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Potenza clinica predittiva e prognostica dello screening mutazionale con RT-PCR.

2. Obiettivo della tes

4.5 Potenza clinica predittiva e prognostica dello screening mutazionale con RT-PCR.

Per concludere, abbiamo poi cercato di capire se il profilo mutazionale da noi identificati in PCR potesse essere utile per ottenere una migliore caratterizzazione del rischio di morte dei pazienti affetti da LAM.

67 A tal fine abbiamo inserito nel website del Sanger Institut (http://Cancer.Sanger.AC.uk/AML-

MultiStage/) le caratteristiche cliniche del paziente, quali età, sesso, performance status,

dimensioni della milza, conta dei globuli bianchi, globuli rossi e piastrine, accompagnate dalle caratteristiche citogenetiche, con o senza i nostri risultati riguardanti le mutazioni esaminate, ed andando a calcolare le sopravvivenze a 3 anni.

Abbiamo quindi osservato che l’aggiunta delle informazioni molecolari variava la stima della sopravvivenza dell’86% nei casi risultati mutati rispetto al solo 4% per i casi risultati wild-type. In particolare, il 66% dei pazienti mutati vedeva un peggioramento della OS (OS mediana accorciata del 23%) rispetto ad un accorciamento di solo il 5% nel 4% dei casi.

Abbiamo quindi considerato come “concordi” quei casi deceduti in cui il modello prognostico prediceva una mortalità del o maggiore al 50% o viventi per i quali il modello prediceva una probabilità di sopravvivenza uguale o maggiore del 50%.

La concordanza risultava del 65% quando non utilizzavamo i dati delle mutazioni aggiuntive, e del 76% quando inserivamo anche il profilo mutazionale.

68

69 Nel presente studio, anche se retrospettivo e condotto su un numero ridotto di pazienti, per la prima volta viene presentato un nuovo metodo che consente di valutare un pannello mutazionale di semplice realizzazione, utilizzabile per una corretta classificazione delle LAM ab initio anche in quei laboratori che ancora non dispongano delle innovative metodiche di sequenziamento profondo. Questo metodo si basa, infatti, su una semplice reazione di RT-PCR che si svolge in una piastra già contenente 83 diverse combinazioni di primers capaci di rilevare mutazioni puntiformi, ed è dotato di un software di analisi semplice ed adatto ad ogni tipo di utilizzatore.

Oggi, specialmente in virtù della maggior disponibilità di farmaci specifici per determinate mutazioni, come gli inibitori di FLT3, IDH1 ed IDH2, i clinici infatti necessitano di metodiche che consentano loro di conoscere rapidamente il profilo mutazionale del paziente per orientarsi fin dalla diagnosi verso la scelta del trattamento più adeguato al paziente.

La metodica che abbiamo messo a punto nel nostro laboratorio potrebbe ben rispondere a tale necessità, e la comparazione sia con i dati della letteratura che con i risultati ottenuti con la NGS applicata ad uno dei pazienti analizzati suggeriscono che la nostra tecnica rappresenti in effetti una valida alternativa all’NGS.

Come prima cosa, infatti, per poter validare il nostro metodo, abbiamo confrontato i tassi di mutazioni riscontrati nella nostra serie con quelli riportati in letteratura.31,102,163-166 Ovviamente, i risultati sono difficilmente comparabili, sia per i diversi metodi di rilevazione impiegati, sia per il diverso numero di casi analizzati; tuttavia, la frequenza mutazionale misurata con la nuova metodica è risultata paragonabile a quella riportata in letteratura (attorno all’80-90%).

La frequenza più bassa di mutazioni di TET2, (3% nel nostro studio contro il 10% riportato in letteratura), e di ASXL1 (3% contro 16%) sono probabilmente frutto della casistica limitata e del criterio di arruolamento adottato (la sola disponibilità di DNA).

Ancora più convincente in termini di accuratezza del metodo è stato il confronto con la NGS: i dati ottenuti erano sostanzialmente sovrapponibili, fatta eccezione per la mutazione TET2,

70 assente al secondo time-point del nostro studio. La spiegazione di questo risultato risiede nella scelta del locus di mutazione testato: il sito rilevato da NGS corrisponde infatti al nucleotide 1721, mentre i primer da noi utilizzati valutano i loci 1648 e 2746. Questo è ovviamente conseguente alla scelta tecnica effettuata: nel disegnare le piastre, infatti, abbiamo tenuto conto e selezionato arbitrariamente gli hot spot riportati in letteratura. Pur con tale discrepanza, tuttavia, se immaginassimo di dover “esportare” questa differenza nella pratica clinica, il riscontro della mutazione di TET2 avrebbe impattato solo sulla malattia minima residua, in quanto i risultati ottenuti alla diagnosi erano risultati perfettamente sovrapponibili a quelli ottenuti con l’NGS.

La classificazione WHO edita nel 2016 ha inserito tra le varie forme di LMA quelle caratterizzate da nuove mutazioni, quali, ad esempio, quelle con mutazione biallelica di CEBPa e di NPM1. Purtroppo, però, ancora oggi non esistono forti raccomandazioni internazionali che consentano di modificare la strategia terapeutica sulla base del riscontro delle suddette mutazioni “aggiuntive”. In quest’ottica il Sanger Institut ha messo a punto un algoritmo disponibile on line che, integrando i nuovi dati molecolari con quelli citogenetici e con gli altri marcatori clinici è risultato in grado di predire la sopravvivenza dei pazienti affetti da LMA nel 73% dei casi. Questo algoritmo consente, per esempio, di meglio posizionare le procedure trapiantologiche che sono ancora oggi gravate da elevate percentuali di mortalità e morbilità.

Abbiamo pertanto anche noi adottato tale algoritmo inserendovi i dati molecolari ottenuti con la nostra tecnica, e confrontandone l’output con quello ottenuto senza l’inserimento dei dati concernenti le mutazioni “aggiuntive”. Abbiamo chiaramente dimostrato come l’aggiunta del profilo mutazionale peggiorasse la probabilità di sopravvivenza significativamente solo nel gruppo di soggetti mutati, supportando così la necessità di valutare le mutazioni “aggiuntive” in tutti i soggetti fin dalla diagnosi. Inoltre, il potere predittivo dell’algoritmo utilizzato è risultato paragonabile a quello riportato dagli autori, sostenendo pertanto la scelta della tipologia di mutazioni adottate nelle nostre piastre.

Abbiamo quindi considerato l’eventuale impatto clinico delle mutazioni da noi rilevate nella nostra casistica: è stato interessante vedere come la loro presenza o assenza andasse ad influenzare in modo significativo la ORR, con evidenza di una buona risposta nel 100% dei casi

71 non mutati contro il 42% dei pazienti mutati.

Ma l’aspetto probabilmente più innovativo del nostro studio è rappresentato dall’osservazione che la prognosi del sottogruppo dei pazienti con cariotipo favorevole può essere ulteriormente discriminata in base della presenza di un "elevato burden mutazionale", (≥ 3 mutazioni tra quelle incluse nelle nostre piastre), alla diagnosi.

Tale osservazione ben si accorda con quanto emerso nel contesto di altre malattie ematologiche, come nel linfoma follicolare, dove l’analisi quantitativa dell’espressione del gene di fusione BCL2/JH consente di discriminare tra casi a basso mutational burden, con 80% di probabilità di rimanere liberi da progressione e casi ad elevato mutational burden, con solo il 22% di PFS a 3 anni.167 Analogamente, nella Leucemia Mieloide Cronica l’iperespressione del gene di fusione BCR-ABL1/Gus in fase iniziale è stata dimostrata correlare con una risposta sfavorevole alla terapia con imatinib168. Infine è doveroso ricordare che anche in altre malattie è stato recentemente introdotto come strumento prognostico uno "score mutazionale", come ad esempio nel linfoma follicolare 169 e nella mielofibrosi170,171.

In conclusione, il nostro lavoro ha consentito la messa a punto di un pannello per la valutazione di mutazioni puntiformi hot spot che si è rivelato comparabile alla NGS in termini di capacità di predire la sopravvivenza dei nostri pazienti, rappresentando un warning in termini di raggiungimento di una ottima risposta al trattamento di induzione.

Se fosse possibile confermare la nostra osservazione in studi più ampi, potremmo probabilmente immaginare di disporre di un nuovo “score molecolare” da applicare facilmente ai nuovi casi di LMA, specie oggi che abbiamo a disposizione inibitori di FLT3172, di IDH173, delle tirosin kinasi174 e di MEK175. Nello specifico, Sorafenib ha mostrato una buona efficacia con una lieve tossicità nei pazienti con FLT3 mutato176; buoni risultati, nella stessa categoria di pazienti, sono stati ottenuti anche con altri inibitori di più recente introduzione che troviamo oggi in fase avanzata di sperimentazione clinica, quali midostaurina177 e quizartinib.178

Infine un’ulteriore considerazione da fare riguarda l’iperespressione di WT1 che ha dimostrato avere una certa tendenza alla correlazione con riduzione della OS e della PFS, senza però risultare statisticamente significativa. Ciò potrebbe essere correlato al ridotto numero dei casi arruolati nel nostro studio, ma è anche in linea con quanto emerso da una recente meta-analisi

72 condotta su 11 studi comprendente 1497 pazienti affetti da LAM179.

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