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Il potere ex parte populi: tradizione, legalità e carisma

Nel documento I nomi della violenza (pagine 110-134)

L'analisi di Arendt sulla struttura e sulle origini del totalitarismo, così come le definizioni che essa propone di potere, potenza, autorità e violenza, sono state spesso contrapposte alla sociologia del potere elaborata da M. Weber tra la fine dell'Ottocento e primi anni del Novecento43. In realtà le riflessioni della filosofa tedesca presuppongono la costruzione weberiana del potere per poter escludere una qualsiasi forma di legittimazione del terrore e della violenza che lo accompagna.

Come è noto, Weber è stato un giurista, storico dell'economia e del diritto ed è considerato un dei fondatori della sociologia moderna poiché ha cercato di mettere a punto gli strumenti dello studio della scienza sociale. Tuttavia, pur non essendo propriamente un filosofo, la sua opera è stata fortemente condizionata dalle problematiche intorno a cui rifletteva filosofia del suo tempo, sopratutto per ciò che riguarda l' analisi del potere e dello Stato.

Il potere negli studi di Weber assume un ruolo centrale in quanto egli muove dalla considerazione che le forme in cui esso si manifesta influenzano l'evoluzione storica della società. Queste sono le ragioni che inducono a considerare la la sociologia del potere dalla stesso elaborata una vera e propria teoria generale del potere.

L'spetto innovativo della teoria di Weber, rispetto alle precedenti costruzioni filosofico- politiche, è l'analisi concetto di potere ex parte populi, ossia quello di aver considerato il potere in relazione alla capacità dei sudditi di riconoscerlo.

Certamente, dal punto di vista definitorio, diversamente da quanto farà Arendt più tardi, Weber in Economia e Società (1961, ed. or., 1921) stabilisce una sorta di conitinuum concettuale tra violenza/forza/potenza (Gewalt), potenza/potere (Macht) e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

43 Il netto rifiuto di utilizzare la costruzione gli idealtipi di potere teorizzati da Weber, in specie, quello carismatico, è posto in evidenza da A. MARTINELLI, Introduzione, in H. ARENDT, Le origini del

totalitarismo, Torino 2009, p. XX.

Anche P.REBUGHINI,La violenza, Roma, 2004, p. 69, mette in evidenza come Arendt si ponga in una

potere/autorità/dominio (Herrschaft), ma mai prescinde dal consenso per definire il potere nella sua dimensione politica. Anzi, nella costruzione di Weber, la forza del potere deriva proprio dalla capacità di ottenere il consenso.

Nello specifico, Weber delinea la potenza come un concetto che egli stesso definisce «sociologicamante amorfo» (1961, vol. I, p. 52), in quanto designa

qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità. (Weber, 1961, vol. I, p. 51)

Mentre il potere è «la possibilità di trovare una disposizione ad obbedire ad un certo comando» (Weber, 1961, vol. I, p. 52) da parte di un determinato gruppo di persone. La potenza, dunque, in tale contesto è semanticamente affine alla forza, è un atto di coercizione e può rappresentare la dimensione effettuale del potere. Ciò che caratterizza il potere è, invece, la chance di trovare obbedienza, a prescindere dall'esercizio della forza, da parte di colui o di coloro che lo detengono.

Weber, come si è già avuto modo di evidenziare44, osserva come nella realtà sociale i gruppi ( Stände) vengono in rilievo quando più individui condividono valori, scopi e preferenze. Naturalmente gli Stände entrano in rapporto tra loro e ognuno di essi cerca di affermare i propri interessi (ideali o materiali). In virtù del processo di razionalizzazione tipico dell'età moderna occidentale, che vede l'agire degli individui conformarsi progressivamente ad un modello deliberato, volto alla ricerca di un ottimale rapporto tra mezzi a disposizione e fini da perseguire, i fini condivisi dal gruppo vengono perseguiti ricorrendo a strumenti il più possibili tecnici ed efficaci, anche perché, in un contesto caratterizzato dall'agire sempre più razionale, si muovono più

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singoli e più gruppi in concorrenza e, quindi, in potenziale conflitto tra loro. Tipicamente uno di essi prevale sull'altro imponendo la propria priorità di interessi, privilegio il cui conseguimento dipende dai rapporti di potere tra i vari gruppi.

Lo Stände assume le caratteristiche di gruppo politico quando

la sussistenza e la validità dei suoi ordinamenti entro un dato territorio con determinati limiti geografici vengono garantite mediante l'impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell'apparato amministrativo (Weber, 1961, vol, I, p. 53)

Il potere politico, di conseguenza, come delineato ancor più precisamente da Weber ne La politica come professione (2004, ed. or. 1919), in continuità con il pensiero filosofico inaugurato Hobbes45, si basa sulla coercizione, sulla capacità di incutere timore, di mettere in gioco l'altrui sopravvivenza e incolumità fisica, coincide con il potere di coercizione, con il potere di esercitare o regolare l'esercizio della violenza. Diretta conseguenza di tale concezione di gruppo politico e la definizione di stato, espressione istituzionale dominante del potere politico nell'età moderna, inteso da Weber come

un'impresa a carattere istituzionale di carattere politico nel quale- e nella misura in cui- l'apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione fisica legittima, in vista dell'attuazione degli ordinamenti. (Weber, 1961, p. 53)

Così inteso, il potere assume le caratteristiche tipiche della potenza, ossia coincide con la capacità di un gruppo di neutralizzare la resistenza degli altri per la realizzazione dei propri interessi e nel, caso del potere politico, nell'affermazione della propria superiorità !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

nell'esercizio della coercizione. In tal senso il potere coincide con un atto di forza, di imposizione. Senonché, lo stesso Weber nella sua analisi mette in evidenza come nelle relazioni sociali la supremazia di uno Stände non si afferma attraverso l'esercizio della potenza di fatto su altri uomini, quanto piuttosto attraverso, come si è accennato, la capacità di imporre comandi che verranno obbediti dagli altri uomini senza l'esercizio della forza e, quindi, il potere si fonda sulla possibilità che tali comandi hanno di trovare obbedienza. In questo senso il potere assume i connotati del dominio, per ciò che attiene all'imposizione di comandi, e coincide con l'autorità , in relazione alla possibilità che i comandi trovino obbedienza (Weber, 1961, vol. I, p. 207; vol. II, p. 245). Per usare le parole di Weber

il potere («autorità») può fondarsi, nel caso singolo, sui più disparati motivi di disposizione ad obbedire, cominciando dalla cieca abitudine fino a considerazioni razionali rispetto allo scopo. Ad ogni autentico rapporto di potere inerisce un minimo di volontà di obbedire, cioè un interesse (interno o esterno) all'obbedienza.(Weber, 1961, vol. I, p. 207)

Ed è proprio in questa volontà di obbedire da parte di coloro che sono soggetti al potere che si coglie l'aspetto consensualistico del potere come delineato da Weber: il potere coincide, cioè, con la capacità di ottenere la volontà dei sudditi di obbedire. L'obbedienza,infatti,

indica che l'agire di colui che obbedisce si svolge essenzialmente come se egli, per suo stesso volere, avesse assunto il contenuto del comando per massima del proprio atteggiamento- e ciò semplicemente a causa del rapporto formale di obbedienza, senza riguardo alla propria opinione sul valore o non valore del comando in quanto tale. (Weber, 1961, vol. I, p. 209)

A questo punto, si inserisce l'aspetto forse più innovativo dell'analisi di Weber che risiede, come si osservato, nel guardare al potere ex parte populi. Weber, infatti si interroga su quali siano le motivazioni che inducono all'obbedienza. E mette in luce come la possibilità di trovare obbedienza si fonda sull'opinione diffusa che un comando provenga da un soggetto che a giusto titolo, ossia legittimamente, può emetterlo. Le sue riflessioni sul potere partono dalla costatazione che l'agire sociale, e in particolare le relazioni sociali, sono orientate in base alla «rappresentazione della sussistenza di un ordinamento legittimo» (Weber, 1961, vol. I, p. 28) e la possibilità che ciò si verifichi consiste nella validità dell'ordinamento stesso.46

L'essenza del potere, dunque, coincide con la credenza nella doverosità dell'obbedienza, ossia con la «credenza della legittimità» (Weber, 1961, vol. I, p. 208): in questo risiede il potere costituito in virtù dell'autorità47. Ogni potere, sostiene Weber, cerca di suscitare e coltivare la credenza nella propria legittimità, con la precisazione che

la «legittimità» di un potere può naturalmente essere considerata soltanto come la possibilità che esso sia ritenuto tale in una misura rilevante, e che da ciò derivi una corrispondente azione pratica (Weber, 1961, vol. II, p. 209)

A seconda del tipo di legittimità a cui pretende di appellarsi, corrisponde un diverso tipo di obbedienza, diversi strumenti di cui il potere si serve per mantenerla, nonché diversi caratteri di esercizio del potere stesso. L'esercizio del potere, infatti, ha bisogno di un amministrazione di un apprato, necessita di poter contare sull'agire di uno specifico gruppo di persone disposte ad obbedire a loro volta a coloro che pretendono di essere investiti del potere legittimo, un apparato che disponga dei mezzi che all'occorrenza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

46 Weber, precisa che l'individuo può orientare il proprio agire in base alla validità di un ordinamento non soltanto mediante la sua stretta osservanza, ma anche attraverso la sua elusione: anche in tale situazione, infatti può operare la «chance della sua validità in qualsiasi ambito (come norma vincolante)» (Weber, 1961, vol. I, p. 29)

sono necessari per porre in essere l'esercizio della forza fisica (Weber, 2004, s.p.)

Tutta l'analisi di Weber, dunque, poggia sull'idea che il fondamento di ogni tipo di potere vada ricercato nelle ragioni per le quali viene obbedito. In questo la sua costruzione teorica si discosta dalla dottrina giuspositivistica a lui contemporanea, ad avviso della quale il potere dello Stato riceve obbedienza in quanto “potere posto”, così come si discosta dalle definizioni di potere politico che dà la dottrina giuridica, da Hobbes in poi, considerando lo stesso come tipico del solo Stato moderno, il quale solo, secondo tale costruzione, è in grado di organizzarsi intorno al potere inteso come dominio48. In realtà, sostiene Weber, lo stato moderno è solo uno dei possibili modi di organizzarsi del potere.

La teoria generale del potere di Weber, quindi, si articola sull'analisi dei modi in cui si costituisce l'obbedienza, ossia sulle ragioni che argomentano la richiesta di sottomissione e su quelle che argomentano la sottomissione stessa. E a questo tipo di osservazione corrisponde l'individuazione e la descrizione di tre tipi di potere, strettamente correlata ai tipi di agire individuale e sociale che si sono individuati nel capitolo precedente49. Si tratta del potere tradizionale, di quello a carattere razionale e del potere carismatico. Va precisato che Weber (1961, vol. I, p. 211) è esplicito nel chiarire che nessuna delle delle forme di potere appena elencate si è mai realizzata storicamente nella sua forma pura, in quanto esse rappresentano dei tipi ideali, ma tutte le forme di potere riscontrabili nella realtà sono caratterizzate dal presentarsi come una mescolanza dei caratteri delle stesse e, soprattutto, dalla trasformazione da una forma all'altra. Ciò non di meno, l'analisi delle forme pure di potere legittimo si rende utile al fine di comprendere le caratteristiche del potere nella sua dimensione reale e i possibili sviluppi che dello stesso, in un determinato contesto storico, possono presagirsi.

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48 Per l'analisi del rapporto tra la sociologia del potere di Max Weber in rapporto alla scienza del diritto si veda G.REBUFFA, Max Weber e la scienza del diritto, Torino, 1989

Nello specifico, il potere tradizionale si caratterizza per l'obbedienza a ciò che si ritiene conforme alla tradizione, ha il suo fondamento in quello che Weber definisce agire tradizionale, ossia l'agire nel rispetto della tradizione e dell'eterno ieri, che si traduce in una vera e propria santificazione della tradizione stessa, la quale finisce per assumere connotati magici e sacrali. Una sacralità che caratterizza anche il titolare del potere, il signore, e che rischia di far diventare arbitrario il potere. Per vero, tale rischio è limitato dal fatto che lo stesso sovrano si mostra rispettoso della tradizione: osserva, infatti Weber come

Esiste [..] il duplice ambito dell'attività del signore vincolata materialmente alla tradizione, e dell'attività del signore libera materialmente dalla tradizione.

Entro quest'ultimo ambito il signore può concedere il proprio «favore» con libera grazia o disgrazia, con inclinazione personale o avversione, e con arbitrio personale che nel caso particolare può essere procacciato mediante donativi- le fonti delle «tasse». (Weber, vol. I, p. 221)

E' un potere che si fonda su una credenza di tipo fortemente fideistico, che poggia sull'onore del signore, dove non si obbedisce a statuizioni, ma alla persona del detentore del potere, designata dalla tradizione.

Weber (1961, vol. I, pp. 225-233) distingue due tipi di dominio tradizionale, quello patriarcale e quello patrimoniale. Nel modello patriarcale l'obbedienza è assicurata, oltre che dall'agire individuale di tipo tradizionale, anche da quello affettivo, si tratta di un obbedienza che deriva dal fatto che l'individuo si sente parte di un contesto familiare, di un unico oîkos, seppur allargato. Tale tipologia di potere, proprio perché obbedito in virtù di tale motivazione, non necessita di apparati per il suo mantenimento: la fedeltà al capo è massima.

espressione evoluta. Ciò che caratterizza il patrimonialismo, infatti, è la circostanza che la titolarità del potere discende dalla proprietà personale, è considerato un vero e proprio diritto patrimoniale del signore:

A questo punto, per la prima volta, i «consociati» diventano «sudditi», e il diritto del signore, fino allora inteso come diritto preminente del gruppo, si trasforma in diritto personale, appropriato [...] allo stesso modo di qualsiasi oggetto suscettibile di possesso e quindi, in linea di principio, realizzabile nel suo valore (vendibile, ipotecabile, ereditabile) come qualsiasi altro bene economico. (Weber, 1961, vol. I, pp. 226-227)

Inoltre, tale modello non è limitato alla comunità domestica, ma è esteso ad un ambito territoriale più vasto, da ciò ne deriva la necessità di una qualche forma di apparto di potere che ne consenta il mantenimento. Si rende, cioè, necessario un apprato che serva da collettore di tasse, in quanto la struttura diventa più complessa e si deve finanziare, uno di polizia, ossia di repressione, che controlli che la signoria del sovrano rimanga inalterata e, infine, un apparato di giustizia che garantisca il rispetto degli ordini.

Tale apprato, che Weber denomina staff, è reclutato dal detentore del potere sulla base di un sistema di concessioni e privilegi che lo stesso attribuisce a chi lo sostiene: ogni ufficio pubblico è proprietà del signore patrimoniale ed è attribuito sulla base di specifici rapporti personali, si assiste, in altri termini, ad una vera e propria personalizzazione dei rapporti giuridici e politici, basati sul valore dell'onore e della fedeltà. Il potere patrimoniale, in ultima analisi, considera tutti i poteri e i diritti economici di signoria come «possibilità economiche appropriate a titolo privato» (Weber, 1961, vol. I, p. 232), sostanziandosi in un sistema che si basa sulle venalità delle cariche, in cui l'esercizio della funzione amministrativa è un privilegio di determinati soggetti, di gruppi, di clan fedeli al signore proprietario perché da esso

hanno ottenuto concessioni o benefici.

In tale contesto l'ordine giuridico è totalmente irrazionale, in quanto imprevedibile: i precetti non si ricavano da procedimenti logici, ma da derivano dal libero arbitrio e dalla grazie del signore, inoltre si tratta di un ordine giuridico labile in quanto non formale: i precetti giuridici non sono enunciati e applicati in modo generale e astratto, ma secondo un modello che Weber (1961, vol. II, p.263) chiama la «giustizia del cadì», ossia secondo il sentire momentaneo del signore.

Si tratta di un sistema instabile, formato da signorie diffuse. Del resto ricorda Weber (1961, vol. II, pp. 315-384), nell'esperienza storica del patrimonialismo il problema tipico e ricorrente è il fronteggiarsi di un sovrano con un ceto di proprietari terrieri alla ricerca di una definizione stabile delle concessioni e delle prestazioni. Una definizione che si avrà nella forma più evoluta di patrimonialismo, il feudalesimo, dove non solo l'apparato del potere è reclutato sulla base di concessioni, ma tali concessioni saranno formalizzate nell'istituzione dei feudi all'interno dei quali i vassalli avranno dei propri poteri autonomi rispetto al detentore del potere centrale e riusciranno ad emanciparsi da esso. Scrive, infatti, Weber

La garanzia della propria posizione di detentore del potere […] viene pagata, con il pieno sviluppo del sistema feudale, che è la forma più conseguente di decentralizzazione sistemica del potere, al prezzo di uno straordinario indebolimento del signore sui vassalli. (Weber, 1961, vol.II, p. 395)

In questo senso si può, quindi, leggere l'esperienza storica del feudalesimo come l'emancipazione di uno staff rispetto al monarca detentore del potere centrale.

Il potere assume carattere razionale quando si fonda sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e sul «diritto di comando» (Weber, 1961, vol. I, p. 210) di coloro che sono chiamati ad esercitarlo in base ad essi. Si tratta, pertanto, di un potere legale,

in cui la legittimazione poggia sulla credenza a leggi impersonali uguali per tutti e dove

Non si obbedisce alla persona, in virtù di un suo diritto personale, bensì alla regola statuita, la quale decide a chi e in che cosa si deve obbedire. Anche colui che comanda, in quanto stabilisce un comando, obbedisce ad una regola, cioè alla «legge» o al «regolamento», vale a dire ad una norma formalmente astratta. (Weber, 1961, vol. II, pp. 258-259)

Si tratta della forma di potere che caratterizza la struttura dello stato moderno, ma anche la relazione di potere nell'impresa capitalistica privata, anche se in tale ultimo contesto il potere, osserva Weber (1961, vol. II, p. 259), in parte è eteronomo in quanto l'ordinamento in parte è prescritto dallo stato.

Ciò che caratterizza lo stato moderno per Weber, dunque, è in primo luogo la regola giuridica totalmente positivizzata che trova la sua fonte esclusivamente nelle prescrizioni del detentore del potere. Lo stato moderno è, dunque, caratterizzato dal potere legislativo e dalla monopolizzazione della sua titolarità (monopolizzazione della legislazione). Ciò che garantisce obbedienza a tale monopolio è la sua razionalità che si traduce nella predeterminazione e nella controllabilità dei modi in cui si produce la volontà dei titolari del potere normativo. Detto in altri termini, la legittimazione dello stato moderno è possibile quando sono conoscibili i meccanismi procedurali della produzione di norme. Il potere dello stato moderno è in, questo senso, razionale, perché legale.

L'idea weberiana di legalità coincide, dunque, con una produzione di regole «formalmente corrette e stabilite nel modo consueto» (Weber, 1961, vol. I, p. 35): si tratta della legalità procedurale. E un insieme di norme legali serve a garantire la prevedibilità degli esisti delle relazioni sociali e a costituire «la disposizione ad obbedire a statuizioni» (Weber, 1961, vol. I, p. 35), ossia la credenza che un potere sia

legittimo perché legale.

Nella costruzione di Weber, quindi, il potere legale poggia su un serie di presupposti connessi ritenuti, nel loro insieme, validi. Questi sono: l'idea che «qualsiasi diritto possa essere statuito razionalmente» (Weber, 1961, vol. I, p. 212); la concezione del diritto come insieme di regole generali e astratte, il che reca con sé una giurisdizione e un'amministrazione che si sostanziano nell'applicazione, entro limiti regolati, di regole generali e astratte al caso concreto; l'idea che il potere sia impersonale, nel senso che il detentore del potere legale «mentre dispone e insieme comanda, da parte sua obbedisce all'ordinamento» (Weber, 1961, vol. I, p. 212) e al tempo stesso coloro che obbediscono lo fanno solo nei confronti del diritto e in quanto consociati.

Il potere legale, in ultima analisi, è tale perché giuridicamente definito e limitato. È quindi il tipo di potere in cui al massimo grado si manifesta la funzione del diritto che trasforma dei meri comandi in regole tecniche, eticamente neutre (G. Rebuffa, 1989, p. 64).

Accanto a tale caratteristica del potere legale razionale ve ne è un'altra sulla quale Weber concentra una larga parte della sua riflessione: il potere legale razionale si basa su di un apparato amministrativo burocratico complesso.

Come si è in precedenza osservato, Weber focalizza la sua analisi sul dato che ogni tipo di potere, anche quello tradizionale patrimonialistico, si serve di un apparato amministrativo, di una «impresa politica», come al chiama Weber, per il suo mantenimento e, dal punto di vista strutturale, ogni tipologia del potere può essere identificata sulla base del tipo di amministrazione di cui si serve.

Nel documento I nomi della violenza (pagine 110-134)