I POTERI DEL DATORE DI LAVORO: I LIMIT
1. Prerogative e poteri datoriali: le tipologie di limiti.
Il rapporto di lavoro si caratterizza, tradizionalmente, per lo squilibrio tra la posizione del datore di lavoro e quella del lavoratore, tant’è che il diritto del lavoro trova la propria origine e il proprio fondamento proprio nella necessità di un intervento volto a riequilibrare la posizione di debolezza contrattuale in cui si trova il lavoratore85. È infatti peculiarità esclusiva del contratto di lavoro quella di essere un contratto di scambio in cui il lavoratore, verso una retribuzione, offre al datore di lavoro non una merce, bensì le proprie energie lavorative, le proprie competenze, il proprio tempo, accettando volontariamente di essere sottoposto alle direttive, al controllo ed al potere disciplinare di quest’ultimo. Anche semplicemente riflettendo su tale peculiarità, è facile comprendere come spesso il diritto del lavoro, a differenza di altre discipline, debba scontrarsi con aspetti che attengono alla sfera valoriale più intima e personale dell’individuo, come, ad esempio, la dignità umana, la professionalità o la salute del lavoratore.
Se è vero che il lavoratore è un soggetto che volontariamente offre la propria prestazione lavorativa, e quindi la supremazia datoriale rileva già sotto un profilo organizzativo, sono le stesse disposizioni del Codice Civile a mettere in luce la
85 Per un’analisi della dottrina sulle origini del diritto del lavoro, ex multis, CASTELVETRI, Il
diritto del lavoro delle origini, Giuffrè, Milano, 1994; MENGONI, L’evoluzione del pensiero di L. Barassi dalla prima alla seconda edizione del “contratto di lavoro”, in Mengoni, Il contratto di lavoro, Vita e pensiero, Milano, 2004, p. 119 ss.; PASSANITI, Storia del diritto del lavoro nell’Italia liberale (1865-1920), Giuffrè, Milano, 2006.
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supremazia socio-economica del datore di lavoro rispetto al prestatore. Infatti, proprio la definizione di datore di lavoro offerta dall’art. 2086 del Codice Civile attribuisce allo stesso la qualifica di “capo dell’impresa” da cui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. Dall’altra parte, il prestatore di lavoro subordinato viene definito, ai sensi dell’art. 2094 del Codice Civile, come colui che si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore86.
Oltre a godere di una supremazia socio-economica, percepibile dal tenore letterale delle norme, il datore di lavoro è titolare di prerogative nei confronti del lavoratore, le quali si sostanziano nel potere organizzativo, nel potere direttivo, nel potere disciplinare e nel potere di controllo.
Il potere organizzativo del datore di lavoro prescinde dalla fonte contrattuale, trovando il proprio fondamento nell’art. 41 co. 1 della Costituzione, in forza del quale l’iniziativa economica privata è libera. Ed è proprio dal potere organizzativo, costituzionalmente tutelato, che discendono e si concretizzano i poteri del datore di lavoro, tradizionalmente classificati come direttivo, disciplinare e di controllo.
Il potere direttivo trova il proprio riferimento normativo nel già citato art. 2094 del Codice Civile, laddove il legislatore utilizza i concetti di direzione e di dipendenza per indicare la subordinazione del prestatore, nonché nell’art. 2104 co. 2 del Codice Civile, a mente del quale il lavoratore deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Il datore di lavoro ha quindi il potere conformativo di impartire ordini, dare direttive, definendo e specificando i modi ed i tempi della prestazione lavorativa. Autorevole dottrina ha sottolineato come il potere direttivo rivesta una duplice funzione, in quanto, da un lato, rappresenta l’elemento distintivo essenziale per
86 Per la dottrina sulla subordinazione e sull’evoluzione del concetto di subordinazione, ex multis, MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv. Dir. Comm., 1954, p. 185 ss.; MENGONI, La questione della subordinazione in due trattazioni recenti, in Riv. It. Dir.
Lav., 1986, I, p. 5 ss.; SUPPIEJ, La struttura del rapporto di lavoro, CEDAM, Padova, 1957;
D’ANTONA, I mutamenti del diritto del lavoro ed il problema della subordinazione, in Riv. Crit.
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qualificare, attraverso il motodo sussuntivo o attraverso il metodo tipologico, il rapporto di lavoro subordinato, dall’altro costituisce lo strumento tipico di cui il datore di lavoro può disporre per amministrare il rapporto87. Sotto il primo profilo, nel corso degli anni la giurisprudenza ha utilizzato l’eterodirezione come indice della subordinazione, ritenendo che proprio il potere direttivo costituisca tratto peculiare imprescindibile del rapporto di lavoro subordinato88.
Sotto un profilo dinamico-attuativo, il potere direttivo rappresenta invece uno strumento indispensabile per il datore di lavoro, il quale può richiedere l’adeguamento della prestazione del lavoratore ai mutevoli interessi aziendali89. Non a caso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il potere direttivo consiste nell’assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporne secondo le mutevoli esigenze di tempo e luogo e di determinarne le concrete modalità con l’imposizione di decisioni e istruzioni alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, nella permanenza dell’obbligazione del medesimo di mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative90. In quest’ottica, il potere direttivo costituisce uno strumento di organizzazione del lavoro attraverso il quale il datore può attuare scelte gestionali di flessibilità funzionale. Il datore di lavoro, ad esempio, può variare unilateralmente l’orario di lavoro senza il necessario consenso del lavoratore, così
87 In tal senso, PERULLI, Potere direttivo e suoi limiti generali, in Dig. Disc. Priv. Sez. Comm. (aggiorn.), Torino, 2009, p. 854.
88 Cass. 22 gennaio 2015, n. 1178, con nota GADALETA, In tema di prova dell’eterodirezione:
mansioni ed indici della subordinazione, in Riv. It. Dir. Lav., 2015, 3, p. 684 ss.; Cass. 21 ottobre
2014, n. 22289, in Foro It., 2014, p. 3429; Cass. 31 ottobre 2013, n. 24561, in Mass. Giur. Civ., 2013, 1, p. 1092 ss.; Cass. 5 marzo 2012, n. 3418, in Mass. Giur. Civ., 2012, 3, p. 273 ss.; Cass. 9 ottobre 2006 n. 21646, in Rass. Giur. Lav., 2007, II, p. 144; Cass. 26 luglio 2011 n. 16254 in Lav.
Giur., 2011, p. 1054; Cass. 22 novembre 1999, n. 12926, in Riv. It. Dir. Lav., 2000, II, p. 633. Vi
sono tuttavia casi in cui si parla di “subordinazione attenuata” in quanto non è necessaria, in ragione delle peculiarità delle prestazioni richieste, l’emanazione di ordini continui, dettagliati e strettamente vincolanti, potendo il potere direttivo consistere in mere direttive programmatiche (ex
pluris, Cass. Civ. 30 marzo 2003, n. 7681, in Lav. Giur., 2010, p. 623; Cass. 20 giugno 1997, n.
5520, in Riv. It. Dir. Lav., 1997, II, p. 701; Cass. 19 aprile 2013, n. 9599, in Dir. Giust., 2013; Cass. 7 febbraio 2013, n. 2931, con nota SCOFFERI, Un rapporto è autonomo solo in assenza di
specifiche direttive, in Dir. Giust. Online, 2013).
89 PERULLI, ult. op. cit., p. 854. L’Autore distingue tra un profilo statico-definitorio della subordinazione giuridica ed un profilo dinamico-attuativo. Il profilo statico-definitorio consiste nella concezione della subordinazione al potere direttivo come elemento distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato, ossia come tratto caratterizzante in fase di qualificazione del rapporto; il profilo dinamico-attuativo ravvisa invece nel potere direttivo lo strumento tipico di cui il datore di lavoro dispone per l’espletare la propria attività d’impresa.
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come può distaccare il lavoratore nel proprio interesse e senza consenso del lavoratore presso altra impresa, può trasferire il lavoratore per ragioni tecniche, produttive e organizzative, può variarne le mansioni ai sensi dell’art. 2103 del Codice Civile.
Il potere di controllo, sul quale non ci soffermerà per non divagare dal focus della questione, costituisce una prerogativa che, sebbene non espressamente prevista dal Codice Civile, non è mai stata messa in discussione91. Il potere di controllo del datore di lavoro è infatti stato ritenuto ancillare rispetto al potere direttivo, in quanto strumentale al fine di consentire al datore di lavoro di verificare l’esatto adempimento dell’obbligazione da parte del lavoratore e, nel contempo, di procedere all’eventuale esercizio del potere disciplinare nell’eventualità in cui il datore di lavoro rilevi un inadempimento o una violazione degli obblighi cui è sottoposto il lavoratore. Tuttavia, proprio in ragione del fatto che ai poteri datoriali, primo tra tutti quello direttivo, corrisponde una soggezione del lavoratore, e che gli stessi sono potenzialmente in grado di incidere su beni e valori di rango costituzionale, le modalità di concreto esercizio non possono essere arbitrarie e devono sottostare a dei limiti.
Infatti, se è vero che le riforme del diritto del lavoro hanno comportato, nel corso degli anni, una progressiva limitazione delle pregorative datoriali92, negli ultimi tempi stiamo assistendo a quello che autorevole dottrina ha denominato “cambio di paradigma”93. Le norme di diritto positivo, in altri termini, sembrano ora voler attenuare quel garantismo che ha connotato il diritto del lavoro. L’analisi delle modifiche previste dal Jobs Act in tema di esercizio dei poteri datoriali (si pensi
91 Il potere di controllo si ricollega al potere di intervento che l’ordinamento civilistico riconosce al creditore di verificare l’operato del debitore, in particolare nei rapporti di durata, al fine di tutelare il suo interesse alla pretesa creditoria. Il potere di controllo, tuttavia, si estrinseca durante l’intera durata del rapporto di lavoro. Per un esame del potere di controllo, ex multis, VENEZIANI, I
controlli dell’imprenditore ed il contratto di lavoro, Cacucci, Milano, 1975.
92 Fin dall’origine, a partire dai primi anni dell’industrializzazione, il diritto del lavoro si è posto l’obiettivo di limitare l’uso indiscriminato del lavoro. Non a caso, l’esigenza di varare una legislazione sociale in favore di donne e fanciulli, trovò un forte ostacolo negli industriali, preoccupati del fatto che un intervento legislativo in materia potesse limitare i loro poteri. La Legge 11 febbraio 1886 n. 3657 sul lavoro dei fanciulli, varata dopo un travagliato iter parlamentare, risultava infatti incompleta e poverissima in termini di contenuti. Solo nel 1902, con la nota Legge Carcano, poi confluita nel Testo Unico sul lavoro delle donne e dei fanciulli del 1910, vennero posti dei limiti allo sfruttamento del lavoro femminile.
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alla modifica della disciplina delle mansioni e dello ius variandi, ma anche all’esecizio del potere disciplinare attraverso l’introduzione del contratto a tutele crescenti) conferma come negli ultimi anni si sia di fatto alterato, sotto la potente spinta di una cultura neo-liberista, l’equilibrio tra libertà d’impresa e tutela del lavoro. Infatti, complici la grave crisi economica e la globalizzazione, sono entrati in maniera dirompente nelle agende dei Governi che si sono succeduti, italiani ma non solo, obiettivi quali la salvaguardia del mercato e la competitività delle imprese, nonché, come chiaramente sottolineato nel Libro Verde del 200694, il mantenimento dell’occupazione ed il suo miglioramento qualitativo. Si è nel contempo sviluppata l’idea che il raggiungimento di detti obiettivi contrasti non solo con la valorizzazione dei diritti sociali, ma anche con le tutele che il diritto del lavoro ha riconosciuto e garantito ai lavoratori, i quali hanno visto piena espressione nell’emanazione dello Statuto dei lavoratori95. La strategia politica della flessibilità del lavoro, tanto in entrata ed in uscita, quanto sul piano funzionale, finisce per apparire quindi come una soluzione alla rigidità ed alla staticità del mercato e degli apparati produttivi, nonché uno strumento potenzialmente in grado di rilanciare l’economia96.
94 All’interno del Libro Verde della Commissione Europea del 2006 (Modernizzare il diritto del lavoro per raccogliere le sfide del XXI secolo), si afferma che «nel contesto della globalizzazione,
del processo di ristrutturazione e della progressione verso un'economia fondata sulla conoscenza, i mercati del lavoro europeo devono essere al tempo stesso più̀ inclusivi e più̀ reattivi all'innovazione e al cambiamento. I lavoratori potenzialmente vulnerabili devono avere la possibilità̀ di progredire socialmente per migliorare la loro mobilità e affrontare con successo le loro transizioni sul mercato del lavoro. Le norme giuridiche che sottendono il rapporto di lavoro tradizionale non danno forse un sufficiente margine di manovra ai lavoratori reclutati sulla base di contratti a durata indeterminata standard per esplorare le opportunità̀ di una maggiore flessibilità̀ sul lavoro e non li incoraggiano ad agire in questo senso. La corretta gestione dell'innovazione e del cambiamento implica che i mercati del lavoro prendano in considerazione tre aspetti principali: la flessibilità̀, la sicurezza nell'occupazione e la segmentazione».
95 Sul “cambio di paradigma” vissuto dal diritto del lavoro dei nostri giorni, si veda PERULLI op.
cit., p. 17 ss..
96 A tale proposito, si veda l’incipit del d.l. n. 34/2014, laddove il legislatore delegante afferma che la flessibilizzazione è volta a fronteggiare «la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza
dell’attuale quadro economico, nel quale le imprese devono operare, nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente e salva l’attuale articolazione delle tipologie di contratti di lavoro, vista la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del
28 giugno 1999 (...)». Ed inoltre, «analogo ragionamento vale (...) per l'attrazione di investimenti
stranieri: un mercato del lavoro più̀ efficiente è cruciale per l'attrattività̀ del Paese, esattamente come il costo dell'energia o l'efficienza della pubblica amministrazione o del sistema giudiziario»
ed «il fine ultimo dell'intervento è quello (...) di sostenere in modo complessivo ed organico la
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La supremazia datoriale sui dipendenti non può peraltro estendersi al punto tale da limitare eccessivamente la sfera privata e personale del lavoratore, ritenendosi ammissibile solamente laddove funzionale alla prestazione lavorativa. Come si avrà modo di chiarire nei prossimi capitoli, non è sempre facile individuare il confine, in quanto alcune circostanze che parrebbero a prima vista funzionali alla prestazione lavorativa (si pensi ad esempio all’orario di lavoro) finiscono invece per incidere fortemente sulla sfera privata del lavoratore stesso.
Proprio da tali presupposti, in presenza di un potere legislativo più che mai dinamico nell’emanazione di riforme epocali suscettibili di rimettere in discussione anche i punti più fermi dell’intera materia, prende avvio l’indagine sui limiti ai poteri datoriali.
Posta tale premessa, è opportuno ora soffermarsi sui limiti ai poteri datoriali. In tale capitolo verranno analizzate le tipologie di limite cui i poteri del datore di lavoro sono assoggettati, i quali costituiscono condizioni di legittimità degli atti con cui i poteri stessi vengono esercitati.
È d’ogni evidenza che i limiti ai poteri del datore di lavoro si rinvengono tanto nel regolamento negoziale concordato tra le parti, quanto nelle fonti eteronome. I limiti generali all’esercizio del potere datoriale imposti da fonti eteronome sono anzitutto quelli che si rinvengono nella Carta Costituzionale, nella legge e nella contrattazione collettiva, nazionale e decentrata.
Ebbene, un primo criterio d’analisi dei limiti all’esercizio dei poteri datoriali è quello che distingue tra limiti di fonte legale e limiti di fonte negoziale.
Tra i limiti legali, rilevano anzitutto i limiti dettati dal testo costituzionale, laddove sono sanciti limiti quali il divieto di atti discriminatori o che possano rivelarsi pregiudizievoli per un lavoratore in ragione del sesso, della razza, dell’orientamento sessuale o di altro fattore discriminatorio, il divieto di indagare sulle opinioni, il divieto di il divieto di compiere atti che mettano in pericolo il diritto alla salute, strettamente connesso agli obblighi di protezione del lavoratore di cui all’art. 2087 del Codice Civile ed al d.lgs. n. 81 del 2008.
Il nostro ordinamento riconosce al datore di lavoro, in quanto imprenditore, una protezione di livello costituzionale, laddove lo stesso art. 41 co. 1 della Costituzione sancisce che l’iniziativa economica privata è libera. È proprio in
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forza del principio di libertà di iniziativa economica che il datore di lavoro può esercitare i poteri e le prerogative attribuiti allo stesso all’interno dell’ordinamento, i quali tuttavia non sono illimitati, tant’è che lo stesso comma 2 dell’art. 41 della Costituzione prosegue affermando che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana97.
Un ulteriore ordine di limiti legali si evidenzia all’interno delle norme ordinarie del Codice Civile, dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300 del 1970) e delle norme speciali in relazione alla disciplina dei poteri tipici del datore di lavoro, ossia all’interno delle norme che regolano il potere direttivo, il potere disciplinare ed il potere di controllo. Le disciplina è estremamente ampia e dettagliata, a titolo esemplificativo si pensi ai limiti al potere di ius variandi posti dall’art. 2103 del Codice Civile, così come modificato dal d.lgs. n. 81 del 2015, ai limiti al potere di trasferimento del lavoratore, ai limiti procedurali e sostanziali posti all’esercizio del potere disciplinare, ma anche ai limiti previsti dallo Statuto dei lavoratori per quanto concerne l’esercizio del potere di controllo98.
97 La dottrina maggioritaria ritiene che la disposizione di cui all’art. 41 co. 2 Cost. non costituisca un limite interno alla libertà di iniziativa economica, così come rifiuta che rappresenti un limite interno alla libertà di iniziativa economica. In tal modo la dottrina rifiuta il concetto della funzionalizzazione dei poteri. Al contrario, CARINCI, Il giustificato motivo oggettivo nel
rapporto di lavoro subordinato, in Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, Padova, 2005, p. 122 ss. fa ricorso alla figura dell’abuso del diritto in
relazione al giustificato motivo oggettivo di licenziamento. L’Autrice nega che l’art. 41 Cost. funzionalizzi l’iniziativa privata, ma valuta l’esercizio di talune prerogative datoriali in termini di controllo positivo sugli scopi e sugli interessi effettivamente perseguiti.
98 È la legge ordinaria a delimitare il potere di controllo attribuito al datore di lavoro, stabilendo dei limiti rigorosi agli articoli da 2 a 6 dello Statuto dei Lavoratori. Non a caso, tali articoli sono collocati all’interno del titolo I, rubricato “della libertà e della dignità del lavoratore”. È infatti proprio con il valore della dignità personale che deve essere bilanciato il diritto del datore di lavoro di controllare i comportamenti del lavoratore. Pertanto, il potere di controllo del datore di lavoro trova un limite nella riservatezza, nella libertà personale e nella sicurezza del lavoratore, la cui libertà non può essere eccessivamente limitata.
Esaminando concretamente quali sono questi limiti, si rileva come il datore di lavoro possa impiegare le guardie giurate esclusivamente per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le stesse, inoltre, non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale. Inoltre, le guardie giurate eventualmente utilizzate dal datore di lavoro non possono accedere ai locali in cui si svolge l’attività lavorativa, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti alla tutela del patrimonio aziendale. L’art. 2 dello Statuto dei Lavoratori prevede peraltro che, in caso di inosservanza da parte di una guardia giurata delle disposizioni predette, l'Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi più gravi.
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L’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori prevede invece, allo scopo di evitare qualunque forma di controllo occulto, l’obbligo del datore di lavoro di comunicare ai lavoratori interessati i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività lavorativa.
Un ulteriore ordine di limiti al potere di controllo, cui si è interessata moltissimo la giurisprudenza soprattutto in seguito all’introduzione delle nuove tecnologie, concerne la possibilità di controllo a distanza dei lavoratori. L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, modificato dal d.lgs. n. 151 del 2015, si scontra con la necessità di bilanciare il potere di controllo del datore di lavoro con il diritto fondamentale alla riservatezza del lavoratore. L’articolo prevede il generale divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per esclusiva finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e sicurezza aziendali, ma dai quali derivi, indirettamente, anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali, oppure, con autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro. Già antecedentemente al d.lgs. n. 151 del 2015, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il limite di cui all’art. 4 Statuto dei Lavoratori non trovi applicazione nell’ipotesi di controlli