• Non ci sono risultati.

Premessa: la crisi della dialettica come sintomo di una crisi più profonda

1. Premessa: la crisi della dialettica come sintomo di una crisi più profonda

Diversi pensatori novecenteschi sembrano registrare l’incapacità della dialettica hegeliana in quanto strumento filosofico ancora in grado di interpretare il nostro tempo. La teoria critica franco-fortese e il post-strutturalismo francese cozzano contro quello che è un medesimo problema dell’he-gelismo: l’impossibilità per un sistema teorico fondato sull’identità di pensare ciò che non vi rientra, la differenza, se non a prezzo di scandalo e paradosso; essi danno però due distinti tentativi di risposta, cioè la riforma oppure l’attacco frontale, di cui gli sforzi di Adorno da una parte e di Deleuze dall’altra sono emblematici. Perciò analizzeremo brevemente queste due posizioni, cercando di mostrare come la crisi della dialettica sia solo un sintomo epidermico di una crisi più profonda, ossia quella dell’idea-lismo, inteso non tanto come periodo della storia delle idee ma come atteggiamento filosofico: se esso si presenta come auto-posizione del soggetto che a partire da sé trae ogni realtà, la concomitanza di eventi intra- ed extra-filosofici sembra decretare la provenienza del soggetto identico da una diffe-renza che lo eccede e di cui esso è solo un prodotto derivato. Gli autori da noi scelti offrono, tramite la riflessione sulla dialettica hegeliana, indicazioni importantissime sulla crisi del primato dell’iden-tità, minacciato dall’emergere di una differenza che, irriducibile a ogni idendell’iden-tità, la deborda da ogni parte.

a) Adorno e la dialettica

Adorno, esponente di spicco del marxismo francofortese, concentra tutti i suoi sforzi teoretici nel tentativo di ripensare la dialettica hegeliana nei suoi aspetti meno convincenti; insieme a Horkheimer, in Dialettica dell’illuminismo egli perviene alla concezione secondo cui il pensiero è intrinsecamente dialettico, snodandosi nel campo di forze tra spirito pensante tramite concetto e natura pensata come cosa: il concetto è «prodotto del pensiero dialettico, dove ogni cosa è ciò che è solo in quanto diventa ciò che non è. È stata questa la forma originaria di determinazione oggettivante, onde concetto e cosa si sono disgiunti»1. Il pensiero conosce un progresso (Aufklärung), che ha «l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni»2 rispetto a un contesto naturale ostile; tale progresso si rovescia dialetticamente in regresso: «ogni tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura, cade tanto più profondamente nella coazione naturale»3. Ma, dialetticamente, nel momento in cui

1 M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo (1944), trad. it. di R. Solmi, Einaudi, Torino, 2010, p. 23.

2 Ivi, p. 12.

20

l’Aufklärung «si riconosce dominio e si ritratta in natura, si scioglie la sua pretesa di dominio che è proprio quella che lo asservisce alla natura»4. In Adorno dunque la dialettica è 1) il pensiero nel suo svolgersi tra spirito e natura, 2) la regressione del primo nella seconda in seguito alla propria assolu-tizzazione e 3) il successivo ri-capovolgimento, in cui lo spirito si auto-guarisce riconoscendosi come natura.

La riflessione adorniana sulla dialettica conosce la sua formulazione più compiuta in Dialettica negativa; quest’opera certo eredita dalle precedenti il recupero di elementi vitali della dialettica he-geliana: la mediazione e la negazione determinata; ma contiene al contempo la più netta e definitiva critica di Hegel, nella misura in cui la dialettica di questi, nata nella tensione tra polo soggetto e polo oggetto, si sbilancia totalmente sul primo lato: se nella dialettica hegeliana «l’inclusione dell’ogget-tivo nella soggettività elevata e ampliata a spirito assoluto avrebbe prodotto la conciliazione», nella dialettica negativa adorniana l’intero non è solo negazione di ogni singola determinazione, ma «il negativo, il non vero. La filosofia del soggetto assoluto, totale, è particolare»5; nel momento in cui lo spirito vuole dedurre da sé integralmente l’ente, ricade in questo; per Adorno è proprio il principio di identità (A=A) che vanifica la conciliazione che voleva produrre, producendo invece conflitto tra pensiero e cosa. Perciò Adorno smarca nettamente dalla dialettica hegeliana la propria dialettica ne-gativa, il cui movimento «non tende all’identità nella differenza di ogni oggetto dal suo concetto; piuttosto ha in sospetto l’identico»6. La “logica della disgregazione” che Adorno propone vuole ap-punto disgregare i concetti con cui il soggetto tenta di sostituirsi alla differenza che i fenomeni recano con sé.

Dialettica negativa va intesa come una critica immanente: «per la coscienza dell’illusorietà della totalità concettuale non è aperta altra strada, che spezzare immanentemente l’apparenza d’identità totale: in base al suo criterio»7; proprio perché l’identità è «l’apparato universale coercitivo, di cui

4 Ivi, p. 47. Trad. it. modificata.

5 Th.W. Adorno, Dialettica negativa (1966), trad. it. di P. Lauro, Dialettica negativa, Einaudi, Torino, 2004, p. 29. Il concetto di mediazione è centrale ad esempio in Metacritica della teoria della conoscenza (1956), trad.it. di A. Burger Cori, nuova ed., Mimesis, Milano, 2004, dove Adorno lo usa per criticare la fenomenologia husserliana: i principi primi della metafisica rimandano a una mediazione con l’empirico, cfr. ivi, p. 54, empirismo e razionalismo sono reciproca-mente mediati (senza che tale mediazione possa farsi principio), cfr. ivi, pp. 67-69, (come mediate sono sensazione e percezione, cfr. ivi, p. 171, secondo la lezione della Fenomenologia hegeliana); assolutismo e relativismo sono l’uno l’altra faccia dell’altro, mentre la mediazione dialettica uomo-mondo consente di superarli, cfr. ivi, pp. 116-117, annul-lando l’immediatezza dell’Erlebnis husserliana, cfr. ivi, p. 130 e correggendo il culto del dato che si depositerebbe in essa, cfr. ivi, p. 139, dato che sarebbe però anche in Husserl mediato dall’intenzione, cfr. ivi, p. 150; il culto dei dati sarebbe un prodotto del soggetto che li prescrive e del suo autoritarismo, rivelando le proprie implicazioni politiche cfr. ivi, pp. 156-158. Nel terzo e quarto capitolo mostreremo però che la fenomenologia husserliana ha un profondo valore critico sul piano politico. Per quanto riguarda la negazione determinata, essa in Dialettica dell’illuminismo, è vista come la dialettica che insegna a leggere ogni immagine come scrittura: con essa Hegel riuscirebbe a sottrarre l’illuminismo al culto positivista del dato, per elevare poi però ad assoluto il risultato del processo di negazione, ricadendo nel mito; la negazione deve negare via via il dato immediato, per mostrare la sua mediazione concettuale: cfr. ivi, pp. 32-34. La coincidenza di identità e unità è infine elemento tipico del pensiero adorniano.

6 Th.W. Adorno, Dialettica negativa, p. 131.

21

pure c’è bisogno per svincolarsi dalla coercizione universale», «la dialettica negativa è legata, come al suo punto di partenza, alle massime categorie della filosofia dell’identità […], lo stesso contro cui viene pensata»8. Adorno se ne serve per insinuarsi nel sistema di Hegel, tentando di rovesciarlo con la sua stessa arma, la negazione determinata, cioè la critica. Il pensiero si trova nell’aporia in cui, mentre cerca di cogliere ciò che lo eccede, da un lato rischia di ridurlo a sé, dall’altro rischia di rimanere estraneo a esso. Per uscire da questa aporia «è necessario che la dialettica, che è insieme l’impronta dell’universale contesto d’accecamento» – prodotto dal predominio nei sistemi teorici e politici dell’identità sul non identico – «e la sua critica, si rivolti in un ultimo movimento anche contro se stessa»9. La dialettica, rimanendo all’interno del medium concettuale, può dissolvere il primato dell’identità solo continuando a insistervi, dandogli l’apparenza del sapere assoluto per poi distrug-gerlo tramite l’autoriflessione: «la dialettica è l’autocoscienza dell’oggettivo contesto d’accecamento, non già scampata a esso. Evaderne dall’interno è oggettivamente il suo fine»10. La dialettica negativa «afferra con i mezzi della logica il carattere coercitivo di essa, sperando che ceda»11. Oltre il sistema apparirebbe l’assoluto, che «quale balugina alla metafisica, sarebbe il non identico che comparirebbe solo dopo la dissoluzione della coazione d’identità»12: per Adorno l’assoluto dunque non è, contro Hegel, identità di soggetto e oggetto sotto l’egemonia del primo, né la metafisica è, contro Heidegger, oblio dell’essere che in epoca moderna prende egualmente i sembianti di primato del soggetto. In un ultimo capovolgimento, la dialettica negativa si rivolge anche contro se stessa, come ultima rovina del sistema fondato sull’identità, lasciando stagliarsi sullo sfondo il non identico che la oltrepassa: «allora non è neanche peccato mortale abbandonarla in un passo dialettico»13, senza tuttavia poter rappresentare direttamente il non identico, se non vuole rinchiuderlo nella cella da cui lo ha appena liberato.

Dialettica negativa si risolve infine in una filosofia della differenza, che si serve del pensiero iden-tico in vista di un avvicinamento tra esso (che appartiene all’uomo) e il non ideniden-tico (che lo eccede come natura): non più nel segno della subordinazione del primo al secondo, ma del riconoscimento da parte dell’uomo di essere (anche) natura. Adorno spiega che i concetti mirano al non concettuale perché fanno parte della realtà, in prima battuta del processo con cui l’uomo cerca di dominare la natura, «sebbene poi, includendo il non concettuale come loro senso, tendenzialmente lo omologhino

8 Ivi, pp. 133-134.

9 Ivi, p. 363. Sulla negazione determinata come critica cfr. ivi, 143; sulla negazione determinata in Hegel, cfr. ad esempio G.F.W. Hegel, La fenomenologia dello spirito (1807), trad. it. di G. Garelli, Einaudi, Torino, 2008, pp. 61-62 [pp. 11-12, ed. or.]: la non-verità di un momento particolare della coscienza non è una mera negazione, ma appunto una negazione determinata, che fa scaturire una nuova forma, realizzando via via il processo.

10 Adorno, Dialettica negativa, p. 364.

11 Ibidem.

12 Ibidem.

13 Ibidem. La spiegazione adorniana è che «le identificazioni dell’assoluto lo trasferiscono nell’uomo da cui proviene il principio d’identità; esse sono antropomorfismi», ibidem.

22

e restino dunque prigionieri di sé»14. Se il concetto astraente, sussumendo gli enti sotto di sé, se ne allontana, Adorno fonda la sua dialettica negativa su un “disincanto del concetto”, con cui intende riportarlo verso il non identico; una filosofia nuova, il cui contenuto potrebbe essere «la molteplicità di oggetti non conformata da schema», sarebbe «l’esperienza piena […] nel medium della riflessione concettuale»15. Adorno riconduce il riavvicinamento all’oggetto al rinvenimento dell’aspetto qualita-tivo e differenziale tanto da parte del pensante, «nella cosa il potenziale delle sue qualità attende il soggetto qualitativo, non il suo residuo trascendentale», quanto nella cosa pensata: «è differenziato chi in essa e nel suo concetto è in grado di distinguere anche il minuscolo e ciò che sfugge al con-cetto»16.

È però molto difficile cogliere la differenza perché essa, sotto il primato dell’identità, tende a scomparire o a comparire sfigurata. Se la dialettica negativa adorniana si pone come tentativo di cura rispetto alla dialettica hegeliana è proprio perché questa funziona solo all’interno di un sistema fon-dato sulla contraddizione, corroso da un male che agisce più in profondità: l’idealismo, l’ipertrofia di un soggetto costitutivo che, facendosi sistema, fagocita ogni differenza. Con la dialettica Adorno vuole preservare gli oggetti dall’assorbimento entro il concetto e, mentre per l’idealismo hegeliano la contraddizione è il motore essenziale, Adorno vede piuttosto in essa il segno «della non verità dell’identità, del non assorbimento del concettualizzato nel concetto»17; ciò che non si adatta alla totalità appare contradditorio: «la contraddizione è il non identico sotto l’aspetto dell’identità»18. Fin-ché la coscienza adegua il non identico alla totalità, «il differenziato appare divergente, dissonante, negativo»19. Nell’immanenza della coscienza, la contraddizione pare una legge infrangibile: «l’iden-tità e la contraddizione del pensiero sono saldate tra loro. La totalità della contraddizione non è altro che la non verità dell’identificazione, come si manifesta all’interno di questa»20. Al di là delle difficili argomentazioni di Adorno, è importante tenere a mente che per lui la contraddizione è la differenza quando viene sfigurata dal primato dell’identità.

Se Adorno sceglie la via “omeopatica” per superare il primato dell’identità, cioè prende la scia della contraddizione generata da esso, è perché quest’ultima non può essere messa da parte senza che si guardi in fondo a essa. Per Adorno infatti la contraddizione è apparenza, ma apparenza reale perché risultato, all’interno della teoria, dell’antagonismo che si produce nella società: l’aspetto più

14 Ivi, p. 13.

15 Ivi, p. 15.

16 Ivi, p. 42.

17 Ivi, p. 7.

18 Ibidem. Poiché «pensare significa identificare», la totalità concettuale può per Adorno essere rovesciata solo attraverso la critica immanente dell’identità totale.

19 Ibidem. È la coscienza che, “intenzionando” il non identico, dà luogo alla dialettica, ed è a sua volta questa che mostra alla coscienza il non identico come contraddizione.

23

convincente dell’operazione adorniana è che consente di guardare nitidamente all’interno di tale an-tagonismo. Alla dialettica hegeliana, la cui verità è quella premeditata dell’intero che spinge ogni momento (falso in quanto unilaterale) oltre di sé, Adorno risponde che l’intero «è antagonista in sé, in modo altamente reale, non solo in forza della sua mediazione con il soggetto»21; certo, l’idealismo ha visto «che la determinante oggettiva dello spirito, la società, è sia un insieme di soggetti che la loro negazione»22; però la totalità non è solo essenza dei singoli come per Hegel, ma è anche in contrasto con essi, ridotti ad agenti del valore: «l’intero si conserva insieme a essi solo passando attraverso l’antagonismo»23. La società trasfigura se stessa in spirito universale, ma nell’identità totale dell’universale «si esprime il suo fallimento. Ciò che non tollera alcun particolare si smaschera come un despota particolare. La ragione universale che si afferma è già quella limitata»24; in quanto unità su una molteplicità reale, essa «è, in base alla sola forma internamente antagonista»25; il carattere insieme universale e antagonista della ratio è per Adorno immanente a essa e irrazionale rispetto al suo potenziale sviluppo: essa esprime sì il fatto che la società «si mantiene in vita […] per mezzo del suo antagonismo», in quanto il rapporto di classe è «motore del processo di produzione»26; per contro, se la ragione «prevarica l’altro limita necessariamente anche se stessa»27.

L’aspetto meno convincente della posizione di Adorno consiste però nel fatto che, se egli trae la forza della sua critica dalla contraddizione che poi va abbandonata, rischia di restare ancora reattiva-mente vincolato a questa. Adorno pone l’esigenza di pensare dialetticareattiva-mente e non dialetticareattiva-mente a un tempo; la filosofia tiene insieme l’argomento logico e l’esperienza extraconcettuale: «l’argomen-tazione immanente è legittima là dove recepisce la realtà integrata come sistema per mobilitarle con-tro la sua stessa forza. Al contrario la libertà nel pensiero rappresenta l’istanza che sa già della non verità enfatica di quel contesto»28; la coscienza deve avere un comportamento doppio: «quello dall’in-terno, il processo immanente, propriamente dialettico; e uno libero, quasi fuoriuscente dalla dialettica, non vincolato»29. Senonché Adorno pare non riuscire a evadere dal contesto in cui prende le mosse come critica la dialettica negativa e, quando si tratta di vedere oltre di esso, la prudenza – che gli vieta di rappresentare positivamente la conciliazione tra uomo e natura – sembra paralizzare il suo sguardo teorico (come abbiamo visto col divieto di rappresentare l’“assoluto”) e la speranza di rinnovamento pratico. Vi sono infatti luoghi dell’opera adorniana che sembrano giustificare (ma solo in parte) una

21 Ivi, p. 12. 22 Ibidem. 23 Ivi, p. 278. 24 Ivi, pp. 283-284. 25 Ibidem. 26 Ivi, p. 286. 27 Ivi, p. 284. 28 Ivi, p. 29. 29 Ivi, p. 30.

24

sua interpretazione come “rinvio della prassi”: quando Adorno nota che Marx recupera dall’idealismo il primato della ragion pratica nel suo sforzo di cambiare il mondo, sostiene che questi aderisce così al progetto di dominio della natura, rilevando però come lo sforzo marxiano per la riduzione del lavoro potrebbe rovesciare il primato stesso della prassi; si capiscono così alcune affermazioni appa-rentemente contrastanti: da un lato «un pensiero che rinvia la prassi ha ogni volta qualcosa di inade-guato», dall’altro «la disperazione per il fatto che la prassi, che è ciò che potrebbe contare, sia pre-clusa, concede paradossalmente la pausa di respiro per pensare»30. Né questo sospetto adorniano per la prassi andrebbe esagerato. Adorno individua all’origine dell’agire un momento fattuale, che chiama l’“aggiuntivo” e che la tradizione ha ristretto alla coscienza; sicuramente «il soggetto si sa libero solo nella misura in cui la sua azione gli appare identica a lui, e questo avviene soltanto quando le azioni sono coscienti»31; ma Adorno nota parimenti che «la prassi ha bisogno anche d’altro che non si esau-risce nella coscienza, del corporeo»32: ciò testimonia in Adorno un interesse per la prassi e un conte-stuale sospetto verso il razionalismo morale dell’idealismo che, fondando l’agire su un soggetto “forte” e costitutivo, bloccherebbe la prassi che pretenderebbe invece di preservare.

Se Dialettica negativa è cura “omeopatica” al male della filosofia che Adorno diagnostica come idealismo, bisogna comunque chiedersi come egli intenda il possibile stato di guarigione. Abbiamo visto che la revoca del primato d’identità dovrebbe lasciare spazio alla differenza, cioè – dato che Adorno (per cui, abbiamo visto, pensare equivale a identificare) associa conformemente alla tradi-zione identità e pensiero – a ciò che è altro rispetto al pensiero: ma così la differenza, chiamata non identico, non è forse determinata solo negativamente a partire dall’identità? E come coglierla se per farlo occorre abbandonare il pensiero stesso? In realtà Adorno ci dà alcune indicazioni (sufficienti?) su come intendere la sua filosofia della differenza: essa è un tentativo di avvicinarsi alla concrezione. Adorno individua una possibilità per il recupero della metafisica, che, come abbiamo visto, è in lui lo sforzo per toccare filosoficamente il non identico, richiamando ad esempio l’esperienza infantile in cui si è «incantati dall’unicità di un luogo, senza spiare l’universale con la coda dell’occhio»33; anche se il bimbo sbaglia nel credere che ciò che lo estasia si trova solo lì, «il suo errore istituisce il modello di un’esperienza, di un concetto, […] che alla fine sarebbe quello della cosa stessa, non quello misero, estratto dalle cose»; la differenza per Adorno sembra da ricercarsi in «ciò che è indi-viduato in modo assoluto»: solo in ciò si «potrebbe adempiere il concetto del concetto»34. Poiché in

30 Ivi, p. 219. La lettura del pensiero di Adorno come rinvio della prassi era sostenuta ad esempio in area italiana da M. Vacatello, in Th.W. Adorno: il rinvio della prassi, La Nuova Italia, Firenze, 1972, e ripresa da filosofi come C. Preve, che la sfrutterà per sostenere in ambito marxista un’idea opposta di prassi, fondata su un soggetto “forte” come quello dell’idealismo e crediamo incompatibile con gli sviluppi culturali del XX secolo (si pensi solo alla psicoanalisi).

31 Adorno, Dialettica negativa, p. 203.

32 Ivi, p. 205.

33 Ivi, p. 337.

25

questo avvicinamento (che ci pare simile a quello della fenomenologia) alle cose stesse, esse sem-brano retrocedere e «ciò che retrocede diventa sempre più piccolo»35, la metafisica si trasferisce in quella che Adorno chiama “micrologia”; la metafisica, come filosofia della differenza, rimane «pos-sibile solo come costellazione leggibile dell’ente. Da questo riceverebbe il materiale senza cui non ci sarebbe, ma anziché trasfigurare l’esistenza dei suoi elementi, li farebbe entrare in una configurazione in cui si riuniscono in scrittura»36. La differenza, ciò che eccede il primato d’identità, potrebbe essere colta mettendo insieme gli elementi minimi della realtà, facendoli entrare in gruppi in cui essi sono tenuti insieme dal linguaggio e in cui nessuno prevale sugli altri, ma ciascuno è ugualmente vicino al centro.

Se Adorno si mostra così in imbarazzo nel dipingere positivamente ciò che sta di là dall’idealismo, è forse perché in tutta la sua filosofia prevale l’elemento critico e negativo, mentre affermatività e positività sono sempre guardate con estremo sospetto: nella premessa dell’opera Adorno dissocia la sua dialettica negativa dalle dialettiche platonica e hegeliana, in quanto mentre esse tramite la nega-zione vorrebbero produrre un positivo, egli vuole «liberare la dialettica da una siffatta essenza affer-mativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza»37. È chiaro dunque come in Adorno la ne-gatività sia strettamente congiunta alla determinatezza, alla differenza; per converso, l’affermatività pare allora legarsi strettamente al primato dell’identico. Perché identità e affermazione siano legate e come nasca il primato d’identità sono questioni che Adorno unisce; l’idealismo come costruzione del

Documenti correlati