordine di imparare gli articoli di fede e di studiare, che ci denota un clero non preparato a svolgere le funzioni proprie del suo ruolo, e disposizioni di dire messa, di conservare degnamente in un tabernacolo le ostie consacrate e di mantenere una luce accesa di fronte al Corpo di Cristo.

Il Concilio di Trento, convocato essenzialmente per far fronte alla diffusione della riforma protestante, cercherà di riportare la funzione dei chierici al ruolo

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