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Capitolo 2 PRODUZIONE E GESTIONE DEI RIFIUTI URBANI

2.4. Pretrattamento dei rifiuti urbani e caratteristiche dei rifiuti pretrattati

2.4.3. Il pretrattamento termico dei rifiuti

Nell’ambito di un sistema integrato di gestione dei rifiuti urbani, in linea con le direttive europee vigenti in materia, si devono inserire anche i processi di trattamento termico dei rifiuti con recupero energetico; la rilevanza acquisita dagli aspetti energetici ha portato a definire questi impianti come “termovalorizzatori” con riferimento alla possibilità di recuperare quantità consistenti di energia. È così possibile conseguire la filosofia del sopracitato modello di gestione integrata, che si pone come obiettivo il recupero e la valorizzazione, ricavandone materiale ed energia, delle componenti merceologiche presenti nei rifiuti urbani; il ricorso alla discarica diviene così lo stadio finale di smaltimento, a cui ricorrere esclusivamente per i rifiuti che restano come residui dal trattamento e non sono suscettibili di ulteriori valorizzazioni. La possibilità di generare energia in forma utile (calore o elettricità) dai rifiuti urbani, deriva dalla presenza negli stessi di materiale combustibile. Analogamente a quanto avviene per i combustibili, si quantifica la potenzialità energetica dei rifiuti mediante il potere calorifico, ovvero, con l’energia termica liberata da un processo di combustione completa. In tabella 2.7 è stato riportato il potere calorifico inferiore dei rifiuti urbani, confrontato con quello di alcuni combustibili tradizionali. Il contenuto energetico dei rifiuti è inferiore a quello dei principali combustibili fossili ma simile, ad esempio, a quello della legna verde.

È inoltre possibile osservare come, negli ultimi anni, si assista ad un continuo incremento del potere calorifico del rifiuto, riconducibile all’aumento delle frazioni merceologiche che più contribuiscono al potere calorifico (principalmente plastica e carta). Si è infatti registrata una produzione pressoché costante di frazione organica, a fronte di un incremento della produzione di rifiuti plastici e cartacei.

Da un punto di vista ambientale, ma anche economico, è poi importante valutare se un processo di conversione termica dei rifiuti urbani sia in grado di autosostenersi energeticamente e la convenienza, che una tipologia di impianto, offre rispetto a un’altra. Per quanto riguarda l’energia elettrica prodotta, può essere venduta alla rete nazionale oppure in alternativa al calore in alimentazione a un impianto di termoriscaldamento. L’utilizzo di questo tipo di energia comporta da un lato la riduzione delle emissioni associate all’utilizzo dei combustibili fossili, dall’altro la possibilità di immettere energia elettrica nella rete nazionale. L’energia primaria è ottenuta prevalentemente mediante fonti non rinnovabili, quindi porta, da un lato ad un impoverimento delle risorse energetiche naturali, dall’altro all’immissione in atmosfera

Capitolo 2 – Produzione e gestione dei rifiuti urbani

di gas serra. Un bilancio sull’emissione di CO2 mediante termovalorizzazione con forni

a griglia porta ai seguenti risultati (ASM di Brescia):

contributo netto di CO2 per conferimento di RSU in discarica: 690 kg/tRSU;

contributo netto di CO2 per conferimento a termovalorizzazione: -550 kg/tRSU.

Combustibile PCI (kJ/kg)

Carbone da coke 31.000 Carbone da vapore 20.000

Legna verde 10.500

Petrolio greggio 41.860 Olio combustibile denso 40.200

Gasolio 42.700

Gas naturale 34.500 Rifiuti urbani 8.000 – 12.500

CDR 15.000

Tabella 2.7 - Potere calorifico inferiore dei rifiuti urbani, confrontato con quello di altri combustibili (Baggio et al., 2003)

Pertanto, per ogni tonnellata di RSU destinata al termovalorizzatore si ottiene una differenza di 1240 kg di CO2 scaricata in atmosfera. Gli accordi di Kyoto impongono

agli stati europei una notevole riduzione nella produzione di anidride carbonica; per l’Italia in particolare, si dovrebbe avere una riduzione del 6.5% rispetto al 1990. Una stima condotta dalla stessa ASM di Brescia, dimostra come, con 40 impianti di potenzialità equivalente al termovalorizzatore di Brescia (240000 t/anno di CDR) si potrebbe avere una riduzione di 20000 t di CO2 entro il 2012, rispettando pienamente gli

impegni di Kyoto.

2.4.3.1. Principali tecnologie di trattamento termico dei rifiuti

Negli ultimi due decenni si sono affermate alcune tecnologie per la termovalorizzazione dei rifiuti e in particolare si ricorda:

la combustione a griglia; la combustione a letto fluido; la pirolisi a bassa temperatura;

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la pirolisi ad alta temperatura mediante reattori al plasma.

Gli impianti di termovalorizzazione con forni a griglia sono probabilmente quelli più conosciuti e in Italia se ne hanno alcune realizzazioni, anche recenti, come a Brescia e Ferrara.

In particolare gli impianti a griglia mobile rappresentano la tecnologia di trattamento termico più consolidata e come tale di più largo impiego. A livello di impianto, le reazioni chimiche condotte in condizioni stechiometriche non avvengono mai completamente; ciò è da ricondurre alle cinetiche chimiche, al non ottimale mescolamento tra combustibile e comburente, e alle condizioni ambientali che possono influenzare negativamente il processo delle reazioni. Si ricorre così ad una combustione condotta in eccesso d’aria, per garantire anche la completa distruzione di tutti i composti organici pericolosi per l’ambiente e la salute umana, riuscendo nello stesso tempo a raggiungere un maggior grado di efficienza energetica grazie alla minimizzazione degli incombusti. L’eccesso di aria minimo, che deve essere garantito durante il processo di combustione dei rifiuti urbani, è vincolato per legge: il D.M. 503/97 impone che il tenore di ossigeno libero nei fumi umidi di un impianto di incenerimento non deve essere inferiore al 6% in volume; lo stesso decreto impone inoltre che in camera di combustione deve essere garantita, anche nelle condizioni più sfavorevoli previste, una temperatura di almeno 850°C, raggiunta pure in prossimità della parete interna della camera stessa; non si devono raggiungere nemmeno temperature troppo elevate, altrimenti la fusione delle ceneri potrebbe creare problemi di intasamento della griglia.

Gli impianti a letto fluido possono essere considerati un’evoluzione dei precedenti in quanto utilizzano per la combustione il metodo delle caldaie circolanti a pressione atmosferica (ACFB) con sensibile riduzione della temperatura di combustione e maggior controllo delle emissioni in atmosfera; entrambe le tipologie sopra indicate utilizzano come combustibile il CDR (Combustibile Da Rifiuto) ottenuto dal pretrattamento dei rifiuti.

Gli impianti a pirolisi a bassa temperatura, sia endotermica che esotermica, si basano su conoscenze ormai secolari della scissione pirolitica dei legami molecolari delle sostanze organiche. Nei forni rotanti pirolitici si raggiungono temperature dell’ordine di 500-600 °C in atmosfera ridotta di ossigeno; in queste condizioni avviene la scissione pirolitica dei rifiuti formando, in genere, gas pirolitico e un residuo detto coke di pirolisi. Il gas

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così prodotto ha un potere calorifico di 4000-5000 kcal/kg e può essere utilizzato, previo trattamento di depolverizzazione, lavaggio e desolfurazione (in alcuni casi anche in relazione al tipo di rifiuto in alimentazione), per far marciare una turbina a vapore ovvero anche, per gli impianti di piccola taglia, oppure per motori endotermici con produzione diretta di energia elettrica. Il residuo invece, coke di pirolisi, può essere utilizzato per alimentare forni come carbonella, oppure per alimentare un impianto di craking per la produzione di altro gas di sintesi. In questo ultimo caso si ottiene un residuo vetroso non lisciviabile e conferibile in discarica.

Gli impianti che sfruttano la pirolisi ad alta temperatura sono i più recenti e rappresentano un salto tecnologico nella termovalorizzazione dei RSU. Questi impianti sono in grado di trattare praticamente tutte le tipologie di rifiuti (solidi e liquidi) portando alla produzione di syngas e residui solidi basaltici. La pirolisi è attivata ad alta temperatura, 3000-4000 °C, in atmosfera povera di ossigeno, mediante plasma prodotto da elementi ad arco con scarica in aria. Questa tecnologia, di derivazione aerospaziale (dove viene utilizzata per produrre materiali ad altissima temperatura), è stata proficuamente utilizzata principalmente per lo smaltimento di rifiuti industriali tossici o per terreni con residui radiattivi. Oggi si prevede anche l’utilizzo come sistema principale di gassificazione, in impianti di produzione sia di energia elettrica che di trasformazione del syngas (metanolo, ecc.). oltre a potere trattare qualunque tipologia di rifiuti, gli impianti presentano interessanti caratteristiche quali il ridotto volume dei prodotti di scarico (circa il 12%), che può essere riciclato come pietrame da costruzione (pietrisco o anche ballast) o come sottofondo nelle pavimentazioni stradali. La qualità dei prodotti del processo è elevata poiché, per effetto delle elevate temperature nel reattore, le reazioni stabili sono quelle che portano alla produzione di H2, CO e CO2

che, mediante craking attivato con getti di vapor d’acqua, viene ridotta a CO andando così ad incrementare il PCI del syngas, e a ridurre al minimo la produzione di diossine e furani. L’attivazione della pirolisi ad alta temperatura avviene mediante arco elettrico, necessita quindi di un notevole apporto di energia esterna. Il sistema può funzionare quindi, sia con prodotti organici che inorganici; quest’ultimi non comportano la formazione di gas, ma solo di slag fuso alla base del reattore. Questo sistema, infatti, è stato prevalentemente utilizzato per fondere materiali metallici (ferro, alluminio, ecc.) da oltre venticinque anni con funzionamento continuo. Proprio per questa caratteristica,

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gli impianti al plasma sono anche utilizzati a valle degli impianti tradizionali per vetrificare le ceneri provenienti da forni a griglia.

2.4.3.2. Le emissioni gassose

Il trattamento termico dei rifiuti urbani porta ad una sensibile riduzione in peso (circa 70%) e in volume (circa 90%), tuttavia questi impianti non trovano generalmente il gradimento delle popolazioni locali. La combustione dei rifiuti porta, come indicato dalla letteratura specifica, allo scarico in atmosfera di grosse quantità di sostanze nocive sia alla salute dell’uomo che dell’ambiente. In particolare durante l’incenerimento o la termovalorizzazione dei RSU, si producono macro e microinquinanti.

I primi, presenti in concentrazioni elevate (g/m3 o mg/m3), derivano da alcuni dei componenti presenti nel rifiuto in alimentazione, come, ceneri, cloro, zolfo e azoto, oppure da reazioni secondarie indesiderate e dall’ossidazione incompleta del carbonio organico.

I microinquinanti invece, malgrado siano presenti in quantità più modeste (mg/m3 o ng/m3), sono essenzialmente costituiti dalla parte inorganica, da alcuni metalli pesanti e in parte da elementi organici, giocano un ruolo determinante le complesse reazioni di sintesi che si verificano durante la combustione e il successivo raffreddamento dei fumi. Le caratteristiche qualitative e quantitative delle emissioni risultano, dunque, fortemente correlate a diversi fattori:

tipologia del rifiuto in alimentazione; tipo di forno utilizzato;

modalità operative del processo di combustione e del recupero termico ad esso abbinato.

A titolo puramente esemplificativo, nella tabella 2.8 vengono riportati i limiti di emissione relativi all’incenerimento dei RSU previsti sia dalla direttiva CEE che dalla normativa vigente in Italia.

È importante osservare che negli ultimi anni la tecnologia di depurazione dei fumi ha fatto notevoli progressi portando alla sensibile riduzione delle concentrazioni degli inquinanti prodotti nelle combustioni, come mostrato nella tabella 2.9.

Capitolo 2 – Produzione e gestione dei rifiuti urbani Direttiva 89/369/CEE Direttiva 94/67/CEE D.M. 12/7/90 D.M. 12/7/90 Proposta Dir. UE Rifiuti Inquinante (mg/Nm3) Polveri totali 30-200 10-30 30-50 10-30 10-30 Sostanze organiche - 10-20 20 10-20 10-20 Acido cloridrico 50-250 10-60 50-100 20-40 10-60 Acido fluoridrico - 1-4 2 1-4 1-4 Ossidi di zolfo SO2 - 50 300 100-200 50-200 CO 50-100 - 100 50-100 50 NO e NO2 - 500 200-400 200-400 Cd, Tl, Hg 0,2 0,05*** 0,2 0,05*** 0,05*** Altri metalli ** 5 0,5 5 0,5 0,5 IPA - - 0,1 0,01 - PCDD+PCDF (ng/Nm3) - 0,1* 4000 0,1* 0,1*

(*) espresse come TEQ;

(**) limite inferiore a 10 metalli nella proposta UE, 9 metalli con assenza dello stagno; (***) il limite si riferisce alla somma di Cd e Tl oppure al solo Hg

Tabella 2. 8 - Limiti per le emissioni inquinanti per la combustione di RSU

TECNOLOGIE DI DEPURAZIONE DEI FUMI

INQUINANTE Anni ‘70 Cicloni Lavaggi Anni ‘80 Postcombustore/Elettrofiltro Lavaggi Anni ’90

Postcombustore Secco (reagenti) Maniche/Elettrof./Torre due stadi CO (mg/Nm3) 1000 300 5 HCl (mg/Nm3) 500-1000 200-500 5 HF (mg/Nm3) 5 5 < 0,2 Hg (mg/Nm3) 0,5-1 0,5-1 0,05 NOx (mg/Nm 3 ) 300-500 300 200 PCDD/PCDF (ngTEQ/Nm3) 100 * 0,5-1 < 0,1 Polveri (mg/Nm3) 500 100 5 SO2 (mg/Nm 3 ) 150-500 30-150 20 (*) Dato presunto

Tabella 2.9 - Evoluzione dei sistemi di depurazione dei fumi con le relative emissioni (Nicoletti et al., 2003)

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2.4.3.3. I residui solidi del processo termico

Gli stadi che caratterizzano un qualsiasi impianto di termovalorizzazione con recupero di energia, possono essere schematizzati a titolo esemplificativo, come illustrato in figura 2.25.

RIFIUTO Conversione termica

Recupero energetico

Depurazione gas

Residui solidi e/o liquidi

Figura 2.25 – Schema degli stadi presenti in un impianto di termovalorizzazione con recupero energetico

Negli ultimi anni, il ruolo che l’incenerimento dei rifiuti solidi ha assunto quale pretrattamento, è andato notevolmente aumentando in relazione alla possibilità di ridurre la volumetria, il peso dei rifiuti e l’attività biologica degli stessi. Il processo di combustione porta comunque alla produzione di residui, in quantità pari a circa il 30- 35% in peso del rifiuto in alimentazione all’inceneritore, che necessitano di opportune operazioni di gestione, riutilizzo o smaltimento che non comportino rischi per l’ambiente. La combustione della frazione leggera dei rifiuti, conduce alla produzione di ceneri caratterizzate da elevate concentrazione di sostanze contaminanti e in particolare di metalli pesanti facilmente lisciviabili come As, Cd, Cr, Cu, Pb e Zn. Ciò è dovuto al fatto che circa il 25-30% dei metalli presenti nei rifiuti urbani deriva proprio dai prodotti cartacei e plastici, cioè dalla frazione leggera destinata alla produzione di

scorie

fumi energia

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combustibile da rifiuto (CRD o RDF). La fine dispersione che caratterizza i metalli presenti nelle ceneri rende inoltre più facilmente lisciviabili gli stessi dai residui della combustione (Greenberg et al., 1978; Bramryd, 1988).

Si può quindi osservare che la combustione della frazione leggera dei rifiuti, proveniente da un processo di selezione meccanica, porta alla produzione di un residuo potenzialmente più pericoloso, se confrontato con la lisciviabilità di sostanze pericolose dal prodotto della combustione di rifiuto tal quale. In genere elevate concentrazioni di metalli pesanti caratterizzano le emissioni liquide nei primi anni successivi al conferimento in discarica, per poi diminuire, a causa della scarsa disponibilità di metalli facilmente lisciviabili dalle acque di percolazione. Risulta molto importante anche il tempo di contatto delle particelle delle ceneri con l’acqua stessa.

Inoltre l’acqua interstiziale o uno strato di acqua ristagnante nella parte inferiore del cumulo di ceneri, può causare un più rapido rilascio di sostanze contaminanti rispetto a quanto può essere previsto con i normali test di lisciviazione a cui le ceneri vengono sottoposte in laboratorio (Bramryd, 1988). E’ inoltre possibile che il rilascio di metalli pesanti dalle ceneri conferite in discarica sia destinato ad aumentare nel tempo a causa del crescente tempo di contatto con acque di infiltrazione a carattere acido. Il comportamento delle ceneri, nel lungo periodo, porta dunque ad un incremento delle concentrazioni di metalli pesanti nelle acque di percolazione e ciò indica che l’incenerimento non può essere visto come una tecnica di pretrattamento atta a garantire l’immobilizzazione dei metalli nella matrice solida.

Durante il processo di incenerimento dei rifiuti vengono prodotte diverse tipologie di residui solidi, così denominate:

scorie (note anche come ceneri di fondo, ceneri di griglia, clinker ); scorie setacciate dalla griglia;

residui provenienti dal sistema di recupero del calore o ceneri da caldaia; ceneri leggere (o fly-ash);

residuo da trattamento fumi.

Come evidenziato in figura 2.26, la frazione più consistente, 89%, dei residui prodotti è rappresentata dalle scorie, il 6% dalle ceneri leggere, e l’1% da ceneri da caldaia.

Un aspetto qualitativo di grande importanza per quanto riguarda le caratteristiche del flusso di scarto del processo di incenerimento dei rifiuti solidi, è la presenza e di

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89%

1% 6%

4%

scorie 89% cenere da caldaia 1% ceneri leggere 6% rimanenti 4,0%

Figura 2.26 - Flussi di scarto solidi in uscita da un impianto di incenerimento (IAWG, 1998)

I metalli pesanti sono presenti in diverse componenti dei rifiuti solidi urbani, generalmente come conseguenza dei processi di produzione di determinati prodotti che, alla fine del loro “ciclo operativo”confluiscono nel flusso dei rifiuti da avviare a smaltimento.

Il comportamento dei metalli durante l’incenerimento può essere interpretato sulla base dell’equazione fondamentale di Gibbs:

G=H-T*S

che fornisce l’entalpia libera di un elemento tenendo conto di tutti i composti che teoricamente può formare; il confronto di entalpia dei diversi composti fornisce un’indicazione su quale di essi sia il più stabile e dunque quello che governerà il processo.

Molte reazioni sono impossibilitate a raggiungere l’equilibrio: per esempio i metalli presenti in forma di particelle grossolane subiscono ossidazione in superficie, formando uno strato di ossido che impedisce un ulteriore contatto del metallo con l’ossigeno. L’ossidazione si arresta, e molti dei metalli e delle leghe lasciano la camera di

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combustione inalterati. Ciò accade per esempio per l’alluminio, il rame, il ferro ed il nichel.

Anche i metalli più volatili possono sottrarsi ai processi di volatilizzazione perché fondendo scivolano attraverso le griglie per solidificare al di sotto, per esempio l’alluminio e il piombo. In generale però, i metalli a basse temperature di volatilizzazione abbandonano il letto di combustione per trasferirsi in fase gassosa. Appartengono a questa categoria l’alluminio, il cadmio, il mercurio, lo zinco e il piombo.

Una frazione condenserà sul materiale particolato contenuto nei fumi, o reagirà con altri composti, ritrovandosi in forma solida nelle ceneri leggere.

2.4.3.3.1. Le scorie

Con questa denominazione ci si riferisce solitamente al materiale raccolto in corrispondenza della sezione terminale della griglia, o al materiale costituente il letto nel caso specifico delle tecnologie a letto fluido.

Le scorie vengono rimosse dalla camera di combustione e inviate ad una vasca di raffreddamento, cercando di minimizzare l’ingresso di aria nel forno, così da mantenere sotto controllo il processo di combustione.

Le vasche di raffreddamento intervengono a ridurre la temperatura del materiale, dalla quale verrà prelevato e trasportato nelle apposite discariche dopo eventuali trattamenti. Sotto la denominazione di scorie va anche il materiale che passa attraverso le aperture della griglia per effetto della ridotta dimensione o per fenomeni di fusione, come per i metalli di alluminio, silicio, zinco, rame e piombo. La dimensione delle particelle setacciate può di conseguenza variare in funzione della spaziatura tra le griglie. Tale materiale viene raccolto al disotto della griglia, in apposite tramogge per poi essere convogliato, nella generalità dei casi, alla vasca di raffreddamento.

La frazione in peso più consistente, fra quelle riconoscibili nella massa complessiva del residuo, è rappresentata da vetro, materiali ceramici e ferro; quest’ultimo può essere recuperato attraverso dei separatori magnetici.

Nelle scorie si può inoltre trovare del materiale quantitativamente rimasto inalterato durante il processo di combustione, poiché alcune sostanze sono caratterizzate da temperature di volatilizzazione superiori ai 1500°C. Da un punto di vista qualitativo

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proprietà dei singoli composti. Alcuni elementi formano addirittura composti più stabili attraverso processi di sinterizzazione o inglobamento in matrice solide; presentano questo comportamento il silicio e l’alluminio, che formano silicati ed alluminosilicati, i quali, data la loro stabilità nei confronti della temperatura, sono i maggiori componenti nelle ceneri pesanti. L’Al e il Si sono presenti anche nelle ceneri leggere per via del trascinamento del particolato solido nei gas di scarico. L’inglobamento in matrici solide, sotto forma di silicati, alluminosilicati o ossidi si può verificare anche per alcuni composti volatili come cromo, manganese, ferro e nichel, a causa di limitazioni energetiche o cinetiche.

Sono infine elementi litofili i metalli alcalini, responsabili, data la loro consistente presenza, dell’alcalinità dei residui; l’elemento più diffuso è il calcio.

Vediamo nel dettaglio i metalli pesanti principalmente presenti nelle scorie e la loro derivazione merceologica:

ferro: il ferro è presente in misura consistente nei materiali costituenti la litosfera. Nei rifiuti si stimano quantitativi dell’ordine dei 25-50 kg/t (IAWG,1998). In futuro, la selezione dei rifiuti a monte del trattamento termico dovrebbe ridurre le quantità di ferro in ingresso all’impianto e di conseguenza, le quantità presenti dei residui in uscita. I composti più stabili sono gli ossidi Fe2O3 e Fe3O4. Il Ferro si ritrova quasi

totalmente nelle scorie, anche se in alcune zone dell’impianto (ad esempio nella caldaia) si formano, per via del loro basso punto di evaporazione (319°C), alcuni composti gassosi come il cloruro di ferro. La frazione maggiore di questo elemento, comunque, si mantiene in forma solida, in quanto la superficie specifica relativamente bassa che lo caratterizza, consente l’esposizione all’ossidazione termica, solo di frazioni molto piccole. Le concentrazioni riscontrabili nei diversi stream sono evidenziate nella figura 2.27 (IAWG,1998) in cui si può notare come la quasi totalità, circa il 98%, del ferro presente nel rifiuto in alimentazione all’impianto, si trasferisce nelle scorie. Solo quantità trascurabili si concentrano nelle ceneri leggere (1-2%) e nei fumi in uscita (0,01%).

cromo: è un elemento presente in maniera abbondante nella litosfera. La presenza nei rifiuti è da associare all’esistenza di batterie, vetro, residui di materiale da costruzione e tessuti (in particolare nella pelle, per via dei trattamenti di conciatura). Il cromo viene impiegato industrialmente come additivo nella produzione dell’acciaio inossidabile e come anticorrosivo negli strati protettivi di alcuni prodotti

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