Nel linguaggio comune la parola tende a darci l’illusione e la sicurezza del possesso del reale, laddove la parola poetica di- strugge questa illusione facendo arretrare la realtà a favore della parola pura1 in quanto cifra dell’Ignoto. Ciò è possibile perché
la parola poetica si colloca trasversalmente rispetto ai concetti di Mito e di Logos; ovvero si crea uno spazio autonomo che, accogliendo un perduto universo mitico come eco, si intride di nostalgia per un suo possibile “al di qua” in grado di frangere anche le barriere del Logos, ponendosi al di là di ogni eventuale tentazione razionalista o storicistica2.
In questo spazio autonomo le cose passano dal linguaggio co- mune ed esteriore a un linguaggio interiore privilegiato; in que- sto passaggio si sviluppa anche il movimento proprio alla parola poetica, quello per cui essa passa dal visibile all’invisibile, in una ciclica e continua ri-generazione della parola stessa. Ne con- segue che l’opera poetica si confi gura come uno spazio aperto e autonomo in cui si svolge l’ideale viaggio interiore e metafi sico dell’Essere tra materia e immaginario.
Questo spazio può essere defi nito orfi co per due ragioni: perché luogo privilegiato in cui avviene il viaggio conoscitivo del poeta in quanto «anima esiliata» (infatti il poeta ha accesso a questo spazio solo se è disposto a “sparire”, ad anticipare in qualche modo la Morte, così da poter rivivere la parola originaria); perché
1 M. BLANCHOT, Lo spazio letterario, Torino, Einaudi, 1975. 2 G. CATCHIA, Orfi smo e tragedia, Milano, Celuc Libri, 1979.
luogo in cui si realizza quell’autonomia poetica che Holderlin ha defi nito
il venire alla luce, proprio come fatto estetico, di una “cesura” tra uma- no e divino che deve permanere, al di là di qualsiasi idealizzazione organica dell’unità, della continuità, dell’interezza armonica.3
È in questo spazio orfi co che il poeta, registrata l’immanente autodissoluzione del mito ormai svuotato di ogni valenza simboli- co-conoscitiva, tenta una reinvenzione della dimensione a-spaziale e a-temporale in cui – conservandosi la cesura tra umano e divino – la conoscenza permetta un’identità dell’anima a se stessa, al di là di ogni possibile costruzione di una positiva struttura di re-ite- razione del mondano. In tal modo si manifesta l’illusione catartica e salvifi ca della poesia, in quanto ricerca dell’innocenza naturale pre-originaria, e la sua antitesi, ovvero l’impossibilità di frangere le barriere della mistifi cazione idealista che nasconde la purezza dello spirito dietro tratti troppo pesantemente antropomorfi .
In questa tensione fra nostalgia dell’innocenza pre-originaria e titanismo sono i poli estremi della contraddizione di cui vive l’opera d’arte: desiderio del possesso del reale e denuncia dell’As- senza; rifi uto della Storia e impossibilità di creare una dimensione a-storica consolatrice; desiderio dell’immagine assoluta e falli- mento della parola; ri-creazione del “silenzio” e rifi uto di scrivere.
Ma soprattutto sono i poli estremi della poesia del primo No- vecento e le due possibili strade da seguire in cui, però, sempre si conserva la consapevolezza che l’emancipazione salvifi ca, nono- stante l’insorgere minaccioso della Storia, si può realizzare solo nella dimensione sospesa della poesia e non più con i mezzi della mera conoscenza astratta. Ciò fa sì che il problema dell’espressio- ne poetica non sia solo quello casuale e accessorio di una scelta tra differenti mezzi espressivi, bensì il tentativo consapevole di piegare il materiale linguistico e strutturale a una ri-costruzione del canto mitico d’Orfeo capace di re-inventare e di redimere la Natura in uno slancio titanico e al tempo stesso conscio dei limiti umani.
Di conseguenza non solo l’immagine si carica di valenze sim- boliche tese a far rivivere i fantasmi del Mito, ma soprattutto la parola si piega alla ricerca di valenze sapienziali al fi ne di frangere il tessuto delle obbligazioni culturali e storiche, fi no a farsi disor- dine o “follia”.
In questo incrociarsi fra parola profetica e parola misterica si fondano le condizioni per accedere alla verità, in uno slancio di fuga dall’umano e nella sempre presente consapevolezza di perseguire due tempi incrociati: un tempo umano, limitato nella sua caducità; un tempo poetico, oscillante tra ciclicità mitica e a- temporalità. Da qui anche lo scaturire di un parodossale e duplice movimento in direzioni antitetiche: da un lato il riconoscimento e l’ammissione tormentata dell’infi mo nella condizione umana (il vincolo terrestre-corporale e l’infi nita caducità del divenire); dall’altro la tensione al Tempo sacro ed eterno del quale l’uomo vuole farsi partecipe4.
È pertanto signifi cativo che questo riconoscimento dell’auto- nomia poetica avvenga, nel primo Novecento, anche attraverso le rifl essioni sulla componente orfi ca della poesia pura: di fronte all’impossibilità di aderire a un tempo storico dominato dal Lo- gos e dalle illusioni di un dominio umano della Storia, di fronte al fallimento decadentistico dell’identità vita-arte, il richiamo al mito di Orfeo e al suo canto pre-originario apre la strada a una nuova verifi ca della poesia come spazio autonomo al di là delle barriere temporali e storiche in cui la parola sperimenta tutte le sue infi nite possibilità espressive. Ché la modernità del mito di Orfeo sta proprio nel fatto che Orfeo ci ricorda come il parlare poeticamente e lo sparire dell’Essere appartengono a uno stesso movimento in cui attraverso la morte anticipata5 si cancella ogni
certezza dell’essere e quindi anche la parola comune, incapace di fermare la continua insorgenza del reale e del Mondo, a favore della infi nita estensione della parola poetica.
4 In questo caso opera il valore della memoria a-tempotale come organo riconoscitivo non del continuum psicologico individuale e collettivo, bensì come mezzo privilegiato d’accesso all’eternità ed alla sapienza.