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Con l’ausilio del materiale collezionato e discusso nei capitoli precedenti e delle conoscenze attuali, possiamo provare a capire se Gio. Batta. Ghirardello fosse realmente affetto da una malattia mentale o stesse simulando una pazzia al fine di evitare la pena capitale.

Assodato che l’omicidio sia stato effettivamente commesso da lui, le ipotesi sono due:

1) l’imputato, una volta arrestato, simulò in un primo momento una forma di pazzia, sperando in questo modo di essere liberato, come era avvenuto quattro anni prima quando era stato processato per “grave ferimento”. L’esperienza del carcere poteva essergli servita per capire che, se i giudici non avessero avuto prove sufficienti, la probabilità di essere assolto sarebbe stata alta. Durante la detenzione, però, si ammalò presentando sintomi riconducibili a una forma di patologia mentale.

2) Ghirardello poteva essere stato affetto da una malattia mentale sin dal principio, la quale si era manifestata di modestissima entità durante la giovinezza, in forma di lieve o lievissimo disturbo schizoide di personalità (dato ipotizzabile grazie alla descrizione fatta dal dottor

283 Asve, Tribunale di appello generale 1815-1871, Protocolli di consiglio, registro 255, 28 febbraio 1833. 284

Ringrazio il prof. Antonio Pinto, specializzato in Psichiatria e in Psicoterapia cognitivo-comportamentale, e il dott. Manrico Ferrari, specializzato in Chirurgia generale, in Chirurgia sperimentale, microchirurgia e membro della International Society of History, per i preziosi consigli.

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Sacardi, medico della famiglia Ghirardello negli anni in cui l’imputato era adolescente285). Tale disturbo non gli impedì di lavorare, avere interazioni sociali, sposarsi con Lucia Trevisan e avere due figli, Gregorio e Caterina.

Ma poi intervennero due episodi fortemente traumatici: nel mese di marzo dell’anno 1829, a soli quindici giorni dalla sua nascita, il figlio primogenito Gregorio morì per «corruzione lattea»286; il 16 giugno 1829, due giorni prima il delitto, anche la moglie perì per «malattia putrido verminosa» o «febbre gastrica nervosa»287. Questi eventi verosimilmente generarono un disturbo da stress post-traumatico che fece peggiorare la preesistente debole organizzazione schizoide di personalità, fino a indurre uno “scompenso psicotico” in forma di delirio persecutorio schizo-paranoide, ben rilevato dall’episodio in cui Ghirardello, sospettoso, rifiuta il latte offerto dalla zia, che la sera stessa avrebbe ucciso.

Un episodio schizoparanoide, anche solo transitorio, può indurre un comportamento omicida e, anche seppur eccezionalmente, un comportamento difensivo poco organizzato basato su scuse improvvisate come “non ricordo”, “non so”, “dormivo”, “ho perso i sensi”.

Durante la prolungata detenzione, con la situazione precaria dovuta alle condizioni del carcere, con la consapevolezza di aver perso ogni cosa (il figlio, la moglie, la libertà), con l’insorgenza dello scorbuto, può esservi stato un ulteriore peggioramento del disturbo schizoparanoide e la comparsa dei sintomi catatonici, che rientrano sempre nello spettro schizofrenico.

Inoltre, il comportamento mantenuto dall’imputato dopo il delitto può suggerire ulteriori informazioni. Ghirardello sembra aver agito d’impeto, usò prima il suo coltello per ferire a morte la zia e poi la mannaia trovata nella cucina per colpire la Poletto; se avesse veramente pensato di operare una vendetta premeditata, è plausibile pensare che avrebbe scelto sin da subito quale arma sarebbe stata congeniale ed efficiente per commettere l’omicidio. Inoltre, una volta capito che era il momento di allontanarsi dalla scena del crimine, scappò in maniera rocambolesca, lasciando l’arma a poca distanza dalla casa288 e, spostandosi di

285 Asvi, Tribunale austriaco, penale. 1833, busta 282, Esame di Marco Munaretto; idem di Francesco Munaretto; idem

del medico Francesco Sacardi, LXI, 1 luglio 1831.

286 APB, Registro parrocchiale, decessi, 1800-1840. 287

Il riferimento a «malattia putrido verminosa» lo fece il medico di Breganze, dottor Francesco Miotti, durante l’interrogatorio del 10 dicembre 1829; «febbre gastrica nervosa» viene invece riportata come causa di morte nel registro parrocchiale riguardante i decessi avvenuti nell’anno 1829. Asvi, Tribunale austriaco, penale. 1833, busta 282, Esame di Francesco dr. Miotti medico chirurgo, XXIV, 10 dicembre 1829 e APB, Registro parrocchiale, decessi, 1800-1840.

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Antonio Ghirardello, presentandosi presso la pretura di Thiene il giorno 14 ottobre 1829, confessò di aver trovato nell’orto di casa (in cui avvenne il delitto) il coltellaccio col quale il nipote assalì le donne. Probabilmente il Ghirardello, volendo sbarazzarsi il più velocemente possibile dell’arma con cui ferì le donne, lasciò il coltello tra le frasche nell’orto adiacente la casa. Asvi, Tribunale austriaco, penale. 1833, busta 282, Nota della pretura di Thiene con; La deputazione di Breganze presenta un coltellaccio; esame di Antonio Ghirardello; idem di Maria Speroto, XVII, 20 ottobre 1829.

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qualche centinaia di metri, andò a dormire in un fienile. Come il precedente, anche questo non è un comportamento sensato che possa far seguito a un omicidio mosso da vendetta. Infine, il fatto che, quando ancora parlava, Gio. Batta. rispondesse agli interrogatori in maniera vaga e inconcludente in merito al delitto e in modo più consono a domande di carattere generale (una delle prove addotte nella prima perizia per affermare che l’imputato stesse mentendo) rappresenta un atto poco accorto per simulare una malattia mentale, mentre può essere un’iniziale chiara manifestazione di apatia, indifferenza e disinteresse che furono evidenziati successivamente come sintomi di pazzia e che indussero in dubbio i medici.

In conclusione, il comportamento non organizzato caratterizzato da segni schizoparanoidi, impulsività, disorganizzazione, passività e successiva comparsa di sintomi catatonici fanno pensare a un’azione delittuosa sostenuta da un disturbo mentale più che a un maldestro tentativo di simulazione.

Il punto centrale resta la motivazione dell’assalto del Ghirardello alle due donne. Perché avrebbe voluto uccidere la propria zia, donna a lui cara e che assistette per decine di giorni la moglie prima che morisse? Perché voler uccidere Maddalena Poletto, la quale, per caso si trovava presso la casa della Salin? Perché non uccidere anche Angela allora, presente anch’ella nella cucina in cui avvenne il delitto?