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Posizione del problema

E NEL SETTORE PRIVATO: REGOLE, PERCORSI, INCENTIVI

DI ALTA FORMAZIONE E RICERCA

1. Posizione del problema

È da almeno un paio di decenni che si registra, in ambito in-ternazionale e nella riflessione comparata, una crescente attenzio-ne verso l’emersioattenzio-ne di innovativi percorsi di alta formazioattenzio-ne universitaria e, segnatamente, verso quelle nuove tipologie di dot-torato di ricerca che risultano maggiormente orientate alla colla-borazione con le imprese e, più in generale, alla soddisfazione dei fabbisogni professionali espressi dal mercato del lavoro (1). Una

(1) Cfr. L.MEEK, U.TEICHLER, M-L.KEARNEY (a cura di), Higher

Educa-tion, Research and Innovation: Changing Dynamics. Report on the UNESCO Forum on Higher Education, Research and Knowledge 2001-2009,

Interna-tional Centre for Higher Education Research Kassel, 2009, cui adde M.P ERK-MANN, K.WALSH, University-industry relationships and open innovation:

To-wards a research agenda, in International Journal of Management Reviews,

2007, vol. 9, n. 4, 259-280, e L.BORRELL-DAMIAN, Collaborative Doctoral

Ex-letteratura oramai cospicua segnala, con puntualità di dettagli e conseguenti valutazioni di carattere teorico-ricostruttivo (2), le molteplici esperienze avviate in numerosi Paesi e la parallela evo-luzione del quadro normativo di riferimento (3).

Non così si può dire, tuttavia, per l’Italia. Ancora non si parla dei dottorati c.d. professionali presenti nella esperienza america-na, australiana e inglese, mentre scarso interesse ha sin qui desta-to l’introduzione nel nostro ordinamendesta-to, con l’articolo 11, com-ma 2, del decreto ministeriale 8 febbraio 2013, n. 45 (4), della fi-gura dei dottorati industriali che pure sono diffusi da oltre qua-rant’anni nel Nord-Europa e, segnatamente, in Danimarca, Nor-vegia e Svezia. Né più né meno, in realtà, di quanto già accaduto con rifermento alla previsione, ai sensi dell’articolo 50, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (infra, § 5), di innovativi percorsi di dottorato di ricerca in apprendistato che, praticamente, è rimasta senza alcun seguito applicativo (5). Peren-torio, al riguardo, è il giudizio contenuto nella Relazione

conclu-siva elaborata dalla Commissione di studio ministeriale sui

change. Doc-Careers Project, European University Association, 2009. Cfr.

altresì A.KOTTMANN, E. WEYER, Exploration of the implementation of the

Principles for Innovative Doctoral Training in Europe. Final Report,

ARES(2011) 932978 (reperibile in www.faredottorato.it).

(2) Cfr., tra i tanti, M.NERAD, Increase in PhD Production and Reform of

Doctoral Education Worldwide, in Higher Education Forum, 2010, vol. 7,

69-84. Cfr. altresì K.M. HARMAN, Challenging Traditional Research Training

Culture: Industry-oriented Doctoral Programs in Australian Cooperative Re-search Centres, in J.VÄLIMAA, O.-H.YLIJOKI (a cura di), Cultural

Perspec-tives on Higher Education, Springer, 2008, 174-190; L.SERVAGE, Alternative

and professional doctoral programs: what is driving the demand?, in Studies in Higher Education, 2009, vol. 34, n. 7, 765-779.

(3) Si veda, al riguardo, la dettagliata ricognizione di M.JONES, Issues in

Doctoral Studies – Forty Years of Journal Discussion: Where have we been and where are we going?, in International Journal of Doctoral Studies, 2013,

vol. 8, 83-104, che sintetizza il dibattito contenuto in 995 articoli pubblicati tra il 1971 e il 2012 in materia di percorsi di dottorato di ricerca.

(4) Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per la istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati, in GU, 6 maggio 2013, n. 104.

(5) Cfr. U.BURATTI, 2003-2013, dieci anni di alta formazione in

appren-distato. Quale bilancio?, in www.adapt.it, A-Z Index, voce Dottorato (Percorsi

rati di ricerca (6): «La Commissione rileva che le attuali regole limitano fortemente la concreta realizzabilità del dottorato indu-striale, in ragione del rilevante impegno economico richiesto alle imprese […] che dovrebbero essere coinvolte, e ritiene che tale tipologia di dottorato, ad oggi, sembra realizzabile soltanto ove vi siano anche significativi contributi regionali. Si auspica, pertanto, la previsione di una normativa di favore, avente carattere transito-rio, per consentire che i dottorati industriali possano essere real-mente istituiti […]. La normativa di favore di carattere transitorio dovrebbe estendersi anche ad altre ipotesi di dottorato atipico, quali i dottorati legati a contratti di apprendistato, o legati a im-portanti progetti, in particolare europei».

Lettera morta sono rimaste nella prassi operativa, pur a fronte di una non trascurabile attenzione da parte della dottrina (7), an-che le positive aperture contenute nell’articolo 14 della legge 24 giugno 1997, n. 196, alla occupazione nel settore della ricerca e, segnatamente, le misure a favore dell’inserimento di laureati e dottori di ricerca in imprese e loro consorzi attraverso assunzioni a termine di tipo soggettivo finalizzate alla realizzazione di speci-fici progetti di formazione e ricerca. Ben altra cosa, quantomeno a livello concettuale e progettuale, rispetto alle recenti disposi-zioni di cui all’articolo 9, comma 16-quinquies, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, che pure sono finalizzate ad agevolare assun-zioni a tempo determinato e la stipula di contratti di collaborazio-ne coordinata e continuativa per l’attuaziocollaborazio-ne di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica. In quest’ultimo caso, infatti, il legi-slatore ha disposto, con un discutibile ritorno al passato, che dette disposizioni operino a esclusivo favore di agenzie pubbliche, uni-versità e scuole superiori a ordinamento speciale senza prevedere, diversamente dalla legge n. 196/1997, alcun tipo di raccordo con il sistema produttivo e il settore privato (8). Ancora tutta da

(6) Commissione istituita con d.m. 3 luglio 2013, n. 596. La Relazione

conclusiva della Commissione è pubblicata in www.faredottorato.it.

(7) Una analisi circostanziata dell’art. 14 della l. n. 196/1997 si trova nei numerosi volumi di commento alla c.d. legge Treu. Segnalo, tra gli altri, il contributo di L.FORLANI, Sviluppo delle piccole e medie imprese e lavoro nel

settore della ricerca, in M.BIAGI (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro, Giuffrè, 1997, 335-336.

tare, in questa prospettiva, è l’interessante previsione contenuta nel c.d. “decreto sviluppo 2.0” (9) che ha come obiettivo quello di favorire l’occupabilità del capitale umano qualificato, in parallelo alla diffusione di nuova imprenditorialità e di nuove tecnologie, nelle startup innovative aventi come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, anche at-traverso contratti a termine a-causali (di durata minima di 6 mesi e massima di 36 mesi), nei primi 48 mesi di vita della impresa (10).

Tutte da verificare sul piano degli esiti occupazionali sono, infine, quelle misure di incentivazione della transizione dalla uni-versità al mercato del lavoro attraverso percorsi di alta formazio-ne, specie sotto forma di master (11), che paiono in realtà trasfe-rimenti monetari agli atenei e, in particolare, ai docenti impegnati nella progettazione ed erogazione di una offerta formativa altri-menti senza mercato. Una formazione presa in considerazione dai neo-laureati non certo per la qualità e le dubbie opportunità di la-voro a essa connesse (12), quanto perché integralmente finanziata dalle Regioni, attraverso un uso discutibile delle risorse del Fon-do sociale europeo, alla stregua di un mero sussidio pubblico con-tro l’inattività e la crescente disoccupazione intellettuale che poco

a tempo determinato e collaborazioni coordinate e continuative per attività di ricerca, in M.TIRABOSCHI (a cura di), Il lavoro riformato, Giuffrè, 2013.

(9) D.l. n. 179/2012, recante Ulteriori misure urgenti per la crescita del

Paese, convertito dalla l. n. 221/2012, in GU, 18 dicembre 2012, n. 294.

(10) Cfr. A.BALSAMO, Start up e PhD: l’impresa della ricerca, in Boll.

ADAPT, 2014, n. 5.

(11) Cfr., per es., il Catalogo interregionale per l’alta formazione (si veda

www.altaformazioneinrete.it) promosso dal Ministero del lavoro e finanziato

con 27 milioni di euro del Fondo sociale europeo. Il progetto, operativo in Emilia-Romagna, Veneto, Campania, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Valle d’Aosta, prevede voucher individuali fino a 6mila euro per frequentare master universitari di primo e secondo livello, ma-ster accreditati Asfor e altri corsi di specializzazione da parte di “giovani” di età non superiore a 35 anni, disoccupati o inoccupati, in possesso di un titolo di laurea di vecchio o nuovo ordinamento conseguito con un punteggio non infe-riore a 100/110 (o punteggio equivalente).

(12) Rispetto alla ipotesi di cui alla nota che precede si tratta infatti di sem-plici esperienze di stage che non giustificano un robusto sussidio pubblico di circa 6mila euro che, invece, si giustificherebbe nel caso di master e percorsi di alta formazione in apprendistato.

ha a che fare con l’alta formazione e la ricerca.

Non mancano, invero, importanti misure di incentivazione economica agli investimenti privati nella ricerca universitaria (13) e, almeno sulla carta, importanti misure di sostegno alla assun-zione a tempo indeterminato di dottori di ricerca e laureati magi-strali in discipline tecnico-scientifiche che siano impegnati in at-tività di ricerca e sviluppo (14). Eppure, con specifico riferimento ai dottorati di ricerca, si registra ancora oggi una scarsa attenzio-ne (non solo a livello normativo, ma anche attenzio-nella progettazioattenzio-ne della offerta formativa degli atenei) al mercato del lavoro e mon-do delle professioni e, più in generale, a una collaborazione con le imprese che non sia solo di facciata. Ampia testimonianza di tutto ciò è fornita dalla pressoché totale assenza di letteratura di riferimento e ancor di più, sul piano pratico e applicativo, dai modesti numeri dell’apprendistato di alta formazione e ricerca, nonostante sia oramai cospicua la quantità di protocolli, conven-zioni e accordi-quadro che auspicano, ma solo raramente realiz-zano (15), una più intensa cooperazione con le imprese e il sistema produttivo (16).

(13)Si fa riferimento, in particolare, alle misure di incentivazione fiscale che si concretizzano nella possibilità, per le imprese, di dedurre integralmente il reddito d’impresa imponibile per i fondi trasferiti a titolo di contributo o di liberalità per il finanziamento alla ricerca. Tutti i trasferimenti a titolo gratuito a favore di università e fondazioni universitarie, enti di ricerca pubblici (o pri-vati, sotto la vigilanza del MIUR) sono esenti da tasse e da imposte indirette diverse dall’IVA e da diritti dovuti a qualunque titolo. Inoltre, è ridotto del 90% l’onorario spettante al notaio per i relativi atti. Più recentemente si veda anche il piano di finanziamento della ricerca approvato dal Consiglio dei Mini-stri del 6 febbraio 2014 contenente misure di sostegno immediato alle attività innovative e di ricerca nelle imprese (PON Ricerca e Innovazione, in

www.faredottorato.it).

(14) Cfr. il d.l. n. 83/2013 a cui ha fatto seguito il decreto del Ministero dell’economia (d.m. 13 ottobre 2013), in GU, 21 gennaio 2014.

(15) Cfr., tra i pochi studi in materia di collaborazione tra università italia-ne e sistema delle imprese, il saggio di G.ABRAMO, C.A.D’ANGELO, F.DI

COSTA, University-industry research collaboration: a model to assess

univer-sity capability, in Higher Education, 2011, vol. 62, n. 2, 163-181.

(16) Cfr., da ultimo, ISFOL, Monitoraggio sull’apprendistato. XIII

Rappor-to, 2012, spec. 29-32, in www.adapt.it, A-Z Index, voce Apprendistato (Studi e

ricerche). Si veda anche la mappatura delle esperienze di alto apprendistato contenuta in www.fareapprendistato.it, su cui cfr. U. BURATTI, op. cit., e il protocollo 13 febbraio 2013, Una formazione per la crescita economica e

Anche nella più recente produzione scientifica che si è propo-sta di indagare, in termini programmatici e di sistema, le connes-sioni tra formazione, apprendimenti e mercato del lavoro (17), nessun cenno è contenuto al segmento strategico (18) della alta formazione universitaria e dei dottorati di ricerca in particolare (19), quasi come se si trattasse di un aspetto marginale nella tran-sizione ed integrazione tra università e mondo del lavoro.

Rispetto al dibattito internazionale e alla riflessione compara-ta si potrebbe invero ritenere che il ricompara-tardo icompara-taliano sia principal-mente dovuto alla (relativaprincipal-mente) recente introduzione nel nostro ordinamento dei dottorati di ricerca (20). Eppure così non è se solo si pensa a quanto è avvenuto – e ancora sta avvenendo – in Paesi come l’Australia, il Brasile e la Malesia – certamente tra i più avanzati nella innovazione dei percorsi di formazione dottorale (21) – che pure hanno una tradizione altrettanto recente in materia di dottorati di ricerca.

Vero è, piuttosto, che nella loro trentennale esperienza, i dot-torati di ricerca italiani si sono caratterizzati, spesso in negativo, come scuole autoreferenziali di formazione e cooptazione di

l’occupazione giovanile, firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil che

for-malmente propone un rilancio dell’alta formazione, e dunque del dottorato, in apprendistato.

(17) Cfr., da ultimi, S. CIUCCIOVINO, Apprendimento e tutela del lavoro, Giappichelli, 2013, e A.LOFFREDO, Diritto alla formazione e lavoro. Realtà e

retorica, Cacucci, 2012.

(18) La rilevanza strategica dei dottorati in termini sia di ricerca e sviluppo, sia in funzione dello stimolo alla innovazione e accumulazione di capitale umano è bene evidenziata da una cospicua letteratura. Cfr., recentemente e tra i tanti, OECD, Skills for Innovation and Research, 2011, cui adde L.AURIOL, M.MISU, R.A.FREEMAN, Careers of Doctorate Holders. Analysis of Labour

Market and Mobility Indicators, OECD Science, Technology and Industry

Working Papers, 2013, n. 4 (anche in www.faredottorato.it).

(19) Puramente formalistica è la ricostruzione proposta da M.SALA CHIRI,

Il tirocinio. Artt. 2130-2134, Giuffrè, 1992, qui 93-96, che neppure evidenzia,

nella nuova formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 167/2011 la distinzione (con-cettuale e funzionale) tra apprendistato di alta formazione e apprendistato di ricerca su cui si veda invece puntualmente la circ. Min. lav. 11 novembre 2011, n. 29.

(20) Con l’art. 8 della l. n. 28/1980, Delega al Governo per il

riordinamen-to della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la speri-mentazione organizzativa e didattica.

cademici e futuri professori, più che come vibranti centri di inno-vazione e trasferimento tecnologico e, più in generale, terre di frontiera nella collaborazione tra università e imprese in funzione dell’avanzamento delle conoscenze del sistema economico, socia-le e produttivo del Paese (22).

Proprio per questo motivo – e anche a prescindere, per il mo-mento (23), dal nodo della radicata diffidenza dell’ordinamento giuridico e del sistema di relazioni industriali verso forme di ap-prendimento in impresa (infra, § 4) – non sorprende la circostan-za che i dottorati italiani, salvo alcune limitate e lodevoli ecce-zioni, siano stati non soltanto incapaci di attrarre e convogliare significativi finanziamenti privati (24), ma anche di progettare e realizzare robusti percorsi di formazione e ricerca in funzione delle esigenze e dei fabbisogni professionali espressi dal mondo produttivo e dal mercato del lavoro.

È per questo insieme di ragioni che non convincono i toni en-fatici con cui la stampa specializzata ha accolto, in una finestra temporale invero relativamente estesa (25), la novità dei dottorati industriali dimenticando di evidenziare non solo l’estrema reti-cenza del regolamento ministeriale, tanto in termini definitori che prescrittivi (infra, § 2), ma anche i non fruttuosi precedenti delle scuole di dottorato, che pure presupponevano per la loro istitu-zione «stretti rapporti con il sistema economico-sociale e

(22) Tale aspetto, seppur con minor forza e incisività, è evidenziato anche da L.BORRELL-DAMIAN, op. cit. L’attuale stretto legame tra percorsi di forma-zione dottorale e carriera accademica è evidenziato anche nel rapporto curato dal MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA,

Hori-zon 2020 Italia, 2013, qui 97.

(23) Cfr., sin da ora, G.BERTAGNA, Apprendistato e formazione in

impre-sa, in M.TIRABOSCHI (a cura di), Il Testo Unico dell’apprendistato e le nuove

regole sui tirocini, Giuffrè, 2011.

(24) Tendenza, questa, che riguarda più in generale la ricerca accademica nel nostro Paese: la quota di investimenti privati in attività di ricerca svolte nelle università è pari all’1% in Italia, a fronte di una media europea del 6,8%. Si veda ASSOCIAZIONE TREELLLE,FONDAZIONE ROCCA, Scuola, università e

ricerca. L’Italia nel confronto internazionale, 2013.

(25) E cioè quella finestra temporale che è andata dalla firma del d.m. n. 45/2013 (8 febbraio 2013) alla sua pubblicazione in GU (6 maggio 2013) con la conseguente diffusione di alcuni articoli di giornale che hanno salutato la novità. Si veda la rassegna stampa in Boll. Spec. ADAPT, 2013, n. 22.

tivo» (26). Per non parlare poi dei già ricordati percorsi di dottora-to in apprendistadottora-to di alta formazione che, a più di dieci anni dal-la loro introduzione nel nostro ordinamento, ancora stentano a decollare. Eppure proprio i contratti di apprendistato per la ricer-ca (infra, § 5) potrebbero rappresentare uno dei tratti qualifiricer-canti per l’avvio di corsi e scuole di dottorato industriale che si incen-trano – come bene mosincen-trano sia l’analisi comparata, sia le pionie-ristiche esperienze in atto (27) – non tanto su formalistici rapporti convenzionali tra corsi o scuole di dottorato e imprese, quanto su una continuativa e fattiva presenza dei dottorandi in ambienti produttivi e di lavoro non solo in esecuzione di un progetto di ri-cerca finanziato da un soggetto privato, ma anche in qualità di ve-ri e propve-ri dipendenti più che di semplici studenti coinvolti in più o meno robusti percorsi di internship aziendale.

Vero è, del resto, che la figura dei dottorati industriali e, più in generale, le forme di collaborazione con il sistema economico e produttivo indicate all’articolo 11 del decreto ministeriale n. 45/2013 sono state presentate, in prevalenza, in funzione di una sempre più sentita esigenza di occupazione o quanto meno occu-pabilità dei dottorandi al termine del percorso di dottorato (28) e non invece di un reale e convinto raccordo tra il mondo accade-mico e il sistema delle imprese (29).

In Italia sono oltre 12mila i laureati che, ogni anno, entrano in

(26) Cfr. l’art. 17, comma 2, del d.m. 5 agosto 2004, n. 262, istitutivo delle Scuole di dottorato, su cui I.SENATORI, Le scuole di dottorato e le tecniche per

l’occupabilità dei lavoratori della ricerca, in M.TIRABOSCHI, P.GELMINI (a cura di), Scuola, Università e Mercato del lavoro dopo la Riforma Biagi, Giuf-frè, 2006, qui 507-510.

(27) Cfr. L.CASANO, Esperienze pionieristiche di dottorato industriale: la

Scuola di dottorato in formazione della persona e mercato del lavoro dell’Università di Bergamo promossa da ADAPT e CQIA, in Boll. ADAPT,

2013, n. 26.

(28) In tema cfr. il contributo di M. ROSTAN, Il dottorato di ricerca e il

mercato del lavoro: problemi e opportunità, in DRI, 2014, n. 1. Il tema della

occupabilità dei dottorandi non è peraltro solo italiano e tanto meno solo euro-peo. Cfr., per il caso americano, S.JASCHIK, Ph.D.s With and Without Jobs, in

Inside Higher ED, 9 dicembre 2013.

(29) Cfr., in questa prospettiva, N.SALIMI, R.BEKKERS, K.FRENKEN,

Go-vernance and success of university-industry collaborations on the basis of Ph.D. projects – an explorative study, ECIS Working Paper, 2013, n. 5, che

evidenziano come il dottorando possa fungere da prezioso e non di rado impre-scindibile canale di comunicazione tra università e imprese.

un dottorato di ricerca (30). Il loro obiettivo è accedere, al termine del percorso di dottorato, alla carriera accademica. Questo è an-che l’auspicio di massima dei loro tutor e docenti an-che sono preva-lentemente espressione del mondo accademico, che ancora detie-ne il monopolio assoluto sul rilascio dei titoli di dottorato (31) e, proprio in funzione esclusiva di tale obiettivo, li formano e li ad-destrano. Le statistiche dicono tuttavia che solo pochi di loro (cir-ca 2mila) riusciranno realmente, dopo una lunga transizione fatta di volontariato, borse post dottorato, assegni di ricerca e contratti precari (32), a proseguire la trafila ed entrare nei ruoli universitari. Da qui – è stato sostenuto (33) – l’idea di un dottorato di ricerca in collaborazione con le imprese o di taglio industriale con l’obiettivo di non disperdere, al termine del percorso accademico, quel patrimonio di conoscenze e competenze che questi giovani ricercatori hanno comunque accumulato (34).

(30) Ancora M.ROSTAN, op. cit., cui adde A.ROTISCIANI, F.VITUCCI (a cura di), Terza Indagine annuale ADI su Dottorato e Post-Doc, ADI, 2013. Per un confronto internazionale e comparato, utile anche a evidenziare la drastica contrazione delle risorse per i dottorati di ricerca in Italia, cfr. F.MAGNI,

Dot-torati di ricerca: i numeri dell’Italia nel confronto comparato, in www.faredottorato.it.

(31) Questo nonostante l’art. 74, quarto comma, del d.P.R. n. 382/1980, e gli artt. 2, 3 e 7 del d.m. 26 novembre 1998, consentissero, almeno su un piano formale, di «stabilire eventuali equipollenze con il titolo di dottore di ricerca dei diplomi di perfezionamento scientifico rilasciati […] da altre scuole italia-ne di livello post-universitario e che siano assimilabili ai corsi di dottorato di ricerca per strutture, ordinamento, attività di studio e di ricerca e numero limi-tato di titoli annualmente rilasciati». Si veda ora, sostanzialmente nello stesso senso, l’art. 2, comma 2, lett. b, del d.m. n. 45/2013, molto osteggiato dal si-stema universitario italiano e, per questo, di fatto destinato a rimanere inattuato nella prassi del Ministero della istruzione, della università e della ricerca al pa-ri di quanto accaduto con l’art. 74, quarto comma, del citato d.P.R. n. 382/1980. Il tentativo del mondo accademico di riaffermare il monopolio asso-luto sui dottorati di ricerca è ora nuovamente prospettato nella Relazione

con-clusiva elaborata dalla Commissione ministeriale di studio sui dottorati di

ri-cerca (supra, nota 6).

(32) Cfr. A.ROTISCIANI, F.VITUCCI (a cura di), op. cit., 24-34.

(33) Così hanno accompagnato la notizia dei nuovi dottorati industriali an-che i giornali. Si veda la rassegna stampa raccolta in Boll. Spec. ADAPT, 2013, n. 22.

(34) In questa prospettiva di collocamento ex post dei dottori di ricerca non immessi nei ruoli universitari si muovono del resto alcune recenti