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Louise Schottroff analizza il testo matteano da un punto di vista prevalentemente storico-sociale ed è molto interessante notare come, a differenza della maggior parte dei commentatori,   anteponga,   nel   suo   saggio,   questa   parte   interpretativa   all’esegesi   della   parabola146. La porta sbarrata riprende la conclusione del saggio di Balabanski sull’esclusione  dal  banchetto  escatologico  di  una  parte  consistente  di  umanità.  Tuttavia,   l’attualizzazione  della  parabola  viene  spinta  molto  al  di  là  del  messaggio  peculiare  della   pericope. Afferma Schottroff:

[O]  per  dirla  senza  immagini:  questo  messaggio  universale  dell’amore  di  Gesù  non  può   raggiungere coloro che soffrono a causa della povertà e della violenza, ossia la stragrande maggioranza degli esseri umani nel mondo odierno. Non li aiuta il fatto che si annunci loro che la grazia di Dio che non fa differenze. Esso resta la grazia per coloro che già siedono alla mensa del banchetto nuziale, che hanno accesso al cibo, alle medicine e all’istruzione147.

La scelta di un linguaggio molto aderente alla realtà delle strutture socio-economiche – si veda il richiamo ad elementi della quotidianità quali il cibo o le medicine – caratterizza con qualche variazione il resto del saggio. Provando a ricostruire il quadro sociale del I secolo, ed in particolare la condizione delle vergini nella società patriarcale,  la  studiosa  descrive  le  ragazze  non  ancora  sposate  come  persone  “in  offerta   sul   mercato   del   matrimonio”148. Tale definizione riassume efficacemente l’interpretazione   della   parabola   da   parte   di   Schottroff.   In   una   società   in   cui   l’unico   futuro per le donne era rappresentato dalla vita coniugale, la partecipazione ad una cerimonia  di   nozze  costituiva  un’opportunità  preziosa  di  presentarsi   agli  uomini   come   future buone mogli. Il matrimonio era   quindi   un’occasione   di   festa   ma   anche,   e  

145 Bini 2008, p. 231

146 Tutti   i   commenti   iniziano   sempre   dall’esegesi   analitica   della parabola per poi passare alla storia dell’interpretazione,  ad  un  particolare  punto  di  vista,  a  confronti  con  altri  testi  etc..

147

Schottroff 2007, p. 53. 148 Ibid., p. 47.

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soprattutto, di giudizio. La sentenza pronunciata dallo sposo sulle vergini impreparate ha un sapore ancora più negativo proprio perché giunge in un momento di forte pressione  psicologica  per  le  donne.  “Lo  sposo  […]  ha  il  compito  di  essere  il  portavoce   del  giudizio  sociale  sulle  donne  stolte”149: le donne giudicate in questo modo e lasciate fuori dal luogo della cerimonia, subiscono quindi una condanna definitiva che le esclude dalla società. Si tratta di donne che non sono furbe e arriviste come le altre (cinque) e per di più non mostrano capacità di adattamento alla situazione in cui si trovano ad agire.   Il   modello   teorico   del   “paradigma   delle   due   vie”   (Balabanski)   applicato,   in   un   contesto di concorrenza, alla realtà storica e sociale del primo secolo, si presenta come un modello di educazione e di oppressione caratterizzante tutte le società patriarcali. La perentoria durezza delle parole dello sposo conferma quindi che egli non può essere Cristo: lo sposo infatti si   presenta   come   rappresentante   dell’ingiustizia   sociale   e   in   questo  modo  “corrompe  il  Vangelo”.  

Come  si  è  visto,  la  dichiarazione  dello  sposo  “Io  non  vi  conosco”  ha  trovato  nei  saggi   di Balabanski e Blickenstaff differenti declinazioni: dapprima sono le vergini stolte, in un  moto  che  si  potrebbe  definire  di  ribellione,  a  gridare  “Noi  non  ti  conosciamo!”;;  poi   sono   le   vergini   sagge   ad   andare   incontro   alle   compagne   con   il   loro   “Noi   vi   abbiamo   conosciute”.   Un’ulteriore   variazione   sul   tema   è   offerto   da   Schottroff che decide di coinvolgere direttamente i lettori e gli uditori contemporanei della parabola che hanno la possibilità di rispondere alle vergini emarginate (ossia a tutti coloro che sono esclusi dal “banchetto  teologico”):  “Noi  vi   conosciamo  e  vi   accogliamo. La porta non è sbarrata, poniamo   fine   alla   violenza”.   L’ultimo   versetto   della   parabola,   con   l’invito   a   vegliare,   rappresenta  allora  l’occasione  di  una  palingenesi,  un  invito  alla  speranza,  analogamente   a quanto avevano già fatto Balabanski e Blickenstaff: la comunità umana potrebbe svegliarsi e cominciare ad agire secondo la volontà di Dio poiché come afferma Schottroff  “questa  escatologia  non  specula  su  chi  si  trova  di  fronte  alla  porta  chiusa”150.

Come si è visto in questa breve panoramica sulla prospettiva femminista, due sono i temi centrali della riflessione sulla parabola: il ruolo e la natura della saggezza (con il corollario  delle  questioni  correlate,  quali  l’identificazione  forzata  con  le  vergine  savie,   l’impiego  ambiguo  del  termine  in  vari  luoghi  del  Vangelo  di  Matteo  etc.)  e  l’approccio   storico-diacronico che, ricostruendo il quadro sociale del primo secolo, permette di

149

Ibid., p. 49. 150 Ibid., p. 59

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interpretare il presente attraverso il riconoscimento di dinamiche e figure simboliche tuttora attive (ad esempio i meccanismi di esclusione sociale o di prevaricazione, la figura del kyriarch etc.).

Tali posizioni, sebbene siano solidamente argomentate (e in qualche caso condivisibili), non convincono fino in fondo.

Un primo motivo di perplessità riguarda lo smantellamento dell’apparato  metaforico   della  parabola  che  viene  spinto  all’estremo,  fino  a  cancellare  i  tratti  tipici  del  racconto   parabolico.  Nel  caso  della  descrizione  dell’aldilà,  come  per  le  Dieci  vergini,  

non possiamo parlare di Dio e del regno di Dio in maniera diretta. Possiamo solo raccontarne in maniera approssimativa, per via di paragoni, appunto mediante similitudini e parabole. Le parabole non sono qui solo un modo qualunque di raccontare il regno di Dio   e   il   mondo   di   Dio.   Esse   sono   l’unico   modo   oggettivamente adeguato di parlare di Dio151.

La parabola infatti spiega un concetto difficilmente comprensibile attraverso l’accostamento  di  un’idea  ad  un’immagine  desunta  dal  mondo  reale  – “Il  regno  dei  Cieli   è  simile  a  dieci  vergini”,  “ad  un  granello  di  senape”  (Mt  13, 31-35)  “ad  un  mercante  in   cerca  di   perle”  (Mt  13,   45-46), – in modo tale che il riferimento alla sfera quotidiana (una situazione, categorie di persone, etc.) ne renda più immediata la cognizione. Gli elementi tratti dalla realtà non sono quindi da interpretare in senso letterale. La situazione  che  viene  narrata  in  questo  caso,  mostra  sin  dall’inizio  diverse  stravaganze  al   punto che è davvero difficile vedere in essa la descrizione di una cerimonia nuziale del primo secolo. Inoltre, il fatto che lo sposo  venga  chiamato  “Signore,  signore”  e  che  la   formula   di   chiusura   “In   verità   vi   dico”   sia   quella   tipica   di   altre   parabole152, dovrebbe indirizzare  verso  un’univocità  di  interpretazione.  Sminuire  il  messaggio  della  parabola,   relativizzandolo ad una descrizione del sistema patriarcale in cui le donne sono sottomesse alla logica del divide et impera (al fine di garantire il mantenimento di uno status quo sociale e imporre un modello di comportamento), mi sembra piuttosto riduttivo. Se è vero che il contributo delle ricerche socio-antropologiche sulle usanze nuziali è prezioso per una migliore conoscenza della storia del primo secolo153, tuttavia è  contestabile  l’uso  che  si  fa  di  tali  informazioni.  Il  messaggio  di  Dio  è  universale,  a-storico e a-temporale: privare le parabole del messaggio parenetico che le caratterizza

151 Münch 2011, p. 21 152

Mayordomo 2011, p. 773.

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rischia di innescare un cortocircuito. Nel caso della nostra parabola infatti, seguendo un processo  di  “de-metaforizzazione”,  ci  si  è  trovati  di  fronte  ad  una  situazione  difficile  da   contestualizzare storicamente   con   certezza   e,   venendo   a   mancare   tutto   l’apparato   metaforico, ci si è trovati di fronte ad una storia quasi priva di senso. Il ricorso alla categoria del kyriarch e al meccanismo di oppressione è forse la soluzione più prevedibile per spiegare una parabola di cui, a questo punto, non resta più nulla della sua sostanza.

Un’ultima   osservazione   sul   concetto   di   saggezza.   L’identificazione   con   le   vergini   prudenti può risultare in prima battuta ostico proprio perché, come sottolineano le teologhe femministe, manca quella componente di solidarietà e condivisione che sarebbe naturale aspettarsi in una parabola. Ma il punto del brano matteano è un altro: il testo è inserito in un trittico di parabole dedicato al Regno dei cieli in cui il tema portante è il monito alla vigilanza, alla preparazione durante la vita terrena per poter accedere al regno di Dio dopo la morte. Marinella Bini spiega in modo chiaro quale è l’essenza   di   questa   parabola,   rispondendo   indirettamente   a   chi   (studioso   o   semplice   fedele) si sente in imbarazzo nel ruolo di saggio:

Se in questa vita è possibile ed importante che il giusto interceda per il peccatore e lo sostenga con la preghiera e con azioni concrete, questo non sarà più possibile nel giorno del Giudizio154.

L’aspetto  cruciale  della   parabola   allora  non  è  più  il  possedere  l’olio   – sia che esso simboleggi la fede che le buone opere – ma di possederlo al momento giusto: la porta chiusa significa che ormai è tardi. Resta il rimorso per non aver fatto ciò che si poteva fare quando ve ne era la possibilità.

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SECONDA PARTE

Capitolo 1