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Premessa Critica della dottrina che, ravvisando nella sola delegazione promissoria gli estremi della vera e propria

PER MEZZO DEL TERZO

3.1 Premessa Critica della dottrina che, ravvisando nella sola delegazione promissoria gli estremi della vera e propria

delegatio, qualifica la delegazione di pagamento come species del genus “adempimento dell’obbligo altrui”.

Chiarito che il pagamento del debitore all’adiectus solutionis causa non può in alcun modo essere accostato all’intervento del solvens nell’altrui rapporto obbligatorio, si tratta adesso di tracciare le coordinate dell’adempimento del terzo rispetto alla fattispecie della delegazione passiva di pagamento (o delegatio solvendi), ex art. 1269 c.c.

In primo luogo, occorre osservare che anche nella delegatio solvendi è riscontrabile quella “reciproca terzietà” tra il solvens e l’accipiens che, si è già visto, costituisce un tratto comune alle fattispecie dell’adempimento del terzo e dell’adiectio. Non v’è chi non veda, infatti, come “tanto il delegatario che riceve il pagamento” – cioè, l’accipiens – “quanto il delegato che lo esegue nelle mani del primo” – vale a dire, il solvens – “siano reciprocamente terzi da angolazioni diverse: il delegatario, creditore del delegante, è infatti terzo rispetto al rapporto (di provvista) intercorrente fra delegante e delegato e, quindi, rispetto a quest’ultimo (…): mentre il delegato, nella maggior parte dei casi debitore del delegante-debitore originario da cui muove l’iniziativa, è a sua volta terzo rispetto al rapporto (di valuta) che lega delegante e delegatario e, conseguentemente, nei confronti di quest’ultimo”264. In secondo luogo, merita

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rammentare che nell’adempimento del terzo il solvens non può limitarsi ad intervenire nel rapporto obbligatorio altrui, ma è essenziale che egli dichiari di agire per il soddisfacimento del credito dell’accipiens265. Nondimeno, anche nel caso di esecuzione di una delegazione di pagamento non è sufficiente il compimento della prestazione nelle mani del delegatario, ma occorre pure che tale prestazione sia accompagnata da una dichiarazione del delegato, dalla quale possa evincersi l’intento di conteggiare il pagamento alla sfera giuridica di colui che può definirsi il promotore dell’operazione delegatoria (cioè, il delegante). In terzo ed ultimo luogo, si deve aggiungere che, se da un lato l’art. 1180 c.c. legittima il solvens ad eseguire, con efficacia liberatoria, la prestazione dovuta dal debitore all’accipiens–creditore, dall’altro anche l’esecuzione di un atto di pagamento su invito del delegante può determinare l’estinzione del debito del delegante medesimo verso il delegatario”266.

Alla luce di tali analogie, la dottrina giuridica che per prima ha affrontato la questione sotto l’impero del Codice vigente si è posta il problema di stabilire se l’adempimento del terzo e la delegazione di pagamento costituiscano profili diversi di un medesimo fenomeno o, piuttosto, due figure ben distinte, in cui il risultato comune, dato dal soddisfacimento del credito dell’accipiens, viene raggiunto attraverso vie strutturalmente differenti267.

Per affrontare correttamente il problema, occorre, innanzi tutto, sgomberare il campo da taluni enunciati dottrinali che, come risulta ormai ampiamente dimostrato, rivestivano sotto l’impero del vecchio Codice un significato privo di solide basi storiche e concettuali. Ci si riferisce al pensiero di alcuni autori, i quali, riconoscendo alla sola delegatio promittendi i connotati qualificativi del fenomeno delegatorio, ritenevano che non fosse opportuno considerare la delegatio solvendi come un’ipotesi di delegazione in senso

265

NICOLO’, L’adempimento, cit., p. 157.

266

SCHLESINGER, Adempimento del terzo, cit., p. 572.

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tecnico. Tali autori erano soliti ripetere che la delegatio solvendi avrebbe dovuto essere più opportunamente essere accostata all’indicazione di pagamento, dal cui schema–base avrebbe comunque differito “per una particolare intensità del rapporto tra indicante ed indicato”268.

Ebbene, portando alle estreme conseguenze il ragionamento anzidetto, si giungeva ad affermare che, qualora il debitore avesse assegnato al creditore un terzo che pagasse in sua vece, quest’ultimo avrebbe agito per adempiere l’obbligo del debitore o, più precisamente, per realizzare il diritto del creditore269, e ciò perché l’atto di indicazione, non configurando gli estremi di una vera e propria delega, non avrebbe aggiunto alcunché alla efficacia diretta dell’attività del terzo nei confronti del creditore, ma avrebbe rivestito il ruolo di semplice “manifestazione d’intento, tendente a specificare, nel caso concreto, le modalità dell’efficacia riflessa della prestazione del solvens nei rapporti interni che legano quest’ultimo all’indicante”270.

E’ noto che il Codice civile vigente, all’interno del Capo VI del Titolo I del Libro IV, affianca alla delegatio promittendi (novativa e cumulativa) un’altra figura, assai diffusa nella pratica, che ricorre ogniqualvolta un debitore, per estinguere l’obbligazione che lo lega al proprio creditore, delega un terzo ad eseguire il pagamento in sua vece (art. 1269 c.c.). Che l’operazione

268

NICOLO’, p. 139, nt. 22. Nel medesimo senso, BETTI, Sulla natura giuridica, cit. p. 527.

269

NICOLO’, L’adempimento, cit., p. 139.

270 NICOLO’, L’adempimento, cit., p. 224. Afferma infatti l’A. (ivi, pp. 226–227) che

l’esistenza di una simile dichiarazione “importerà dunque: a) se il terzo era debitore dell’autorizzante, il suo obbligo si estinguerà fino alla concorrenza della prestazione eseguita a favore del creditore; b) se il terzo non aveva alcun obbligo, il debitore sarà in via di regresso tenuto a rivalere il terzo di quanto ha pagato, restituendogli la cosa (o l’equivalente nel caso che si trattava di una species) e gli accessori (interessi, spese); c) se fra il terzo e il debitore vi era stato lo scambio delle dichiarazioni per la costituzione di un contratto di mutuo, la prestazione del terzo al creditore avrà l’efficacia di una consegna della cosa e quindi il mutuo si sarà perfezionato”.

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appena descritta sia correttamente qualificabile con il nomen che già le attribuivano le fonti romane, cioè, delegatio solvendi, è, allo stato attuale, perfettamente acclarato271; eppure, fino a tempi abbastanza recenti, si è ritenuto che di vera e propria delegazione – o, se si preferisce, di delegazione in senso tecnico – fosse opportuno parlare solo a proposito della delegazione promissoria, o delegatio promittendi.

Prescindendo da un esame dettagliato delle dottrine in oggetto e delle loro molteplici sfaccettature, merita comunque dar conto del fatto che alcuni illustri autori, proprio per dimostrare quanto il concetto di delegazione fosse inscindibilmente connesso con l’idea stessa del sorgere di un nuovo rapporto obbligatorio tra delegato e delegatario, ritenevano decisivo rinviare alle scelte terminologiche adottate dal Codice del 1865, il quale appunto, per descrivere il diverso fenomeno in cui il delegato fosse stato semplicemente autorizzato ad eseguire il pagamento al delegatario, ben si guardava dall’utilizzare il nomen di “delegazione”, preferendogli quello più neutro di “indicazione di pagamento” (v. art. 1273, 1° comma, c.c. abr.)272.

Proprio sull’abbrivio di tali considerazioni, questi stessi autori erano soliti utilizzare in modo promiscuo i termini delegatio solvendi, assegnazione ed adsignatio per designare una precisa fattispecie che, a loro giudizio, si sarebbe collocata “a metà strada” tra l’indicazione passiva di pagamento e la delegazione su debito. Con l’indicazione di pagamento, la delegatio solvendi (o assegnazione, o adsignatio) avrebbe condiviso la struttura. In entrambi i casi,

271 V. DE RUGGIERO, La delegazione, cit., p. 5, secondo il quale il caso normale che le fonti

romane contemplano con il nomen di delegatio è ”proprio quello in cui il iussus ha per contenuto una solutio”. Per una disamina delle fattispecie delegatorie in epoca romana si rinvia inoltre a TALAMANCA, voce Delegazione (dir. rom,), in Enc. dir., XI, 1962, p.

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Ha però giustamente osservato BIGIAVI, La delegazione, cit., p. 61, che, posta nei termini anzidetti, la questione avrebbe assunto un’importanza “meramente verbale”, giacché si sarebbe trattato soltanto di ampliare o di restringere la portata che il termine “delegazione” assumeva a livello normativo.

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infatti, un debitore incarica un terzo di pagare al creditore e, contestualmente, invita il creditore a ricevere il pagamento dal terzo: gli inviti sono quindi due, e né l’uno, né l’altro né l’altro potrebbe mai mancare, anche se spesso accade che uno dei due sia implicito nell’altro e che, quindi, dell’invito rivolto al delegato funga da latore il delegatario o, viceversa, dell’invito rivolto al delegatario si rendesse latore il delegato273. A tale caratteristica comune se ne aggiungeva un’altra, e cioè che l’accettazione dei rispettivi inviti non avrebbe comportato il sorgere di alcun rapporto obbligatorio tra il terzo ed il creditore. Tuttavia, al di là della constatazione di queste affinità, si riteneva che la delegatio solvendi differisse dall’indicazione passiva per la presenza di due elementi aggiuntivi che ne avrebbero, per così dire, arricchito la fattispecie. Nell’indicazione passiva, attraverso un atto di per sé unilaterale, il debitore–indicante si limitava ad autorizzare il terzo–indicato ad eseguire la prestazione al creditore– indicatario, il quale, a fronte dell’autorizzazione a ricevere il pagamento dal terzo, non avrebbe comunque perduto la facoltà di rivolgersi indifferentemente all’indicante o all’indicato274. Nella delegatio solvendi, invece, per effetto di un contratto di accollo ad efficacia interna concluso tra delegato e delegante, il primo si obbligava verso il secondo ad eseguire la prestazione nelle mani del delegatario, il quale, dal canto suo, avrebbe avuto l’onere di rivolgere la propria richiesta di pagamento prima al delegato, e poi al delegante275.

273

Ciò è vero anche per la delegazione di debito, nella quale al iussum dandi e al iussum

exigendi si sostituiscono il iussum promittendi ed il iussum stipulandi. Sul punto, v. GRECO,

voce Delegazione, in Nov.mo Dig. It., V, Torino, 1960, p. 332.

274 E’ di questo avviso NICOLO’, Il negozio delegatorio, Messina, 1932, p. 89, secondo il

quale nell’indicazione passiva “l’indicatario non acquista un diritto di credito, ma una semplice facoltà di esigere e può, anche dopo l’indicazione, rivolgersi indifferentemente all’indicante o all’indicato”.

275 NICOLO’, Il negozio, cit., p. 104. La tesi appena prospettata pare coincidere con quella del

BETTI, Sulla natura giuridica, cit., p. 526, secondo il quale “l’indicazione può essere, o meno, accompagnata da accollo di pagamento da parte dell’indicato: accollo che, quando sia coordinato all’adempimento di un debito preesistente di esso indicato verso l’indicante, può

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Non si è mancato giustamente di rilevare come le tesi appena esposte poggiassero sopra labili fondamenta dogmatiche. In primo luogo, era d’obbligo constatare come nel Codice abrogato non fosse possibile rinvenire alcuna disposizione che individuasse una correlazione tra gli istituti della delegatio solvendi e dell’assegnazione e, al tempo stesso, ne evidenziasse le differenze

concepirsi come un accollo causale pro solvendo o come un consitutum debiti a favore del terzo indicatario, cui si conferisce così un ius exigendi verso l’indicato”. L’A. prosegue affermando esplicitamente (p. 609, nt. 3) che “questa indicazione accollativa (…) è chiamata di solito delegazione di pagamento, e viene malamente confusa con la delegazione. La quale, per contro, nel diritto odierno ha sempre per obiettivo un’obbligazione e non un semplice pagamento”. In termini pressoché analoghi si esprime anche BONELLI, Della cambiale e

dell’assegno bancario, Milano, 1930, p. 746 ss., il quale, dopo aver affermato che si avrebbe

delegazione vera e propria soltanto nel caso in cui delegante, delegato e delegatario diano luogo ad un negozio trilaterale che veda il sorgere di un’obbligazione del delegato nei confronti del delegatario, rileva come il Codice abrogato affiancasse a tale fattispecie quella in cui il debitore si limitava ad indicare un soggetto che dovesse pagare in sua vece (indicazione di pagamento, ex art. 1273, 1° comma, c.c. abr.). Tuttavia – prosegue l’A. summenzionato – se si individua la caratterista precipua dell’indicazione passiva nel fatto che “né il creditore cui è fatta l’indicazione abbia l’obbligo di rivolgersi all’indicato prima che al debitore per ottenere il pagamento, né l’indicato abbia contratto obbligo alcuno di pagare, è forza ammettere una figura intermedia in cui una o entrambe queste condizioni intervengano senza che tuttavia possa parlarsi di delegazione vera e propria nel senso testé accennato. Questa figura, pur non essendo contemplata nel codice civile, deve ben costituire una delegazione imperfetta del

credito”. Tale delegazione imperfetta del credito altro non sarebbe che la delegatio solvendi,

ovverosia “quella in cui, mentre da una parte il debitore trasmette al proprio creditore il diritto di esigere un dato credito (assegnazione), dall’altra il debitore del credito assegnato si obbliga verso il proprio creditore a fare un tale pagamento (accollo)”. Non sembrano perfettamente coincidere con le opinioni di cui supra le riflessioni di FERRARA sen., in Riv. dir. comm., 1935, I, pp. 407-409. A giudizio di tale A. l’assegnazione di pagamento risulterebbe da un contratto ad efficacia obbligatoria stipulato tra assegnante ed assegnatario, che produce l’effetto di far sorgere, in capo all’assegnatario, un diritto alla riscossione del credito vantato dall’assegnante nei riguardi dell’assegnato. Egli aggiunge inoltre (p. 409) che “l’assegnazione (…) è un contratto che si stringe con il semplice consenso tra assegnante e assegnatario, e che per perfezionarsi e raggiungere il suo scopo deve estrinsecarsi in un ordine rivolto al delegato, che produce l’effetto di vincolare il provento del cespite delegato”.

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rispetto all’indicazione di pagamento276. Inoltre, anche ammettendo che l’appello ai riferimenti normativi potesse rivelarsi in ultima istanza fuorviante (in quanto le espressioni “delegazione di pagamento” e “assegnazione” neppure comparivano nell’impianto codicistico e all’indicazione di pagamento l’art. 1273 riservava un “un unico, modestissimo” comma) era pur vero che una disamina in chiave critica delle fattispecie in oggetto sarebbe stata di per sé sufficiente a fugare ogni dubbio sull’arbitrarietà di una loro configurazione nei termini anzidetti277.

Agli autori che propugnavano la dicotomia in oggetto si poteva infatti facilmente obiettare che, come essi stessi riconoscevano, l’eventuale obbligo interno del delegato verso il delegante – obbligo che, a loro giudizio, avrebbe caratterizzato per specialità la delegatio solvendi rispetto alla mera indicazione di pagamento – si poneva quale elemento estraneo alla normale struttura della delegazione (promissoria). Pertanto, quando tali autori affermavano che nella delegatio solvendi il rapporto interno tra delegante e delegato rimane fuori dallo schema strutturale tipico della delegazione278, ma poi aggiungevano che, “essendosi il delegato obbligato almeno di fronte al delegante ad operare il pagamento”, il negozio si perfeziona se e in quanto “viene posto in essere il rapporto reale fra delegato e delegatario”279, è evidente che essi incorrevano in una vera e propria contraddizione280. Quanto, invece, al secondo elemento che avrebbe contrassegnato la delegatio solvendi come ipotesi speciale rispetto

276 BIGIAVI, La delegazione, cit., p. 82 ss. D’altronde, lo stesso BONELLI, Della cambiale,

cit., p. 746, nt. 1, non può fare a meno di notare come “in questo campo la terminologia è molto incerta e confusa, trattandosi di figure che la legge non specifica e tutto è lasciato all’arbitrio della dottrina”.

277

BIGIAVI, La delegazione, cit., p. 82.

278

NICOLO’, Il negozio, cit. p. 105, nt. 2

279

NICOLO’, Il negozio, cit., p. 105.

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all’indicazione di pagamento, vale a dire l’onere del delegatario di rivolgersi prima all’indicato che all’indicante, si faceva giustamente presente che una tale caratteristica avrebbe riguardato anche l’ipotesi in cui l’invito avesse avuto come scopo una stipulatio e che, pertanto, non avrebbe avuto alcun senso concepire una presunta “indicazione accollativa” quale ipotesi ibrida tra l’indicazione passiva e la delegatio promittendi.

D’ altronde, una disamina in chiave storica delle fattispecie in oggetto dimostra in modo inequivocabile come l’esigenza di dare vita ad una figura ibrida tra la delegazione di debito e l’indicazione di pagamento discendesse dall’errore che minava alla base le trattazioni dei giuristi di diritto comune, i quali, muovendo dalla massima solvit et qui reum delegat281, giungevano ad affermare l’esistenza di un ferreo ed indissolubile vincolo tra delegazione e novazione282. Per molti secoli, infatti, si andò ripetendo quasi unanimemente in

281

La massima è attribuita ad ULPIANO, D. 16,1,8,3. Per una puntuale ricostruzione del pensiero dei giuristi di diritto comune in materia di delegazione si rinvia a MAFFEI, voce

Delegazione (dir. interm.), in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, p. 925 ss.

282 Scrive infatti il NICOLO’, Il negozio delegatorio, cit., pp. 19-20, che “la delegazione, nel

pensiero degli interpreti del diritto romano, non era che una delle forme in cui si estrinsecava la novazione, non era un istituto a sé, ma un mezzo puro e semplice per mettere in vita l’atto giuridico della novazione, la quale mira in ogni caso a sostituire una obbligazione al posto di una antica, che si estingue. Considerata in tal modo la delegazione, gli interpreti, tirandone le logiche conseguenze, affermavano che essa presupponeva un doppio rapporto obbligatorio, l’uno fra delegante e delegato, l’altro fra delegante e delegatario che venivano ad essere novati dal negozio intervenuto tra delegato e delegatario. Questa era per lo meno l’opinione degli scrittori più antichi, sostenuta già da Accursio e dominante sino al sec. XVII. Si pervenne ad un certo temperamento coll’Alciato, seguito dalla maggior parte degli scrittori del sec. XVII e XVIII, per cui si ritenne essenziale per l’esistenza della delegazione un solo rapporto obbligatorio che, secondo la maggior parte degli autori, doveva intercedere tra delegante e delegatario e che, secondo altri, poteva anche intercedere tra delegato e delegante”. Occorre a questo riguardo precisare che la delegazione passiva novativa presuppone l’esistenza (e la validità) del solo rapporto delegante-delegatario, onde per cui il delegato potrà diventare debitore del delegatario in sostituzione del delegante anche in assenza di un precedente vincolo obbligatorio tra colui che si obbliga e colui che emette l’invito ad obbligarsi. Del resto, già

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dottrina che la delegazione altro non fosse se non una specie della novazione soggettiva e che, pertanto, l’accettazione della delega da parte del delegato avrebbe determinato la nascita di un nuovo rapporto in sostituzione di quello originario, con conseguente automatica liberazione del debitore-delegante dal suo obbligo verso il creditore-delegatario. Posta una simile premessa, era inevitabile dedurne che, a fronte dell’intervento del delegato nella posizione di nuovo debitore, dato che questo intervento era considerato necessariamente novativo, il creditore-delegatario avrebbe dovuto considerarsi, per così dire, giuridicamente soddisfatto e, nel caso in cui gli fosse stato impossibile conseguire il pagamento dal delegato, non avrebbe potuto neanche rivolgersi contro il delegante283.

E’ facile intuire come tutto ciò desse luogo a notevoli inconvenienti sul piano applicativo: basti pensare che, nel caso di insolvenza del nuovo debitore, il delegatario non avrebbe potuto far valere le proprie ragioni nei confronti del delegante, ormai definitivamente liberato dall’obbligazione a suo carico. Proprio per ovviare a simili inconvenienti, si pose la necessità di creare un nuovo istituto, la adsignatio, che differiva dalla vera e propria delegatio in ordine a tre fondamentali caratteristiche. In primo luogo, mentre nella delegatio un nuovo debitore (delegato) si sostituiva al vecchio (delegante), nella adsignatio il primitivo debitore restava immutato. In secondo luogo, nella delegatio l’accettazione, da parte del delegato, dell’invito a promettere al delegatario estingueva totalmente il vecchio rapporto tra delegante e delegatario (onde la massima delegatio est solutio), nella adsignatio, invece, restava fermo il rapporto tra assegnante ed assegnatario. Infine, mentre nella delegatio il rischio circa l’esistenza del rapporto di provvista (c.d. periculum nominis) transitava, per effetto della novazione, dal delegante al delegatario – onde per cui quest’ultimo non avrebbe più avuto azione diretta contro il

CUIACIO, Commentaria, col. 1206 ammetteva che la novazione mutato debitore potesse avvenire “si ego alium non debitorem meum tibi delegavero, qui tibi promittat quod debeo”.

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delegante se nulla avesse conseguito dal delegato – nella adsignatio, invece, il creditore avrebbe conservato intatte le proprie ragioni contro il debitore originario284.

Va ascritto alla dottrina tedesca di metà Ottocento il merito di aver svelato le contraddizioni e le aporie in cui incorrevano i giuristi di diritto comune285: pertanto, accantonata l’idea secondo la quale, intervenuta l’accettazione della delega da parte del delegato, questa avrebbe comportato ipso facto la liberazione del delegante dal suo obbligo verso il delegatario, cadeva simultaneamente anche l’asserita necessità di effettuare una distinzione tra delegatio ed adsignatio. Fu così che si iniziò a ripristinare la fattispecie della delegatio nella sua misconosciuta posizione di base dell’indicazione di

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