Capitolo 2: Il concordato preventivo ante riforma
2.2 Presupposto oggettivo del vecchio concordato
Ante riforma l’art. 160118, comma 1, l. fall. esordiva così: “L'imprenditore che si trova in
stato d'insolvenza, fino a che il suo fallimento non è dichiarato, può proporre ai creditori un concordato preventivo secondo le disposizioni di questo titolo, (…)”.
Era perciò necessario che l’imprenditore si trovasse necessariamente in uno stato di insolvenza119 affinché potesse proporre la domanda di concordato preventivo. In caso contrario, la non sussistenza di tale stato determinava l’inammissibilità della domanda e, se accertata successivamente all’ammissione, l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 173 r.d. 16 marzo 1942 n. 267.
Si ricorda che secondo l’interpretazione giurisprudenziale prima delle modifiche apportate dalle varie riforme, a partire da quella del 2005, l’insolvenza costituiva il presupposto di apertura di tutte le procedure, senza esclusione anche dell’amministrazione controllata e dell’amministrazione straordinaria120.
Per il concetto di insolvenza ci si deve indispensabilmente rifare all’art. 5 l. fall. secondo il quale “lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali
dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. A differenza di molti altri articoli del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, l’art. 5 ha
117 Cit. BLANDINI M., MASTRIA D., Il concordato preventivo nella giurisprudenza, Milano, Giuffrè Editore, 2002, p. 7.
118 L’art. verrà sostituito dall’art. 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80; la rubrica sarà modificata dal d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169.
119 LO CASCIO G., Il concordato preventivo, Milano, Guiffrè, 2002, p. 178. 120 Cass. 8 ottobre 1999 n. 11288, in Fallimento, p. 1258.
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conservato negli anni la medesima struttura, questo a dimostrazione dell’importanza del concetto di cui stiamo trattando e sul quale dottrina e giurisprudenza non hanno ancora terminato di esprimersi.
L’art. 7 l. fall.121 citava inoltre altri casi sintomatici dell’insolvenza (fuga o latitanza dell’imprenditore, chiusura dei locali dell’impresa, trafugamento, sostituzione o diminuzione fraudolenta dell’attivo) che legittimano il procuratore della Repubblica a chiedere la dichiarazione di fallimento. Una precisazione relativa a questo articolo. In seguito alle modifiche apportate dal d. lgs. 9 gennaio 2006, la norma ha subito rilevanti variazioni, in particolare, ampliando la sfera dei possibili casi in cui può risultare l’insolvenza. Inoltre, con riferimento anche alla nuova formulazione dell’art. 6 l. fall. (secondo il quale, in seguito sempre al dal d. lgs. 9 gennaio 2006, è stata definitivamente soppressa la dichiarazione d’ufficio del fallimento), è opportuno segnalare che al p.m. viene oggi affidato il potere di dare corso all’istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice al quale, nel corso di un giudizio civile, risulti l’insolvenza dell’imprenditore, questo per bilanciare la soppressione della dichiarazione d’ufficio di cui al nuovo testo dell’art. 6.
Tornando alla trattazione della normativa relativa allo stato di insolvenza ante riforma, nonostante la legge potesse sembrare di facile comprensione, sia teorica che pratica, in realtà nel corso degli anni sono emersi non pochi problemi derivanti soprattutto dalla genericità del concetto di insolvenza e provocando di conseguenza difficoltà nella sua applicazione pratica122. Negli anni si sono perciò susseguiti numerosi approfondimenti
sull’argomento.
121 Articolo poi sostitutivo dall’art. 5 d. lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. Ante riforma l’art. 7 era novellato “stato di insolvenza risultante in sede penale”, e prevedeva che “Quando l’insolvenza risulta dalla fuga o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali d’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore, il Procuratore della Repubblica che procede contro l’imprenditore deve richiedere il tribunale competente per la dichiarazione di fallimento”. Successivamente alla sostituzione del 2006 l’art. 7, viene novellato “Iniziativa del pubblico ministero”, ed afferma che “Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’art.6: 1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali d’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore; 2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”.
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Come si diceva in precedenza, il punto di partenza per interpretate nel modo corretto il concetto di insolvenza è quello di calarsi nella finalità dell’apparato normativo in cui l’art. 5 si trova, ovvero la legge fallimentare, volta a disciplinare la patologia dell’impresa. Innanzitutto, l’insolvenza di cui stiamo trattando non può essere equiparata tout court all’inadempimento di natura civilistica, per due ragioni: in primo luogo, quest’ultima riguarda qualsiasi soggetto, quindi anche il non imprenditore, inoltre si riferisce al singolo rapporto obbligatorio, a differenza dell’insolvenza che riguarda la totalità dei rapporti dell’impresa.
A sostegno del secondo dei due aspetti, che tendono a differenziare l’insolvenza civilistica da quella “fallimentare”, viene affermato che “l’insolvenza è lo stato patologico in cui
viene a trovarsi l’imprenditore e riguarda non un singolo rapporto giuridico ma la totalità di tutti i creditori”123.
Questa analisi riguarda però solamente uno degli aspetti di studio del fenomeno, ovvero l’aspetto statico, descrivendo la situazione in cui viene a trovarsi l’impresa in un determinato momento della sua vita. Occorre però considerare, come l’insolvenza si possa manifestare sotto l’aspetto dinamico, ovvero nel momento in cui l’imprenditore “non è più
in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”124.
Una prima analisi riguarda quindi il “non essere in grado”, ovvero non disporre di quelle fonti che in genere permettono all’imprenditori di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni, ovvero il proprio patrimonio ed il credito che viene concesso dagli istituti finanziari. Si può concordare con chi ha autorevolmente sostenuto che “si è insolventi per il
diritto fallimentare quando non si disponga di denaro o di un suo surrogato, come per es. un assegno circolare”125.
Il secondo aspetto riguarda invece il concetto di irregolarità nell’adempimento delle
obbligazioni, che può essere inteso sia come “mancato adempimento a tempo debito”126, sia
123 Cit. RAGO G., Il concordato preventivo, 1998, Padova, CEDAM, p. 45. 124 Art. 5, comma 2, l. fall.
125 Cit. RAGUSA MAGGIORE G., Istituzioni di diritto fallimentare, 1994, Padova, CEDAM, p. 54.
126 FERRARA F., Il fallimento, 1995, Milano, Giuffrè, p. 138; C.A. Torino, 25/06/1982, in Giur. Piem., 1983, p. 558 secondo la quale on adempie regolarmente le proprie obbligazioni l’imprenditore che paga solo i debiti richiesti con precetti, esecuzioni, ingiunzioni.
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nel senso che “l’imprenditore si avvale, per reperire liquidità, di mezzi contrari ed estranei
alla corretta gestione dell’impresa”127.
In conclusione l’imprenditore versa in uno stato di insolvenza quando “per cronica e
definitiva mancanza di liquidità non è più in grado di far fronte con regolarità alla generalità delle obbligazioni assunte”128.
Paradossalmente, l’incapacità di adempiere ad una sola obbligazione, diventa sintomo di una impotenza economica e finanziaria dell’imprenditore; inoltre appare inutile un giudizio sul patrimonio aziendale ovvero sull’analisi di bilancio poiché, secondo quanto appena affermato, può essere insolvente anche l’impresa le cui passività risultino inferiori al patrimonio, e, viceversa, potrebbe non esserlo l’imprenditore che pur avendo uno sbilancio patrimoniale riesce ugualmente a far fronte alle obbligazioni grazie al credito di cui gode129. Quanto appena proposto era una analisi del concetto di insolvenza generico, relativo a tutte le procedure concorsuali, bisogna ora chiarire però come la definizione di cui all’art. 5 l. fall. abbia delle peculiarità ben precise nel procedimento di concordato preventivo.
Il legislatore ha infatti stabilito che, essendo il concordato preventivo un beneficio a favore del debitore, l’insolvenza debba assumere in tale procedimento precise caratteristiche sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello soggettivo. Si assisterà quindi ad una dettagliata modalità di accertamento dello stato di insolvenza.
Da un’attenta lettura del testo normativo ante riforma ci si rende conto che il debitore dovesse sia essere in grado di pagare almeno il quaranta per cento dei creditori chirografari e la totalità dei privilegiati (ai sensi dell’art. 160130 comma 2 l. fall.), sia essere meritevole
secondo una valutazione del Tribunale in sede di omologazione (in base all’art. e 181131 comma 1 n. 4 l. fall.,).
Inoltre, mentre nel fallimento è la sentenza dichiarativa che accerta lo stato di insolvenza dell’imprenditore e, a meno di revoca una volta passata in giudicato non può più essere rimessa in discussione, nel concordato preventivo, la valutazione del Tribunale per
127 SATTA S., Diritto fallimentare, 1990, Padova, CEDAM, p. 47, afferma che “i mezzi tratti da alienazioni patrimoniali non sono regolari certamente, e sono anzi uno dei segni più caratteristici dell’insolvenza”.
128 Cass., 547/1975; Cass. 6856/1986; Trib. Roma, 10/04/1987.
129 RAGO G., Il concordato preventivo, 1998, Padova, CEDAM, p. 48; Cass. 795/1989, in Fall., 1989, p. 609; Cass., 1439/1990, in Fall., 1990, p. 510; Cass. 5525/1992, in Fall., 1992, p. 811; Cass. 8012/1992, in Fall., 1992, p. 1026; Trib. Roma, 29/07/1981, in Fall., 1982, 595.
130 Tale art. sarà poi sostituito dall’art. 12, d. lgs. 12 settembre 2007, n. 169. 131 L’art. verrà modificato dall’art. 2, d.l. 14 marzo 2005, n. 35.
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l’accertamento dello stato di insolvenza si svolgeva in due tempi. Prima, ai sensi dell’art. 162 l. fall., il tribunale si limitava a verificare la sussistenza del presupposto quantitativo dell’insolvenza (pagamento del 40%) ed esprimeva una prima valutazione soggettiva, ai sensi dell’art. 160, comma 1, numero 3 (verificando che l’imprenditore non fosse stato condannato per bancarotta, delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria e il commercio). Tutto questo terminava con il decreto di ammissione alla procedura, non suscettibile a sindacato. Successivamente, in sede di omologazione, il Tribunale doveva effettuare una valutazione di merito sulle cause che avevano determinato il dissesto, anche attraverso l’analisi della relazione del commissario giudiziale, oltre alla documentazione fornita in precedenza dal debitore.
Quanto detto per far notare che, a differenza del concordato preventivo, nel fallimento è sufficiente determinare un’insolvenza tout court che non tiene alcun conto né del quantum (attivo e passivo), né dei motivi che l’hanno provocata132.
Un’altra importante considerazione riguarda il problema dell’accertamento del Tribunale per accertare se l’imprenditore si trovi o meno in uno stato di insolvenza.
Si deve perciò stabilire il valore che si intende attribuire alla domanda di ammissione del debitore alla procedura, se vada intesa come una vera e propria confessione (non avendo in questo caso il Tribunale necessità di compiere alcuna indagine) o se abbia minore valenza giuridica.
Affermare che la domanda abbia valore di confessione, significa affermare che le parti abbiano disponibilità delle procedure concorsuali, e ciò non è in linea con l’art. 2733/c c.c., il quale afferma che la confessione non può vertere su fatti relativi a diritti non disponibili, come appunto le procedure concorsuali. Di conseguenza, il giudice è sempre tenuto a verificare la sussistenza dello stato di insolvenza.
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