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Il sanguinamento maggiore: i dati di vita reale nel DEA di Pisa

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Academic year: 2021

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1 DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE

TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Il sanguinamento maggiore:

i dati di vita reale nel DEA di Pisa

RELATORE:

Dott. Massimo Santini

CORRELATORE:

Dott. Alessandro Cipriano

CANDIDATO:

Martina Chiriacò

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(3)

3

RIASSUNTO

INTRODUZIONE

Il sanguinamento maggiore rappresenta una delle principali condizioni gestite nell’ambito della medicina d’urgenza. La patogenesi del sanguinamento dipende da diversi fattori ed è anche strettamente correlata all’impiego di farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti, soprattutto nella percentuale più anziana della popolazione. La valutazione e la gestione dei pazienti con sanguinamento maggiore richiede l’integrazione di vari aspetti diagnostico-terapeutici: diagnosi rapida, riconoscimento di variabili predittive di esito sfavorevole, individuazione dell’intervento terapeutico ideale in base alle caratteristiche del singolo paziente. Una conoscenza approfondita degli aspetti critici della gestione del sanguinamento maggiore in pronto soccorso può diminuire la mortalità e le complicanze ad esso associate.

OBIETTIVI

Lo scopo della presente tesi è di effettuare un’indagine relativa ai pazienti giunti al Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di II livello dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana per sanguinamento maggiore nell’anno 2016. L’analisi statistica individua le caratteristiche epidemiologiche, anamnestiche ed obiettive dei pazienti in esame, le associazioni fra tipo di farmaco antiaggregante e/o anticoagulante assunto e la sede di sanguinamento, le misure terapeutiche adottate, la mortalità e la durata della permanenza intraospedaliera. Lo scopo ultimo è la ricerca di fattori predittivi di outcome avverso che possano migliorare la gestione del paziente attraverso una personalizzazione degli interventi diagnostico-terapeutici.

MATERIALI E METODI

Il presente è uno studio retrospettivo che indaga i pazienti con sanguinamento maggiore, giunti presso il DEA dell’AOUP, nel periodo di 1 anno compreso fra il 1° gennaio 2016 ed il 31 dicembre 2016. Di tutti i pazienti sono stati raccolti dati anamnestici (età, sesso e comorbidità) e obiettivi, parametri vitali, dati laboratoristici rilevanti, indicazioni alla terapia anticoagulante o antiaggregante, sede del sanguinamento, interventi terapeutici medici (emotrasfusioni, somministrazione di

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4 antidoti o agenti emostatici, ecc.) o chirurgici (endoscopia, trattamenti endovascolari, ecc.), la mortalità e la lunghezza della permanenza intraospedaliera. I dati sono stati elaborati tramite un software statistico da cui sono stati estrapolati i risultati dello studio.

RISULTATI

Caratteristiche della popolazione: La popolazione studiata comprende 661 pazienti trattati per sanguinamento maggiore ed è costituita da 305 pazienti di sesso femminile (46,14 % del totale) e 356 pazienti di sesso maschile (53,85 % del totale).

I sanguinamenti maggiori rappresentano lo 0,74% del totale degli accessi effettuati nel DEA dell’AOUP nell’anno 2016 (661 pazienti su 89.283 accessi). La distribuzione per età mostra una prevalenza della fascia di popolazione > 65 anni e della fascia d’età fra 30 e 50 anni nelle emorragie associate a politrauma. La sede emorragica prevalente è risultata essere quella intracranica, seguita dalle emorragie gastrointestinali. Le sedi emorragiche maggiormente associate a trauma sono state le emorragie intracraniche (32,6%), quelle meno frequentemente traumatiche sono risultate essere le emorragie gastrointestinali.

Il 41% dei pazienti assumeva terapie anticoagulanti o antiaggreganti ed il farmaco più frequentemente assunto è risultato essere l’aspirina, non è stata rilevata una correlazione significativa fra tipo di terapia anticoagulante o antiaggregante assunta e sede emorragica. Inoltre, non è stata rilevata una differenza significativa nella mortalità fra i gruppi dei pazienti in terapia con anticoagulanti o antiaggreganti e i pazienti che non assumevano alcun tipo di terapia antiemostatica.

L’analisi delle terapie effettuate in DEA ha evidenziato che i pazienti con emorragia gastrointestinale sono i più sottoposti ad emotrasfusioni, il fibrinogeno viene impiegato quasi esclusivamente nei traumi, l’antidoto specifico per dabigatran idarucizumab è stato utilizzato in un solo caso di sanguinamento life-threatening.

Endpoint primari: La mortalità in DEA è pari all’1,2% ed è significativamente correlata a politrauma. La mortalità durante il ricovero è pari al 15,9% ed è risultata indipendente dalla sede di sanguinamento, dal trattamento effettuato in DEA, dalla terapia domiciliare, sesso ed età.

Come predittori di mortalità sono stati individuati l’età, la creatinina plasmatica all’ingresso, il valore di INR all’ingresso ed il valore di EGFR all’ingresso. EGFR è

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5 risultata essere una variabile indipendente in grado di predire la mortalità durante il ricovero quando inferiore a 81,79 ml/ min/1.73 m2 (specificità = 75%, VPP = 88%).

Endpoint secondari: La durata media del ricovero è risultata minore nei pazienti con emorragia di origine traumatica rispetto ai pazienti con emorragia non traumatica.

CONCLUSIONI

Lo studio ha evidenziato alcune caratteristiche della presentazione dei sanguinamenti maggiori in DEA: al contrario di quanto suggerito dagli studi su popolazioni selezionate non è presente un’associazione fra tipo di farmaco antiaggregante o anticoagulante e sede di sanguinamento, i fattori predittivi di mortalità sono indicatori dello stato di compromissione generale dell’organismo (età), di danno renale (EGFR e creatinina) e di alterazione della coagulazione (INR). Infine, è emerso che la gestione del sanguinamento maggiore richiede un impiego di risorse diagnostico terapeutiche notevoli sia nel contesto del trattamento immediato in DEA che, successivamente, durante il ricovero ospedaliero.

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6 1. SOMMARIO ...p. 6

2. ABBREVIAZIONI...p. 8 3. INTRODUZIONE...p. 9 3.1 Definizione Sanguinamento Maggiore...p. 9 3.2 Epidemiologia...p.10

3.2.1 Epidemiologia dei sanguinamenti associati a terapie

anticoagulanti ...p. 12 3.2.2 Epidemiologia dei sanguinamenti associati a terapie

antiaggreganti...p. 17 3.2.3 Importanza dei dati “real-life” ...p. 19 3.3 Fattori di rischio per sanguinamento ...p. 20 3.3.1 Fattori di rischio associati a terapie anticoagulanti...p. 22 3.3.2 Fattori di rischio associati a terapie antiaggreganti...p. 26 3.4 Fattori associati a mortalità in caso di sanguinamento maggiore...p. 28

4. VALUTAZIONE E TRATTAMENTO DEI SANGUINAMENTI

MAGGIORI IN EMERGENZA ...p. 29 4.1 Riconoscimento dell’emorragia...p. 30 4.2 Rianimazione iniziale...p. 30 4.2.1 Trasfusioni ed emocomponenti...p. 32 4.3 Monitoraggio e controllo dell’emorragia...p. 33 4.4 Gestione della coagulazione...p. 35 5. TERAPIE ANTICOAGULANTI E SANGUINAMENTO

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7 5.1 Eparine a basso peso molecolare...p. 39 5.2 Warfarin...p. 40 5.3 Anticoagulanti orali diretti...p. 42 5.3.1 Inibitori diretti della trombina (dabigatran)...p. 42 5.3.2 Inibitori del fattore Xa attivato (rivaroxaban, apixaban,

edoxaban)...p. 43

6. TERAPIE ANTIAGGREGANTI E SANGUINAMENTO

MAGGIORE...p. 45

7. MATERIALI E METODI...p. 46

8. RISULTATI...p. 53

8.1 Caratteristiche della popolazione...p. 53 8.2 Endpoint primari...p. 70 8.3 Endpoint secondario...p. 74

9. DISCUSSIONE...p. 79

10. CONCLUSIONI...p. 82

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8 ABBREVIAZIONI

AOD: Anticoagulanti orali diretti aPTT: Activated partial thromboplastin time

ASA: Acetyl salicylic acid, aspirina BMI: Body mass index

CABG: Coronary artery bypass graft DEA: Dipartimento di emergenza e accettazione

EC: Emazie concentrate EP: Embolia polmonare

FAST: Focused assessment with sonography in trauma

HEPTEM: Heparinase modified thromboelastometry

HIT: Heparin induced thrombocytopenia INR: International normalized ratio IPP: Inibitori di pompa protonica IQR: Interquartile range

ISTH: International Society of Thrombosis and Haemostasis

LGIB: Lower gastrointestinal bleeding PFC: Plasma fresco congelato

PT: Prothrombin time

PTCA: percutaneous transluminal coronary angioplasty

ROTEM: Rotational thromboelastometry SCA: Sindrome coronarica acuta

SICH: Sponteneous intracerebral hemorrhage

TEA: Tromboendarterectomia TEG: thromboelastography TEV: trombo-embolismo venoso TIA: Transient Ischemic Attack TTR: tempo in range terapeutico TVP: trombosi venosa profonda UGIB: Upper gastrointestinal bleeding VKAs: Vitamin K antagonists

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9 3. INTRODUZIONE

3.1 DEFINIZIONE SANGUINAMENTO MAGGIORE

Nel corso degli anni sono stati utilizzati vari criteri per la definizione di sanguinamento maggiore, sia in ambito clinico che di ricerca. Data la discordanza dei parametri utilizzati per classificare i sanguinamenti maggiori sono emerse difficoltà importanti nella comparazione dei risultati ottenuti dai trial clinici, nell’esecuzione di meta-analisi e nel conseguimento di risultati affidabili e significativi riguardanti le caratteristiche, la gestione e l’incidenza dei sanguinamenti maggiori.

Attualmente, la definizione di sanguinamento maggiore in pazienti non chirurgici più utilizzata ed accreditata è quella fornita dall’International Society of Thrombosis and Haemostasis (ISTH), sviluppata con lo scopo specifico di fornire una definizione unificata e comprensiva dei sanguinamenti maggiori fatali che non sia basata sulla relazione con l’utilizzo di farmaci antiemostatici (anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici e farmaci fibrinolitici). Questo si distingue dalla tipica rappresentazione del sanguinamento maggiore come outcome relativo alla sicurezza dei farmaci interferenti con la funzione emostatica nei relativi studi.

Secondo i criteri ISTH vengono considerati “maggiori” i sanguinamenti che portano alla morte del soggetto, che pongono il paziente a rischio di vita, che causano sequele croniche o che richiedono l’impiego di risorse sanitarie considerevoli. Per i pazienti non chirurgici, quindi, vengono definiti maggiori i seguenti tipi di sanguinamento:

1. Sanguinamento fatale e/o

2. Sanguinamento sintomatico in un’area od organo critico: sanguinamenti intracranici, intraspinali, intraoculari, retroperitoneali, intrarticolari, intrapericardici, intramuscolari con sindrome compartimentale, e/o

3. Sanguinamento che provoca una riduzione dell’emoglobina plasmatica di ≥ 2 g/dL o che richiede la trasfusione di almeno 2 unità di sangue intero o emazie concentrate. [1]

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10 3.2 EPIDEMIOLOGIA

L’incidenza ed il relativo andamento negli anni degli accessi nei Dipartimenti di Emerganza ed Accettazione (DEA) sia in Italia che all’estero per sanguinamento maggiore non sono mai stati documentati efficacemente e i dati sono limitati ai vari tipi di emorragie suddivise per sede, senza tuttavia essere accompagnati da una stima complessiva della problematica e dei costi sanitari ad essa associati, nonostante questi rappresentino una quota importante dell’impiego delle risorse sanitarie diagnostico-terapeutiche.

I dati ad ora disponibili in letteratura sono prevalentemente rappresentati dai sanguinamenti associati a terapie anticoagulanti ed antiaggreganti e la maggior parte degli studi a tal proposito appartiene alla categoria dei trial clinici condotti per la valutazione del profilo di sicurezza dei farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti, in particolare dei nuovi farmaci anticoagulanti orali diretti (AOD).

Analogamente ai dati sul numero di accessi in DEA e l’epidemiologia associata, sono scarsi anche i dati sulla mortalità ad essi relativa.

I dati disponibili su incidenza e mortalità correlate ai diversi tipi di sanguinamento considerati in base alla sede sono invece stati indagati ampiamente: di seguito sono riportati i dati più aggiornati sull’epidemiologia dei tipi di sanguinamento che più comunemente possono rientrare nei criteri ISTH di sanguinamento maggiore per localizzazione, fatalità e/o necessità diagnostico-terapeutiche. I dati su incidenza e mortalità delle diverse sedi di sanguinamento sono riportati in Figura 1.

- Emorragia subaracnoidea spontanea: presenta un’incidenza di circa 9/100.000 casi annui nei paesi occidentali con un’età media dei soggetti interessati di 60 anni, l’incidenza aumenta con l’età e presenta un’elevata mortalità ospedaliera, di circa il 20%. [2][3]

- Emorragia cerebrale parenchimale spontanea: presenta un’incidenza a livello mondiale di 24,6/100.000 casi all’anno, la mortalità a 30 giorni varia dal 35% al 52% e metà delle fatalità avvengono nelle prime 24 ore dall’insorgenza. [4]

- Emorragia subdurale: di rilievo soprattutto l’emorragia/ematoma subdurale post traumatico la cui incidenza è bassa 0.83/100.000/anno [5] e la cui

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11 mortalità varia dal 63% al 59% in relazione alla tempestività del trattamento.

[6] Di minor interesse per quanto riguarda la connotazione di sanguinamento

maggiore è l’espressione di emorragia subdurale in forma di ematoma subdurale cronico.

- Emorragia/Ematoma extradurale: assumono rilevanza clinica ed epidemiologica soprattutto le forme post-traumatiche con una bassa incidenza di 0.83/100.000/anno ed una mortalità che varia fra 0-57%. [5]

- Emoperitoneo: l’incidenza dell’emoperitoneo spontaneo non è facilmente calcolabile a causa della varietà di condizioni che possono determinarlo, fra queste vi sono cause di origine epatica, splenica, ginecologica e vascolare. È generalmente caratterizzato da alti tassi di mortalità (30% in caso di rottura di arterie mesenteriche, 75% in caso di rottura di varici, 36% per rottura di emangioma) [7]. L’emoperitoneo post traumatico ha una prognosi

generalmente peggiore con tassi di mortalità attorno al 43%. [8]

- Emorragie digestive superiori: il tasso di incidenza annuo nella popolazione generale è superiore a quello di ogni altro tipo di sanguinamento e si aggira intorno al valore di 1/1000 casi con tassi di mortalità che raggiungono il 14%.

[9]

- Emorragie digestive inferiori: presentano un tasso di incidenza annuo di 36/100.000, inferiore rispetto alle emorragie digestive superiori, con una mortalità stimata di 2,4-3,9%. [10]

- Emoftoe/Emottisi: raggiungono un tasso di mortalità che varia fra 2,5% e 38% a seconda della gravità del sanguinamento. [11]

- Emotorace: problematica principalmente legata a traumi toracici o a procedure toraciche invasive, presenta una prevalenza di circa 300.000 casi annui negli Stati Uniti con un elevato tasso di mortalità. [12]

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12 Figura 1 - Incidenza (n° casi/105/anno) e mortalità (%) delle diverse sedi di sanguinamento.

Dai dati sopra esposti appare evidente che pochi sforzi sono stati fatti in letteratura per la valutazione epidemiologica e la stima di incidenza, mortalità e costi dei sanguinamenti maggiori intesi come entità singola e unificata, in particolare nel contesto del mondo reale (le cosiddette “real-life survey”) al di fuori delle popolazioni estremamente selezionate dei trial clinici.

3.2.1 EPIDEMIOLOGIA DEI SANGUINAMENTI ASSOCIATI A TERAPIE ANTICOAGULANTI

I farmaci anticoagulanti, a causa del loro meccanismo di inibizione della cascata coagulativa, aumentano considerevolmente il numero di eventi emorragici nei pazienti che li assumono. La percentuale della popolazione in terapia con farmaci anticoagulanti è elevata ed interessa soprattutto gli anziani (>65 anni) che presentano un aumentato rischio emorragico a causa delle comorbidità: a titolo esemplificativo fra 2002 e 2006 la prevalenza dell’utilizzo del warfarin è aumentata nella popolazione generale dal 2.3% al 4.0% e nei pazienti sopra i 65 anni dal 7.3% to 12.8% come riportato in Figura 2. [70]

(13)

13 Figura 2 – Incremento della percentuale di popolazione in terapia con warfarin negli anni.

Eparina non frazionata ed eparine a basso peso molecolare (EBPM) Le eparine sono indicate per il trattamento di un ampio numero di patologie:

- Terapia anticoagulante per la profilassi ed il trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e della sua estensione.

- Profilassi della TVP e dell’embolia polmonare (EP) nel periodo post operatorio in pazienti sottoposti a chirurgia maggiore o a rischio, per altri motivi, di incorrere in eventi tromboembolici.

- Profilassi e trattamento dell’embolia polmonare.

- Coagulazione intravascolare disseminata acuta o cronica.

- Profilassi antitrombotica durante chirurgia vascolare o cardiochirurgia. - Profilassi e trattamento di embolizzazione periferica.

- Altro: circolazione extra corporea, dialisi.

L’assunzione di eparina non frazionata o di eparine a basso peso molecolare (EBPM) aumenta significativamente il rischio di sanguinamenti in qualsiasi sede, inoltre, se si

0 2 4 6 8 10 12 14 2002 2006 % età < 65 anni età > 65 anni

(14)

14 verificano sanguinamenti gastrointestinali o urinari è necessario indagare la presenza di lesioni occulte sottostanti.

In corso di terapia alcune emorragie potrebbero essere meno evidenti ma comunque significative, in particolare: emorragie surrenali che possono portare allo sviluppo di insufficienza surrenalica, emorragia ovarica (in particolare casi di corpo luteo emorragico nelle donne in età riproduttiva) ed emorragie retroperitoneali. Queste eventualità possono essere fatali se non riconosciute tempestivamente. Un’incidenza più elevata di sanguinamenti è stata rilevata nei pazienti di età superiore a 60 anni, in particolare di sesso femminile. [13]

Le EBPM sono più utilizzate rispetto all’eparina non frazionata in quanto offrono il vantaggio di una somministrazione sottocutanea ed una risposta anticoagulante più prevedibile, ma l’unico antidoto attualmente utilizzabile è il solfato di protamina la cui azione è dipendente dal peso molecolare dell’eparina in circolo, è infatti l’antidoto di scelta per il reversal dell’eparina non frazionata ma ha un’azione limitata nei confronti delle EBPM.

Per quanto riguarda il profilo di sicurezza non è chiaro se questo sia comparabile fra EBPM ed eparina non frazionata: la prevalenza di sanguinamento maggiore in pazienti trattati con eparine per eventi trombotici acuti (tromboembolismo venoso e sindrome coronarica acuta) risulta minore in pazienti trattati con EBPM rispetto all’eparina non frazionata esclusivamente nel caso di terapia effettuata per tromboembolismo venoso e, soprattutto, per dosi assunte una sola volta giornalmente.

In generale la scelta fra i due tipi di eparine viene effettuata in base alle caratteristiche dei singoli pazienti, fra cui BMI, funzione renale, reazioni avverse (trombocitopenia eparino-indotta), gravidanza e rischio di sanguinamento. Considerando che il sanguinamento maggiore, l’anemia e le trasfusioni sono predittori indipendenti di morbidità e mortalità in pazienti con trombo-embolismo venoso (TEV) o sindromi coronariche acute (SCA) è più importante effettuare la scelta del tipo di eparina in base al rischio emorragico del paziente piuttosto che all’efficacia terapeutica, che risulta comunque simile fra le due classi di eparina. [14]

Antagonisti della vitamina K (VKAs)

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15 - Trattamento/profilassi del tromboembolismo venoso e della sua estensione. - Complicanze tromboemboliche associate a fibrillazione atriale e/o sostituzione

valvolare cardiaca.

- In pazienti con pregresso infarto miocardico allo scopo di ridurre la mortalità e gli eventi tromboembolici come stroke o embolizzazione periferica.

- Diatesi trombofiliche come la sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

I sanguinamenti associati alla terapia con VKAs sono più frequenti durante il periodo iniziale della terapia in cui l’INR non è ancora nel range terapeutico ottimale. Nonostante si possano verificare sanguinamenti in qualsiasi sede e di qualsiasi entità, i sanguinamenti maggiori hanno un’incidenza annua che varia fra 0,6% e 2,7% o, come riportato in alcune meta-analisi, fra 1,4 e 3,4% dei pazienti trattati, con un’incidenza di sanguinamenti fatali fra 0,04 e 0,5% all’anno. [15,16]

Anticoagulanti orali diretti (AOD)

Gli anticoagulanti orali diretti sono diventati negli ultimi anni un’alternativa valida ed efficace alla terapia con VKAs e si distinguono in inibitori diretti della trombina (dabigatran) ed inibitori diretti del fattore X attivato (rivaroxaban, apixaban ed edoxaban).

Dabigatran

E’ indicato per la riduzione del rischio di stroke e di embolizzazione periferica in soggetti con fibrillazione atriale non valvolare, per il trattamento e la prevenzione della ricorrenza della TVP e dell’EP e per la profilassi di TVP ed EP a seguito di chirurgia per impianto di protesi d’anca e di ginocchio.

Nel trial clinico RE-LY per la valutazione della non inferiorità del dabigatran rispetto al warfarin per la riduzione di rischio di stroke in soggetti con fibrillazione atriale non valvolare è stato riscontrato che il rischio di sanguinamenti maggiori risultava simile nel gruppo trattato con warfarin rispetto a quello trattato con dabigatran 150 mg (incidenza %/annua di 3,11% per dabigatran vs 3,36 % per warfarin p < 0.05 ), con l’eccezione dei sanguinamenti gastrointestinali che si verificavano maggiormente durante la terapia con

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16 dabigatran. Nei pazienti trattati con dabigatran 110 mg l’incidenza di sanguinamenti maggiori era del 2,71%. [17,18]

Dabigatran è inoltre associato ad un rischio minore di emorragie intracraniche: la spiegazione biochimica di tale fenomeno può risiedere nella scarsa penetrazione della barriera ematoencefalica da parte della molecola e della minor inibizione della generazione della trombina rispetto al warfarin. Ciò permetterebbe un’emostasi più efficace in caso di emorragia intracranica. [19]

Rivaroxaban

È approvato con le stesse indicazioni di dabigatran ed in Europa ha anche ricevuto indicazione per la profilassi trombotica in caso di sindromi coronariche acute quando somministrato insieme con sola ASA o con ASA e clopidogrel o ticlopidina [26], gli studi

EINSTEIN DVT ed EINSTEIN PE hanno rilevato la riduzione di rischio relativo di sanguinamento maggiore del 46% rispetto alla terapia standard per TVP ed EP con enoxaparina + warfarin. Lo studio di sicurezza EINSTEIN-EXT ha inoltre rilevato tassi di sanguinamento maggiore dello 0,7% annuo (vs 0% placebo, p=0,11) ed un tasso di qualsiasi tipo di sanguinamento pari al 17,4%. [20,21,22]. Per quanto riguarda le emorragie

intracraniche, lo studio ROCKET AF ha evidenziato un tasso minore rispetto ai soggetti in terapia con warfarin (0,5% vs 0,7% annuo, p=0,02), contrastato tuttavia da un’incidenza maggiore di emorragie maggiori gastrointestinali (3,2% vs 2,2% annuo, p<0,001). [23]

Apixaban

Approvato in Europa per la prevenzione degli eventi tromboembolici venosi nei pazienti adulti sottoposti a intervento chirurgico di sostituzione elettiva dell'anca o del ginocchio, per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica nei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare.

Nello studio clinico di non inferiorità ARISTOTLE per la prevenzione degli eventi tromboembolici in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, i sanguinamenti maggiori sono stati riportati con un’incidenza annua minore rispetto ai soggetti in terapia

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17 con warfarin (2,13% vs 3,09% p <0,001), allo stesso modo delle emorragie intracraniche, gastrointestinali e di qualsiasi altro tipo di sanguinamento. [24]

Edoxaban

Indicato per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica nei pazienti adulti affetti da fibrillazione atriale non valvolare, trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e dell’embolia polmonare (EP) e prevenzione delle recidive di TVP ed EP negli adulti.

Negli studi clinici i sanguinamenti maggiori gastrointestinali sono stati segnalati più frequentemente durante il trattamento con edoxaban rispetto al trattamento con warfarin (1,51% vs 1,23% annuo, p<0,001), le emorragie intracraniche, i sanguinamenti maggiori o life-threatening ed i sanguinamenti clinicamente rilevanti non maggiori sono invece risultati meno frequenti sia con edoxaban a basso dosaggio (30 mg) che ad alto dosaggio (60 mg). [25]

Edoxaban ha ricevuto l’approvazione europea per la dose di 60 mg nella prevenzione delle complicanze tromboemboliche della fibrillazione atriale non valvolare con riduzione a 30 mg solo in particolari gruppi di pazienti

3.2.2 EPIDEMIOLOGIA DEI SANGUINAMENTI ASSOCIATI A TERAPIE ANTIAGGREGANTI

Verranno esaminati solo i farmaci antiaggreganti più utilizzati quali aspirina e clopidogrel come rappresentante della famiglia degli inibitori del recettore dell’ADP (farmaci clopidogrel-like).

Aspirina

È indicata a dosaggio variabile a seconda delle condizioni per:

- Prevenzione di trombosi coronarica: dopo infarto miocardico acuto, in pazienti con angina instabile, pazienti con angina stabile, pazienti con molteplici fattori di

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18 rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, obesità, diabete mellito e familiarità per cardiopatia ischemica).

- Prevenzione di eventi ischemici in pazienti con attacchi ischemici transitori (TIA) e a seguito di stroke.

- Prevenzione di occlusione di by-pass aortocoronarico e a seguito di angioplastica coronarica percutanea transluminale o endarterectomia carotidea (PTCA e TEA). - Prevenzione della trombosi durante la circolazione extracorporea o in pazienti

sottoposti ad emodialisi.

- Patologie reumatologiche: sindrome di Kawasaki, lupus eritematoso sistemico, osteoartrite, spondiloartropatie, artrite reumatoide.

Il tasso di incidenza annuo di sanguinamenti non fatali dei pazienti in monoterapia con aspirina a basso dosaggio (75-150 mg) è inferiore alla monoterapia con warfarin (3.3% vs 3.6%, intervallo di confidenza= 95%), tuttavia, i sanguinamenti fatali risultano più frequenti (0.4 % vs 0.2% intervallo di confidenza= 95%). In generale, i sanguinamenti in tutti i siti appaiono meno frequenti, tranne per quel che riguarda le emorragie gastrointestinali (1.5 % vs 0.9% intervallo di confidenza= 95%). [27]

Clopidogrel

Indicato per la prevenzione secondaria degli eventi trombotici a seguito di IMA recente, recente ictus ischemico, arteriopatia periferica obliterante o in caso di sindrome coronarica acuta in associazione ad ASA.

Il tasso di incidenza annuo di sanguinamenti non fatali dei pazienti in monoterapia con clopidogrel è superiore rispetto alla monoterapia con warfarin e con aspirina, riportando un tasso maggiore di sanguinamenti fatali e non fatali (5,6% vs 3.9 % con warfarin e 3.7 % con ASA), comprese le emorragie intracraniche (1% vs 0,6% con warfarin e 0,5% con ASA) e gastrointestinali (1,9 % vs 0,9 % con warfarin e 1,5% con ASA). [27]

(19)

19 3.2.3 IMPORTANZA DEI DATI “REAL-LIFE”

Gli studi sui sanguinamenti maggiori condotti nei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione presenti in letteratura sono esigui ed analizzano coorti poco numerose di pazienti. Sono, inoltre, quasi esclusivamente focalizzati sulla prevalenza dei sanguinamenti in pazienti con terapie anticoagulanti ed antiaggreganti in corso e si pongono l’obiettivo di validare i risultati degli studi clinici condotti in pazienti selezionati, confrontandoli con dati provenienti dal mondo reale in cui non è presente una selezione dei pazienti a monte.

Attualmente, per la popolazione italiana, lo studio di riferimento per l’analisi dei sanguinamenti maggiori in DEA è uno studio multicentrico italo-tedesco dove venivano considerati 806 pazienti in terapia con farmaci antagonisti della vitamina K (VKAs) o con anticoagulanti orali diretti (AOD) in cui si analizzava la mortalità a 30 giorni e si rilevava una prevalenza di emorragie intracraniche in pazienti trattati con VKAs piuttosto che con AOD ed una prevalenza delle emorragie gastrointestinali nei pazienti trattati con AOD. Il tasso di mortalità a 30 giorni era del 16%, superiore per i pazienti in terapia con VKAs. [28]

Altri studi, basati sull’analisi dei sanguinamenti in popolazioni non selezionate, che rispondono quindi alla definizione di dati “real-life” hanno confermato la superiorità degli AOD rispetto ai VKAs in termini di minor incidenza di sanguinamenti maggiori

[29] o una bassa incidenza di sanguinamenti maggiori in una popolazione ampia e poco

selezionata in terapia con Rivaroxaban [30], un’incidenza inferiore di emorragie

intracraniche e prognosi migliore per Dabigatran rispetto ai VKAs [31] ed un’incidenza di

emorragie gastrointestinali per Rivaroxaban e Dabigatran non significativamente differente rispetto ai VKAs [32]. Dati simili sono stati ottenuti anche per quanto riguarda

il confronto Apixaban – VKAs. [33]

Per ciò che concerne i trattamenti antiaggreganti è stata riportata un’incidenza maggiore di emorragie gastrointestinali ed intracraniche rispetto alle altre sedi di sanguinamento maggiore. [34]

(20)

20 Dai risultati sopra riportati si deduce che i dati a disposizione per la valutazione dell’epidemiologia e della prognosi dei sanguinamenti maggiori nell’ambito della popolazione generale sono scarsi e, per quanto in linea con i risultati dei trial clinici controllati, limitati esclusivamente alla valutazionre della sicurezza dei farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti.

3.3 FATTORI DI RISCHIO PER SANGUINAMENTO MAGGIORE

Attualmente le indicazioni per le terapie anticoagulanti sono numerose ed efficaci come prevenzione primaria e secondaria delle complicanze tromboemboliche in soggetti con fibrillazione atriale, impianto di valvole cardiache, ictus tromboembolici, tromboembolismo venoso, embolia polmonare, sindromi coronariche acute, procedure invasive cardiache, diatesi trombofilica.

Le complicanze emorragiche dei trattamenti anticoagulanti sono però frequenti, questo ha portato alla creazione di score di rischio che tengono in considerazione vari fattori predittivi legati alle comorbidità, a fattori legati al paziente e al tipo di farmaco che si intende impiegare. Questi score permettono di valutare rischi e benefici dell’instaurazione di una terapia anticoagulante ma possono essere utilizzati anche in soggetti per cui una terapia anticoagulante non è indicata o prevista e permettono di stimare clinicamente il rischio di sanguinamento in ogni singolo soggetto.

Lo strumento di quantificazione del rischio emorragico più utilizzato nella pratica clinica è lo score HAS-BLED, realizzato per la valutazione dei rischi e dei benefici dell’anticoagulazione nei pazienti con fibrillazione atriale: lo score quantifica il rischio di sanguinamento maggiore (definito come presenza di emorragia intracranica, necessità di ospedalizzazione, riduzione dei valori di emoglobina di > 2 g/dL, necessità di trasfusione) ad 1 anno. Lo score si adatta bene alle necessità di basarsi su dati provenienti dal mondo reale in quanto è stato sviluppato utilizzando una coorte di 3978 pazienti con fibrillazione atriale provenienti da un database di pazienti non selezionati. Lo score è stato sviluppato sulla base dei fattori di rischio per sanguinamento emersi dallo studio

(21)

21 della popolazione e ai fattori di rischio significativi per sanguinamento maggiore descritti in letteratura, fra questi i più importanti sono:

- Ipertensione arteriosa incontrollata (PA sistolica > 160 mmHg) - Alterata funzione renale/epatica

- Pregresso stroke (in particolare infarto lacunare) - INR labile (tempo in range terapeutico (TTR) < 60%) - Assunzione di alcol e farmaci antiaggreganti o FANS

In Tabella 1 è riportato l’acronimo inglese dello score con associati i punteggi assegnati per ogni criterio, considerando come fattori di rischio aggiuntivi anche l’età superiore a 65 anni e i pregressi sanguinamenti o predisposizione ai sanguinamenti (diatesi emorragiche). [35]

Tabella 1 – Score HASBLED.

Lettera Caratteristiche cliniche Punteggio accreditato

H Hypertension 1

A Abnormal renal and liver function (1 point each)

1 or 2 S Stroke 1 B Bleeding history or predisposition 1 L Labile INR 1 E Elderly (>65 years) 1

D Drugs or alcohol (1 point each)

(22)

22 Nella pratica clinica lo score HASBLED suggerisce cautela nella somministrazione di anticoagulanti in pazienti con fibrillazione atriale se il punteggio HASBLED risulta maggiore del punteggio CHADS2 indicando quindi che il rischio emorragico supera il

beneficio di prevenzione di ictus tromboembolico. [36]

3.3.1 FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI A TERAPIE ANTICOAGUALANTI

Più in generale, i fattori di rischio per complicanza emorragiche sono stati ampiamente studiati, soprattutto in relazione all’appropriatezza di trattamenti anticoagulanti.

I fattori di rischio variano in base alla sede dell’emorragia considerata, di seguito sono elencati i fattori di rischio legati alle varie sedi di possibile sanguinamento:

- Emorragie intracraniche: ipertensione, encefalopatia vascolare ischemica cronica, stroke, neoplasie intracraniche, endocardite infettiva.

- Emorragie gastrointestinali: pregressa emorragia gastrointestinale. - Emorragie oculari: degenerazione maculare senile.

Per quanto riguarda i fattori di rischio collegati alla terapia anticoagulante sono significativi:

- Lunghezza della terapia in atto: il rischio emorragico aumenta con ogni giorno di terapia in più. Alcuni studi sostengono che in caso di terapia con eparina il rischio emorragico massimo è raggiunto al terzo giorno di terapia ed in generale è più alto durante i primi 90 giorni di trattamento, probabilmente a causa di aggiustamenti di dose effettuati principalmente nel primo periodo di terapia e per il manifestarsi di lesioni occulte tendenti al sanguinamento. [38]

(23)

23 - Terapia con VKAs: rischio annuo di sanguinamento maggiore varia da 0,25 al 3% e rischio cumulativo a 4 anni del 25%, i pazienti ospedalizzati presentano un rischio superiore a quelli non ospedalizzati.

- Tipo di anticoagulante: il rischio di sanguinamento giornaliero in pazienti ospedalizzati trattati con eparina è pari a 2-5 volte quello di pazienti trattati con warfarin. Probabilmente la differenza è dovuta al maggior rischio di sanguinamento intrinseco ai pazienti per cui il trattamento con eparina risultava più indicato del trattamento con warfarin.

- Via di somministrazione dell’eparina: la somministrazione di eparina in infusione continua presenta dei tassi di sanguinamento più bassi rispetto ad una modalità di somministrazione intermittente, anche a causa delle dosi più alte somministrate per via intermittente. Non è nota una differenza significativa fra somministrazione endovenosa o sottocutanea.

- Intensità dell’effetto anticoagulante (misurata tramite aPTT per le eparine ed INR per warfarin): è predittiva di aumentato rischio emorragico solo per quanto concerne la terapia con VKAs. Nonostante ciò, possono verificarsi emorragie anche con valori di INR molto bassi (< 2.0). Il tasso minore di sanguinamenti si verifica con INR fra 2 e 3.

- Qualità del monitoraggio: un TTR (time in therapeutic range) elevato, >60%, è un buon indicatore della qualità della terapia con VKAs ed è correlato ad un minor tasso di sanguinamenti oltre che di complicanze tromboemboliche. Un miglioramento del TTR, che può essere problematico soprattutto nei soggetti più anziani e meno autonomi, può essere raggiunto tramite un’adeguata educazione dei pazienti e dei care givers riguardo la compliance terapeutica.

[38]

In generale, l’utilizzo di anticoagulanti predispone a sanguinamenti gastrointestinali, del tratto urinario e dell’orofaringe. [37]

(24)

24 I fattori di rischio emorragico relativi ai singoli pazienti possono essere distinti in fattori modificabili e non:

Fattori non modificabili

- Fattori genetici: fra i polimorfismi genetici che alterano il metabolismo dei farmaci anticoagulanti, i più studiati e conosciuti sono quelli relativi ai VKAs, in particolare la presenza delle varianti alleliche CYP2C9*2 e CYPC2C9*3 dell’enzima CYPC2C9 che regola la clearance metabolica dell’ S-enantiomero del warfarin si associa ad una riduzione del catabolismo della molecola con un aumento della sensibilità al warfarin e la necessità di abbassamento di dose per rientrare nel range terapeutico di INR, fino a raggiungere anche riduzioni 3,3 volte inferiori alla dose normale nei soggetti omozigoti per CYPC2C9*3. [39]

- Mutazioni di VKORC1 (enzima bersaglio inibito dai VKAs): se presente l’aplotipo A/A che determina una riduzione del 50% dell’attività enzimatica, è necessaria una sostanziale riduzione di dose della terapia con VKAs. In questi pazienti è tipico trovare valori di INR >5 nonostante un’adeguata compliance terapeutica. [37]

- Età: correlazione valida soprattutto per pazienti in terapia con eparina, nei pazienti trattati con VKAs il tasso di sanguinamenti fatali e maggiori in pazienti con età superiore a 69 anni varia dallo 0,64% al 3,2% annuo rispetto allo 0,12-0,6% dei pazienti < 40 anni. I soggetti anziani sono più sensibili all’azione dei VKAs a causa della riduzione della clearance metabolica, ciò si manifesta anche ai bassi dosaggi utilizzati all’inizio della terapia (5 mg) ed interessa principalmente il sesso femminile. Anche a causa della concomitante assunzione di farmaci interagenti, aumentata incidenza di cadute, emorragie intracraniche e gastrointestinali. [37]

- Sesso: il sesso femminile sembra correlare positivamente al rischio emorragico durante la terapia con eparina. [37]

(25)

25 - Etnia: gli asiatici sembrano essere più sensibili all’azione dei VKAs, richiedendo

dosi minori di farmaco per mantenere il range terapeutico di INR. [37]

- Pregressi sanguinamenti gastrointestinali: predispongono a sanguinamenti maggiori durante terapia con warfarin ma non con eparina [37]

- Comorbidità: contribuiscono ad aumentare il rischio emorragico in corso di terapia anticoagulante ipertensione, encefalopatia vascolare, fibrillazione atriale, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco congestizio, insufficienza renale cronica, epatopatia, diabete, anemia grave (ematocrito <30%), trauma. [37, 41]

- Neoplasie: i sanguinamenti maggiori sono più frequenti in pazienti che eseguono terapie anticoagulanti orali per la prevenzione secondaria a seguito di tromboembolismo venoso associato a neoplasie piuttosto che per altre cause, indipendentemente dal valore di INR, probabilmente a causa di fattori locali correlati alla presenza della massa neoplastica piuttosto che a causa di fattori sistemici. In questi pazienti è raccomandata la terapia con EBPM in prima linea dopo eventi di tromboembolismo venoso almeno nei primi tre mesi di terapia anticoagulante. [42]

Fattori modificabili

- Compliance terapeutica: in caso di terapia con VKAs, i pazienti di sesso maschile, giovani e senza storia di eventi tromboembolici sono più a rischio di scarsa compliance terapeutica con aumentato rischio di sanguinamento. Un ulteriore fattore predisponente alla bassa compliance è l’educazione insufficiente o di scarsa qualità offerta dal medico al momento della prescrizione terapeutica. [40]

- Assunzione di alcol: l’assunzione di quantità cospicue di alcol (≥ 8 unità alcoliche alla settimana) aumenta il rischio emorragico in pazienti trattati con eparina.

(26)

26 - Dieta: una scarsa assunzione di vitamina K con la dieta (pazienti nutriti enteralmente, trattati con antibiotici o con malassorbimento) può essere causa di un’aumentata sensibilità ai VKAs e maggior rischio di sanguinamento.

- Farmaci: aumentano il rischio emorragico in associazione agli anticoagulanti i FANS (in particolare aspirina 325 mg/die) o gli inibitori selettivi della COX-2, i diuretici (in particolare i tiazidici). Inoltre, l’associazione di farmaci anticoagulanti ed antiaggreganti aumenta il rischio emorragico in maniera superiore rispetto all’assunzione singola dei farmaci. [36, 37, 43]

3.3.2 FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI A TERAPIE ANTIAGGREGANTI

Le terapie antiaggreganti (aspirina e farmaci clopidogrel-like) sono generalmente considerate più sicure di quelle anticoagulanti dal punto di vista del rischio emorragico e di conseguenza prescritte occasionalmente in maniera impropria. Studi recenti suggeriscono che, in realtà, il rischio emorragico è comparabile fra i due tipi di terapie e che bisognerebbe prestare particolare attenzione ai rischi e benefici delle terapie antiaggreganti nei pazienti anziani (>65 anni) i quali presentano un tasso di qualsiasi tipo di sanguinamento inferiore ai pazienti trattati con anticoagulanti (riduzione di rischio relativo del 30%) ma un tasso di sanguinamenti maggiori simile, con l’eccezione delle emorragie intracraniche. Il vantaggio di sicurezza dei farmaci antiaggreganti potrebbe essere più significativo nei pazienti >80 anni. I dati presenti in letteratura sono spesso contrastanti al riguardo. [44]

I fattori di rischio per i sanguinamenti in corso di terapia antiaggregante sono stati indagati principalmente in relazione all’esecuzione di procedure interventistiche, in particolare cardiache (CABG, PTCA) nei pazienti sottoposti a terapie antiaggreganti periprocedurali, in questi casi la terapia con ASA aumenta significativamente il rischio di sanguinamento intra e post operatorio e la necessità di trasfusioni. I fattori predisponenti al sanguinamento in questo contesto sono simili ai fattori di rischio per il sanguinamento durante terapia anticoagulante, i principali sono riportati di seguito.

(27)

27 Fattori preoperatori

- Età avanzata (>70 anni) - Sesso femminile

- Anemia - Obesità

- Diabete mellito tipo 2 insulino-dipendente - Ridotta frazione d’eiezione

- Ipoalbuminemia - Consumo di alcol - Terapie con EBPM

- Coagulopatie ereditarie (Sindromi di Hermansky Pudlak, Bernard Soulier, Glanzmann)

- Sindromi mielodisplastiche, policitemia vera, lupus anticoagulans, β-talassemia, porpora trombocitopenica idiopatica.

Fattori legati alla procedura - Durata della procedura - Operazioni ripetute

- Tipo di operazione (procedure ad alto grado di complessità o aortiche pongono un rischio maggiore rispetto a interventi valvolari e CABG)

- Necessità di trasfusione durante la procedura

La frequenza di questi eventi si riduce per dosi minori di aspirina (75-150 mg/die) rispetto a dosi più elevate (500-1500 mg/die).

Alcuni soggetti dimostrano una iper-responsività all’azione antiaggregante dell’aspirina individuabile tramite il metodo, ormai poco utilizzato in ambito clinico, del tempo di emorragia: che in questi pazienti può superare i 12 minuti (valori normali: 2-5 minuti). Pur non essendo raccomandato uno screening della popolazione generale in procinto di intraprendere una terapia antiaggregante, è possibile effettuare il test in pazienti candidati a procedure interventistiche cardiache nell’ottica di limitare gli eventi

(28)

28 emorragici in quei pazienti che si dimostrano iper-responsivi all’azione antiaggregante dell’aspirina, ad esempio riducendo la dose di farmaco somministrata. [44,45]

Per quanto riguarda i fattori di rischio emorragico specifici per il verificarsi di emorragie intracraniche durante terapia con antiaggreganti piastrinici è stato rilevato che il riscontro di microemorragie cerebrali parenchimali, riscontrate tramite imaging diagnostico, in particolare numerose e lobari, correla ad un elevato rischio di emorragie intracraniche. [46]

I fattori di rischio sono quindi molteplici e sono da tenere i considerazione per evitare di aumentare il rischio emorragico di pazienti in cui i benefici di una terapia anticoagulante o antiaggregante non supererebbero le eventuali complicanze di un sanguinamento maggiore, la gestione clinica deve essere quindi integrata con la valutazione dei fattori di rischio anche per limitare quei casi in cui pazienti che beneficerebbero di una terapia anticoagulante non vengono trattati per la stima clinica di un rischio inferiore a quello reale.

3.4 FATTORI ASSOCIATI A MORTALITÀ IN CASO DI

SANGUINAMENTO MAGGIORE

La letteratura non offre molti studi che indagano i possibili fattori predittivi di mortalità o di complicanze nei pazienti con sanguinamento maggiore. Esistono studi limitati che analizzano questi aspetti nel contesto di popolazioni non selezionate anche se con specifiche patologie, è il caso di un recente studio giapponese su pazienti con fibrillazione atriale in trattamento anticoagulante (VKAs e AOD) in cui i soggetti con una Clearance della creatinina < 30 ml/min mostravano un rischio di sanguinamento maggiore superiore a soggetti con CrCl > 50 ml/min. [72]

Studi su pazienti chirurgici hanno inoltre individuato un aumentato rischio di sanguinamento maggiore ed una mortalità maggiore nei pazienti con valori di INR superiori a 1,1 e 1,3 rispettivamente. [73]

(29)

29

4. VALUTAZIONE E TRATTAMENTO DEI SANGUINAMENTI

MAGGIORI IN EMERGENZA

In caso di sanguinamento maggiore la diagnosi precoce e l’intervento tempestivo sono essenziali per garantire la sopravvivenza del paziente, è indicato infatti stabilire come priorità il controllo dell’emorragia in atto (tramite azione diretta come la compressione nel caso di lesioni traumatiche esposte, la chirurgia, l’endoscopia o la radiologia interventistica per l’embolizzazione della lesione) ed il mantenimento della perfusione agli organi vitali tramite la somministrazione di fluidi o componenti ematiche. È importante notare che alcuni dei criteri ISTH per la definizione di sanguinamento maggiore quali la fatalità del sanguinamento, la necessità di trasfusione di almeno 2 unità di sangue intero o emazie concentrate o la riduzione di almeno 2 mg/dL di emoglobina rispetto ai valori basali del soggetto, sono criteri che si possono valutare esclusivamente in maniera retrospettiva o in corso di terapia.

L’approccio clinico al paziente con sospetto sanguinamento maggiore si basa quindi principalmente su parametri clinici che sono altamente suggestivi della gravità del sanguinamento in atto, fra questi rientrano una frequenza cardiaca > 110 bpm e/o una pressione arteriosa sistolica < 90 mmHg e altri segni di ipoperfusione (alterazione dello stato di coscienza, oliguria, pallore, disidratazione, tempo di refill capillare aumentato, etc.). [47]

La gestione del paziente con emorragia richiede un approccio multidisciplinare che comprende l’interazione del personale medico, infermieristico e della disponibilità di laboratori d’analisi e/o strumenti di valutazione “point of care” (come ecografo portatile e metodi visco-elastici), disponibilità di centro trasfusionale, sala operatoria, radiologia, endoscopia interventistica ed unità di terapia intensiva per la gestione dei casi più complessi.

(30)

30 4.1 RICONOSCIMENTO DELL’EMORRAGIA

Il punto iniziale della gestione del sanguinamento maggiore è il riconoscimento dell’emorragia in atto: in alcuni casi i siti di sanguinamento possono essere evidenti e facilmente approcciabili (traumi con lesioni esternamente evidenti, ematemesi, rettorragia, emottisi, epistassi), in altri casi il sanguinamento può essere occulto e non rilevabile direttamente all’esame obiettivo ma suggerito dalle condizioni cliniche del paziente (segni di ipoperfusione e deplezione di volume circolante effettivo) e dall’anamnesi: si renderanno quindi necessarie misure diagnostiche mirate alla ricerca di segni diretti o indiretti di emorragia.

A tal proposito sono fondamentali strumenti di radiodiagnostica quali l’angio-TC o le misure diagnostico-interventistiche come l’endoscopia e l’arteriografia che consentono il riconoscimento diretto della sede di sanguinamento e ne permettono, nel caso dell’embolizzazione o dell’endoscopia, la risoluzione in tempo reale.

L’ecografia, esame diagnostico di primo livello, può essere applicata all’indagine del distretto addominale, toracico e del sottocute con lo scopo di individuare l’eventuale presenza di raccolte o di falde liquide la cui natura ematica deve essere confermata successivamente con esami diagnostici più approfonditi.

Altri strumenti diagnostici che possono indirettamente adiuvare il riconoscimento di un’emorragia in atto sono parametri di laboratorio rilevati agli esami ematochimici seriati, fra questi la riduzione dell’emoglobina plasmatica che deve tuttavia essere rapportata al valore dell’ematocrito e all’insorgenza dell’evento emorragico: in caso di emorragia acuta, infatti, i valori di emoglobina rimangono inizialmente stabili per la perdita consensuale di elementi corpuscolati del sangue e plasma.

4.2 RIANIMAZIONE INIZIALE

Una volta posta diagnosi di emorragia acuta ed in particolare di sanguinamento maggiore, è importante realizzare una serie di azioni iniziali che garantiscono il supporto

(31)

31 vitale del paziente e predispongono alla gestione ottimale ed individuale del soggetto, fra queste è fondamentali:

- Raggiungere il controllo delle sedi di sanguinamento evidenti ed accessibili tramite pressione diretta, applicazione di tourniquet e/o di agenti emostatici locali, da utilizzare anche in ambiente preospedaliero in caso di emorragia traumatica.

- Garantire un accesso venoso del maggior calibro possibile (anche accesso centrale) per permettere la rapida somministrazione di liquidi.

- Somministrare ossigeno ad alto flusso e, se presente ipossiemia, ricorrere a ventilazione meccanica evitando l’iperventilazione.

- Eseguire esami ematochimici di base: emocromo, tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale attivata, fibrinogeno, piastrine e prove crociate (cross match) per inviare prontamente i dati al centro trasfusionale.

- Se disponibile, eseguire immediatamente l’analisi tromboelastografica/ tromboelastometrica utilizzando gli strumenti TEG o ROTEM.

- Correggere la deplezione del volume circolante: nel paziente emorragico è preferenziale effettuare trasfusioni piuttosto che infondere cristalloidi. In ordine di urgenza, se non sono ancora disponibili le sacche di sangue cross matched, si somministrano emazie concentrate gruppo 0, successivamente se si ha la necessità e la disponibilità si effettuano trasfusioni gruppo specifiche ed infine sangue cross-matched.

- Prevenire l’ipotermia tramite coperte, fluidi ed ambiente riscaldato.

- L’obiettivo è ristabilire e mantenere la perfusione degli organi vitali senza necessariamente raggiungere valori pressori normali (ipotensione permissiva).

(32)

32 La gestione del paziente con sanguinamento maggiore in atto consta quindi di tre elementi fondamentali: valutazione e rianimazione iniziale, controllo locale dell’emorragia (tramite compressione manuale o tecniche chirurgiche, radiologiche ed endoscopiche), raggiungimento dell’emostasi tramite supporto trasfusionale ed agenti emostatici. La gestione ideale del paziente dovrebbe prevedere l’immediatezza e l’attuazione simultanea delle misure per raggiungere questi tre obiettivi, perché ciò sia possibile è fondamentale la disponibilità di risorse strutturali e di personale dotato di esperienza e competenza.

4.2.1 TRASFUSIONI ED EMOCOMPONENTI

Esistono vari preparati trasfusionali che possono essere utilizzati in caso di emorragia acuta negli adulti:

- Emazie concentrate (EC): preparate mediante risospensione in soluzione fisiologica (addizionata con glucosio, mannitolo e adenina) degli eritrociti separati dal plasma dopo centrifugazione del sangue intero fino al raggiungimento di un ematocrito del 50-60%. Le unità (volume medio 282 ml ± 32 ml) sono conservate a 4-6 °C per 35-42 giorni.

- Plasma fresco congelato (PFC): ottenuto per aferesi dal sangue intero, viene conservato ad una temperatura più bassa rispetto alle emazie concentrate (-30 °C) per mantenere l’attività dei fattori degradabili della coagulazione (V, VII, VIII), si può conservare per 36 mesi quando congelato. I volumi variano da 256 ml a 290 ml per unità.

- Concentrati piastrinici: possono derivare da aferesi di sangue intero da un singolo donatore o da 4 donazioni diverse, hanno un breve periodo di conservazione (7 giorni a 20 – 24 °C in agitazione continua). I volumi di un’unità sono di 215-310 ml. Durante la rianimazione l’obiettivo è mantenere la conta piastrinica > 50 x 10^9/L.

(33)

33 - Crioprecipitato: rappresenta il precipitato ottenuto riscaldando il plasma fresco congelato fino alla temperatura di 1-6°C. Contiene una frazione dei componenti del PFC fra cui fibrinogeno, fattore VII, fattore XIII, fibronectina e fattore di Von Willenbrand. Un’unità di crioprecipitato contiene solo il 40-50% dei fattori della coagulazione presenti in un’unità di PFC ma essendo più concentrati il volume somministrato risulta minore (30-40 ml). Può essere conservato per 36 mesi.

È fondamentale avere a disposizione infusori a pressione e strumenti per scongelare/riscaldare gli emocomponenti per garantire la rapidità di infusione e prevenire l’ipotermia.

Come terapia iniziale si consiglia di somministrare PFC ed EC con un rapporto di almeno 1:2, le EC svolgono un ruolo, oltre che di distribuzione di ossigeno ai tessuti, di emostasi grazie all’effetto di marginalizzazione delle piastrine e del plasma lungo le pareti vasali, per questo motivo vengono somministrate in quantità maggiori rispetto al PFC.

4.3 MONITORAGGIO E CONTROLLO DELL’EMORRAGIA

Le fasi di monitoraggio e controllo dell’emorragia in atto sono state estensivamente studiate, nell’ambito della medicina d’urgenza, soprattutto nel contesto del sanguinamento correlato a trauma, in questo caso l’approccio clinico di riferimento è compreso nelle linee guida europee sulla gestione del sanguinamento maggiore e della coagulopatia a seguito di trauma. [49] La gestione delle emorragie legate ad altre sedi e ad

altre eziologie condivide dei punti fermi con la gestione dell’emorragia ad origine traumatica ma la letteratura, ad oggi, è carente nel fornire una guida comprensiva al riguardo.

In generale, se a seguito della fase iniziale di rianimazione si riesce ad identificare l’origine del sanguinamento è necessario eseguire una procedura immediata di controllo dell’emorragia a meno che la rianimazione iniziale stessa non sia stata efficace nell’immediato ed il paziente non si sia stabilizzato. Nel caso delle emorragie del tratto

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34 gastrointestinale superiore è raccomandabile, oltre al trattamento dell’instabilità emodinamica, la somministrazione di alte dosi ev di inibitori di pompa protonica (IPP), inizialmente in bolo e successivamente in infusione continua (80 mg seguiti da 8 mg/h) in attesa dell’esecuzione dell’endoscopia. E’ inoltre utile la somministrazione di eritromicina 30-120 minuti prima dell’endoscopia in pazienti con sanguinamento grave o attivo al fine di migliorare la visualizzazione endoscopica e ridurre la necessità di emotrasfusioni. [74]

Se l’origine dell’emorragia non è evidente bisogna effettuare immediatamente ulteriori indagini per identificarne la causa. È necessario procedere con la diagnostica in base alla stabilità del paziente: la TC con mezzo di contrasto è la metodica d’elezione per i pazienti stabili, l’ecografia è utile nell’ambito del trauma per individuare liquido libero nei traumi toracoaddominali secondo la metodica FAST (Focused Assessment with Sonography in Trauma). Pazienti emodinamicamente instabili con emorragia significativa intra toracica, intraddominale o retroperitoneale devono essere trattati urgentemente chirurgicamente.

Per valutare l’entità dell’emorragia in atto si valuta l’andamento dei valori di emoglobina plasmatica in maniera seriata (se sono presenti valori bassi già dall’inizio si tratta di un’emorragia grave), dei lattati sierici e del deficit di basi prontamente ricavabili dall’analisi emogasanalitica che possono stimare nel tempo l’entità dell’emorragia.

I target da mantenere per garantire un’ossigenazione tissutale ottimale sono:

- P. arteriosa sistolica = 80-90 mmHg fino alla risoluzione dell’emorragia in pz senza trauma cranico (in questi mantenere una P. arteriosa media = 80 mmHg). È necessario somministrare farmaci vasopressori in aggiunta ai fluidi se è presente grave ipotensione e farmaci inotropi se è presente disfunzione miocardica. - Hb = 7-9 g/dL. Valori superiori sono preferibili in pazienti con comorbidità

significative. [74]

Se gli emocomponenti da trasfondere non sono prontamente disponibili si procede con la somministrazione di cristalloidi isotonici se è presente ipotensione. È importante

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35 evitare l’infusione di quantità eccessive di soluzione fisiologica e limitare l’uso dei colloidi in modo da seguire i principi della “Damage Control Resuscitation” il cui scopo è mantenere dei valori pressori inferiori al normale (ipotensione permissiva) per evitare gli effetti avversi della somministrazione di elevate quantità di fluidi come la sindrome compartimentale addominale o l’aggravamento della coagulopatia. [50]

4.4 GESTIONE DELLA COAGULAZIONE

Il monitoraggio dei parametri della coagulazione deve essere effettuato in maniera seriata ogni 30-60 minuti.

In caso di emorragia, una delle complicanze più gravi che ha origine in parte iatrogena, è la coagulopatia: un’alterazione in senso emorragico della coagulazione che presenta una prevalenza spiccata nelle emorragie correlate al trauma, infatti, fino al 35% di pazienti traumatizzati sviluppano coagulopatia da trauma [51], questi soggetti

presentano una mortalità da 3 a 4 volte superiore rispetto ai soggetti senza evidenza di coagulopatia. [52]

La patogenesi della coagulopatia (Tabella 2) è multifattoriale e pur non essendo chiaro il movente iniziale delle alterazioni nei livelli dei fattori della coagulazione circolanti è stato rilevato un aumento dei livelli di proteina C attivata associati ad attivazione della trombomodulina e conseguente consumo di fattori della coagulazione (soprattutto V e VIII).

Altri punti patogenetici importanti sono:

- Stato di fibrinolisi primaria: attivazione tPA, inibizione PAI, attivazione dei neutrofili con rilascio di elastasi neutrofila in circolo.

- Infiammazione: rilascio di istoni e citochine infiammatorie.

- Disfunzione piastrinica: indotta dall’interazione ADP-recettori P2T e dal collagene circolante.

- Anticoagulazione: data dall’attivazione della proteina C, deficit di fattori (Va), degradazione del glicocalice endoteliale con autoeparinizzazione mediata dal sindecano-1. [53]

(36)

36

MECCANISMO FATTORI IMPLICATI

Iperfibrinolisi ↑tPA, ↓PAI, ↑aPC, ↑elastasi neutrofila Infiammazione Rilascio di istoni e citochine

Disfunzione piastrinica Disfunzione piastrinica (ADP e collagene-indotta)

Anticoagulazione • Attivazione proteina C, deficit fVa

• Degradazione glicocalice  autoeparinizzazione (sindecano -1)

Tabella 2 – Meccanismi patogenetici della coagulopatia

Ai meccanismi patogenetici intrinseci allo stato infiammatorio e fibrinolitico indotto dall’emorragia (in particolare in caso di trauma) si aggiungono le cause iatrogene della coagulopatia:

- Sovraccarico di fluidi: causano spiazzamento meccanico dei coaguli, diluizione dei fattori della coagulazione e delle piastrine, acidosi (soprattutto se si somministrano grandi quantità di soluzione fisiologica).

- Ipotermia: altera la funzionalità dei fattori della coagulazione.

La coagulopatia si manifesta agli esami ematici standard con un incremento di INR e aPTT. [49]

Trattamento farmacologico della coagulopatia

Secondo il trial CRASH-2 su pazienti traumatizzati a rischio di sanguinamento, la somministrazione di acido tranexamico è in grado di contrastare l’instaurarsi della coagulopatia nei pazienti traumatizzati e di ridurre la mortalità intraospedaliera la

(37)

37 somministrazione deve essere effettuata il prima possibile a dosi di 1 g di carico (in 10 min) seguito da 1 g ev in 8 h.

La somministrazione mostra dei benefici sulla sopravvivenza ed è raccomandata entro e non oltre 3 ore dal trauma. Alcuni protocolli sostengono inoltre la somministrazione della prima dose nel setting pre ospedaliero. [54]

I valori di coagulazione dei test di laboratorio standard e/o dei metodi viscoelastici (TEG o ROTEM) guidano le manovre rianimatorie e la somministrazione di plasma e/o fibrinogeno, crioprecipitato o piastrine deve puntare a mantenere i valori di PT e aPTT < 1.5 volte il valore normale. In Figura 3 è riportato l’aspetto di un normale tracciato tromboelastografico con i range dei valori normali per ogni parametro ed il loro significato fisiologico elencati in Tabella 3.

In pazienti critici in cui vi sono segni di coagulopatia o in cui sussiste un alto rischio di complicanze da sovraccarico di liquidi è opportuno seguire una strategia rianimatoria conservativa (damage control resuscitation) e limitare la somministrazione di PFC, in questi soggetti è utile la somministrazione di fibrinogeno o di crioprecipitato, in particolare se il sanguinamento è significativo ed è accompagnato da segni di deficit funzionali di fibrinogeno ai test viscoelastici (iperfibirinolisi) o da valori di fibrinogeno plasmatico <1,5 – 2 g/l.

Si può somministrare una dose iniziale di fibrinogeno 3-4 g (equivalente a 15-20 unità di crioprecipitato) o 3-4 g di fibrinogeno concentrato. L’evidenza di un’aumentata attività fibrinolitica è ben documentata dall’analisi tromboelastografica con TEG i cui risultati sono forniti in tempi molto rapidi (15-20 min).

Se nonostante i tentativi standard di controllo emorragico persiste emorragia grave e coagulopatia si può considerare l’uso off-label del fattore VII ricombinante attivato e dei complessi protrombinici.

Al termine della procedura di controllo emorragico e stabilizzazione in DEA il paziente deve essere trasferito in unità con attrezzature e personale adeguato per gestire le eventuali complicanze e ricorrenza di sanguinamento. Inoltre, entro 24 h dal controllo dell’emorragia bisogna stabilire una terapia farmacologica tromboprofilattica, precocemente si può applicare tromboprofilassi meccanica con compressione

(38)

38 Figura 3 – Tracciato normale TEG® [60]

Caratteristica studiata Parametro Correlazione fisiologica Valori normali Inizio della coagulazione

R (tempo di reazione) Periodo di iniziale formazione di fibrina

5-10 min

Cinetica coagulativa K Misura la rapidià di raggiungimento di uno specifico livello di forza

del coagulo

1-3 min

α (angolo in gradi) Misura la rapidità della formazione del coagulo

(indice di cross-linking della fibrina)

53 – 72 °

Forza del coagulo MA (ampiezza massima)

Rappresenta la forza del coagulo finale (piastrine + fibrina)

50 – 70 mm

Stabilità del coagulo Ly30 (lisi a 30 minuti) Misura la riduzione percentuale rispetto ad MA a 30 minuti, indice

di fibrinolisi.

0-8 %

(39)

39 5. TERAPIE ANTICOAGULANTI E SANGUINAMENTO MAGGIORE

La maggior parte dei pazienti che va incontro a sanguinamento di qualsiasi tipo, ed in particolare a sanguinamento maggiore, assume una terapia antiemostatica, il monitoraggio e la gestione del reversal specifico per ogni farmaco anticoagulante ed antiaggregante è riportata di seguito.

5.1 EPARINE A BASSO PESO MOLECOLARE

Monitoraggio dell’azione anticoagulante

Per quanto riguarda il monitoraggio dell’azione anticoagulante mediata dalle EBPM il gold standard è rappresentato dal saggio anti-fattore Xa che impiega 1-2 h per dare dei risultati affidabili e non è quindi utile nel setting della valutazione delle emorragie in emergenza [55]. Inoltre, si può misurare il tempo di generazione della trombina

utilizzando la rilevazione a fluorescenza o, come si esegue più comunemente in ambito clinico, la misurazione dell’aPTT che aumenta linearmente con la dose di EBPM nonostante sia meno correlato con la dose rispetto all’attività anti-FXa. Normalmente, i valori medi di aPTT alla concentrazione plasmatica terapeutica di 1 IU/mL di EBPM (per enoxaparina) variano fra 54 e 69 s. [56]

All’analisi viscoelastica con TEG si verifica un aumento del tempo di formazione del coagulo (tempo R). Si può eseguire l’HEPTEM (heparinase modified thromboelastometry) per confermare la presenza di EBPM nel sangue: la presenza di eparinasi porta alla degradazione delle EBPM presenti riportando il tempo R di formazione del coagulo a valori normali. [57]

Reversal

Attualmente non esiste un antidoto approvato dall’FDA per le EBPM. [55] La

protamina solfato, pur essendo spesso usata come antidoto, non è approvata dall’FDA come lo è per l’eparina non frazionata. La protamina, essendo una molecola cationica, si

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40 lega all’eparina carica negativamente e forma un complesso inerte che annulla l’azione anticoagulante della molecola eparinica, ma l’efficacia dipende dal peso dell’eparina stessa. La protamina genera un reversal temporaneo e parziale che è migliore e più duraturo per l’eparina non frazionata. [58] L’attività anticoagulante può ripresentarsi dopo

3 h dalla somministrazione di protamina ed è quindi fondamentale la somministrazione continua. [55]

Considerati i numerosi effetti avversi della somministrazione di protamina (anafilassi, rebound di eparina, ipotensione improvvisa, bradicardia, vampate, astenia, nausea, vomito, dispnea, ipertensione polmonare) negli ultimi anni sono state sviluppate varie molecole con funzione di antidoto specifico per le EBPM, fra queste la più promettente e sicura sembra essere il Delparantag (PMX-60056), che non si trova ancora in commercio. [58]

Esistono alcuni case reports e studi in vitro sull’efficacia del fattore VIIa ricombinante che hanno outcome positivo e dimostrano la normalizzazione dei parametri coagulativi. [59]

5.2 WARFARIN

Monitoraggio dell’azione anticoagulante

Il monitoraggio dell’effetto anticoagulante del warfarin è eseguito tramite misurazione dell’INR. Il target dopo il reversal dovrebbe raggiungere un valore di INR= 1,5. È necessario comunque eseguire misurazioni seriate per monitorarne l’andamento.

[55]

All’analisi tromboelastografica (TEG) si evidenzia:

- Aumento del tempo di reazione R: rappresenta il tempo di latenza dell’inizio della formazione del coagulo;

- Aumento del tempo K: rappresenta il tempo di raggiungimento di stabilità del coagulo;

(41)

41 - Diminuzione della MA (massima ampiezza): rappresenta forza o consistenza

massima del coagulo;

- Diminuzione dell’angolo α: indice del grado di polimerizzazione del coagulo. [60]

Tuttavia, diversi studi dimostrano una scarsa affidabilità dell’analisi TEG nell’individuare le alterazioni della coagulazione date dai VKA. Nonostante l’inaccuratezza, l’analisi rapid-TEG (r-TEG) è quella che correla meglio con i valori di INR perché, oltre a contenere caolino come la normale analisi TEG, contiene anche fattore tissutale che attiva la via estrinseca e quindi valuta anche il PT che è più facilmente correlabile con i valori di INR. [61]

Reversal

Le indicazioni principali al reversal del warfarin nei pazienti con emorragia sono la presenza di emorragia intracranica o emorragia incontrollata: in caso di emorragia intracranica post traumatica è indicato iniziare il reversal entro 2 ore dall’arrivo in DEA fino a raggiungere un valore di INR <1.6 entro 4 ore.

Fino al 2014 l’agente più utilizzato per il reversal era il PFC che tuttavia presenta degli svantaggi considerevoli: il plasma deve essere scongelato preventivamente ed è necessario eseguire le prove di compatibilità in tempi rapidi, spesso è necessario somministrarne molte unità per ottenere il valore di INR desiderato (rischio per pazienti con scompenso cardiaco). [55] Attualmente si usa in prima linea il concentrato di

complesso protrombinico (PCC), disponibile come concentrato di 3 fattori (II, IX, X) o 4 fattori (II, VII, IX, X), i vantaggi rispetto al PFC sono un minor rischio infettivo, non richiedono cross-matching ed è possibile somministrare volumi minori in breve tempo (15-30 min). [49, 55]

Per quanto riguarda l’impiego del rFVIIa per le emorragie da VKA, considerato l’elevato rischio trombotico derivante dalla sua somministrazione, l’indicazione è limitata alla terza linea nel caso in cui PCC e PFC non siano disponibili o non siano risultati efficaci nel raggiungere il target di INR. [49,62]

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