END POINTS PRIMARI:
8.3 PREDITTORI DI MORTALITA’
Caratteristiche dei pazienti andati incontro a decesso durante il ricovero (mortalità tardiva)
In Tabella 26 sono riportati i dati su sesso, età, terapia domiciliare e origine traumatica dei pazienti deceduti durante il ricovero (totale = 99) confrontate con i pazienti non deceduti durante il ricovero.
Esito ricovero E. vie aeree, n
(%) Politrauma, n (%) Ematoma rifornito, n (%)
Ematuria,
n (%) Metrorragia, n (%) Dimissione, n (%) 13 (2,5) 5 (0,9) 7 (1,3) 3 (2,4) 5 (0,9)
Decesso nel ricovero,
75 Caratteristiche pazienti Deceduti in
ricovero
Non deceduti Significatività
Sesso maschile 57 295 ns Sesso femminile 42 227 ns Età (media ± SD), 72,30 ± 17,88 69,38 ± 18,47 ns Assunzione domiciliare di FANS 0 6 ns Assunzione domiciliare di IPP 24 67 ns Origine traumatica dell’emorragia 23 151 ns
Tabella 26 – Caratteristiche dei pazienti deceduti durante il ricovero.
Le associazioni fra parametri vitali (pressione arteriosa sistolica e frequenza cardiaca), valori degli esami ematochimici (emoglobina plasmatica, creatininemia, EGFR, conta piastrinica, INR) e mortalità tardiva durante il ricovero sono riportate in Tabella 27 con la relativa significatività.
76 Pazienti deceduti durante ricovero Pazienti non deceduti Significatività Pressione arteriosa sistolica (mmHg) 137,3 ± 85,15 136,25 ± 29,22 ns Frequenza cardiaca (bpm) 86,83 ± 20,59 84,13 ± 16,11 ns Hb plasmatica (mg/dL) 11,55 ± 2,79 11,30 ± 2,77 ns Creatinina plasmatica (mg/dL) 1,15 ± 0,68 1,00 ± 0,45 p = 0,06 EGFR (mL/min/1.73 m2) 74,86± 51,50 77,39± 31,23 p = 0,04 Piastrine (n°/mm3 x 103) 217,44 ± 101,58 221,93 ± 85,77 ns INR 1,29 ± 0,43 1,26 ± 0,50 p = 0,03 Durata ricovero 9,74 ± 13,34 11,10 ± 13,34 p < 0,001
Tabella 27 – Parametri vitali ed esami ematochimici dei pazienti deceduti durante il ricovero.
Dall’analisi statistica, le variabili EGFR (p = 0,04), INR (p = 0,03) sono risultate significativamente diverse fra i due sottocampioni di pazienti deceduti durante il ricovero e non deceduti. I valori di creatinina sono risultati ai limiti della significatività (p=0,06).
La minor durata di ricovero è risultata significativamente legata (p< 0,001) ad una maggior probabilità di decesso durante il ricovero stesso, con una durata media di ricovero di 9,74 ± 13,34 giorni per i pazienti deceduti durante il ricovero e 11,10 ± 13,34 giorni per i pazienti non deceduti.
77 E’ stata inoltre effettuata una regressione logistica per la predizione della mortalità: per cui sono risultate statisticamente significative le variabili: età (p = 0,04), creatinina (0,03), e ai limiti: EGFR (0,06).
EGFR come valore predittivo di sopravvivenza
Eseguendo una curva ROC empirica per variabili non parametriche per la correlazione fra il valore di EGFR e sopravvivenza, si trova che il valore di EGFR di cut-off che predice la sopravvivenza con una sensibilità del 41,9% ed una specificità del 75% è pari a valori di EGFR ≥ 81,79 ml/ min/1.73 m2 con un valore predittivo positivo pari a 88%
(Figura 17).
78 8.4 ENDPOINT SECONDARIO
La durata media di ricovero è stata di 10,8 giorni (IQR = 9 giorni), questa risulta significativamente minore di circa 2 giorni nei pazienti con emorragia di origine traumatica rispetto ai pazienti con emorragia non traumatica (p=0,02).
Durata media del ricovero (media ± SD) Significatività Emorragia traumatica 9,5 ± 11,4 p=0,02 Emorragia non traumatica 11,3 ± 13,9 p=0,02
Tabella 18 – Durata media del ricovero nelle emorragie traumatiche e non.
Figura 18 – Durata media del ricovero nelle emorragie traumatiche e non.
8,5 9 9,5 10 10,5 11 11,5
79 9. DISCUSSIONE
Lo studio, comprendente i pazienti con sanguinamento maggiore provenienti da una popolazione non selezionata che riflette il contesto della vita reale, ha evidenziato alcune caratteristiche della presentazione, della gestione e dell’esito degli stessi.
La popolazione, composta in percentuali simili da maschi e femmine, presentava un’età media elevata con una prevalenza delle fasce d’età sopra i 65 anni, in cui le comorbidità aumentano e la probabilità di andare incontro a sanguinamento maggiore è più elevata, anche a causa delle terapie multi farmacologiche comprendenti farmaci anticoagulanti o antiaggreganti.
La prevalenza delle emorragie intracraniche e gastrointestinali rispetto alle altre sedi di sanguinamento è in accordo con i dati provenienti dal mondo reale presenti in letteratura sia per quanto riguarda l’incidenza che la mortalità, superiori rispetto alle altre sedi emorragiche.
Un dato che si discosta dalla letteratura è, invece, la mancanza di una correlazione fra tipo di farmaco antiaggregante o anticoagulante e sede di sanguinamento. Nei pochi studi di vita reale esistenti sulla correlazione fra tipo di farmaco anticoagulante e sede di sanguinamento maggiore gli AOD risultano essere più sicuri rispetto ai VKAs, nello specifico per le emorragie intracraniche, e l’assunzione di ASA sembra correlare ad un rischio maggiore di emorragie gastrointestinali ed intracraniche.
Il dato di non correlazione che emerge dal presente studio può essere spiegato considerando la natura non selezionata della popolazione studiata: la maggioranza dei soggetti studiati (59%) non assumeva alcun tipo di terapia e solo il 41% (209 pazienti) era in terapia con anticoagulanti o antiaggreganti: nonostante il numero di pazienti costituenti i sottogruppi sia discreto, è probabile che la numerosità dei campioni abbia condizionato negativamente la significatività statistica delle associazioni.
Inoltre, non è stata rilevata una differenza significativa nella mortalità fra i gruppi dei pazienti in terapia con anticoagulanti o antiaggreganti e i pazienti che non assumevano alcun tipo di terapia antiemostatica.
Oltre al dato statistico, la non significatività della correlazione sede-farmaco può essere indice del fatto che gli eventi emorragici non siano diretta conseguenza
80 dell’assunzione di anticoagulanti o antiaggreganti, come alcuni studi sembrano suggerire, ma che siano espressione di patologie sottostanti correlate alla sede di sanguinamento e che i farmaci agiscano esclusivamente da facilitatori ostacolando il processo emostatico. Nonostante la non significatività delle correlazioni, la prevalenza dell’aspirina come farmaco maggiormente assunto (considerate le numerose indicazioni terapeutiche) e più frequente nei pazienti con emorragie intracraniche (15,3% del totale dei soggetti con emorragie intracraniche) e gastrointestinali (19,8% del totale dei soggetti con emorragie gastrointestinali) è in linea con i dati di vita reale che segnalano un’associazione positiva fra ASA e le sedi di sanguinamento sopracitate.
L’analisi del tipo di interventi terapeutici eseguiti in DEA ha rilevato come alcune procedure siano estremamente specifiche per la diagnosi ed il trattamento di sedi distinte di sanguinamento come nel casi dell’endoscopia per la diagnosi e la terapia delle emorragie gastrointestinali e delle vie aeree o della somministrazione di fibrinogeno nei politraumi (come consigliato dalle linee guida più recenti per la gestione delle emorragie maggiori traumatiche). L’impiego di emoderivati è considerevole soprattutto nel caso di soggetti con emorragie gastrointestinali, che vanno incontro in più della metà dei casi (50,9%) a trasfusione: questi sono infatti fra i pazienti che più spesso si presentano con valori di emoglobina plasmatica e pressione arteriosa sistolica ridotti e frequenza cardiaca elevata, segni che correlano con instabilità emodinamica.
Al contrario, i pazienti con emorragie intracraniche presentavano più frequentemente un quadro opposto con ipertensione, frequenza cardiaca minore o normale ed emoglobina plasmatica nei limiti della norma. Ciò è in accordo con la fisiopatologia delle emorragie intracraniche in cui la perdita di sangue è limitata ma i riflessi nervosi autonomici (riflesso di Cushing), derivanti dall’aumentata pressione intracranica, alterano i parametri vitali nel senso dell’ipertensione e, tardivamente, della bradicardia.
L’analisi degli endpoint primari e secondari evidenzia come la mortalità precoce in DEA sia molto bassa (1,2%) e rappresentata principalmente dai politraumi che sono, in maniera indipendente, associati ad elevata mortalità. Il tasso di mortalità durante il ricovero è, come prevedibile, più elevato (15,9%) a causa del manifestarsi delle complicanze del sanguinamento o per la mancata risoluzione delle condizioni compromesse dei pazienti.
81 I predittori di mortalità individuati sono anche indicatori dello stato di compromissione generale del paziente (età), di disfunzione renale (EGFR e creatinina) e di alterazioni della coagulazione (INR). L’alterazione dell’ultimo fattore è correlata fortemente all’uso di farmaci anticoagulanti che si confermano quindi, anche se indirettamente, legati negativamente alla sopravvivenza in caso di sanguinamento maggiore. L’aumento della creatininemia e la riduzione dell’EGFR sono indici di danno renale e nel contesto specifico potrebbero essere considerati come indicatori di danno sistemico in quanto risultano significativamente alterate in tutti i tipi di sanguinamento. Non sono stati indagati marker di danno d’organo specifici (indici di funzionalità epatica, troponina, LDH, Glasgow Coma Scale) che, se alterati, potrebbero confermare l’ipotesi che la compromissione della funzione renale sia in realtà solo una delle espressioni di una condizione di disfunzione multiorgano associata al sanguinamento maggiore.
L’endpoint secondario evidenzia che la durata del ricovero nei pazienti con emorragia ad origine traumatica è significativamente minore rispetto ai sanguinamenti spontanei, la ragione sottostante potrebbe risiedere nella natura confinata delle lesioni in caso di sanguinamento ad origine traumatica con limitate ripercussioni sistemiche (come nel caso degli ematomi riforniti o delle emorragie intracraniche). Questo tipo di sanguinamenti, inoltre, si verifica generalmente in soggetti poco compromessi che, una volta risoltosi il decorso dell’emorragia, possono essere dimessi più rapidamente senza la necessità di gestire altre comorbidità come può avvenire nel caso di altre emorragie ad origine non traumatica. Un’analisi delle comorbidità e delle diagnosi di dimissione dal ricovero dei pazienti in esame potrebbe supportare quest’ipotesi.
82 10. CONCLUSIONI
Il sanguinamento maggiore è una condizione ad elevata mortalità e dalla complessa gestione che si riscontra frequentemente nella pratica della medicina d’urgenza, esso richiede un impiego di risorse sanitarie notevoli sia nel contesto del trattamento iniziale in DEA che successivamente durante il ricovero ospedaliero.
I principali determinanti di mortalità in caso di sanguinamento maggiore sono rappresentati dall’età del paziente, dai valori di creatinina ed EGFR e dall’alterazione dell’INR senza distinzione fra sede di emorragia o terapie farmacologiche associate. Dai dati raccolti non risulta evidente nè una correlazione significativa fra tipo di farmaco anticoagulante o antiaggregante assunto e sede di sanguinamento né una diversa mortalità fra soggetti in terapia antiemostatica e soggetti non in terapia.
Le caratteristiche della presentazione e della gestione del sanguinamento maggiore non sono state ad oggi indagate in maniera esaustiva, soprattutto prendendo in esame i contesti di vita reale come i Dipartimenti di Emergenza e Accettazione. Una caratterizzazione accurata dei fattori predittivi di mortalità ed un’eventuale stratificazione del rischio dei singoli soggetti potrebbe portare ad un miglioramento della gestione operativa e all’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse diagnostico-terapeutiche.
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