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La poesia d’amore

Maffia ultimo prossimo G L

Il titolo del mio intervento costituisce per certi aspetti un os- simoro, in effetti vuole alludere contemporaneamente alla se- conda raccolta di liriche d’amore che ha per titolo Ultimi versi d’amoredel  e a una nuova silloge inedita, Il poeta e la far- fallache appare smentire, riaprendo una nuova possibilità, la conclusività di quei versi. Nell’insieme tutte e tre le raccolte d’amore, compresa Canzoni d’amore di passione e di gelosia del , hanno profondi tratti in comune e paiono comporre in un canzoniere le vicende del sentimento. L’avventura amorosa si distende in tre tappe fondamentali: innamoramento, perdita, ri- nascita. Le Canzoni d’amore di passione e di gelosia tematizzavano l’esplosione dell’innamoramento e nel secondo tempo anche l’instaurarsi della gelosia e del sospetto. Ultimi versi d’amore è, a partire dal titolo, un addio all’amore, e si svolge in due tempi: il ricordo e l’intensità della passione seguiti dalla distruzione e dal cimitero prodotti dalla sua perdita. Nel programmatico compo- nimento d’apertura della terza raccolta, prossima alla stampa, si annuncia un passaggio ulteriore: l’io poetico annichilito che, con le parole di Maffia, «porta all’ammasso» «la sostanza del mio essere», fino ad annunciare una mortifera «dissolvenza» è ora improvvisamente e inaspettatamente rimesso in gioco. Con il verso «E a un certo punto t’annunci» irrompe il nuovo amore. È il tempo della rinascita. E sull’idea d’amore come rigenerazione, “vita nuova” si apre il nuovo atto, rappresentato da un ritorno della passione e con essa della poesia che la rivive.

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Questo canzoniere amoroso ritrova del resto le vicende, i motivi, i concetti e le parole dell’eterna poesia d’amore. A Maf- fia non interessa ricercare un linguaggio “difficile”, sperimen- tare altri temi o inventare immagini ardite. In lui sopravvive o rivive la lingua di ogni tempo e le sensazioni vissute dell’amore coincidono con l’esperienza irripetibile eppure perennemen- te vissuta da ciascun amante. La lingua della poesia diventa per Maffia una seconda lingua naturale, da contrapporre alle astrazioni e alle oscurità del novecentismo. E tuttavia a que- sta materia linguistica non sono precluse inedite similitudini, metafore o iperboli, sempre nella semplicità di accostamenti remoti ma chiari, tendenti alla figuralità di un poeta classico. L’universo simbolico di Dante Maffia gioca allora anche con le perenni metafore della poesia, il mondo dell’amore è pa- ragonato alla simbologia più comune della natura: il sole, il mare, la primavera, i fiori, il vento, il firmamento e la luna. Così gli elementi canonici della natura, recuperando l’antico potere evocativo, ritornano metafore della potenza dell’amore che è infinito, accogliente e materno come il mare; silenzioso e contemplativo come la luna, le stelle e il firmamento; vario, colorato, profumato, bello e sensuale come i fiori; improvviso, sfuggente e ritornante come il vento. Mentre il colore che gli appartiene diventa significativamente l’azzurro o il celeste del mare e del cielo, più che il rosso fuoco dell’eros più stereoti- pato. Si tratta lo ripeto di una ripresa comunque dell’universo simbolico amoroso della poesia d’ogni tempo, con una partico- lare predilezione per il momento fondativo della nostra cultura letteraria, lo stilnovismo e Dante con la loro lirica e dottrina amorosa.

Così la donna, argomento centrale, figura idoleggiata e can- tata nei versi, ritorna ad essere una moderna dea che, con l’inna- moramento, sottrae l’io alla mortalità della vita: «il tuo corpo / a guardia della vita» recitano due versi di Comunione. L’amore è allora fonte di salvezza e rigenerazione, fino a consentire una forma di divinizzazione. Non solo la donna ha forza e attribu- ti vivificanti e divini, ma per suo potere ed effetto anche l’io

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soggettivo abbattuto del poeta si innalza fuori dal tempo cir- coscritto dei mortali, si allontana quasi religiosamente da una condizione materiale e terrena per giungere a una dimensione spirituale in cui s’incontrano le anime insieme ai corpi. Questa forma di estraneazione dal mondo è ribadita già nella seconda raccolta amorosa e ritorna anche qui, suggerendo l’idea di amo- re come rifugio, come tempo sospeso dentro il quale perdersi e rifiutare la società e la storia:

lascia che crolli il mondo, noi resteremo abbracciati per sorreggerci,

indifferenti alle regole del consorzio umano, per fecondare l’incanto.

(Per fecondare l’incanto)

oppure:

Ti presi per i capelli, ti entrai nel corpo

come un aereo entra nell’azzurro. E il mondo disparve frantumato, fatto cenere.

(Eri una puledra)

e così anche in un testo in cui dopo aver descritto il lungo elenco di lutti e macerie della storia si conclude:

Troppo, e la memoria s’offende e chiede

soltanto di ritagliarsi un filo da portarsi negli spazi siderali: la tua bocca che ansima, che sa spegnere il fuoco.

(Cerco un varco)

Questo sottrarsi al presente e anche alla storia accade perché il tempo dell’amore si eternizza: Maffia parla di secoli e di

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millenni. Attraverso il potere vitale dell’amore è come se si concretizzasse un antico sentimento di svratemporalità e di immortalità.

L’idealizzazione della donna non è frutto di un’astrazione ma corrisponde al sentimento dell’innamorato che, quando legge il mondo alla luce dell’amata, ritrova più intense, vere e vive le cose, come nell’esperienza infantile. Ecco che il poeta può rinascere da una costola della donna, rovesciando il topos biblico (Non ci sarà mai fine) e riscoprire quanto l’amore possa trasformare l’essere: «rendi umana la specie» (In me trascorrono millenni). Del resto anche altrove la donna è «finestra sul mon- do / viatico per il paradiso» (Tu camminerai). La donna cioè è sempre fonte di gioia e vita e abbatte malinconia e morte. Così i tre versi conclusivi di “Parole pane croccante”: «Parole che hanno ridato / la vita, / che fanno incazzare la morte». Al tem- po stesso la sua perdita può causare «ditruzione» come accade nella seconda raccolta e come nel primo tempo di questa nuova e inedita l’io teme possa di nuovo accadere. Si tratta, ripeto, di una tematica, del comune, un tempo si sarebbe detto universa- le, vissuto della passione amorosa e delle sue rappresentazioni poetiche; ma il canzoniere di Maffia vuole proprio rivisitare le stazioni di questa tradizione della poesia e riproporle anche al presente.

È chiaro che in una tale impostazione poetica gli echi let- terari siano abbondanti, non è qui l’occasione di indagarli; co- munque numerosi debiti vanno ascritti anche alla poesia del Novecento, non necessariamente in una linea “classica” (mi piace citare, ad esempio, Caproni o Ottieri) ma soprattutto, in una impostazione antiermetica, i riferimenti sono alla lirica d’amore europea e mediterranea, in lingua spagnola per esem- pio. Alcune volte Maffia recupera proprio gli stilemi triti — l’aggettivo è sabiano —, del linguaggio amoroso: «Sinfonia dei tuoi occhi», «cieli immensi dei tuoi occhi», «i tuoi occhi di sole»; oppure in una sequenza più elaborata «sei il manto di neve / che sciogliendosi diventa / cascata di gocce rugiadose». E il corpo della donna: occhi, labbra, bocca, orecchie, naso, capelli,

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mani, seno, ecc. ritorna secondo i dettami del petrarchismo; ma proprio perché il discorso d’amore attraversato dal topos ineludibile del sentimento di qualcosa di indicibile non può che ricorrere talvolta alle parole già battute:

Non che non abbia parole, ma sono insufficienti, sono cieche, prive di suoni, d’armonie, di segni che possano ritrarti nel fulgore delle intemperanze amorose

(Torna, parola)

o ancora:

come acciuffare la tua anima e fermarla in pagine inerti? E le tue orecchie,

e le tue gote, e gli occhi,

e il seno, e l’ombelico, e il tuo sesso, e le tue gambe e i piedi

come potevo ridurli a parole se hanno spazi enormi e dimensioni oceaniche e superbamente sfuggenti?

(Ma non rimproverarmi)

Eppure la poesia deve sfidare quest’infinità:

Ci ho provato, ho sbagliato, almeno però ho sfiorato il disegno della tua bocca

che sento fremere avida, ma s’allontana navigando e lasciando una scia di farfalle vellutate. È poca cosa? Oh, no, è l’inizio

del lungo cammino che porta all’empireo.

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E quindi siamo anche a una dimensione dantesca: la scrit- tura deve compiere un percorso iniziatico per consentire di afferrare il senso dell’amore. È come se fra parole e poesia ci fosse uno scarto e per il poeta si riproponesse l’antico bisogno di una musa che colmi il vuoto del dicibile. (v. un testo pro- grammatico come Torna parola). E però l’amore dà verità alle parole perché le ridota di un senso, una referenza e una vita che avevano perduto: «Adesso il poeta è poeta davvero, / è ritornato con l’anima sgombra» (Le parole sono cose vere). E il percorso coincide quasi con una regressione all’infanzia, del resto più volte evocata, un ritorno alla dimensione originaria della prima scoperta delle cose e delle parole, non senza un’eco pascoliana. In questo senso la scelta delle figure retoriche sembra mi- rare a restituire la sensazione di un sentimento che appare infinito, per sua stessa natura iperbolico (ecco perché c’è un componimento intitolato Andando nell’iperbole); rispetto a tale sentimento le parole, anche le metafore e le similitudini più evocative e profonde, possono solo approssimarsi. Così è per l’accumulo di aggettivi. Dice Maffia: «Aiuto, / qui c’è penuria d’aggettivi / per definire il mio amore [. . . ] c’è penuria di de- finizioni» (Qui c’è penuria d’aggettivi). Eppure l’enumerazione prolungata, come nell’esempio prima citato delle tante parti del corpo femminile, aspira a questa infinità; così anche la ri- petizione o le anafore (per esempio la poesia Palpito misterioso si conclude con una ripetizione, per così dire, infinitizzante: «amore, amore amore. // Amore.»). Tali ripetizioni o altrove le anafore, partecipano della sfida a restituire la sensazione di sovrumanità dell’amore. Ecco che la retorica del sentimento si fa veicolo di quest’ambizione di corrispondenza tra parole e amore, imponendosi di tornare a pronunciare e insieme rein- ventare il dicibile per dire l’amore; così occorrono, dice il poeta, «vocabolari ricchi di parole sconosciute» (Entrare in te). D’altron- de la poesia è la sola forma di discorso possibile, che diventa anche necessario, per avvicinarsi a comunicare il sentimento amoroso.

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Il poeta e la farfalla, da cui abbiamo tratto fin qui gli esempi: «la poesia fa la guardia alla vita e la vita fa la guardia alla poesia», riprendendo un verso che ho citato all’inizio. E forse possia- mo sostituire a “vita” “amore” affermando che la poesia fa la guardia all’amore e l’amore fa la guardia alla poesia, perché l’a- more fa rinascere la poesia, sfidandola ad andare oltre il limite, mentre questa protegge dalle imprevedibilità di un sentimento incontrollabile che può sempre rivelarsi precario e sfuggente. La donna, ndice Maffia: «a volte è faina, a volte un pipistrello, una lupa famelica / e potrebbe squarciare la crosta terrestre. / A volte è serpente velenoso, una farfalla. // È pericolosa, ma con la poesia / potrai mitigarla e tenerla sotto tiro.» (E La bocca?) Ecco rivelato che la poesia ha anche una funzione di cura, di analisi e prevenzione della potenziale malattia della perdita. Essa fissa, dice le parole d’amore e trattiene l’amatak, ricordandole e raccontandole quanto indispensabile e vitale sia la sua presenza.

Ti presento Maffia

ISBN 978-88-548-7647-7 DOI 10.4399/978885487647712 pag. 181–197 (ottobre 2014)