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POLITICA E NARRAZIONE: ALLE RADICI DELLA “CONTAMINAZIONE”

Prima di giungere all’obiettivo che ci si è prefissati – alla definizione, cioè, dell’oggetto di studio specifico del presente lavoro – si rende necessario ancora qualche, solo apparentemente circonlocutorio, discorso preliminare.

Si è già accennato al fatto che la maggior parte di coloro che si sono occupati di romanzo secentesco ha registrato, nelle opere in questione, la pervasività dell’elemento politico88: in epoca barocca, la letteratura (romanzesca in primis) si presentava, in effetti, come uno dei gradi della riflessione politica. Questo è un dato di fatto, facilmente accertabile consultando i romanzi che ebbero maggiore successo e diffusione nel secolo diciassettesimo; si tratta ora di indagare ragioni e radici di tale contaminazione89.

1. Cultura politica e politica culturale.

A far sì che i romanzi secenteschi traboccassero di riferimenti alla storia e alla politica contemporanea, concorse una serie di fattori, di natura affatto differente. Anzitutto, incise una componente di ordine storico-culturale in senso lato. Se è vero che la politica è parte integrante ed elemento essenziale della vita associativa e connaturata

88 Non pare superfluo precisare che l’aggettivo «politico» è in questo caso da intendersi in senso

etimologico. Esso non ha significato univoco e non deve essere interpretato attraverso il filtro dell’età contemporanea. Al contrario, va considerato come un contenitore che racchiude in sé vari aspetti della realtà e della vita sociale. L’aggettivo πολιτικός indicava, in greco antico, tutto quanto era attinente al cittadino, al membro della comunità, sia in senso civile sia in senso strettamente politico. Laddove si asserisce, dunque, che i romanzi secenteschi abbondano di riferimenti politici, ci si riferisce alla politica stricto sensu ma anche, più genericamente, alla storia e alla realtà contemporanee.

89 Che la sfera politica e la sfera letteraria entrino in contatto non è certamente fatto inedito, tutt’altro; si

ritiene tuttavia che tale relazione, per quanto riguarda il secolo diciassettesimo, affondi le sue radici nello specifico terreno culturale di epoca barocca, presentandosi pertanto con movente e manifestazioni affatto peculiari.

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nella storia del genere umano, è altrettanto innegabile che ci siano state epoche che, per varie e differenti ragioni, hanno mostrato verso di essa maggiore attenzione: una di queste fu certamente l’epoca barocca.

Gli storici, come noto, concordano nel sottolineare il carattere di transizione del secolo diciassettesimo. Profonde trasformazioni si registrano in primo luogo sul piano socio-economico, con l’acme del sistema di Ancien régime, il principio della crisi della società aristocratica e la rottura dell’ormai consolidato modello di produzione ad essa connesso; il procedere a passi sempre più ampi verso una società borghese ed un sistema economico di tipo capitalistico. Ma il Seicento è anche il secolo che vide accelerare e definirsi il processo di consolidamento dello Stato moderno, attraverso il cruciale meccanismo di accentramento del potere. Al centro della scena politica (e non solo) del diciassettesimo secolo, si stagliava, titanico, il principio assolutistico. L’intero orizzonte sociale era invero dominato da tale principio: in tutta Europa si rafforzarono le monarchie assolute, imperversarono duri meccanismi di repressione verso ogni forma di dissenso e devianza, si irrigidirono le strutture economiche e sociali. In questo scenario, la politica diventava, gioco forza, disciplina cruciale e meritevole di attenzione, a diversi livelli gerarchici e sociali. Essa si specializzò, si tecnicizzò, divenne campo di competenza privilegiato dei principi e dei loro ministri, strumento di controllo e repressione da un lato, di consolidamento del proprio potere dall’altro; ma fu anche oggetto di interesse primario per filosofi, intellettuali ed eruditi; fonte di curiosità e spettacolo di (ambiguo) interesse per il popolo tutto.

Il fenomeno è ampiamente analizzato e dibattuto da Rodolfo De Mattei nei due volumi de Il pensiero politico italiano nell’età della controriforma, editi rispettivamente nel 1982 e nel 1984, in cui l’autore registra un’imponente rinascita dell’interesse politico

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a tutti i livelli della società secentesca e la conseguente proliferazione di una letteratura politica in ambito italiano90.

Il neoplatonismo di epoca umanistica, notava De Mattei, aveva esaltato soprattutto la vita interiore e contemplativa (pur non limitandosi, naturalmente, a questo). Per contro, in età rinascimentale ed ancor più in età controriformistica, si ebbe come un risveglio dello ζῷον πολιτικόν dormiente ed una conseguente riabilitazione tanto della vita attiva quanto della politica. Pertanto, contrariamente a quanto spesso si suole sostenere, si accese in Italia un fervente dibattito politico, che portò allo sviluppo di un peculiare pensiero politico, sebbene meno sistematico e dagli accenti meno polemici rispetto a quanto si registra, alla stessa altezza cronologica, in altri Paesi europei, Francia ed Inghilterra in primis. A determinare il carattere sostanzialmente diverso – smorzato, si potrebbe dire – della discussione in territorio italiano, fu una serie di fattori: in primo luogo, determinante in questo senso fu il deficit di una struttura politica nazionale omogenea (che potevano invece vantare altri Stati), fondamentale per convogliare su interessi e temi comuni le varie correnti ed i diversi spunti di pensiero politico. Allo stesso modo, l’Italia non poteva contare su un Parlamento unitario (alla pari delle Camere inglesi o degli Stati generali francesi) – organo deputato, per sua stessa definizione, al dibattito politico – né tantomeno su una classe dirigente compatta. Non da ultimo, dovette pesare l’ingombrante presenza della sede papale, con il suo braccio armato costituito dal Tribunale dell’Inquisizione e dall’Ordine dei Gesuiti. In altre parole, all’Italia mancavano le condizioni ambientali necessarie alla formulazione di una serrata e sistematica costruzione dottrinale in ambito politico. Ciò nonostante, il dibattito si accendeva

90 Rodolfo De Mattei, Il pensiero politico italiano nell’età della controriforma, 2 voll. Milano-Napoli,

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all’interno delle Accademie, delle scuole pubbliche, dei circoli privati91, delle Università (capofila, in questo senso, l’ateneo patavino), e di lì si espandeva a macchia d’olio tra i diversi strati sociali della popolazione. I temi più dibattuti riguardavano la «Ragion di Stato», la questione della sovranità, la migliore forma di governo auspicabile e attuabile, il problema della tirannide, la teoria contrattualistica del potere e via dicendo.

Alla rinascita di un interesse politico su larga scala corrispose il fiorire di quella che De Mattei definisce «letteratura politica»:

[d]all’ultimo scorcio del Cinquecento a quasi tutto il Seicento, la cultura politica dilaga, in Italia. I trattati di governo, i manuali di «Ragion di Stato» abbondano, in una agli studi di storia politica. La politica diviene, cioè, non più appannaggio di gabinetti privati, ma disciplina largamente umana, professata da laici ed ecclesiastici, trattata in versi e in prosa92.

Se i dioscuri di questa tendenza letteraria sono da rintracciare, secondo lo studioso, nel secolo precedente ed individuabili nelle figure di Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini, di altrettanto capitale importanza fu la figura di Giovanni Botero. La sua opera maggiore, Della ragion di Stato, pubblicata a Venezia nel 158993, diede notevole impulso allo sviluppo di una «letteratura politica» in area italiana.

Seppure generalmente meno violente, meno polemiche o schierate su posizioni meno nette rispetto a quelle prodotte in altri Stati europei, le opere politiche redatte dagli scrittori nostrani

documentano […] l’interesse italiano al problema dello Stato, e costituiscono il contributo offerto dal pensiero italiano al progresso della scienza politica. E’ vero che molto spesso si tratta di fasci di massime, di avvertimenti, di consigli prudenziali, utili all’arte di governo; ma è appunto tale connotato “pratico” che caratterizza l’apporto italiano e fa sì che la scienza

91 «Venezia è poi, addirittura, tutto un vasto raffinato circolo di conversazione politica», ivi, p. 6. Sul ruolo

svolto da Venezia in questo processo si avrà modo di tornare approfonditamente a breve.

92 Ivi, p. 24.

93 Della ragion di stato libri dieci di Giouanni Botero benese. All'illustris. e reuerendis. sig. il sig. Volfango

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politica, pur non ignorando le istanze della speculazione, tenga a divenire, il più possibile, arte umana fatta per gli uomini94.

Strettamente connessi al crescente interesse per la politica registrato in età barocca, sono l’altrettanto diffuso interesse per la storia, intesa come magistra vitae, fonte di insegnamenti ed ispirazione95, e la (spesso morbosa) curiosità, dilagante soprattutto tra gli strati sociali medio-alti della popolazione, per gli arcani delle corti, per gli intrighi di potere, per le vicende dei protagonisti della storia e della politica contemporanea.

Tutte queste tendenze, intimamente correlate tra loro, ebbero notevoli ripercussioni in ambito letterario, contribuendo a spiegare la «naturale propensione della letteratura barocca a lasciarsi governare dalle smanie della politica»96. Il romanzo barocco rifletteva, dunque, ideologie (e contraddizioni) di una precisa fase storica.

2. “Geografia politica”.

Ai suddetti fattori di ordine storico-sociale e culturale lato sensu, vanno ad aggiungersi fattori che possono essere definiti di natura “geografico-culturale”.

Non è certamente un caso che due dei tre centri propulsori del romanzo secentesco, Venezia e Genova, fossero delle Repubbliche. È pacifico che un ordinamento di tipo repubblicano lasciasse al dibattito politico margini molto più ampi di quanto non facesse uno Stato monarchico o assolutistico; tanto più dal momento che la letteratura, così come ogni altra forma artistica e culturale, era da sempre considerata – e tale sarebbe stata in futuro – strumento privilegiato di controllo ideologico da parte degli organi di potere.

94 Ivi, pp. 17-18.

95 Anch’esso debitamente registrato da De Mattei: «Tra il Cinque e il Seicento, quello della Storia è in Italia

un culto diffuso», ivi, p. 84.

96 Francesco Sberlati, La ragione barocca. Politica e letteratura nell’Italia del Seicento, Milano,

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Allo stesso modo, non dovette essere casuale che nelle città menzionate (ma anche a Bologna, terzo polo di diffusione del romanzo secentesco) particolarmente attive e prestigiose fossero le Accademie e le istituzioni culturali in generale, tra i maggiori centri propulsori – come già ricordato – del dibattito politico in epoca barocca97.

Nell’area di maggiore produzione e diffusione del romanzo secentesco, posto di rilievo ebbe la Repubblica di Venezia: si è già avuto modo di accennare alla questione nell’introduzione al presente lavoro. Almeno nei primi anni, la geografia del romanzo barocco fu prevalentemente veneta e più precisamente veneziana; la stragrande maggioranza dei romanzi italiani e la quasi totalità delle traduzioni di romanzi stranieri risalenti a questo periodo furono infatti pubblicate nella città lagunare. Al di là del fatto che potesse vantare un ordinamento politico di tipo repubblicano, Venezia era l’unico stato della penisola rimasto di fatto indipendente dal controllo (diretto ed indiretto) del Regno di Spagna dopo la Pace di Cateau-Cambrésis (1559) e la fine delle “Guerre d’Italia”. A tutto ciò si aggiunga, infine, il tradizionale cesaropapismo della Serenissima98. All’ombra del palazzo dogale, letterati e romanzieri godevano dunque di un discreto (ancorché certamente relativo) margine di libertà; lontano dalla rigida censura politica ed ecclesiastica, potevano partecipare al dibattito politico e contribuire alla formazione di un peculiare pensiero politico “italiano”.

Particolare rilievo in questo processo assunse la già citata Accademia degli Incogniti, fondata da Giovan Francesco Loredan nel 1630 e presto divenuta centro della

97 «[T]anto più che, indipendentemente dall’origine geografica dei suoi autori, noi troviamo che nelle città

su menzionate, in particolare Genova e Venezia, i romanzieri appoggiano la loro attività a quella di prestigiose istituzioni culturali, fra le quali spicca la veneziana Accademia degli Incogniti, che a loro volta testimoniano la presenza di un tessuto di pubblico e di potenziali lettori, tutto legato al tentativo di “modernizzazione” culturale» in corso in epoca barocca, Asor Rosa, La narrativa italiana del Seicento, cit., p. 154.

98 Si ricordi che i primi anni del secolo diciassettesimo furono caratterizzati dal duro braccio di ferro tra le

massime autorità della Serenissima e la Chiesa romana; il momento di maggiore tensione si registrò tra il 1606 ed il 1607, con la cosiddetta “guerra dell’Interdetto”.

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vita intellettuale e letteraria veneziana99. «L’accademia del Seicento era un luogo di incontro e di aggregazione sociale per gli intellettuali […] e quella degli Incogniti era, in particolare, un centro di produzione e diffusione libraria, di lettura e di dibattito»100. Ma fin da subito, nel caso degli Incogniti, alla funzione tradizionale dell’accademia si sovrappose una funzione politica, i cui indizi sono rintracciabili a diversi livelli: nella struttura (gerarchica) interna datasi dagli accademici, nell’ideologia riflessa e veicolata dalle loro opere, negli orientamenti politico-ideologici di molti dei suoi membri o dei personaggi ad essa legati. L’Accademia fondata da Loredan costituiva, inoltre, un vero e proprio «cenacolo libertino»101, punto di ritrovo di

«un [nutrito] gruppo di narratori (non soltanto romanzieri, ma storici e polemisti) che scrivono a Venezia negli anni Trenta e Quaranta [,] tutti legati, oltre che dal contatto quotidiano e dalla frequentazione sociale, dalla comune caratteristica intellettuale di adesione al naturalismo padovano che essi interpretano, seppure con sfumature diverse, in direzione di scetticismo libertino e di opposizione al conformismo dilagante»102.

Non è questa la sede per un’approfondita trattazione del peculiare fenomeno del libertinismo italiano del XVII secolo103; alcune sue prerogative, tuttavia, meritano di essere almeno menzionate, in quanto particolarmente utili ai fini del presente discorso. Esso non si presentava come una corrente di pensiero dai contorni definiti e dalla prospettiva unitaria, né tantomeno come una “scuola”, ma piuttosto come una famiglia di spiriti accumunati da alcuni principi: cieca fiducia nell’intelletto; sostanziale adogmatismo; visione naturalistica dell’uomo; essenziale scetticismo. In sostanza, il libertinismo italiano costituiva, in epoca barocca, un movimento di reazione al

99 Per un approfondimento in tal senso si rimanda al già citato Miato, L’accademia degli Incogniti cit. 100 Ivi, p. 58.

101 Mancini, La narrativa libertina cit., p. 208. 102 Ivi, p. 212.

103 Per cui si rimanda alla bibliografia; ci si limita qui ad indicare il recente lavoro di Alberto Beniscelli,

ottimo punto di partenza per un approfondimento del fenomeno in questione e per una parallela indagine bibliografica: Alberto Beniscelli (a cura di), Libertini italiani. Letteratura e idee tra XVII e XVIII secolo, Milano, BUR Rizzoli, 2013.

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conformismo dilagante. Va da sé che la maggior parte dei libertini italiani del tempo, in particolar modo quelli gravitanti intorno all’Accademia degli Incogniti, si interessasse di politica. Dal momento che molti dei loro nomi si ritrovano nell’elenco dei più prestigiosi letterati e romanzieri del tempo, non stupisce affatto che i romanzi di epoca barocca siano permeati di politica.

3. Carriera politica

La massiccia presenza della politica nei romanzi secenteschi si deve altresì a fattori di ordine biografico-professionale. Ripercorrere minuziosamente la biografia di tutti i romanzieri del secolo barocco sarebbe impensabile e decisamente poco utile. È tuttavia sufficiente accennare ad alcuni aspetti della vita degli autori le cui opere ebbero maggiore successo e risonanza, per dimostrare adeguatamente la tesi che si sta qui sostenendo104.

Giovan Pietro Giussani (Milano, tra il 1548 e il 1552 – Monza, 1623) fu medico

e sacerdote, uomo dell’entourage di Carlo Borromeo, di cui fu intimo e biografo, e conservatore della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Giovanni Francesco Biondi (Lesina, 1572 – Aubonne 1644), considerato dalla maggior parte degli studiosi il capostipite dei romanzieri barocchi, studiò e si laureò presso l’ateneo patavino; aderì alle idee riformate e all’Accademia degli Incogniti; ricoprì diversi incarichi diplomatici per i governi veneziano, inglese e sabaudo105. Maiolino Bisaccioni (Ferrara, 1582 – Venezia,

104 Sono qui menzionati, a titolo esemplificativo, solo alcuni dei maggiori romanzieri secenteschi. Punto di

riferimento obbligato per la breve disamina che segue è stato Capucci, Romanzieri del Seicento, cit. Rispetto all’elenco di Capucci, si è ritenuto opportuno aggiungere almeno i nomi di Giovan Pietro Giussani e Giovan Francesco Loredan, ed operare alcune espunzioni. I nomi sono riportati in ordine cronologico in base alla data di nascita (certa o presunta). Le poche – e selezionate ad hoc – informazioni biografiche riportate sono tratte dal medesimo volume di Capucci, con alcune integrazioni tratte dal Dizionario biografico degli italiani dell’Istituto Treccani (d’ora in poi citato con la sigla DBI).

105 Accanto alle tradizionali missioni diplomatiche, egli fu anche informatore per conto del governo di vari

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1663), Incognito, si dedicò alla vita militare prima, ricoprì incarichi civili e politici per il Ducato di Modena poi. Pace Pasini (Vicenza, 1583 – Padova, 1644), studiò a Padova, fu Incognito, seguace di Cremonini e intimo di Keplero; portò a termine diverse missioni giuridiche e diplomatiche per conto della Curia Pontificia e di Ferdinando II de’ Medici.

Bernardo Morandi (Sestri Ponente, 1589 – Picenza, 1656) fu figura di spicco della

piacentina corte farnesiana e ricoprì diversi incarichi nella città di adozione. Francesco

Pona (Verona, 1595 – 1655), laureato a Padova, fu medico, Incognito e storiografo

ufficiale dell’Imperatore Ferdinando III. Luca Assarino (Potosì, 1602 – Torino, 1672) fondò a Genova il giornale Il Sincero, fu nominato da Carlo Emanuele di Savoia storiografo ufficiale alla corte sabauda nel 1649; fu al centro di una fitta ed ambigua rete di rapporti con vari governi: all’attività diplomatica affiancò una parallela attività spionistica, fornendo notizie più o meno riservate ai governi che le richiedevano. Anton

Giulio Brignole Sale (Genova, 1605 – 1662), Incognito, ricoprì prestigiose cariche

politiche e svolse incarichi diplomatici per conto della Repubblica di Genova. Giovan

Francesco Loredan (Venezia, 1607 – Peschiera, 1661), fondatore dell’Accademia degli

Incogniti, fu politico di professione nella città natale (sebbene la sua carriera politica sia stata tutt’altro che brillante). Di Girolamo Brusoni si ipotizza con discreto fondamento la nascita a Badia Vangadizza nel 1614 mentre non si possiede più che un termine post

quem, il 1686, per la morte. Addottoratosi a Padova, membro degli Incogniti, fu

gazzettiere politico e storiografo e ricoprì diversi incarichi politici e diplomatici: fu, tra l’altro, al servizio dell’ambasciatore spagnolo a Venezia e fu nominato consigliere e storiografo di palazzo della monarchia sabauda. Ferrante Pallavicino (Piacenza, 1615 – Avignone, 1644), membro degli Incogniti, fu strenuo anticlericale e tenace oppositore di Papa Urbano VIII Barberini e fu decapitato ad Avignone per i suoi libelli antipapali.

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Anton Giulio Brignole Sale, quando quest’ultimo si recò in Spagna in qualità di ambasciatore per conto della Repubblica genovese, nel 1643; fu consigliere privato e politico di Aurelia Spinola, Duchessa di Valentinois. Gregorio Leti (Milano, 1630 – Amsterdam, 1701) svolse diversi incarichi diplomatici per conto di Venezia, della Francia e del Granducato di Toscana. Di Giovan Paolo Marana, nato a Genova nel 1642, non si conoscono con esattezza data e luogo di morte; egli fu storiografo ufficiale della Repubblica di Genova prima, costretto ad emigrare in Francia poi, dove si legò attivamente ad un gruppo di fuoriusciti genovesi ostili alla politica filospagnola della Repubblica.

Il primo dato a saltare inevitabilmente all’occhio – peraltro già messo in rilievo poco sopra – è l’elevatissima percentuale di membri dell’Accademia degli Incogniti (compreso lo stesso fondatore, Giovan Francesco Loredan), soprattutto tra coloro che appartennero alla cosiddetta prima generazione dei romanzieri secenteschi. Emerge tuttavia un altro elemento particolarmente significativo ai fini del presente discorso: la stragrande maggioranza dei più noti e prolifici romanzieri barocchi fu impegnata, più o meno direttamente, in attività politiche; tra tali personaggi si contano segretari, ambasciatori, diplomatici, veri e propri politici di professione e perfino spie.

La connessione tra vita intellettuale e vita politica era, invero, fatto tutt’altro che inedito; a partire dal XV secolo, tuttavia, il rapporto tra letteratura e realtà socio-politica era profondamente mutato: sebbene gli intellettuali fossero pienamente integrati nell’ambiente cortigiano – dunque, di fatto, socio-politico – essi avevano iniziato a connotarsi sempre più come intellettuali di professione e sempre meno come autentici cortigiani. In virtù di ciò, pare ancor più significativo che la quasi totalità (elemento di per sé già non indifferente, da un punto di vista meramente statistico) dei romanzieri barocchi fu attivamente impegnata in ambito politico (e stavolta il termine non è da

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intendersi in senso etimologico) e, di più, che molti di questi furono politici di professione a tutti gli effetti. Posto ciò, non può più in alcun modo stupire il fatto che le opere letterarie di questi personaggi fossero colme di riferimenti alla politica contemporanea e alle teorie politiche allora in auge.

4. “Poetica politica” e “politica stilistica”.

Vi è, infine, ancora un ordine di fattori da considerare nel presente tentativo di giustificare una così massiccia presenza di materia politica all’interno delle opere romanzesche del XVII secolo: si tratta di elementi riconducibili a precise scelte stilistiche e di poetica.

Nonostante la scrittura romanzesca, in epoca barocca, non fosse affiancata da una sistematica attività di teorizzazione, si è già notato come i principali romanzieri del tempo affidassero alle pagine prefatorie delle loro opere vere e proprie dichiarazioni di poetica106. Dalla lettura di tali pagine, emerge chiaramente che il criterio ispiratore della