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Le linee guida indicano la MAP (pressione arteriosa media) come la pressione rappresentativa della perfusione tissutale. In organi critici come l’encefalo o il rene, i sistemi di autoregolazione garantiscono la perfusione tissutale; quest’ultima però, sotto certi livelli di MAP, diventa dipendente in maniera lineare dalla pressione arteriosa.

Dopo avere valutato il rapporto costo/beneficio di diversi valori target, le linee guida considerano una MAP obiettivo di 65 mmHg, raggiunta nel 70% dei pazienti analizzati. Notiamo come a tutti i pazienti sia stato rivalutato questo parametro vitale. Nell’analisi della risposta alla terapia rianimatoria iniziale dobbiamo valutare separatamente la popolazione dei pazienti inizialmente ipotesi.

Tra questi infatti il 57,1% non ha raggiunto livelli normali in seguito alla terapia iniziale, rimanendo ipotesi; questa percentuale è ben superiore rispetto a quella dei pazienti inizialmente normotesi che hanno visto scendere i loro livelli pressori al di sotto di 65 mmHg, il 21,7%.

Ovviamente il fatto di arrivare alla prima valutazione già ipotesi è un fattore predittivo di mancata risposta alla terapia iniziale: in questi pazienti è possibile che sia già presente un’evoluzione verso lo shock settico, più difficilmente recuperabile.

LATTATO SIERICO

Le linee guida suggeriscono anche di indirizzare la rianimazione al fine di normalizzare i livelli di lattato (indicato dalla SSC come marcatore indiretto di ipoperfusione tissutale).

Il fatto che non tutta la popolazione abbia ricevuto una seconda rivalutazione di questo biomarcatore (è stata effettuata nell’83%) trova una spiegazione se andiamo ad analizzare separatamente i pazienti con elevato lattato sierico iniziale (>4 mmol/L), dove la percentuale di rivalutazione raggiunge il 100%.

È possibile che nei pazienti con livelli normali di lattato e privi d’indicatori clinici di gravità, il medico non abbia ritenuto utile una seconda misurazione.

Anche qui ovviamente troviamo una sproporzione in relazione al risultato della prima valutazione: il 95,6% della popolazione con valori di lattato iniziali inferiori a 4 mmol/L sono rimasti sotto questo cut-off dimostrando una buona risposta alla terapia iniziale, nei pazienti arrivati alla prima valutazione con valori superiori a 4 mmol/L, solo poco più della metà (53,3%) è scesa sotto questi livelli.

UTILIZZO DI FARMACI VASOATTIVI

Nei pazienti che non rispondono alla terapia rianimatoria iniziale, le linee guida raccomandano l’utilizzo di farmaci vasoattivi. In conformità con quanto consigliato, il vasopressore di prima scelta somministrato nei pazienti in studio è stata la Noradrenalina.

Nella presente tesi sono stati ovviamente analizzati separatamente i pazienti in base al risultato della rivalutazione dopo la terapia iniziale, utilizzando come cut-off il valore pressorio di 65 mmHg.

All’interno del sottogruppo risultato normoteso, la somministrazione di Noradrenalina è avvenuta nel 7,1% dei casi, a causa di un successivo scompenso emodinamico del paziente all’interno del Reparto di Medicina d’Urgenza Ospedaliera.

Nei pazienti risultati ipotesi, la somministrazione è avvenuta nel 72,2%.

Nell’analisi bisogna comunque considerare che l’ipotensione senza segni clinici di shock, in presenza di sufficiente perfusione, non giustifica l’impiego di un vasopressore.

A supporto di questa ipotesi troviamo che tutti i pazienti ipotesi con valori di lattato >4mmol/L, indice di una scarsa perfusione, hanno ricevuto il vasopressore.

Dobbiamo inoltre tenere conto che alcuni dei pazienti rivalutati ipotesi presentavano condizioni cliniche e comorbidità tali da giustificare una prognosi inevitabilmente infausta per cui un tentativo di rianimazione con amine vasoattive sarebbe stato

ESITO ALL’INTERNO DEL REPARTO

La popolazione è stata analizzata solo nel decorso all’interno dell’UO. Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso (è possibile che i pazienti siano andati incontro a shock o decesso in seguito al loro trasferimento in altro Reparto).

Considerando la durata di degenza, i pazienti sono stati seguiti in media per 5 giorni.

La mortalità complessiva è stata del 25%.

• Nei pazienti progrediti a shock la mortalità è stata del 50%. • Nei pazienti non progrediti, la mortalità è stata del 14,3%.

I dati sono in linea con la letteratura dato che circa il 20-35% dei pazienti con sepsi severa e il 40-60% dei pazienti con shock settico muoiono entro 30 giorni 114

Una spiegazione al fatto che la percentuale di decessi tra i pazienti non andati incontro a shock settico (14,3% nella presente tesi) sia minore di quella riportata come riferimento (20-35% per sepsi severa) può essere data dal fatto che tra i pazienti in studio sono compresi anche quelli che nella precedente definizione di sepsi sarebbero stati etichettati come “sepsi non severa” e quindi non considerati nella percentuale indicata in letteratura.

Considerando l’intera popolazione, il numero complessivo di giorni di ricovero nel Reparto è stato pari a 300.

B. ANALISI TIMING DELLA TERAPIA

1. CROWDING

La presente tesi ha messo in evidenza una maggiore rapidità nell’inizio della

rianimazione emodinamica in presenza di un maggiore affollamento in Pronto

Soccorso. Nella sottopopolazione in cui la somministrazione di fluidi è iniziata entro 1h, il numero di accessi nella fascia oraria d’ingresso del paziente è stato in media più elevato (57,1 vs 46,7).

Per quanto riguarda la tempestività nella somministrazione della terapia

antibiotica, non sono state invece trovate differenze statisticamente significative in

relazione al sovraffollamento.

L’affollamento nel DEA non sembra quindi condizionare l’inizio della terapia: questo risultato appare sorprendente se confrontato con la letteratura dove diversi lavori hanno invece evidenziato come il sovraffollamento del dipartimento d’emergenza correli con una minore tempestività nella somministrazione di cure urgenti nei pazienti settici 115,116.

Dobbiamo comunque considerare che nella presente tesi è stato utilizzato un indicatore di crowding (il numero di accessi nella fascia oraria d’ingresso del paziente) differente da quelli usati negli studi citati (es. la percentuale di posti letto occupati del Dipartimento d’Emergenza in un dato momento) a causa dell’impossibilità di ottenere tali dati all’interno del programma First AID-STAT®.

2. FATTORI CLINICI

FLUIDOTERAPIA

I fattori clinici statisticamente significativi che correlano con una maggior rapidità nel trattamento rianimatorio iniziale (iniziato entro 1 ora) sono un qSOFA score ≥2 (50% vs 13,9%) e una pressione arteriosa media inferiore (in media 73,3 vs 83,4 mmHg).

Questo non è sorprendente in quanto valori bassi di pressione e, più in generale, un maggior punteggio qSOFA (gli elementi di questo score sono un GCS<15, una FR≥22 atti al minuto e una PAS≤100mmHg) sottolineano l’urgenza del trattamento. Un’altra variabile emersa è il probabile sito infettivo, con una maggior percentuale di

focolai infettivi genitourinari nella popolazione sottoposta a fluidoterapia dopo 1

ora (38,9% vs 8,3%).

Alla regressione logistica tra le variabili quantitative che prevedono la “velocità” di inizio della fluidoterapia troviamo anche la PCR. Quest’inclusione non ci stupisce in quanto valori più elevati di questo marcatore correlano con una maggior risposta infiammatoria sistemica. Ovviamente è una valutazione a posteriori in quanto il medico di Pronto Soccorso, quando decide di iniziare rapidamente la somministrazione di fluidi, non ha ancora il dosaggio della PCR a disposizione.

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