• Non ci sono risultati.

DEROGABILITA’ DELLA DISCIPLINA, LA GARANZIA CONVENZIONALE ED IL REGRESSO DEL

5.3 Le pratiche commerciali aggressive

La possibilità di introdurre una disciplina delle pratiche commerciali aggressive è stata introdotta con il Libro Verde del 2 ottobre 2001, nell’ambito della consultazione in materia di tutela dei consumatori nell’Unione Europea.

La Commissione Europea rilevò che il divieto di pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori avrebbe potuto comprendere il divieto del ricorso da parte delle imprese alla violenza, alle molestie, alla costrizione o all' indebito condizionamento.

Volontà era quella di introdurre “un unico divieto generale di tutte quelle pratiche commerciali che falsano il comportamento economico dei consumatori”; si stabiliscono, dunque, norme riguardanti le pratiche commerciali aggressive; si chiarisce che le disposizioni sulle pratiche commerciali aggressive dovrebbero riguardare “le pratiche che limitano considerevolmente la libertà di scelta del consumatore” e che si tratta di

“pratiche che comportano il ricorso a molestie, coercizione, compreso l'uso di forza fisica e indebito condizionamento”.

L'obiettivo era quello di tutelare specificatamente il consumatore da tutte quelle pratiche sleali in grado di pregiudicare in maniera considerevole la sua libertà di scelta, per effetto di ingiuste intromissioni all'interno della sua vita, esercitate attraverso molestie, coercizioni o indebito condizionamento.

La disciplina in esame è oggi riversata all'interno degli articoli 24,25 e 26 del codice del consumo; inoltre è stata introdotta una disposizione generale che definisce la fattispecie in esame quale species del genus pratiche commerciali sleali.

In particolare, si considera aggressiva la pratica commerciale che, tenuto soprattutto conto delle caratteristiche e delle circostanze del caso concreto, riesca a limitare ossia sia idonea a limitare in maniera considerevole la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio e, lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che il consumatore altrimenti non avrebbe mai preso.

Può essere considerata inoltre aggressiva qualsiasi condotta del professionista che rientri nella nozione di “pratica commerciale” dettata dalla lettera d) dell'art.18 del codice del consumo e che venga realizzata attraverso molestie, coercizione o indebito condizionamento.

Questa condotta deve tradursi in una pratica commerciale che abbia quale effetto diretto quello di indurre il consumatore a decidere in maniera diversa rispetto al normale.

In dottrina e in giurisprudenza è assodato che le pratiche commerciali aggressive sono connotate da due elementi: il primo di carattere strutturale, rappresentato da atti che consistono in molestie coercizione compreso il ricorso alla forza fisica o all' indebito in condizionamento, e uno di carattere funzionale rappresentato dalla capacità della pratica di produrre un effetto distorsivo sulla realtà di scelta del consumatore.

Le pratiche aggressive sono distinte dalle pratiche commerciali ingannevoli.

Le seconde influenzano il processo di formazione della volontà del consumatore nel senso di indirizzarlo verso un certo prodotto o verso certe condizioni contrattuali, utilizzando tecniche di convincimento sottili, imperniate sulle informazioni scorrette.

Le prime mirano alla base la libertà di scelta del consumatore, tramite l'adozione di condotte anche puramente fisiche rivolte ad estorcere il suo consenso.

Le pratiche ingannevoli hanno una portata decettiva rispetto alla decisione commerciale, quelle aggressive hanno una valenza estorsiva più generale della libertà di scelta del consumatore e puntano a sfruttare le sue debolezze caratteriali, emotive e culturali.

Esse incidono in modo particolarmente invasivo sull'autodeterminazione del consumatore e proprio questa caratteristica spiega il richiamo della necessità di tutelarne la libertà di scelta e di comportamento.

Ai fini di valutazione della presunta aggressività di una pratica commerciale, la locuzione “molestie” non è stata chiaro oggetto di definizione normativa; in primis perché la disciplina delle pratiche commerciali sleali é autonoma e svincolata, non rinviando a nozioni interne del diritto nazionale.

In secondo luogo la direttiva di riferimento mira a realizzare un'armonizzazione completa delle legislazioni degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali e, in sede di recepimento, proprio per questo motivo non sono stati concessi ai legislatori nazionali margini di discrezionalità.

Autori come De Cristofaro affermano che “le pratiche aggressive sono tutti quei comportamenti che, per modalità, tempo, luogo e durata devono essere potenzialmente o attualmente idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio, in relazione al prodotto, e avere le capacità di indurlo ad assumere decisioni commerciali non volute”.

Alle pratiche commerciali aggressive basate sulle molestie si devono aggiungere anche tutte quelle pratiche realizzate attraverso atti di coercizione, poste in essere dal professionista nei confronti del consumatore.

Con riguardo alle pratiche commerciali aggressive è necessario affermare, inoltre, che esse richiamano il classico il vizio del consenso.

La violenza, a tal fine, può manifestarsi sotto due forme diverse: la violenza fisica e la violenza psichica, la vis absoluta e la vis compulsiva.

Mentre nel caso di violenza fisica la volontà del soggetto che subisce la violenza manca del tutto e il negozio giuridico non potrà che essere nullo, nel caso di violenza psichica la minaccia di un male ingiusto è rivolta a un soggetto per estorcergli il consenso e, poi, stipulare un contratto o, più in generale, realizzare altri tipi di negozi giuridici.

Il professionista può poi porre in essere pratiche commerciali aggressive basate su atti di indebito condizionamento del consumatore.

Questa nozione è stata definita con termini identici rispetto a quelli forniti dal legislatore comunitario.

Costituisce, in particolare, indebito condizionamento “lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o alla minaccia di tale ricorso, in modo tale da limitarne notevolmente le capacità di prendere una decisione consapevole”.

Suddetta limitazione deve portarlo a prendere una decisione che, pur consapevole, non risponde alla volontà del consumatore.

Il pregiudizio alla libertà di scelta o di comportamento causato dalla pratica commerciale aggressiva deve essere valutato con le riguardo al consumatore medio, già utilizzato come parametro di riferimento ai fini dell'applicazione del divieto generale di porre in essere pratiche commerciali scorrette, previsto dall'articolo 20 del codice del consumo.

Nel caso concreto una valutazione di tal genere potrà essere anche compiuta in riferimento ad un consumatore più debole (si pensi alla pratica commerciale aggressiva posta in essere nei confronti di bambini e adolescenti, o di soggetti che si trovano in situazioni di particolare debolezza psicologica ).

Per questo motivo deve ritenersi implicito e doveroso il richiamo all' ulteriore nozione di “consumatore particolarmente vulnerabile” alla pratica o al prodotto cui essa fa riferimento, in ragione della sua infermità mentale o fisica, della sua età o ingenuità, nozione specificata nell'articolo 20 nel codice del consumo.

Infine, è necessario sottolineare come anche per le pratiche aggressive, vi sia un catalogo preciso ex art. 26: si tratta di pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive.

E’ la cosiddetta “black list” ed alcuni esempi sono: creare l' impressione che il consumatore non possa lasciare i locali fino alla conclusione del contratto; effettuare visite presso l'abitazione del consumatore, ignorando gli inviti a lasciare la sua residenza; effettuare ripetute non richieste sollecitazioni commerciali per telefono;

imporre al consumatore che intenda presentare una richiesta di risarcimento del danno in virtù di una polizza di assicurazione, di esibire documenti che non possono ragionevolmente essere considerati pertinenti per stabilire la fondatezza della richiesta;

esigere il pagamento immediato differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito ma che il consumatore non ha richiesto.

5.4 Il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di