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IL POPOLO GUARANÌ

3.1) Introduzione.

Il popolo Guaranì è stato l'ultimo popolo indigeno ad essere sottomesso alla modernità europea, insieme ai Mapuches del Cile, fu uno di quei popoli che più ostacolarono la colonizzazione del continente. Un popolo in continuo movimento, diviso in comunità indipendenti, che trovavano unità e un capo comune solo nel momento della guerra. Un popolo che ha resistito alla invasione degli Inca e a quella degli Spagnoli, e che infine perse la propria libertà combattendo contro l'esercito Boliviano nel 1892. Da quel momento fu dato per vinto, estinto, assimilato e schiavizzato, ma dopo 100 anni la voglia di giustizia e di riaffermazione della propria identità esplose in una marcia che affermava la loro esistenza e dimostrava che il popolo Guaranì ancora non era stato vinto e tanto meno assimilato.

In questo capitolo ripercorreremo la storia di questo popolo, le condizioni che hanno portato molti di loro alla schiavitù, i motivi per cui quando fu chiesto loro di scegliere tra vivere nella propria terra e vivere “liberi”, molti scelsero la loro terra e la schiavitù, infine cercheremo di capire come questo popolo è riuscito a risorgere da cento anni di schiavitù ed emarginazione, riorganizzando le proprie forze, riscoprendo la propria lingua e cultura, e riuscendo ad assumere, attraverso le proprie istituzioni, un ruolo guida nelle lotte per le rivendicazioni indigene che negli anni '90 anni hanno trasformato la Bolivia portando, nel 2005, alla elezione del primo presidente della repubblica indigeno. Ecco alcuni dati generali che ci permetteranno un primo contatto con il popolo Guaranì.

3.1.2) Distribuzione territoriale

Secondo il censo nazionale del 2001 la popolazione Guaranì che si autodefinisce tale è di circa 133.000 persone.

E’ una popolazione molto giovane infatti, il 50% è minore di 15 anni e solo il 3% supera i 65 anni. Le concentrazioni maggiori sono:

- 71% nel dipartimento di Santa Cruz - 10,8% nel dipartimento di Chuquisaca - 8,4% nel dipartimento di Tarija.

All’interno di questi tre dipartimenti, più della metà della popolazione Guaranì si trova nelle cinque province che costituiscono il Chaco boliviano ampio territorio al confine con Argentina e Paraguay: Hernando Siles y Luis Calvo (dipartimento di Chuquisaca), Gran Chaco y O ´Connor (dipartimento de Tarija) e la provincia Cordillera (dipartimento de Santa Cruz).

Nel Chaco Boliviano esistono 320 comunità Guaranì che sono organizzate tradizionalmente in Capitanias o Zonas che rappresentano l’organizzazione politica la quale a sua volta raccoglie gli interessi dei comunitarios. Nel Chaco esistono 25 Capitanias. (Quero ser libre sin dueno 2007:18). Le Capitanias sono poi raggruppate anche a livello regionale. Secondo Albò [2008] la distribuzione del territorio Guaranì in accordo alla divisione amministrativa dello Stato è però complessa e poco funzionale, soprattutto per quanto riguarda una prospettiva etnica, dal momento che questa distribuzione incrocia le frontiere delle cinque province e dei tre dipartimenti - senza contare coloro che sono emigrati e che quindi risiedono fuori dal territorio storico di questo popolo.

La più ampia concentrazione Guaranì è nei 15 cantoni della parte meridionale della provincia Cordillera al sud del rio Grande con una popolazione di 33679 abitanti di cui il 58% parla Guaranì, di questo gruppo fanno parte sia gli ava che quasi l’intero gruppo degli isosenos.

Questo nucleo principale si espande poi fino alla provincia di Luis Calvo di Chuqisaca dove vivono altri 3582 Guaranì equivalenti al 26% della popolazione totale, Si concentrano prevalentemente nella parte sud della provincia come un prolungamento della regione di Cuevo.

Più ad ovest dove la popolazione che parla Guaranì è di circa 3360 persone la dispersione è molto più grande e si concentra principalmente nelle comunità Simba situate nella parte meridionale del

fiume Pilcomayo e il suo affluente Salado (al nord della provincia di O’connor) e al nord di Villamontes (provincia del Gran Chaco) soprattutto nella sua parte occidentale più montagnosa.

3.1.3) Sottogruppi etnici

Altro nome con cui sono conosciuti i Guaranì è anche il termine Chiriguano, usato soprattutto nell’epoca coloniale. L’origine del nome dovrebbe significare “Guaranì che ha una moglie Chanè” (Melià 1988: 8) popolazione, quest’ultima presente nel Chaco all’arrivo dei Guaranì, o anche più in generale, potrebbe derivare da Chiri “migranti arrivati recentemente” (Izquierdo e Combes, 2003:26)

In entrambi i casi la parola Chiriguano avrebbe quindi a che vedere con le radici storiche di questo nuovo gruppo formatosi appunto dalla fusione dei Guaranì e degli Chanè. Ma, un'attribuzione sbagliata dell’origine del nome - si pensava derivasse da una parola quechua con un significato negativo – nel corso del tempo ha fatto sì che anche questo termine assumesse una connotazione negativa.

Oggi, nonostante una rivalutazione dello stesso termine Chiriguano, questo difficilmente è usato : all'interno del popolo preferiscono chiamarsi Guaranì.

Le persone si riconoscono come ava o mbia, che significa uomo o persona, tuttavia quando si riferiscono all’integrità morale si riconoscono come Kuimbae che significa Guaranì per eccellenza (correttamente si dice ikuimbae e si traduce come: persona incorruttibile, integra, coraggiosa in guerra oppure davanti alle difficoltà della vita). Le donne si chiamano kuña: donna, ma può anche essere chiamata Ikuimbae quando ha le caratteristiche sopra menzionate. (Chumiray 2005:9)

All’interno dei Guaranì si possono distinguere i seguenti gruppi etnici:

1) Ava presenti soprattutto nella provincia Cordillera, sono il gruppo più numeroso. Una parte di questi si rifugiò nelle missioni francescane durante la colonia e nel periodo repubblicano, mentre un'altra parte è costituita dai discendenti di coloro che invece resistettero fino a Kuruyuki.

2) Isoseño, si trovano nella zona dell’Isoso, che si sviluppa lungo le rive del fiume Parapetí dove questo entra nella pianura chaqueña. Pur presentando una unità linguistica con i Guaranì della Cordillera, mostrano però alcune differenze che danno come risultato comportamenti sociali e economici loro propri [Melià 1988:25]. Alcuni studi sostengono che queste differenze siano da attribuire alle radici Chanè che in questo gruppo emergono con

forza, ma gli stessi isoseños attualmente si attribuiscono origini diverse [Albò 2002:15]. Gli Isoseños si mantennero in relativa autonomia fino alla Guerra del Chaco (1932-1935) che avvenne proprio nel loro territorio ed ebbe conseguenze pesanti su questo gruppo i cui componenti in parte si spostarono nel vicino Paraguay.

3) Simba, questo nome di origine quechua ( simpa significa treccia) fa riferimento alla treccia di capelli che, arrotolata sopra la fronte viene ancora oggi portata dagli uomini. Questo è soltanto uno degli innumerevoli elementi tradizionali mantenuti fino ad oggi dai Simba le cui comunità infatti sono tra le più tradizionali e indipendenti. Si trovano maggiormente lungo il corso del fiume Pilcomayo e i suoi affluenti nelle provincie dei Luis Calvo (Chuquisaca) e al nord di O’Connor (Tarija)

Oltre a questi tre sottogruppi etnici, Albò (2008) ne distingue anche un quarto formato dai braccianti delle haciendas che, per la loro forma di vita più dipendente dai patrones avrebbero sviluppato aspetti culturali differenti. La loro principale concentrazione è quella nella zona sud-est della provincia di Hernando Siles, anche se di fatto si possono incontrare dispersi per tutta la regione e al di fuori di questa più a sud ancora fino verso Yacuiba (Tarija) al confine con l’Argentina.

3.1.4) Lingua

La lingua guaranì- chiriguana è una delle oltre sessanta lingue e dialetti esistenti dentro la grande famiglia linguistica Guaranì, oggetto di moltissimi studi sia in epoca coloniale sia in tempi più recenti.

In epoca coloniale furono soprattutto i gesuiti e i francescani ad approfondire l’uso e la conoscenza stessa della lingua come strumento di missione: capire e farsi capire era il principio che prevaleva tra i missionari dell’epoca. (Melià,1988). Ma, se dei lavori dei gesuiti si è perso quasi tutto, molto famosi rimangono invece i lavori dei francescani, e tra questi la vasta opera di Pedro Leon de Santiago che per primo, nella seconda metà del 1700, pubblicò un dizionario spagnolo- chiriguano e chiriguano-spagnolo.

In generale il Guaranì è descritta sempre come una lingua energica e visuale, in cui ogni parola è una definizione esatta che riesce a spiegare perfettamente la natura di ciò che si vuole far capire e da di questo un’idea molto chiara e distinta:

“io sono triste” dice “il mio fegato sta distillando gocce come se stesse piangendo”, per dirti che ha paura dice “il mio stomaco trema”, per dirti “sono intelligente” dice “i miei occhi brillano” e così via.. quindi è una lingua che ha una forza e una robustezza e plasticità davvero straordinaria.”

(P.Ivan Nasini, intervista in tataendi documentario di Walter Daviddi)

Rispetto agli altri dialetti della stessa famiglia, a livello di lessico e dei suoi contenuti culturali le eventuali variazioni semantiche del guaranì-chirigauno sono abbastanza scarse. Ma, “anche con la presenza di un’elevata percentuale di parole uguali non è facile la comprensione immediata tra il Guaranì-Chiriguano e ad esempio, il più conosciuto Guaranì del Paraguay [Melià 1988:30].

3.2) Ñande Reko – il nostro modo di essere.

In questo capitolo si descrivono gli aspetti più importanti della cultura Guaranì, le particolarità che rendono questo popolo differente da tutti gli altri popoli indigeni della Bolivia, gli aspetti che si scontrano con l'idea di modernità e progresso importata dall'occidente, e le caratteristiche che gli hanno permesso di resistere e di difendere il proprio modo di essere fino ad oggi.

3.2.1) La tierra sin mal

La ricerca costante e instancabile della Tierra sin mal (terra senza male) da parte dei Guaranì è uno degli aspetti chiave per la piena comprensione di questo popolo. Incominciamo da questa quindi, perché in essa vi ritroviamo condensati tutti gli elementi fondanti della cultura o, in lingua Guaranì, del ñande reko (nostro modo di essere).

La ricerca della tierra sin mal, inoltre, dimostra come un’esperienza indigena possa diventare paradigmatica per pensare quale potrebbe essere il progetto di una società più solidale e umana. La terra senza male infatti, è un vero e proprio paradiso terrestre, reale e raggiungibile anche da vivi, in cui il mais cresce senza bisogno di essere coltivato, in cui non esistono malattie e, più in generale, una terra in cui il male è assente. .

Gli studi archeologici da questo punto di vista mettono in luce alcuni aspetti importanti:

1. I Guaranì erano un popolo che si muoveva molto sia all’interno della stessa regione, che anche coprendo distanze più ampie, non tanto però come nomadi quanto piuttosto come colonizzatori (Melià 2008:100).

2. occupavano terre con caratteristiche ecologiche costanti: terre adatte alla coltivazione del mais, manioca, patata ecc.. con clima abbastanza umidi, frequentemente situate vicino alle rive dei fiumi, boscose e pianeggianti.1

“Anche se la terra impone le sue condizioni, è il Guaranì che fa la sua terra. La terra Guaranì vive con i Guaranì che vivono in lei. La ecologia Guaranì non è solo natura né si definisce per il suo valore esclusivamente produttivo. Il Guaranì comprende il suo territorio come tekohà. Se il teko è il suo modo di essere, il sistema, la cultura, la legge, e i costumi, il tekoha è il luogo e il mezzo attraverso il quale si rende possibile la piena essenza Guaranì.

Il tekohà significa e produce allo stesso tempo relazioni economiche, sociali e organizzazione

1 Come vedremo successivamente una delle motivazioni più accreditate nello spiegare le frequenti migrazioni di questo popolo, è appunto da ritrovarsi nella ricerca della terra senza male.

politico-religiosa essenziale per la vita Guaranì. […] Senza tekohà non ci sarebbe tekò. Il tekohà con tutta la sua materialità terrena è soprattutto una interrelazione di spazi culturali, economici sociali, religiosi e politici.”

(Melià, Nande Reko, in Buen vivir Guaranì 2008:101)

Il tekohà presentava generalmente una struttura tripartita: una parte formata prevalentemente da boschi e corsi d’acqua destinati alla caccia, alla pesca, alla raccolta dei frutti selvatici e del miele; un’altra parte formata da terra fertile destinata alla coltivazione ed infine un’ultima parte, un luogo aperto attorno al quale crescevano alberi da frutto e anche piante di cotone. Sono questi tre spazi che fanno per un Guaranì la buona terra, terra che loro stessi concepiscono come un vero e proprio essere vivente, le cui creature dagli alberi agli animali ai ruscelli hanno voce e anima.

Profondi conoscitori del proprio territorio se i Guaranì vivono oggi in zone poco fertili la ragione è da ritrovarsi in una storia di espropriazione coloniale prima e repubblicana poi, che li ha spinti sempre più in zone remote e improduttive.

La buona terra Guaranì è tanto reale perché il suo fondamento non è la natura in sé ma piuttosto l’atto religioso da cui nasce e che le permette di conservarsi. Questo fondamento da cui dipende la bontà, l’equilibrio e la conservazione della terra, anche se con simboli diversi, si ritrova nella cosmologia di tutti i gruppi Guaranì.

“La conservazione del mondo consisterà conseguentemente nel mantenere viva e attuale questa liturgia. Cantare e pregare tenendo il bastone rituale appoggiato nel suolo significa sostenere il mondo e fondarlo nuovamente e continuamente. Smettere di pregare non occuparsi del rituale è come togliere alla terra il proprio supporto, provocando la sua instabilità e distruzione. La terra Guaranì senza dubbio trova un suo ordine e una sua cosmologia non in funzione di un tempio né di un luogo sacro ma piuttosto nella relazione con il canto e con la festa contesto che premette di rendere sacra la parola e il gesto rituale: la festa è anche e soprattutto il sacramento dell’amore della partecipazione della reciprocità. Il fondamento della terra Guaranì finisce per essere in questo modo la festa dove si condivide l’allegra bevanda della chicha. Dove c’è una festa Guaranì., lì sta alla fine dei conti il centro della terra : la terra buona e perfetta alla quale si aspira.”

(Melià, Nande Reko, in Buen vivir Guaranì 2008:103)

L’aspetto della perfezione, della pienezza che fanno della terra una buona terra sono gli stessi che si ritrovano anche nell’ideale della persona umana Guaranì:

“Le grandi virtù Guaranì sono quelle del “essere buono”: tekô porâ; della “giustizia”: tekô jojá; delle “buone parole”: ñe’ê porâ; delle “parole giuste”: ñe’ê jojá; dell’ “amore reciproco”: joayhú; della diligenza e della disponibilità: kyre’y, della pace: py’á guapy; della serenità: tekó ñemboro’e,

un interiore limpido e senza doppiezza: py’ápotî.”

(Melià,Nande Reko, in Buen vivir Guaranì 2008: 104)

Questi aspetti non si riferiscono a comportamenti individuali e intimi ma trovano la loro vera natura e concretezza nella relazione con gli altri. Queste virtù infatti, emergono principalmente nelle riunioni politiche e nei banchetti religiosi dove le pratiche di reciprocità sono il centro.

Un sorta quindi di stato di perfezione, che permette la completa espressione dell’essere umano, realizzabile solo attraverso la presenza di un’armonia con tutto quello che lo circonda : allontanarsi dalla terra cattiva, arrivare ad un luogo di abbondanza, poter realizzare feste e banchetti.

Esiste allora una relazione diretta tra la terra senza male e la perfezione della persona e, il cammino per raggiungere una, porta inevitabilmente anche all’altra: la terra senza male come una terra nuova, terra di festa e di reciprocità produce persone perfette, è una terra raggiungibile realizzabile come la perfezione di una persona.

Accanto a questo vi è pure l’esperienza del male sulla terra: la festa impossibile e la perfezione irraggiungibile. La mitologia Guaranì è da questo punto di vista piena di riferimenti a grandi disastri (Melià 2008:106) tanto che spesso si è parlato del pessimismo Guaranì come di una componente fondamentale del suo stare al mondo (ibidem).

Come la terra senza male è legata alla natura della persona così anche i cataclismi di cui si parla nella mitologia sono comunque legati alla degenerazione di costumi quindi non soltanto qualcosa di prettamente ecologico ma qualcosa che coinvolge l’intero teko e modo di essere, che porta alla disgregazione della comunità. Se il male sulla terra, percepito come una minaccia costante è qualcosa che ha accompagnato da sempre i Guaranì non c’è dubbio che questo sia entrato con una forza e una forma inedita a partire dal periodo coloniale in poi.

“La storia coloniale per il Guaranì è una progressione di mali che sembrano non avere né fine né limiti. La cosa peggiore di tutti i mali coloniali sarà semplicemente negare al Guaranì la terra. Dove andare? Sia a oriente come ad occidente la stessa devastazione. Quella terra che ancora non è stata né trafficata, né sfruttata, né violata, né edificata (che era una delle proiezioni della terra senza male) semplicemente non esiste più. Scompaiono i boschi, i monti, tutto si trasforma in campi che sono reclamati dai bianchi per le proprie vacche. Tutta la terra è diventata male e il male la copre tutta.” (Melià, Nande Reko, in Buen vivir Guaranì 2008:107)

Il rapporto che lega il Guaranì alla sua terra è qualcosa di sacro, la cui rinuncia è sentita come una perdita totale della propria cultura. In un’intervista che abbiamo fatto a La Paz con Elio Ortiz, primo Guaranì antropologo, emerge chiaramente questo aspetto.

“Il Guaranì ha qualcosa dentro di sé che lo fa restare e anche morire, se vuole, per la sua terra. Dal momento che tu ti impossessi della sua terra lo uccidi.

Un esempio è quello che succede per le comunità cautivas ( schiave) : pur di non abbandonare la propria terra, molte comunità hanno scelto di sopportare le dure condizioni di vita e di lavoro imposte dai proprietari delle haciendas.

Più l’altro diventava cattivo più loro diventavano umili per non farsi mandare via da quella terra l’importante era che il padrone non ti toccasse il proprio nande reko.

Puoi soffrire, puoi stare tanto male, ma almeno hai la terra, la tua famiglia, i tuoi spiriti. E, per lo meno tutto ciò ti permette di vivere la tua cultura. Se tutto questo non fosse stato possibile loro se ne sarebbero sicuramente andati via. Dicono: “Noi non possiamo lasciare la terra perché gli ossi dei nostri nonni e dei nonni dei nostri nonni sono in questa terra, quindi noi apparteniamo a questa terra”.

Il Guaranì non dice questa terra mi appartiene ma dice io appartengo a questa terra.

Gli andini hanno i loro monumenti e i loro scritti che fissano la loro cultura, mentre nel mondo chaqueno e anche amazzonico l’unico posto dove tu puoi fissare e scrivere la tua storia è nell’ambiente e nella natura circostante. Dal momento che la sua storia è scritta su questa terra, al Guaranì lo puoi portare ovunque ma lui tornerà sempre, perché è legato lì, e in quella terra c’è la sua anima.

Quando un bambino nasce sotterrano il cordone ombelicale in quella terra, sinonimo del fatto che quando sei giunto alla fine della tua vita tu devi ritornare lì.

Resti lì o torni lì per l’amore alla terra, per l’amore alle tue origini. La tua anima, il tuo spirito sono legati alla terra e quindi non puoi andartene.”

(Elio Ortiz Garcia, intervista 9-9-2009, La Paz)

3.2.2) Lo spazio sociale

Come visto sopra, un valore fondamentale dei Guaranì è l’appartenenza alla terra, considerata origine di tutte le cose. Il rispetto nei confronti della terra emerge e viene consacrato continuamente anche nella distribuzione e nell’uso che di questa vengono fatti. Chumiray (2005:4) distingue a questo proposito quattro segmenti fondamentali nella divisone della terra.

Lo spazio del territorio della comunità (chiamata tenta): è lo spazio territoriale dove si sviluppa la vita sociale, il luogo dove si trovavano le case delle famiglie.

I luoghi della semina (Koo reta): che potevano trovarsi o più lontano dalle abitazioni oppure essere direttamente la continuazione del patio.

anche i luoghi dove si manifestava la spiritualità,

Il dominio su questi spazi locali e regionali veniva chiamato yande ivi, traducibile come “patria”

La cellula base della società Guaranì è la famiglia estesa. Un gruppo di individui uniti da legami di parentela, chiamato tentami, mantenuto unito e coeso dalla figura del nonno (Tamui/tamoi).

La caratteristica di queste famiglie o clan era la loro autonomia e libertà. Le decisioni erano prese all'interno del clan, e, solo nel momento della guerra si formavano alleanze di più famiglie.

“Il Guaranì considera la sua libertà e il suo potere di decisione inalienabile, e non lo cede, neanche per contratto sociale a nessuno e tanto meno in via definitiva. Se c'è un capo è per le istanze occasionali e particolari, per casi o cose concrete. L'autorità è del gruppo e le sue decisioni saranno conosciute attraverso meccanismi formali di assemblea, e informali di creazione di

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