La parabola delle Dieci vergini e le sue combinazioni
3.2 Le Vergini sagge e stolte e i temi mariani
Più frequente è il collegamento tra il tema mariano, nelle sue diverse declinazioni – Annunciazione, Natività, Vergine col Bambino, etc. – e la parabola. Sicuramente l’esempio più notevole di questa relazione è il mosaico di facciata di Santa Maria in Trastevere a Roma. L’opera, realizzata nel corso del XIII secolo, presenta in effetti un’impostazione originale. La scena mostra la canonica doppia processione verso il centro, qui rappresentato dalla Vergine che allatta il Bambino. Un altro dettaglio all’apparenza fuorviante è che otto vergini su dieci recano le lampade accese (ma si ricordi il Salterio di Eadwine). In questo caso la storia dei restauri e l’analisi stilistica hanno permesso a Karina Queijo di verificare che il nucleo originario della decorazione (secondo-terzo decennio del secolo) comprendeva Maria e le prime due vergini da sinistra e da destra, ossia le due sagge e le due stolte: le tre vergini con le lampade accese che si trovano dal lato delle imprudenti sono quindi frutto di un restauro scarsamente rigoroso e poco filologico228. La valutazione corretta dell’intervento di rifacimento ha consentito di riaffermare la presenza del mosaico trasteverino nel novero delle attestazioni della parabola229. Sgomberato il campo dalla questione relativa al
227 L’esemplare più antico e celebre del Principe del mondo fu realizzato intorno al 1280 nel portale occidentale della cattedrale di Strasburgo. Il personaggio, citato a più riprese nel Vangelo di Giovanni (14,30), fa la sua comparsa in Europa per un periodo brevissimo: passa circa mezzo secolo tra il prototipo di Strasburgo e l’epigono di Norimberga (1320-1330). Molto interessante è la valutazione che Regine Körkel-Hinkfoth offre della scomparsa di quello che si potrebbe definire un hapax iconografico: “Certamente la sua veloce sparizione si deve anche al fatto che si riproponeva sempre la questione di ciò che si dovesse rimproverare alle vergini stolte, una domanda a cui la parabola biblica non risponde”227: Körkel-Hinkfoth 1994, pp. 77-80.
L’assenza di un indirizzo univoco (o, meglio, la varietà di interpretazioni possibili) sul significato dell’olio, indica, quindi, che la questione relativa al requisito necessario per essere ammessi al Regno dei cieli non era circoscritta all’elitaria cerchia degli esegeti, ma interessava direttamente anche altri ambiti.
228 Queijo 2010. Si veda la scheda c in Appendice.
229 Recentemente Simone Piazza ha escluso l’episodio di Santa Maria in Trastevere dal catalogo dell’iconografia delle Vergini sagge e stolte, individuandovi piuttosto “un double cortège de vierges martyres” che si dirige verso la Virgo lactans. La rappresentazione sarebbe allora da intendere come l’invito, rivolto ai fedeli, ad entrare in Chiesa per poter accedere alla salvezza come hanno fatto le
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numero errato di vergini sagge, resta da chiarire la presenza, al centro della scena, della Virgo lactans in luogo del Cristo-sposo.
L’associazione tra la Vergine e le Dieci vergini, seppur meno consueta, è presente nelle raffigurazioni della parabola, anche in ambito italiano. I temi mariani come la l’Annunciazione, la Natività, Virgo lactans sono, infatti, figure della salvezza: Dio si è fatto uomo per salvarci, trovando in Maria lo strumento per compiere il mistero della sua incarnazione e, morendo in croce, ha riscattato la nostra colpa originaria. La via per raggiungere la beatitudine, ossia entrare alle nozze per vivere eternamente al cospetto di Dio, è indicata nel monito conclusivo della parabola: dobbiamo mantenere sempre accesa la fiamma delle nostre lampade per non farci trovare impreparati quando giungerà lo sposo. Nella basilica trasteverina questo percorso trova la sua esplicitazione visuale nella presenza combinata della Virgo lactans con l’Agnello sacrificale (raffigurato nel medaglione centrale collocato al di sopra di Maria e Cristo) e nel duplice corteo di vergini. La peculiarità della rappresentazione romana – ovvero la presenza della Vergine tra le due schiere di sagge e stolte – può essere spiegata semplicemente tenendo conto della disposizione differente di queste immagini rispetto allo spazio. Mentre nei casi triveneti, di cui ora si dirà, l’associazione tra la Maria e le fanciulle della parabola è ‘differita’ dalla collocazione della Madre di Dio nella calotta e delle vergini nel registro sottostante, nella basilica trasteverina questa mediazione viene eliminata e Maria ‘scende’ al a livello generalmente riservato alle protagoniste della parabola. Tale novità rispetto alle rappresentazioni tradizionali trova inoltre una convincente spiegazione nelle vicende storiche della chiesa. Come ha osservato Karina Queijco, in epoca medievale si riteneva che la basilica fosse stata costruita sulla Fons olei, una fonte d’olio miracolosa che annunciava la nascita di Cristo. Il corteo delle vergini era stato dunque concepito per convergere verso la Madre di Dio ma, soprattutto, verso “Maria-Ecclesia, simbolo della basilica trasteverina, il luogo dove sgorga l’olio indispensabile a tener accese le lampade”.
Il collegamento tra il tema mariano e la parabola, come si è detto, si riscontra anche in altri casi.
Nella chiesa di Santa Maria Assunta a Summaga la relazione diretta tra la Vergine col Bambino (calotta absidale) e le protagoniste della parabola (secondo registro) è
Vergini. Tutta la ricostruzione si basa, ovviamente, su una diversa interpretazione dei restauri e, quindi, delle parti originali : Piazza 2010, pp. 127-128.
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mediata dal Collegio apostolico (primo registro). Tale successione di scene è stata interpretata come un percorso ascensionale incentrato sul tema della conquista del Regno dei Cieli: dalla sua preparazione entro le coscienze di coloro che sono pronti ad accogliere il messaggio messianico indicata, nella zona inferiore, dalla parabola, alla sua realizzazione nella Chiesa terrena, con la presentazione del Collegio apostolico soprastante, fino al trionfo della Chiesa celeste simboleggiato dalla Vergine in gloria affrescata nella calotta, affiancata dagli zodia degli Evangelisti e da due figure di santi.
A Castel Appiano (BZ) lo schema si ripete senza l’intermezzo del Collegio apostolico: nella calotta dell’abside centrale sta la Vergine in trono col Bambino, affiancata da una coppia di angeli e, al di sotto, la raffigurazione della parabola delle Vergini. Anche nella chiesa alto-atesina, le due schiere procedono dalle estremità verso il centro, trovando una cesura nell’apertura di una finestra che separa le due scene. In questo caso, la centralità assegnata alla Madre di Dio (non solo nel risalto che le viene conferito dall’occupare l’abside maggiore, ma anche nel programma iconografico generale in cui molte scene sono di tema mariano) potrebbe essere un riflesso dell’antica dedicazione della cappella a Maria230. L’associazione diretta tra l’incarnazione di Cristo e la parabola conserva, tuttavia, come a Summaga, il valore escatologico nella prospettiva della salvezza futura.
Nel novero dei temi mariani, Körkel-Hinkfoth inserisce anche l’Incoronazione della Vergine, presente in Italia nella piccola chiesa di Presule e ipotizzata per la decorazione del catino absidale della chiesa di san Vigilio al Virgolo. La calotta absidale, che ospita la scena, è incorniciata dai medaglioni con le Vergini sagge e stolte, cui si aggiunge il ritratto di alcune sante come Caterina, Agnese e Lucia. Maria, inginocchiata ai piedi di Cristo, sta per essere incoronata alla presenza di Dio padre e dello Spirito Santo collocati a fianco di Cristo. L’Incoronazione della Vergine, tema relativamente recente per l’arte medievale, rappresenta l’unione tra la sposa (Maria) e lo sposo (Gesù), ovvero tra Cristo e la Chiesa. Regine Körkel-Hinkfoth definisce questo tema “il più importante nell’evoluzione della venerazione di Maria e fu rappresentato di conseguenza nel posto più significativo dell’edificio ecclesiastico”. L’associazione tra l’Incoronazione e la parabola di Matteo si gioca quindi sull’unione tra la Chiesa (le anime dei fedeli) e Cristo nel giorno della sua seconda venuta: le vergini prudenti ed imprudenti rappresentano la
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comunità dei fedeli che nel giorno del Giudizio verrà divisa sulla base del possesso della scorta d’olio, ossia dell’adesione piena e sincera, durante tutta la vita, al messaggio del Vangelo231.
Un’ulteriore tema di carattere mariano collegato alle Vergini sagge e stolte è quello della Natività, documentato nella chiesa di San Zeno a Verona. Il ciclo dedicato alla parabola, recentemente datato entro la metà del IX secolo, è stato infatti dipinto al di sotto della scena che celebra la nascita di Cristo. Il nesso tra le due raffigurazioni è chiaro: la possibilità di salvezza che Dio ci ha offerto attraverso il suo “farsi uomo” si può esperire solo con la pratica quotidiana del Vangelo: la fede e le opere buone, che corrispondono all’olio di riserva di cui si erano munite le cinque vergini savie, garantiscono infatti l’accesso al Regno dei cieli e, dunque, la salvezza eterna.
Tra i temi mariani considerati da Körkel-Hinkfoth, oltre la Natività, è assente anche l’Annunciazione, una scena documentata in tre chiese del Triveneto: a Lana, a Bolzano (San Vigilio al Virgolo) e a Baselga di Piné.
Nella chiesa alto-atesina di Lana l’Annunciazione ‘racchiude’ la raffigurazione della parabola: i due personaggi sono disposti a lato del registro absidale, occupando i pilastri di accesso all’abside. La Vergine, a sinistra, è dalla parte delle sagge; Gabriele è con le stolte. Se il nesso tra la docile obbedienza di Maria e la prospettiva di salvezza continua ad essere la chiave di lettura principale per questi esempi, c’è da sottolineare anche, come si vedrà più avanti a proposito dei dipinti della cripta di Civate, che nella liturgia si stabilisce un legame tra le vergini sagge e la Vergine Maria proprio nei testi che celebrano l’Annunciazione.
231 Una lettura più particolareggiata dell’Incoronazione – e nello specifico della Sposa, ovvero della Chiesa – è stata avanzata da Lasse Hodne nel saggio dedicato alle nozze mistiche nel Medioevo. Lo studioso individua un nesso di consequenzialità tra l’introduzione del celibato e l’apparire – a metà XII secolo, più o meno contemporaneamente in Europa – dell’iconografia dell’Incoronazione della Vergine. Il celibato viene introdotto durante la Riforma gregoriana, in risposta alla sfiducia nutrita dai fedeli nei confronti di un clero a cui si imputavano comportamenti riprovevoli, se non condannabili: sciogliere il vincolo matrimoniale serviva ad allentare il legame tra i preti e gli interessi privati degli stessi, ad esempio a proposito dell’eredità dei propri figli. In maniera analoga a quanto era di prassi tra i nobili, i figli dei preti ereditavano spesso la chiesa o la cappella dei propri genitori. L’obiettivo di un clero svincolato dai legami matrimoniali e familiari si configura come un passaggio storico perché si chiede ai sacerdoti non solo di essere casti dal momento in cui si consacra la propria vita a Cristo, ma di essere vergini da principio: “si tratta di una castità perenne nella prospettiva delle Nozze Celesti”. In questo modo, il clero (sacerdoti e monaci) viene paragonato alle vergini che attendono lo Sposo. L’Incoronazione diviene quindi il simbolo delle nozze tra Cristo e la Vergine, ossia la “Chiesa vergine” formata da quei chierici e monaci che, come Cristo, rimasero vergini tutta la vita: Hodne 2007, pp. 61-89.
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Capitolo 4
“Virgines secundum evangelium cum lampadibus”: vergini della
parabola, sante vergini e assimilazione
La parabola delle Dieci vergini ha influito in maniera non secondaria sulla rappresentazione delle ‘sante vergini’, ossia di quelle donne che avendo condotto una vita esemplare – terminata con un martirio spesso spettacolare – sono entrate a far parte del novero dei modelli da seguire e a cui tributare una speciale devozione. La raffigurazione tradizionale di alcune di queste sante è stata modificata mediante l’aggiunta o la sostituzione, ai tratti distintivi della loro rappresentazione e identificazione iconografica, dell’attributo caratteristico delle vergini della parabola: la lampada232. Questo fenomeno è stato recentemente indagato da Marcello Angheben in un saggio che, prendendo spunto dalla rappresentazione della Vergine e di alcune sante con la lampada accesa nelle chiese catalane di Santa Coloma d’Andorra e di Santa Eulalia d’Estaon, ha definito i passaggi cruciali di tale processo di “assimilazione”233. Nell’analisi di questo fenomeno risultano, a mio avviso, particolarmente interessanti due aspetti: la mobilità che l’attributo della lampada acquisisce – superando i confini ristretti della parabola evangelica – e il legame che viene a determinarsi con la liturgia.
Nel corso dei secoli la lampada è stata collegata a varie scene o personaggi: oltre alla parabola, essa compare nell’ambito più strettamente devozionale quale attributo della santità femminile e maschile, nell’iconografia di alcune virtù o in ambito profano234. La sfera devozionale è naturalmente quella in cui si riscontra più frequentemente la sua presenza, basti pensare alla rappresentazione di alcune sante cristiane come Agnese,
232 Con il termine ‘lampada’ mi riferisco in generale all’oggetto che produce luce senza entrare nel dettaglio delle diverse forme che essa ha assunto. Per una rassegna delle principali tipologie rinvio a: Carandente 1951; al-Hamdani 1965; Körkel-Hinkfoth 1994, pp. 102-107.
233 Angheben 2006b.
234 Nell’Iconologia di Cesare Ripa, ad esempio, la lucerna accesa è tra gli attributi della Vigilanza: “e però si legge che Demostene interrogato come haveva fatto à diventare valente oratore, rispose di havere usato più olio che vino, in rendendo con quello la vigilanza degli studij con questo la sonnolenza delle delitie”: Cesare Ripa, Iconologia 1593 (1992), p. 467. Per gli altri casi:Körkel-Hinkfoth 1994, p. 91 ss.
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Agata, Caterina o Lucia (per non citare che le più celebri)235, ma sono noti anche casi in cui è la Vergine stessa a recare in mano una lampada236. Il collegamento tra la lampada e le sante vergini rappresenta la soluzione più ‘completa’, dal punto di vista dell’assimilazione, essendo presenti entrambi gli aspetti: il trasferimento della lampada nelle mani delle sante vergini determina un’eco nella liturgia.
L’influenza che la liturgia ha esercitato sulla rappresentazione delle sante vergini ritratte come vergini sagge viene spiegato chiaramente da Marcello Angheben:
Fra i diversi sensi ricoperti dalle vergini sagge, uno dei più diffusi si ricollega alla santità femminile della quale costituiscono un paradigma. Teoricamente, una tale interpretazione si oppone al senso della parabola nella quale le vergini sagge incarnano l’insieme degli eletti e non solamente le donne, per quanto l’esegesi abbondi in questo senso. Eppure questo non ha impedito ai teologi di erigere queste figure a paradigmi della virtù femminile. Molto significativamente questa lettura della parabola si concentra nei testi liturgici, mentre è assente da quelli esegetici237. È questo, dunque, il caso delle vergini martiri che vengono ricordate e invocate nella liturgia: si tratta di sante che sono ben individuabili dal loro attributo specifico o dall’iscrizione del loro nome, cui viene sovrapposto l’elemento-simbolo della lampada per rafforzare il valore e l’esempio della verginità. Una delle testimonianze più celebri
235 A titolo semplificativo segnalo il caso della santa Caterina dipinta nella chiesa di Santa Maria a Muggia Vecchia (TS; prima metà del XIII secolo): la santa, dotata di nimbo e corona, esibisce nella mano sinistra una grande lampada accesa quale unico attributo. In questo caso la santa viene ad identificarsi totalmente con l’immagine della vergine saggia. Sandro Piussi (2009, p. 18) osserva come l’importanza accordata alla verginità di santa Caterina sia cresciuta progressivamente: “Nell’Europa occidentale, dove il culto per la Santa è maggiormente visibile tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo, la caratteristica della verginità è l’attributo più importante, anche rispetto a quello di predicatore e di maestra della fede. È quello il tempo in cui Gregorio VII (1073-1085) insisteva particolarmente sul celibato del clero. E la verginità era l’ideale di vita”.
236Sulla rappresentazione della Vergine con la lampada rinvio ai due articoli di Al-Hamdani (1965) e Angheben (2006b). Nel primo saggio, Betty al-Hamdani si sofferma sul peculiare caso delle absidi catalane medievali in cui il soggetto compare ben otto volte (ma si deve aggiungere a questo elenco anche un fronte d’altare). Partendo da due casi citati dalla studiosa (Andorra ed Estaon), Marcello Angheben ha ripreso l’argomento soffermandosi non solo sulle sante vergini assimilate alle vergini sagge, ma anche sull’assimilazione di Maria ad una vergine saggia. In questo caso, come per le vergini, è importante il ruolo della liturgia nell’assegnare alla Madre di Dio l’appellativo di “virgo prudentissima” o di “luce virginale”. Tuttavia, tale raffigurazione manifesta anche un valore ecclesiologico, non solo perché Maria è figura della Chiesa, ma anche perché, in assenza dell’Ecclesia, può essere Lei a portare il calice nel quale si raccoglie il sangue di Cristo. Nel caso particolare di Estaon, inoltre, la Vergine con la lampada (in forma di calice) è affiancata da due sante vergini “sagge” (Agnese e Lucia) e da due ecclesiastici: una combinazione di personaggi che rafforza la lettura in chiave ecclesiologica. Le sante vergini che affiancano la figura di Maria infatti, rivestono, contemporaneamente, il significato di Chiesa celeste e di Chiesa terrena: nel primo caso è proprio la vicinanza alla Vergine a collocarle in paradiso, “luogo” che hanno raggiunto in seguito ad una vita esemplare e al martirio che hanno subito in Cristo; ma, essendo collocate nel registro sottostante la calotta (riservata alla gloria di Cristo), rappresentano la Chiesa terrena. Diverso, naturalmente, il caso di Summaga e Castellappiano dove la Vergine col Bambino occupa la calotta absidale: in entrambi gli esempi non si tratta di sante vergini che affiancano Maria, ma si tratta della parabola di Matteo. I due programmi iconografici sono da valutare in una prospettiva escatologica e non ecclesiale.
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dell’assimilazione tra vergini della parabola e vergini cristiane è quella dei dipinti della parete meridionale della cripta della chiesa di San Pietro al Monte di Civate (ultimo decennio dell’XI secolo). Il ciclo di dipinti fu concepito in relazione ad un programma più ampio realizzato in stucco e dedicato alla Vergine (Presentazione al tempio, Dormizione della Vergine) e a Cristo (Crocifissione). In questo caso l’assimilazione riguarda le sante Agnese e Lucia (individuate dall’iscrizione col loro nome) ed è totale in quanto compaiono sia l’attributo della lampada (nella forma di una lunga torcia infiammata proprio come a Verona e a San Quirce de Pedret) che il contenitore dell’olio. La relazione con la liturgia era ribadita dalla serie di tituli che ancora nel 1912 erano visibili. Monika E. Müller studiando l’intero corpus di iscrizioni di San Pietro, ha individuato in diversi testi liturgici le fonti per i titoli associati alle vergini sagge238.
Una testimonianza interessante sull’associazione delle lampade alle sante vergini la offre Uguccione da Pisa nel commento al Decretum di Graziano (fine XII secolo), opera in cui l’autore sosteneva che la lampada accesa figurasse tra i necessari attributi delle vergini “secondo quanto indica il Vangelo”239. Il suggerimento del teologo toscano si inserisce nel quadro più ampio delle azioni intraprese dall’istituzione ecclesiastica a più livelli (dalla predicazione alle crociate) per fronteggiare l’emergere e il diffondersi dei movimenti ereticali. Tra queste azioni, come osserva Charlotte Denoël, l’anelito alla normalizzazione iconografica ha giocato un ruolo estremamente importante proprio perché andava ad agire direttamente sull’immaginario dei fedeli e, soprattutto, poteva contare su un territorio oltremodo esteso geograficamente. Accanto alle istruzioni per la raffigurazione degli evangelisti, vescovi, abati o dottori della Chiesa compaiono, quindi, anche le vergini che, per essere riconoscibili, devono recare con loro la lampada. In realtà, questo elemento non compare con grande frequenza in tali immagini, essendo stato privilegiato l’attributo individuale o la sua combinazione con la palma della vittoria (ossia del martirio)240.
238 Nel 1912, Rusca poté trascrivere un titolo relativo alle vergini sagge “Territus hunc hostis fugiat custodibus istius sponso veniente corrusce splendens felici lumine virtus”: Müller 2011, p. 128 n. 16. I testi liturgici collegati ai tituli delle vergini sagge sono: la liturgia della festa dell’Assunzione;; la vigilia
unius virginis, il Liber sacramentorum augustoduniensis, il Liber responsalis, il Liber de ordine antiphonarii: Ibid., p. 120.
239 Denoël 2007, p. 156. 240
Rinvio ancora a Denoël 2007 per la storia evolutiva degli attributi individuali che cominciano a diffondersi proprio dal XII secolo in connessione con la lotta all’eresia e la diffusione dei culti dei santi.
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Un caso interessante di riflessione sul potenziale simbolico esercitato dalla lampada quale attributo femminile, è offerto dai celebri affreschi di Santa Maria della Steccata a Parma, opera di Parmigianino (1531-1539; fig. 11)241. Le ‘vergini’ sono collocate nell’arcone del presbiterio, secondo una disposizione insolita: mentre in tutti i casi esaminati le figure sono distribuite in sequenza – occupando interamente la superficie dell’intradosso – dalle estremità verso il centro, qui i personaggi sono raggruppati alla base della volta: la soluzione dipende evidentemente, in questo caso, dalle dimensioni monumentali dell’arco maggiore che consentono una collocazione orizzontale anziché