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PRESENTATI DAGLI AUTORI

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1981 (pagine 124-127)

DOMENICO PICCOLO. COSIMO VITALE. Metodi statistici per l'analisi economica

-Voi. di 14 x 21 cm, pp. 743 - Il Mulino, Bologna, 1981 - L. 30.000.

Il testo che ci accingiamo a presentare si rivolge a stu-denti e ricercatori che intendono utilizzare la metodolo-gia statistica con l'obiettivo primario di applicarla alle scienze economico-sociali, a fini di descrizione e inter-pretazione, analisi e controllo dei fenomeni oggetto di studio. Esso nasce dall'esperienza didattica e scientifica degli Autori il cui contatto con tale tipo di utilizzatori ha fatto nascere l'esigenza di un testo, redatto in lingua italiana, le cui finalità e i cui contenuti potessero soddi-sfare, in modo quasi compiuto, tale tipo di studiosi. Ci è sembrato, quindi, importante premettere alcuni ele-menti essenziali della statistica descrittiva ed economica essendo convinti dell'opportunità di possedere strumenti semplici e immediati, propedeutici a qualsiasi analisi an-che elaborata la quale, proprio perché tale, si configura come successiva. In tal senso, il testo sviluppa nella pri-ma parte risultati facilmente acquisibili anche in altri la-vori.

In secondo luogo, ci è parso obbligato evidenziare il ruolo preminente del Calcolo delle Probabilità nella fon-dazione logica e rigorosa della disciplina statistica: solo in tale contesto, a parere nostro, può dedursi corretta-mente il successivo passaggio dalle osservazioni ai mo-delli teorici. Per non appesantire matematicamente la trattazione e rinviando alla bibliografia quegli approfon-dimenti che si rendessero necessari per chi volesse ac-quisire metodi più sofisticati, l'esposizione si concentra sull'essenziale di quanto occorre perché siano compren-sibili e formalmente corrette le successive applicazioni. Vengono poi proposti i fondamenti della teoria statistica dell'inferenza sia per quanto attiene alla stima sia al test delle ipotesi, incluso un cenno agli intervalli di confiden-za: l'enfasi della trattazione è posta sugli aspetti logici della problematica sia per le connessioni col substrato probabilistico — il che rende corrette quelle deduzioni — sia per le connessioni con la realtà decisionale — il che rende operative tali metodologie.

Ma, ci pare, la parte più rilevante del lavoro è quella fi-nale in quanto offre molteplici elementi di novità per una pubblicazione di statistica. Viene qui impostato il di-scorso sui modelli lineari quale classe privilegiata per analisi descrittive, interpretative e previsive nei problemi economici. In tale classe viene collocato sia il problema «classico», e ormai collaudato, della teoria della regres-sione con metodi e sviluppi successivi, sia il problema «moderno», e tuttora fecondo di sviluppi, dell'analisi delle serie storiche. Questa impostazione è sostanzial-mente nuova e rappresenta una sintesi e una prima op-portunità di puntualizzare metodologie moderne di pre-visione (quella Box-Jenkjns, per esempio) il cui interesse è sempre più crescente.

In tale ottica, la dicotomia tra capacità interpretativa ed efficacia previsiva dei singoli modelli viene notevolmente attenuata sia per il costante riferimento ai problemi reali sia per un'implicita discussione, sempre presente nel te-sto, sulle origini e sulle critiche che ogni approccio pre-senta. In tale parte, a più riprese, viene sottolineato il principio generale per cui lo studioso che conosce il problema è il miglior utilizzatore, spesso critico, di quel metodo statistico per il quale alla fine decide di optare. Pur non essendo neutrali fra i vari approcci, abbiamo creduto opportuno fornire una pluralità di metodi per lo stesso obiettivo. Emblematico, al riguardo, è il problema delle previsioni che si affronta in diversi contesti con dif-ferenti opzioni e, talora, difdif-ferenti risultati.

Se tali contenuti qualificano il libro, qualcosa va aggiun-to circa il criterio meaggiun-todologico con il quale questi con-tenuti vengono proposti. L'esperienza ci ha suggerito di

usare il principio generale di esporre ogni metodo par-tendo da problemi reali e circoscritti che vengono, poi, affrontati e risolti nell'ambito di una teoria statistica la cui efficacia andrà misurata nel confronto con nuovi problemi reali dove nascono generalizzazioni, critiche, ri-pensamenti e nuove sistemazioni. Pertanto, lo schema «realtà-metodo-realtà» ci pare didatticamente efficace e storicamente valido sia per mostrare nei fatti l'utilità del metodo statistico sia per far nascere l'opportunità di ul-teriori approfondimenti. Questa prospettiva spiega per-ché gli esercizi, posti alia fine di ciascun capitolo, non perseguono soltanto una finalità esemplificativa ma vor-rebbero suscitare qualcosa di più nel lettore. Essi vengo-no cosi concepiti come «proposte», talora semplici e ta-lora più elaborate, tata-lora di applicazione, tata-lora di gene-ralizzazione, dei principi e dei metodi di cui il capitolo si è occupato.

FULVIO BEATO, Agricoltura: economica e politica - Voi. di 13 x 21 cm, pp. 208 - Il

Muli-no, Bologna, 1981 - L. 8000.

Il presente lavoro costituisce il prodotto derivato —- ma si spera non secondario — di una più ampia ricerca di base. Tale ricerca, che è in via di pubblicazione, aveva caratteristiche eminentemente documentarie e bibliogra-fiche. Condotta su circa centosessanta riviste italiane di cultura scientifica (di scienze storico-sociali) e/o politica o di cultura in senso lato, l'indagine era basata sullo spoglio sistematico di tutti i titoli apparsi nel corso di un'annata — il 1978 — al fine di operarne una scelta in-formata ad un criterio essenzialmente tematico. Il tema oggetto di indagine, che in estrema sintesi può essere individuato nel ciclo agro-alimentare, si presenta ora, a ricerca compiuta, dotato di una più ricca struttu-razione che ne mette in rilievo i contenuti specifici. Essi possono essere assimilati ai seguenti campi di inte-resse:

a) sociologia rurale

b) economia agraria c) politica agraria

dì sociologia dei consumi (alimentari)

et economia industriale (industria alimentare) fi politica dell'alimentazione

g) storia dell'agricoltura h) diritto agrario.

La fase successiva a questo primo stadio della ricerca, che ha condotto al reperimento ed all'organizzazione di circa seicento titoli, si è esplicata in un ulteriore vaglio. Questa volta, però, il criterio di scelta si è di fatto iden-tificato con l'individuazione di lavori connessi, anche se con qualche margine di flessibilità, con le tematiche pre-senti nel Rapporto sullo stato dell'agricoltura 1977-1978 redatto dall'Istituto Nazionale di Economia Agraria su in-carico del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste. Esse sono:

1. i mutamenti nelle politiche agricole internazionali; 2. la politica agricola della CEE;

3. la politica agricola nazionale; 4. le alternative dell'agricoltura italiana;

5. l'attuazione delle direttive comunitarie nelle politiche agricole delle Regioni;

6. il problema della revisione delle direttive.

Un'intelaiatura di riferimenti tematici siffatta — che ha anche suggerito l'organizzazione espositiva del lavoro — lungi dal costituirsi come parametro estrinseco ad una ricerca come quella sopra brevemente delineata, si pre-senta invece come un'adeguata indicazione metodologi-ca e sostantiva.

Non v'è chi non veda, infatti, come l'agricoltura italiana, direttamente o in quanto partecipe del Mercato Comune Europeo, abbia ormai intessuto una fitta trama di rela-zioni con il mercato agricolo mondiale e come questa trama giunga a determinare le scelte e gli sviluppi dell'agricoltura del nostro paese. Le politiche agricole, quindi — e, per questa via, lo stesso assetto sociale e produttivo del settore primario — risultano condizionate da una duplice configurazione di vincoli esterni «... deri-vanti alcuni dal mercato internazionale e di natura più strettamente economico-monetaria, altri dal contesto CEE ed a carattere specificatamente politico-istitu-zionale».

D'altro canto, quelle politiche nazionali, aperte verso l'esterno, possiedono anche un'articolazione interna. Si deve infatti oggi parlare di politiche agricole nazionali

centrali e periferiche — come titola il terzo capitolo della

nostra ricerca — e ciò soprattutto a seguito del lento ma progressivo affermarsi di una decisionalità politico-amministrativa regionale e sub-regionale (comprensori, comunità montane, ecc.) che si prospetta tanto più rile-vante quanto più avanzano tutti quei processi — politici ma anche culturali — che conducono alla valorizzazione dei livelli territoriali della programmazione agricola. I quali, se non determinano per autonomo ed esclusivo impulso le forme più moderne della partecipazione de-mocràtica, di certo le consentono e le favoriscono. Ciò per quanto attiene al metodo di esposizione ed all'oggetto di indagine.

I materiali per questa via reperiti hanno subito ancora un'altra «lavorazione», nel senso che sono stati sotto-posti ad una sistematica e puntigliosa ricognizione. Ciò ha comportato, come è fin troppo ovvio, l'adozione di una «chiave di lettura» o, se si preferisce, l'assunzione di alcuni punti di vista capaci di promuovere una rasse-gna non indistinta dei testi. Tali punti di vista coincido-no, in buona sostanza, con gli obiettivi del presente la-voro o, almeno, ad essi si approssimano e pertanto ver-ranno qui di seguito esplicitati e illustrati.

a) Ricostruzione completa ed oggettiva del

di-battito

Il perseguimento dei requisiti della completezza e dell'oggettività, come caratteri irrinunciabili dei risultati di ricerca, ha guidato il lavoro nel senso che la ricostru-zione del dibattito doveva registrare tutte le posizioni più significative emerse e doveva registrarle al riparo di sovrapposizioni o interferenze valutative soggettive. Ed è da questa ultima opzione che deriva alla redazione del testo l'ampio uso del discorso diretto e, soprattutto, il ricorso insistito alla parafrasi; due tecniche stilistiche, queste, che garantiscono, almeno così si auspica, l'espressione del pensiero degli Autori quanto più possi-bile non mediata da principi di preferenza (...).

b) Accentuazione; nel lavoro ricognitivo, dei

nessi che intercorrono tra politica ed economia, tra istituzioni-legislazioni e società

Si è trattato, questa volta si, di far valere un'opzione di ricerca, un'ipotesi di lavoro che avesse la caratteristica fondamentale di costituirsi come guida ed orientamento, nell'itinerario di lettura, nell'altrimenti magmatica mole dei materiali bibliografici e, altresì, che potesse fungere da salvaguardia cautelativa rispetto ad un concetto limi-tativo di oggettività come acritica ed appiattita identifi-cazione con i nuclei di significato reperibili nei testi inda-gati.

La ricerca dei nessi che si stabiliscono tra insiemi di va-riabili politiche e insiemi di vava-riabili socio-economiche trova la sua genesi e la sua motivazione fondamentale nell'esplicita presa d'atto — documentata anche dal di-battito in questa sede riferito — di una mutazione già storicamente prodottasi.

Settore «antico» quant'altri mai, quello dell'agricoltura non si sottrae infatti all'irruzione della modernità politico-economica dell'intervento statuale: basti qui

considerare che gran parte degli investimenti sono ormai attivati dalla spesa pubblica e che tale tratto distintivo è poi ancor più accentuato, nella più recente esperienza italiana, dalla delineazione e dalle prime fasi attuative del Piano agricolo-alimentare.

Dal riconoscimento dell'esistenza di una sempre più fitta interconnessione tra politica ed economia, tra istituzioni-legislazioni ed ambiti del sociale, derivano allora quelle sottolineature di discorso che via via si mostrano nello svolgersi della presente ricostruzione. Cosi, e per esem-plificare, le vicende e le strutture del mercato mondiale dei beni agricolo-alimentari vengono poste in circuito con il food power e le politiche agricole comunitarie so-no relate agli effetti di accentuazione che esse produco-no sulle già esistenti disparità territoriali.

Resta da giustificare la delimitazione temporale e l'esclu-sione dalla ricerca di materiali (volumi, documenti, atti di convegni e congressi, ecc.l non riconducibili agli arti-coli di rivista.

L'anno 1978 costituisce il periodo immediatamente pre-cedente l'inizio della ricerca che, va notato, ha richiesto tempi lunghi anche per le difficoltà di reperimento delle riviste, alcune delle quali apparse addirittura nel corso inoltrato del 1979. La scelta di ricostruire e documentare il dibattito di un solo anno è stata determinata soprat-tutto dalla esigenza di fissarlo, per cosi dire, in un pun-to, essendo stata programmaticamente esclusa ogni pur auspicabile ricostruzione a taglio diacronico più pro-fondo.

Alla decisione di lavorare lungo l'asse breve della sincro-nia non è stata estranea, inoltre, la connotazione speci-fica delle scienze sociali come scienze dell'attuale.

AUTORI VARI (a cura di G. P. Catelli e S. R.

Montani), I nodi del progetto cooperativo

-Voi. di 17 x 24 cm, pp. 259 - Vita e Pensiero,

Milano, 1980 - L. 8000.

È dunque possibile, oggi, vedere in questo senso la cooperazione come la reale proposta avanzata nel seco-lo precedente di momento alternativo e di rivoluzione, rispetto alla via capitalistica, come rispetto alla colletti-vizzazione di stampo socialista?

Ambiguità e contraddizioni sembrano emergere da un discorso sulla cooperazione dipendente dal capitalismo maturo, e mentre calano e decadono le immagini di identità cooperazione/autogestione e di equilibrio tra so-ci e potere cooperativo, si accentuano fenomeni di dei-deologizzazione interni al movimento cooperativo. Qual è il significato profondo di tali fenomeni? Quanto si sta prefigurando è la perdita di slancio della cooperazione, ridotta a modello di razionalità strumenta-le, o è piuttosto il sintomo della richiesta di una risco-perta della cooperazione come proposta rivoluzionaria? Sono, questi, gli interrogativi che si agitano nell'attuale dibattito sul movimento cooperativo e sono, nel con-tempo, gli interrogativi riproposti nel presente volume, che intende offrire, attraverso approcci pluridisciplinari, un tentativo articolato di lettura e di interpretazione di quelli che oggi appaiono essere i nodi fondamentali del progetto cooperativo.

Sono i temi che tracciano il profilo dei diversi contributi e che appaiono già nel primo capitolo, che focalizza i caratteri della razionalità cooperativa.

Luigi izzo delinea la proposta originaria del modello

coo-perativo, inteso come superamento della dicotomia capitale-lavoro in termini di associazione e di collabora-zione, sottolineando le influenze della rivoluzione indu-striale sulla impresa cooperativa moderna che, in tutto l'occidente, nasce e si sviluppa quindi come alternativa al capitalismo, pur con le differenziazioni esistenti tra i caratteri che viene ad assumere, almeno inizialmente, nei vari paesi: più spiccatamente rivendicativo in Gran Bretagna e politico in Francia; con una genesi di tipo borghese in Germania e di tipo mutualistico in Italia.

Il tema della relazione tra l'affermarsi del capitalismo e il sorgere dell'esigenza di una difesa dagli effetti negativi, non solo economici, di un sistema basato sul profitto, con la proposta di modelli che rivalutino la centralità dell'uomo nella sua unitarietà dì essere produttore e consumatore, è ripreso da Emilio Benini nell'analisi dello sviluppo della cooperazione verso modelli sempre più avanzati e maturi. L'autore individua nella ipotesi forma-tiva la chiave di lettura del ruolo cooperativo, che ne di-stingue le iniziative dagli altri fenomeni associativi, pro-prio in quanto rivolto ad una dimensione non meramen-te economica dell'individuo, ma ricco di pomeramen-tenzialità di promozione, esplicabili soprattutto nei confronti di aree marginali quali quelle rurali.

In forma ancora più problematica, le tematiche della ri-spondenza tra i caratteri essenziali del modello coopera-tivo e le forme assunte nel suo processo di sviluppo, nonché degli interrogativi che ne derivano, sono riprese nel secondo capitolo che propone un'analisi socio-economica della cooperazione tra progetto e produt-tività.

Franco Rosa apre la sua analisi economica dello

svilup-po storico dell'impresa cooperativa sottolineando che i differenti ruoli attribuiti al lavoro e al capitale, da questa e dall'impresa capitalistica, ne determinano la concezio-ne e si riflettono concezio-nelle forme di gestioconcezio-ne e di remuconcezio-nera- remunera-zione dei due fattori: la tradizionale massimizzaremunera-zione del profitto dell'impresa capitalistica diventa la massimizza-zione del reddito prò capite per l'impresa cooperativa. Con l'introduzione della teoria cooperativa nello schema concettuale dell'analisi neoclassica, le finalità e gli obiet-tivi economici dell'impresa cooperativa sono quindi defi-niti in ordine alla possibilità di assumere il ruolo di sog-getto aziendale, di lavoratore-imprenditore, con tutti i benefici e i rischi che ad esso si connettano. I problemi successivamente presentati, in ordine al rap-porto produzione-consumo e all'equilibrio economico dell'impresa cooperativa, sono ripresi più avanti da

Gio-vanni Galizzi che, presentato il quadro attuale delle

tra-sformazioni in atto nel mercato della produzione agrico-la, trasformazioni derivanti da mutamenti nelle dimensio-ni stesse del mercato e in alcudimensio-ni atteggiamenti del con-sumatore, nonché dallo sviluppo della grande distribu-zione e dell'industria alimentare, individua le quattro funzioni fondamentali della cooperazione agricola mo-derna nella programmazione, concentrazione, organizza-zione e formaorganizza-zione, segnalando i rischi connessi alla perdita di autenticità di un movimento cooperativo che, privilegiando essenzialmente la strumentalità economica, dovesse giungere ad uno scollamento della base sociale. La perdita di autenticità del movimento sembra infatti essere uno degli interrogativi più pressanti di oggi, ripre-so da Gianni Trioio nella sua analisi, ripre-soprattutto nella parte dedicata alla cooperazione di credito, in cui si af-facciano le polemiche in corso da anni tra le Banche Po-polari e la più vasta parte del cooperativismo italiano. II capitolo che segue affronta con un taglio più spiccata-mente sociologico gli interrogativi della cooperazione dall'utopia al capitale. Nel primo articolo i tre autori del saggio, Giovanni Mezzadri, Anna Rosa Montani e

An-drea Serpagli, pongono in rilievo la connessione tra la

crisi della società rurale italiana e la crisi dell'associazio-nismo agricolo, connessione che permette di poter rite-nere che una corretta rivalutazione del movimento coo-perativo possa porsi come strumento di promozione dei contesti sociali agricoli. I poli del discorso vertono sulle due anime della cooperazione agricola, quella strumen-tale e quella associazionistica, e attraverso i risultati di una ricerca pilota essi tendono a dimostrare la significa-tività e l'incisività con cui il secondo modo di essere del-la cooperazione può operare in zone particodel-larmente marginali.

Nel secondo saggio del capitolo Giampaolo Catelli ri-prende questi temi, sottolineando ulteriormente come la crisi sommersa del movimento cooperativo vada letta oggi in riferimento ai problemi di coerenza interna con le linee ispiratrici ed ai problemi di deideologizzazione del movimento. L'autore ricorda e riprende la imposta-zione teorica di Toniolo che poneva, alla base della coo-perazione, la coscienza della solidarietà che si esprime e concretizza nel movimento associazionistico il quale, se

dal punto di vista strumentale offre potenzialità superiori alla pura somma delle forze individuali, dal punto di vi-sta etico ribadisce i rapporti di fratellanza e di solidarie-tà. Tali valori, presenti nel bagaglio socio-culturale del socialismo utopistico e del cristianesimo, si scontrano oggi fortemente con le due ideologie dominanti e sem-bra di poter ritenere che solo il ricorso «ad un'anima creativa, impostata più sulla comunità, sulle tecnologie intermedie e sulla autogestione, (possa) forse dare quel-lo slancio in avanti anche culturale, che invece oggi ri-sulta fortemente carente».

I pesanti interrogativi sulla crisi del movimento e sulla sua perdita di slancio e di autenticità ritornano infine nell'articolo di Vincenzo Buonocore, che apre il capitolo sull'articolazione e sui problemi della legislazione coope-rativa, in cui i principi cardine della cooperazione che di-stinguono da un punto di vista legislativo l'impresa coo-perativa dall'impresa ordinaria, il principio democratico, il principio della «porta aperta» e il principio di mutuali-tà, vengono presentati in relazione ai fenomeni di inqui-namento che si riscontrano nella realtà attuale e che hanno come conseguenza crescenti problemi di disaffe-zione dei soci nei confronti di imprese cooperative che appaiono ormai verticizzate e burocratizzate.

Luigi Ruscello procede ad un esame della legislazione

regionale in materia di cooperazione, con riferimento più specifico alla legislazione della Campania, rilevando anzi-tutto che la maggior parte delle disposizioni inerenti fan-no riferimento al settore agricolo, mentre altri settori ri-sultano ancora abbondantemente trascurati: la stessa istituzione di una consulta regionale della cooperazione ha dimostrato che ad un'ampiezza di compiti previsti fa riscontro il peso relativo delle decisioni. I nuovi modelli di sviluppo hanno ignorato la cooperazione nella legisla-zione regionale, sebbene essa dimostri di rappresentare un mezzo per raggiungere uno sviluppo migliore, in coincidenza di libertà individuale, giustizia e successo economico. A fronte della legislazione nazionale e regio-nale, Paolo Mengozzi presenta gli interrogativi che deri-vano alla cooperazione agricola dal suo rapportarsi alla normativa comunitaria, che tende al privilegio dei princi-pi liberistici di salvaguardia della concorrenza. È ricordata la disputa che vide dì fronte lo Stato

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1981 (pagine 124-127)

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