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1.5 I Difetti di Solidificazione

1.5.1 Le Porosità da Ritiro

I Macroritiri

La morfologia forse più nota e familiare di macroritiro è il cono di ritiro, detto “piping” che caratterizza ad esempio la solidificazione di un lingotto di una lega “short freezing rate”. Cerchiamo di comprendere la causa di questo fenomeno. Il processo di sottrazione del calore è senz’altro più efficace a partire dalle pareti della lingottiera grazie ad un coefficiente di conduzione termica più elevato rispetto a quello dell’interfaccia con l’aria [14]. Come conseguenza si ha la solidificazione di una prima “pelle” di materiale aderente alle pareti. Ora, l’abbassamento medio della temperatura del materiale fuso produce una contrazione volumetrica dello stesso cosicché la seconda “pelle” che andrà a solidificarsi giungerà ad un livello più basso rispetto alla prima. Iterando il

processo sarà facile comprendere la genesi del cono di ritiro (Fig. 1.23 (A) (B) (C) )

Fig 1.23: (A) (B) (C): Steps successivi della formazione del cono di ritiro, (D): Sezionamento infelice da cui sembrano esistere zone di ritiro primario e secondario [17].

Un errore nel quale si è soliti incappare è quello di differenziare in un taglio trasversale del lingotto due o più zone di ritiro ed appellarle zona di ritiro primario (quella del cono di ritiro vero e proprio) e secondario (quella di alcune macroporosità isolate). La pratica sperimentale ci insegna che la porosità è sempre una e che è possibile riconoscerla come un’unica entità semplicemente scegliendo un piano di taglio più favorevole (Fig 1.23(D) ).

Vale la pena accennare alla pesante differenza morfologica che intercorre fra le macroporosità da ritiro generate dalla solidificazione delle leghe di tipo “short freezing range” e “long freezing range”. Mentre il primo tipo di lega è, come già detto sopra, fortemente caratterizzato da un piping a cono, il secondo è caratterizzato da un ritiro “spugnoso” che analizzato secondo le tecniche dell’ispezione metallografia al microscopio ottico appare come un insieme di porosità interdendritiche isolate. Non occorre però farsi fuorviare dalle evidenze dell’analisi mediante campioni metallografici: ci troviamo anche in questo caso davanti ad una macroporosità attraversata però da una “foresta” di dendriti.

I Microritiri

Tale problema prende corpo qualora le condizioni al contorno del getto, ad esempio, geometria del pezzo (pezzo massivo), lega impiegata (long freezing range) e/o basso gradiente di temperatura promuovono una crescita importante delle dendriti durante il processo di solidificazione [14]. Schematizzando il getto come un cilindro ad asse orizzontale munito ad un’estremità di un feeder, le condizioni al contorno di cui sopra si concretizzano, verso la fine del processo di solidificazione, nella formazione di una zona completamente solidificata, di una zona “pastosa” costituita da una “sospensione” di dendriti e fluido ed una zona completamente liquida (il feeder) (Fig. 1.24)

Fig. 1.24 Schematizzazione di un getto e sua suddivisione in zone [17].

Il metallo fuso tende a fluire attraverso la zona pastosa onde compensare il ritiro dovuto alla progressiva solidificazione del materiale nella zona “A”. La contrazione della zona “A” tende quindi a “tirare” il metallo fluido attraverso la zona pastosa che si opporrà al proprio attraversamento a causa della propria “tortuosità”. Come conseguenza il fluido sarà sottoposto ad uno stato tensionale via via crescente.

E’ possibile elaborare un modello matematico per descrivere tale comportamento. Ipotizzando che la zona pastosa sia un uniforme insieme di N condotti di piccole dimensioni, è possibile usare l’equazione di Pousseille che definisce il gradiente di pressione necessario per causare il moto di un fluido all’interno di un capillare:

(1.1) Per gli N capillari della zona pastosa la (1.1) diventa:

(1.2)

Occorre anche considerare il contributo della solidificazione del fuso in funzione del tempo e la conseguente diminuzione del raggio R del capillare secondo il modello di Fig. 1.25.

Imponendo la conservazione della massa ottengo:

(1.3)

Fig. 1.25: Modello di capillare Sapendo che:

2

R

V

Q

=

π

sostituendo (1.2) in (1.3), integrando e semplificando ottengo la seguente relazione di proporzionalità:

(1.4)

Interpretando tale relazione si evince che (Fig. 1.26):

• La differenza di pressione ha un andamento parabolico lungo la zona pastosa • Al procedere della solidificazione ed alla contestuale diminuzione del raggio

del capillare ho un importante aumento del gradiente di pressione ai capi della

4

8Q

dP

η

R

dx

=

π

4

8

R

N

Q

dx

dP

π

η

=

dt

α

π

πR

V

R

L

x

dR

=

α

1

)

(

2

2 4 2

R

L

P

η

Δ

zona pastosa. Dal momento che la diminuzione di R è funzione del tempo è evidente come ∆P dipenda anche dal tempo.

Fig 1.26: Andamento delle pressioni al margine della zona pastosa

Come è possibile anche intuitivamente comprendere, la presenza del gradiente di pressione di cui alla (1.4) genera uno stato tensionale idrostatico. Qualora, in seno alla fase liquida presente nella zona pastosa, venga localmente superata una tensione soglia che indicheremo come Pf assisteremo alla nucleazione di una

microporosità.

Layer Porosità

Se le condizioni di ritiro risultano più severe rispetto alla situazione precedente, il poro appena nucleato si accrescerà propagandosi lungo l’isosuperficie caratterizzata dal medesimo valore di energia elastica portando, lungo la superficie della frattura appena generata, l’energia elastica e la pressione a zero (Fig 6 (A), tempo t3 ) [14].

Al proseguire della solidificazione la zona pastosa centrale sarà alimentata sia dal feeder che dalla zona a pressione nulla appena generata dalla superficie aperta della

frattura. Ci sarà quindi una distribuzione parabolica delle pressioni sia da destra che da sinistra (tempo t4 ). Si giungerà ben presto ad una nuova situazione critica

(Fig 1.27 (C), tempo t5 ) per cui sarà possibile la nucleazione e crescita di un nuovo

poro. Iterando il processo, a solidificazione avvenuta, la situazione finale del getto sarà quella rappresentata in Fig. 1.27(D).

Vale la pena a questo punto sottolineare che i difetti fin qui descritti, non affliggono la parte solida della zona pastosa (ovvero la matrice dendritica), ma che i pori, più o meno grandi, si aprono nella fase liquida della zona pastosa stessa. Le dendriti, anzi, tendono ad accrescersi all’interno della cavità gettando dei “ponti” fra un margine e l’altro della stessa aiutando a mantenere coesa la cricca. Questa considerazione è stata fatta per evitare di confondere fenomeni di ritiro con altri fenomeni (cricche a caldo) di cui parleremo più avanti.