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Se nei capitoli precedenti il tentativo è stato quello di esplorare, sul piano teorico, alcune aree tematiche ritenute questioni nodali nel settore dell’homelessness in Italia, l’obiettivo è adesso quello di indagarne una loro applicazione concreta, nelle pratiche e nei modelli di intervento attuati in una determinata realtà territoriale: la città di Livorno.

La ricerca muove pertanto dalla necessità di indagare, da un lato, alcune zone d’ombra insite nell’ambito di intervento delle persone senza dimora (in particolare le difficoltà connesse alla mancanza di una residenza anagrafica la quale impedisce, come ampiamente argomentato, il godimento di numerosi e fondamentali diritti da parte di tale fascia di popolazione) e, dall’altro, dimensioni in grado di esprimere un significativo potenziale di intervento, le quali sembrano richiedere, per tali ragioni, adeguata considerazione e valorizzazione. Il riferimento è, in quest’ultimo caso, all’integrazione tra le diverse componenti dell’intervento (dunque tra gli attori interessati dalla presa in carico) ma anche alla creazione di servizi capacitanti, in grado di predisporre uno spazio di coinvolgimento attivo per l’utenza nella realizzazione – se non negli stessi processi di progettazione – dei servizi loro dedicati, entro un determinato ambito territoriale.

L’oggetto di indagine si è dunque individuato nelle capacità e nelle modalità di gestione del fenomeno delle persone senza dimora caratterizzanti la realtà livornese, intesa come macchina organizzativa complessa e basata sull’interconnessione tra componenti pubbliche e private, la quale si riflette anche negli interventi di contrasto alla grave emarginazione.

La scelta del territorio oggetto di indagine assume rilievo, per le dimensioni indagate, specie considerando le potenzialità di un sistema come quello toscano, il quale – sebbene a macchia di leopardo – ha certamente tentato di rafforzare in molteplici modalità non soltanto la dimensione dell’integrazione sociosanitaria (mediante la costituzione di alcune Società della Salute), bensì dell’integrazione con quello che rappresenta un grande patrimonio del quale avvalersi per il nostro paese: gli enti e gli organismi del Terzo settore.

Dal complesso delle interviste condotte emergerà infatti quanto, quella di Livorno, sia una realtà contraddistinta da una forte intenzionalità collaborativa e di coordinamento tra le diverse componenti dell’intervento per le persone senza dimora, consapevole delle proprie potenzialità, ma anche dei propri limiti e delle inevitabili aree “critiche” di miglioramento.

Con particolare riguardo, poi, alla problematica della residenza per tale fascia di popolazione, dunque alla possibilità di iscriversi ai registri anagrafici mediante l’istituzione di una Via Fittizia presso i Comuni italiani, tale indicazione normativa non sembra aver trovato ancora, ad oggi – come precedentemente argomentato – piena ed omogenea attuazione sul territorio nazionale.

In questo senso, assume rilevanza ai fini del presente studio proprio il contesto livornese, il quale ha invece previsto specifiche modalità per la sua effettiva realizzazione, dando pertanto piena attuazione alle attese contenute nella normativa nazionale in materia. La Giunta Comunale ha infatti disposto l’istituzione della Via Fittizia con deliberazione n. 298 del 7 luglio 2015: come appreso dalla letteratura discussa, essa consiste in “un’area di circolazione non realmente esistente presso cui registrare la posizione anagrafica di quelle persone che, non avendo una situazione alloggiativa normale e non potendo registrarsi altrimenti, non avrebbero potuto accedere ai servizi di welfare comunale”127. In tal modo, è garantita anche alla persona senza dimora la possibilità di richiedere documenti fondamentali quali la Carta d'identità, la tessera elettorale, la tessera sanitaria nonché le certificazioni anagrafiche, la patente di guida e molti altri documenti, il cui ottenimento è condizionato dall’iscrizione all’anagrafe del Comune di Livorno (ibid.).

Per quanto riguarda tale ente, le persone alle quali è consentito intraprendere il suddetto iter burocratico, presentando la dovuta richiesta, corrispondono alla categoria delle persone senza fissa dimora, senzatetto o la cui vita si svolga abitualmente e in maniera continuativa entro il territorio comunale, dunque in esso domiciliate e seguite dal Servizio sociale comunale128. Come ampiamente discusso in merito alla normativa sull’acquisizione della residenza, la persona interessata è tenuta per legge a dichiarare il proprio domicilio, fornendo annessa documentazione e ulteriori elementi tesi ad accertarne la posizione in tema di dimora, dunque a verificare la veridicità del domicilio dichiarato, ai sensi del comma 3 art. 2, legge 24 dicembre 1954 n.1228). Tale documentazione riporterà, per quanto riguarda il Comune di Livorno, la dicitura “Via della Casa Comunale”, seguita dal

127 https://moduli.comune.livorno.it/modulistica/schede/iscrizione-anagrafica-delle-persone-senza-fissa-dimora-fittizia

128 Si noti, in proposito, come anche il contesto toscano più generale nel quale la realtà di Livorno si inserisce si muova nella stessa direzione, mediante la legge regionale 41/2005. La stessa sancisce infatti, all’art. 5, comma terzo, l’inclusione, all’interno delle categorie in grado di usufruire del sistema integrato dei servizi, anche dei minori di qualsiasi provenienza in esso presenti. Ciò assume particolare rilievo, laddove Livorno ha accolto mediante soluzioni albergative di emergenza anche famiglie con minori a carico, successivamente inserite all’interno del progetto Housing first. Infine, al quarto comma l’articolo sancisce un principio di grande importanza e significato, affermando che

“Tutte le persone dimoranti nel territorio della Regione Toscana hanno diritto agli interventi di prima assistenza alle condizioni e con i limiti previsti dalle normative vigenti e secondo le procedure definite dalla programmazione regionale e locale”.

numero progressivo di iscrizione, dando così concreta attuazione alle indicazioni nazionali sull’istituzione della Via Fittizia.

Pertanto, ai fini di uno studio dell’oggetto di indagine in grado di attribuire adeguata considerazione alle molteplici componenti del sistema di intervento livornese, la ricerca si è avvalsa sia di professionisti pubblici, sia appartenenti al mondo del privato no profit.

A questo proposito, tra le realtà del Terzo settore cui appartengono le persone intervistate vi è la cooperativa sociale Il Simbolo. Nata nel 1994, sulla spinta di Caritas diocesana di Pisa e dell’Associazione di Volontariato Il Simbolo, sebbene la cooperativa sia largamente impegnata anche in altri settori129, essa riveste un ruolo rilevante nell’ambito della marginalità grave anche nel territorio di Livorno, per tutti quei cittadini i quali versino in condizioni di profonda difficoltà, incluse le persone senza dimora, qui oggetto di indagine.

Ciò, anche in relazione all’ente pubblico, come vedremo, nell’accoglienza delle persone senza dimora e nella gestione delle problematiche annesse alla loro condizione.

Con particolare riguardo a questo settore di intervento, la cooperativa dispone dunque di un’area dedicata – l’Area Marginalità – la quale si articola in molteplici servizi e progetti mirati a intervenire su aree di difficoltà per la persona, afferenti al disagio sociale. Tali progetti e servizi hanno lo scopo di perseguire obiettivi molteplici, tra cui: la promozione e conseguente attuazione di azioni di supporto, accompagnamento e tutela nei confronti di persone socialmente fragili e a rischio di emarginazione; alimentare una società più inclusiva, mediante la promozione di percorsi di integrazione con la comunità locale di riferimento, volti ad agevolare il reinserimento sociale delle persone cui gli interventi rivolgono la loro azione; realizzare attività di promozione nei confronti della ricerca sulla marginalità sociale a fini di approfondimento del fenomeno, atte a stimolare processi di sviluppo della comunità, nonché un miglioramento degli interventi sul piano qualitativo130. Tuttavia, altro interlocutore fondamentale è stato individuato, come accennato, in una importante realtà del volontariato livornese: la Comunità di Sant’Egidio. Mossa da una profonda fede cristiana, la Comunità si costituisce nel 1968 diventando, nel corso degli anni, un punto di riferimento essenziale non soltanto in numerose realtà italiane, bensì su scala globale in più di 70 paesi del mondo, assumendo la forma di una rete di comunità contraddistinta da intenti di pace e solidarietà verso i più fragili (tra cui proprio le persone senza dimora), con i quali si relaziona abitualmente, considerandoli amici e fratelli che è impossibile abbandonare131.

129 Il riferimento è ad esempio allo sviluppo di servizi socioeducativi innovativi, specialmente nell’ambito dell'accoglienza e del percorso educativo formativo dei minori del territorio.

130 https://www.ilsimbolo.it/

Comprese in questo modo le premesse motivazionali poste a base del presente studio si esplorano, di seguito, le aree concettuali oggetto di indagine, dunque le domande di ricerca che hanno orientato lo sforzo conoscitivo, insieme alle premesse metodologiche e agli strumenti adoperati ai fini della sua concreta realizzazione.