234 Ivi, pp. 101-102. «Anche se il tempo non mi permette di scrivervi come vorrei del vostro caro Giovanni, ci
tengo a farvi sapere che è caduto da eroe per i più alti ideali della Patria. Animato da spirito patriottico ha voluto far parte della nostra Banda ed ha offerto generosamente la sua vita per combattere i tedeschi ed i fascisti. La nostra banda è fiera di lui, tanto che ha voluto prendere il suo nome per onorare degnamente la memoria. Egli sarà ricordato come uno tra i più puri eroi del movimento Nazionale e la sua memoria onorata come merita», ivi, Banda Giovanni Di Vincenzo, lettera di Rasero Aldo alla famiglia del caduto del 18 giugno 1944.
235 Aldo Rasero, Morte a Filetto, cit., p. 102
236 Inclusi nella lista caduti e feriti a firma Ricottilli Giovanni. Cfr. ivi, Banda Giovanni Di Vincenzo. Alleva
Anteo, nato a L’Aquila il 12 febbraio 1926, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni. Riconosciuto partigiano combattente caduto per la lotta di Liberazione; Bartolini Pio, nato a L’Aquila il 14 dicembre 1922, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni; Colaiuta o Colaiuda Francesco, nato a L’Aquila il 16 aprile 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni (AQ); Della Torre Fernando, nato a L’Aquila il 29 agosto 1923, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni; Di Mario Berardino o Bernardo, nato a L’Aquila il 30 gennaio 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni; D’Inzillo Bruno, nato a L’Aquila il 27 luglio 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni. Suo padre era il tenente colonnello D’Inzillo Gaetano che «in questa fase avrebbe rivestito un ruolo importante […] anche in riferimento ad un successivo incontro a Collebrincioni con altri militari, che avrebbero dovuto portare altre armi. […]. La figura del ten. col. D’Inzillo appare contraddittoria e sottoposta a qualche critica, in particolare sul suo ruolo nella organizzazione del gruppo dei giovani aquilani, sul rifornimento delle armi, sul mancato incontro a Collebrincioni con lo stesso D’Inzillo e altri militari. Nel suo diario, l’arcivescovo Confalonieri riferisce che d’Inzillo e la sig.ra mancini [sic!] ebbero notizia dell’esecuzione dal comandante tedesco» (in: http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2752); Mancini Carmine, nato a L’Aquila il 10 luglio 1924, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni; Marchetti Sante, nato a L’Aquila il 10 o 16 giugno 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni; Scimia Giorgio, nato a L’Aquila il 9 settembre 1925, ha svolto attività partigiana nella banda dal 20/09/43 al 23/09/43, giorno in cui cadde fucilato dai tedeschi in Collebricioni. Cfr. ACS, Ricompart, Abruzzo, schedario partigiani e schedario caduti e feriti; secondo quanto riferito dal Franchi Renato di questi nove solo due, il Di Mario ed il Mancini, erano politicizzati, facendo parte del G.A.P. Aquila da lui costituito. Cfr. ivi, G.A.P. Aquila, relazione dei G.A.P. Aquila a firma di Franchi Renato.
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«un gruppo di circa 40 giovani (anche per sfuggire al bando di Kesserling [sic!] del 18 settembre sul lavoro coatto), lasciò la città de L’Aquila per recarsi verso la zona di Collebrincioni […] in località S. Sisto essi presero delle armi nascoste precedentemente. Per alcuni giovani l’intenzione sarebbe stata di dirigersi verso la zona di Bosco Martese, nel Gran Sasso teramano, dove si stavano raccogliendo militari sbandati, ex prigionieri di guerra e civili […]. Il gruppo trascorse la notte a Collebrincioni, dove all’alba fu avvertito dell’arrivo di militari tedeschi, appartenenti al 71° Reggimento di Fanteria, comandati dal tenente Hassen, impegnati in un rastrellamento di prigionieri alleati fuggiti dalle “Casermette”, presenti nella zona237 […]. Per sfuggire al rastrellamento, da Collebrincioni il gruppo si
diresse verso monte Castellano e monte Verdone. In quella zona i tedeschi operarono238 un
accerchiamento verso gli italiani e i POWs: ne seguì una sparatoria […]. Tra le persone catturate vennero separati dieci giovani trovati in possesso di armi, e pertanto considerati come “franchi tiratori”239 […]. I dieci catturati furono dapprima radunati in una piazza di Collebrincioni, e poi
condotti verso le “Casermette”, dove, in seguito ad una consultazione fra gli ufficiali tedeschi, vennero condannati a morte e obbligati a scavarsi la fossa […]. I nove rimasti240 intorno alle 14.30 vennero
quindi uccisi con colpi alla nuca da un plotone misto di tedeschi e fascisti italiani. I cadaveri furono occultati; la notizia dell’avvenuta esecuzione venne ufficialmente taciuta alla popolazione, per evitare disordini (anche se voci in merito comunque circolavano)»241.
237 «Gli stessi tedeschi avevano effettuato una perquisizione nel convento di San Giuliano, arrestando alcuni
POWs fuggiaschi. Per questo motivo si era lì recato il vescovo aquilano Federico Confalonieri, onde garantire l’incolumità dei frati», in http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2752.
238 «Alcune fonti orali fanno riferimento ad una spiata di un fascista aquilano, conoscente dei fuggiaschi, che
avrebbe indirizzato i tedeschi», ibidem.
239 «Gli altri furono portati a L’Aquila: i POWs furono nuovamente internati, mentre il gruppo aquilano venne
sottoposto a pesanti ammonizioni ed intimidazioni», ibidem.
240 Il decimo, Stefano Abbandonati, «ebbe salva la vita, sia perché era invalido ad un braccio, sia per
l’intervento determinante del console Silvio Masciocchi, presso il quale lavorava la madre del giovane», ibidem.
241 Ibidem. Del fatto comunque ne ebbero conoscenza dai tedeschi il prefetto Rodolfo Biancorosso e
l’arcivescovo. I familiari, che erano stati avvertiti della cattura, invano si erano recati presso le autorità tedesche e dall’arcivescovo Confalonieri (che però era assente dalla curia, poiché si trovava a S. Giuliano presso il convento oggetto della perquisizione tedesca) per implorare la salvezza dei loro congiunti. L’esecuzione fu “coperta” con la diffusione della falsa notizia della deportazione dei giovani. All’arcivescovo Confalonieri, in cambio del silenzio “pro bono pacis”, venne consentito all’alba del 25 di mandare un sacerdote per benedire il luogo della sepoltura. Soltanto dopo la liberazione della città furono riesumate le spoglie, che ebbero solenne sepoltura il 18 giugno 1944», ibidem. «Dalla maggior parte delle ricostruzioni storiche si sostiene che quei giovani avrebbero agito senza un chiaro disegno politico, per mera «spinta ribellistica», trascinati solo da «ingenuo entusiasmo giovanile» […]. Insomma non vi sarebbe stata alcuna carica resistenziale né tanto meno può parlarsi di banda formatasi con finalità patriottiche: «una legenda creatasi successivamente per dare dei precedenti autorevoli a formazioni partigiane più “blasonate”, ma nate assai più tardi». Naturalmente in tale ottica – diffusa in vasti ambienti della città come pure tra i parenti delle vittime – la colpa dell’accaduto finisce col ricadere non tanto sulla barbarie nazifascista, quanto piuttosto su talune persone adulte, o comunque propri compaesani, che si sarebbero approfittati dei facili entusiasmi e delle ingenuità dei «ragazzi»: in primo luogo il colonnello D’Inzillo, ma anche altri personaggi (se ne sono avuti tristissimi strascichi giudiziari)», in Costantino Felice, Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e Resistenza in Abruzzo, cit., pp. 106-107. «[…] il 20 settembre 1943 nove giovani ardimentosi […] guidati dalla loro fede e dal loro ardente entusiasmo partirono dall’Aquila per recarsi sulle pendici del Gran Sasso ed unirsi ad una banda di partigiani, già operanti contro i tedeschi. Ma il loro ardore e il loro sogno patriottico dove essere subito stroncato dalle infami spie fasciste, perché essi nella giornata del 23 settembre 1943, alle ore 8 del mattino, venivano acciuffati da un grosso reparto tedesco