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L‟occupazione romana della Sardegna nel 238 a.C. non avvenne all‟insegna di cruente lotte di conquista, ma fu più propriamente un “passaggio di consegna” dell‟isola dal controllo delle truppe mercenarie cartaginesi nelle mani del console romano Tiberio Sempronio Gracco e delle sue legioni: per questo motivo non possiamo attribuire l‟espressione “Sardi venales” alla primitiva occupazione dell‟isola nel 238 a.C.; non vi fu occasione in quei frangenti di catturare una così grande quantità di prigionieri da giustificare un tale appellativo, come invece sembra aver fatto Sinnio Capitone, stando a quanto afferma un passo di Festo che ricollega l‟espressione Sardi venales all‟origine lidia degli Etruschi, venuti da Sardes in Lidia162.

Di numerosi prigionieri presi nelle campagne contro i Sardi nel 215 a.C. parla abbondantemente Tito Livio, le cui cifre, tratte da Polibio, hanno comunque subito probabilmente un‟amplificazione rispetto alla fonte originaria, l‟annalista Valerio Anziate163. Livio è solo uno degli scrittori romani che riportarono un giudizio negativo sulla popolazione indigena sarda; in particolare, per quanto riguarda le operazioni di Tito Manlio Torquato nel 215 a.C. durante il Bellum Sardum contro Ampsicora, i Sardo-Punici e i Sardi Pelliti dell‟interno164, aiutati dai Cartaginesi (Magone, ex gente Barcina, Annone, l‟auctor rebellionis, e le truppe sbarcate al Korakodes limén-Cala Su Pallosu da Asdrubale il Calvo), Livio sottolinea lo scarso valore in guerra dei Sardi, facile vinci adsueti165. Questa affermazione pare decisamente smentita nei fatti, se le iscrizioni funerarie e i diplomi militari testimoniano per l‟età successiva il copioso numero di Sardi arruolati nelle forze armate romane, sia nelle legioni e nelle cohortes ausiliarie, sia soprattutto nella flotta militare del Miseno, in età imperiale; le doti militari degli isolani dunque dovevano essere davvero ben conosciute dai conquistatori romani.

Lo scontro decisivo del 215 a.C., avvenuto nel Campidano di Sanluri, forse presso la località Sedda Sa Batalla, portò alla cattura di 3700 prigionieri, a fronte dei 12000 soldati uccisi fra Punici e Sardi; nella battaglia precedente, svoltasi contro i Sardi guidati dal giovane e baldanzoso Hostus forse presso la località Pedru Unghesti, in agro di Riola, vicino a Cornus, erano già stati uccisi circa 3000 Sardi e fatti 800 prigionieri.

Tito Manlio Torquato aveva dunque accumulato un bel bottino di guerra, e una volta riportato l‟esercito a Karales lo imbarcò sulle navi insieme alle truppe; rientrato a Roma, consegnò il frumentum imperatum ai questori e i captivi imprigionati al pretore Q. Fulvio Flacco166.

Anche nelle successive campagne del II sec. a.C. contro le popolazioni dell‟interno i Romani dovettero catturare un buon numero di prigionieri in Sardegna; se infatti isoliamo la

162 FESTO, p. 322 M s. v.; il passo, come ricorda E. Pais, continua in questi termini: at Sinnius Capito ait Ti.

Gracchum consulem collegam P. Valeri Faltonis (cons. 238 a.C.) Sardiniam Corsicamque subegisse, nec praedae quicquam aliud quam mancipia captum, quorum vilissima multitudo fuerit. Cfr. E. PAIS, Storia della

Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, a cura di A. MASTINO, Nuoro 1999 (riedizione dell‟edizione 1923), vol. I, p. 148, nota 80.

163 Tito Livio fa un vero e proprio dossier del Bellum Sardum: cfr. LIV. XXIII 21 (216 a.C.); XXIII 32, 5 (215

a.C.); XXIII 34, 10-17; XXIII 40; XXIII 41.

164 LIV. XXIII 40, 1.

165 LIV. XXIII 40, 9; anche Floro in guerra disprezza i Sardi: FLOR. I, 22, 35: gens contumax vilisque mortis. 166 LIV. XXIII 41.

felice parentesi della pretura provinciale di M. Porcio Catone nel 198 a.C., quando venne abolito il frumentum in cellam praetoris e furono cacciati gli usurai oppressori dei provinciali, dal 181 e fino alla fine del I sec. a.C. cominciò per i Romani una prolungata stagione di scontri militari con le popolazioni indigene dell‟interno, ostili al dominio romano a causa della soverchiante monocoltura cerealicola imposta.

Per tutta la durata dell‟espansionismo di Roma nel Mediterraneo la Sardegna fu oppressa con eccessivi contributi di grano da inviare alle truppe al fronte (nel 212 a.C., nel 204 a.C., nel 202 a.C.; doppie decime furono estorte nel 191 a.C., 190 a.C., 189 a.C. e poi nel 171 a.C.), prima in Africa, poi in Oriente.

La monocoltura cerealicola aveva sottratto terre fertili alle genti locali, legate per tradizione a un‟economia basata sulla pastorizia transumante, per la pratica della quale era necessario utilizzare latifondi di uso comunitario che, dopo essere divenuti ager publicus populi romani, erano stati occupati da coloni romano-italici. Questo conflitto insanabile attraversò la storia romana dell‟isola, fino ad età imperiale, quando ancora nel 69 d.C. il proconsole Lucio Elvio Agrippa fu costretto a ribadire la sentenza di sgombero dagli agri assegnati fin dal 111 a.C. ai Patulcenses Campani dal proconsole Marco Cecilio Metello, occupati per vim dal 65-66 d.C. dai pastores Galillenses del Gerrei.

Queste furono le motivazioni alla base delle rivolte degli Ilienses e dei Corsi nel 181 a.C., quando il pretore Marco Pinario Rusca riportò vittorie prima in Corsica e poi in Sardegna167, e della successiva poderosa campagna condotta in Sardegna nel 177-6 a.C. dal console Tiberio Sempronio Gracco (padre dei Gracchi tribuni della plebe nel 133 e nel 123-2 a.C.), coadiuvato dal propretore Tito Ebuzio Parro168. Nei due anni di campagne militari contro i Balari e gli Ilienses i Romani ridussero in schiavitù un tal numero di prigionieri isolani da giustificare questa volta l‟attribuzione della locuzione “Sardi venales” proprio alle loro operazioni militari.

Dopo l‟onore del trionfo concesso dal senato nel 175 a.C., l‟anno successivo Tiberio Sempronio Gracco dedicò una tabula picta nel tempio della Mater Matuta presso il Campidoglio, con la prima rappresentazione cartografica della Sardegna di cui abbiamo menzione sicura, contenente le indicazioni riguardanti lo svolgimento della battaglia: Ti. Semproni Gracchi consulis imperio auspicioque legio exercitusque populi Romani Sardiniam subegit; in ea provincia hostium caesa aut capta supra octoginta milia169. Nel testo della tabula si celebrava la liberazione delle urbes sociae sarde dalle incursioni dei Balari e degli Ilienses, e si esaltava il numero dei Sardi uccisi o fatti prigionieri nei due anni di scontri: un totale di 80.000 individui, dei quali secondo Livio e Floro 12000 uccisi nella prima fase degli scontri nel 177 a.C., 15000 nella successiva campagna del 176 a.C. Sarebbero stati dunque ben 53000 i prigionieri sardi portati a Roma da Sempronio Gracco, un numero tale che riversato sui mercati italici di schiavi provocò, secondo Aurelio Vittore, un‟abbondanza di offerta capace di produrre il crollo del loro prezzo corrente170.

167 LIV. XL 19; XL 34.

168 LIV. XLI 12 (177 a.C.); LIV. XLI 15-17 (176 a.C.). Cfr. R. ZUCCA, Le Civitates Barbariae e l‟occupazione

militare della Sardegna: aspetti e confronti con l‟Africa, in L‟Africa Romana, V, Ozieri 1988, pp. 354 ss.

169 LIV. XLI 28, dove viene riportato il testo integrale della dedica (174 a.C.): Eodem anno tabula in aede Matris

Matutae cum indice hoc posita est. “Ti. Semproni Gracchi consulis imperio auspicioque legio exercitusque populi Romani Sardiniam subegit. in ea provincia hostium caesa aut capta supra octoginta milia. re pubblica felicissime gesta atque [sociis] liberatis, vectigalibus restitutis, exercitum salvum atque incolumem plenissimum praeda domum reportavit. iterum triumphans in urbem Romam rediit. cuius rei ergo hanc tabulam donum Iovi dedit”. Sardiniae insulae forma erat, atque in ea simulacra pugnarum picta. Cfr. E. PAIS, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, cit., vol. I, p. 181, nota 151.

170 AUR.VICT., De vir. ill. 57: tantum captivorum adduxit, ut longa venditione res in proverbium veniret: Sardi

venales. Cfr. E. PAIS, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, cit., vol. I, p. 183, nota 153.

L‟espressione Sardi venales ebbe un certo successo presso le fonti letterarie latine; oltre a Sinnio Capitone e Festo, Cicerone la utilizzò in senso di disprezzo contro i Sardi, verso i quali nutriva una ben nota antipatia, già ai tempi in cui aveva rifiutato di difendere il sardo Famea, nonno del musico Tigellio, suo sostenitore economico durante la campagna elettorale per il consolato del 63 a.C. Nelle lettere del 45 a.C. facenti parte della corrispondenza tra Cicerone e Attico resta traccia del risentimento dell‟oratore contro Tigellio e contro tutti i Sardi venales, un sentimento di scarsa considerazione condiviso nei confronti di Tigellio anche dal letterato Licinio Calvo171.

Ettore Pais si era occupato a suo tempo di questo tema, sottolineando come l‟espressione fosse usata nella letteratura latina come un vero e proprio proverbio, sulla scia della longa venditio della quale i prigionieri del 177 a.C. erano stati oggetto172. Infatti Aurelio Vittore in età tarda era ritornato sull‟espressione proprio in questo senso: tantum captivorum adduxit, ut longa venditione res in proverbium veniret: Sardi venales.

Nelle reiterate e sanguinose ribellioni dei popoli sardi contro i Romani, gli indigeni in rivolta devono aver sicuramente subito una drastica riduzione del loro numero complessivo: le popolazioni autoctone pagarono a caro prezzo la loro insofferenza nei confronti dei dominatori, che in sostanza li decimarono, uccidendone molti in battaglia e deportandone molti altri come prigionieri, poi venduti nei mercati di Roma. Il posto dei Sardi catturati o uccisi fu preso da numerosi immigrati, liberi e schiavi, giunti in Sardegna come conseguenza delle esigenze economiche di Roma, che in funzione dello sfruttamento di tutte le risorse (prevalentemente agrarie, ma legate anche alle miniere, alle saline, all‟allevamento che produceva carne, formaggi e pelli, tutti destinati all‟approvvigionamento di Roma) importò un gran numero di coloni e servi che andarono ad insediarsi fin nelle zone centrali dell‟isola.

Del resto la completa romanizzazione linguistica della Sardegna, che finì per cancellare una buona fetta delle lingue dei popoli paleosardi, è la prova di come l‟occupazione romana si spinse fin nelle aree più interne173.

Un gruppo di Sardi venales venduti a buon prezzo nel 176 a.C. fece senz‟altro parte del bottino di guerra spettante al capo della spedizione, il comandante delle truppe legionarie al quale per diritto toccava una porzione consistente della praeda174. Non è dunque improbabile che la vendita dei prigionieri sardi sia stata frutto di buoni guadagni per Tiberio Sempronio Gracco, il quale inoltre deve aver approfittato della vittoria per consolidare le clientelae che la sua famiglia aveva in Sardegna dal tempo della conquista dell‟omonimo antenato nel 238 a.C.

171 CIC., Ad fam. VII, 24, 1: id ego in lucris pono, non ferre hominem pestilentiorem patria sua; eumque

addictum iam tum puto esse Calvi Licinii Hipponacteo praeconio… Ille autem (riferendosi a Phamea, nonno di Tigellio), qui sciret se nepotem bellum tibicinem habere et sat bonum unctorem, discessit a me, ut mihi videbatur, iratior. Habes "Sardos venales, alium alio nequiorem". LIC.CALV., fr. 3: Sardi Tigelli putidum caput venit.

172 E. PAIS, Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano, cit., vol. I, p. 183, nota 153; vol.

II, p. 336, nota 677. Vd. anche La Sardegna romana, in Storie regionali. Storia della Sardegna, I, a cura di M. BRIGAGLIA-A.MASTINO-G.G.ORTU, Roma-Bari 2001, pp. 55-57.

173 Cfr. G. LUPINU, La romanizzazione linguistica della Sardegna, in Storia della Sardegna antica, a cura di A.

MASTINO, Nuoro 2005, pp. 193 ss.; si veda anche M. PITTAU, Latifondisti coloni liberti e schiavi romani in

Sardegna e in Barbagia. Le prove linguistiche, «Quaderni Bolotanesi», 19, 1993, pp. 247 ss.

174 La parte della praeda spettante al comandante era detta manubiae; sul tema cfr. A. STORCHI MARINO,

Schiavitù e forme di dipendenza in Roma arcaica, in Schiavi e dipendenti nell‟ambito dell‟«oikos» e della «familia», Atti del XXII Colloquio GIREA, Pontignano (Siena) 1995, a c. di M.MOGGI-G.CORDIANO, Pisa 1997,

pp. 199 ss.; R. ORTU, Praeda bellica: la guerra tra economia e diritto nell‟antica Roma, in Diritto @ Storia.

Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e Tradizione romana, 4, 2005 [http://www.dirittoestoria.it/4/Memorie/Ortu-Praeda-bellica.htm].

Gustave Clarence Rudolphe Boulanger (1824-1888): “Le marché aux esclaves”, olio su tela.

2. Il bellum servorum tra i liberti di Ottaviano e di Sesto Pompeo

Con il I sec. a.C. in Sardegna nacquero nuovi e complessi sistemi di fazioni contrapposte, che andarono formandosi parallelamente alle vicende che videro affrontarsi prima Mario e Silla e i loro rispettivi sostenitori, poi Cesare e Pompeo Magno e infine Ottaviano e Sesto Pompeo, fino alla definitiva sconfitta di quest‟ultimo a Nauloco nel 36 a.C. ad opera di Agrippa.

Dopo la morte di Cesare, in età triumvirale Ottaviano procedette, in attuazione e in prosecuzione dei disegni del padre adottivo, alla deduzione della colonia proletaria di Turris Libisonis, sulla costa settentrionale dell‟isola, forse fondata dal d(eductor) c(oloniae) Marco Lurio175, rappresentante di Ottaviano in Sardegna tra 42 e 40 a.C., dopo l‟assegnazione della Sardinia al futuro Augusto in seguito al convegno di Bologna del 43 a.C. e alla battaglia di Filippi nel 42 a.C.

Ottaviano procedette anche all‟elevazione al rango di municipium civium Romanorum di Karales e Nora; queste municipalizzazioni avvennero nei turbolenti anni che videro contrapporsi in Sardegna i rappresentanti, di origine servile, da un lato del triumviro Ottaviano e dall‟altro di Sesto Pompeo176, figlio di Pompeo Magno; quest‟ultimo era alla ricerca del riconoscimento di un comando personale, che pensava di ottenere ricattando Ottaviano attraverso un sistematico blocco delle risorse annonarie in partenza dalla Sardegna e dalla Sicilia, risorse destinate al sostentamento dell‟esercito popolare177.

Con il 40 a.C. cominciò in Sardegna un continuo gioco di passaggi di mano dell‟isola dal controllo degli uomini di Ottaviano a quelli di Sesto Pompeo: una lotta non priva di intrighi, tradimenti e passaggi di sponda, sintomi della profonda corruzione politica di quegli anni, che vide protagonisti i liberti dei due generali romani e gli schiavi dei provinciali arruolati da Sesto Pompeo178, guerra che per questo suo aspetto viene esplicitamente definita bellum servorum dallo stesso Augusto nelle sue Res Gestae179.

Tale fortunata definizione, come sottolineato da E. Pais e G. Fabre, rispecchia l‟atteggiamento mantenuto dall‟oligarchia senatoria nei confronti di questo genere di tumulti; l‟espressione bellum servorum infatti rimanda più propriamente a una vera e propria “guerra di schiavi”, come quelli in rivolta guidati da Spartaco attraverso l‟Italia nel 73 a.C., per la vittoria sui quali i senatori romani non furono particolarmente propensi a concedere onori e riconoscimenti ai generali vincitori, Pompeo e Crasso, in quanto si trattava pur sempre di una vittoria su servi; evidentemente nella loro ottica non era possibile considerare la repressione di una rivolta servile (che tra l‟altro aveva visto associarsi comunque una buona percentuale di proletariato rurale libero), seppur estremamente pericolosa per

175 Per Marco Lurio in Sardegna cfr. C.CAZZONA, Nota sulla fondazione della colonia di Turris Libisonis: Iuli,

Flavii, Aelii, Aurelii e Lurii nelle iscrizioni, «Studi Sardi», XXXI, 1994-1998, pp. 269 ss.; per la deduzione della colonia di Turris da parte di M. Lurio si veda l‟ipotesi di M. GRANT, From Imperium to Auctoritas. A Historical

Study of Aes Coinage in the Roman Empire, 49 BC-AD 14, Cambridge 19692, p. 206, che identifica il d(eductor)

c(oloniae) di una emissione monetale, da lui attribuita a Turris, con il nostro personaggio. La lettura di Grant è stata però corretta in un lavoro più recente: A.BURNETT-M.AMANDRY-P.PAU RIPOLLÉS, Roman Provincial

Coinage, I, London-Paris 1992, pp. 162-163, n. 622: P. M. L. d(eductor) c(oloniae), dove le prime tre lettere sarebbero le iniziali dei tria nomina di un deductor altrimenti non conosciuto: il deduttore della colonia sarda in questione sarebbe dunque un personaggio il cui gentilizio inizierebbe per M.

176 Sulla figura di Sesto Pompeo vd. M. HADAS, Sextus Pompey, New York 1930, J. SCHNAITER, Sextus

Pompeius, Innsbruck 1938 e il recente studio monografico di A. POWELL-K.WELCH, Sextus Pompeius, London

2002.

177 Cfr. G. MARASCO, L‟Africa, la Sardegna e gli approvvigionamenti di grano nella tarda repubblica, in

L‟Africa Romana, IX, Sassari 1992, pp. 651 ss.

178 G. POMA, Servi fugitivi e schiavi magistrati in età triumvirale, «Index», XV (1987), pp. 149-174.

179 Res Gest. divi Aug., 25, 1: Mare pacavi a praedonibus. Eo bello servorum, qui fugerant a dominis suis et

arma contra rem publicam ceperant, triginta fere millia capta dominis ad supplicium sumendum tradidi; ancora ibidem, 27, 3: Siciliam et Sardiniam occupatas bello servili reciperavi. Cfr. anche APP., Bell. civ. V, 131.

l‟equilibrio sociale sul quale si reggeva la Repubblica ormai in crisi, alla stessa stregua di un successo ottenuto in un valoroso scontro armato contro soldati nemici, forse non più insidiosi militarmente, ma in ogni caso giuridicamente liberi.

Sesto Pompeo non godeva di buona fama presso le fonti antiche: Floro e Lucano ne sottolineavano la differenza dal grande padre, di cui sarebbe stato “prole indegna”180; Appiano e Dione Cassio lo ricordavano come “pirata dei mari”181; ma fu soprattutto Velleio a darne un ritratto ostile e turpe: Hic adulescens erat studiis rudis, sermone barbarus, impetu strenuus, manu promptus, cogitatione celer, fide patri dissimillimus, libertorum suorum libertus, servorum servus, speciosis invidens, ut pareret umillimis182.

Abbiamo ricordato che Sesto Pompeo aveva reclutato nel suo esercito gli schiavi dei provinciali183 e si era affidato ai suoi liberti, valenti comandanti dotati di una grande esperienza nella navigazione marittima; la pratica di affidare il comando della flotta a valorosi affrancati del resto non fu una prerogativa del solo Sesto Pompeo, che aveva il suo più grande collaboratore nel legatus Menas-Menodoro184, ma anche dello stesso Ottaviano, che in seguito alla cacciata di Marco Lurio dalla Sardegna nel 40 a.C., vi aveva mandato, dopo l‟incontro di Brindisi, il suo liberto Caius Iulius Helenus per riconquistarla. Questi fu a sua volta catturato da Menodoro, che però rese ad Ottaviano il suo liberto, preparando per così dire la strada alle macchinazioni successive che lo videro progressivamente allontanarsi dalla posizione di appoggio tenuta inizialmente verso il suo patronus, Sesto Pompeo185.

Quello della fides concessa dal patronus al proprio libertus era un concetto ben radicato, un valore cardine nella pragmatica forma mentis dei Romani; come depositari della fides dei propri patroni, i liberti erano amministratori di beni sia finanziari che immobiliari, erano corrieri della corrispondenza epistolare più segreta, erano i più intimi accompagnatori e confidenti. La fides era di solito riposta in servitori che avessero dato prova di obsequium e buon servizio186.

Menodoro per le fonti era un liberto di Pompeo Magno, ereditato da Sesto Pompeo insieme a un altro valente collaboratore di origini libertine, Menecrate; ma Menodoro avrebbe avuto su Sesto Pompeo un vero e proprio ascendente, provocando l‟invidia dei suoi coaffrancati187.

Menodoro tuttavia, ad un certo punto, si trasformò per Sesto Pompeo in un servitore infido e traditore; nominato praefectus classis et legatus, al comando di quattro legioni, in un primo momento secondo le fonti avrebbe cercato di convincere Sesto Pompeo a continuare la “guerra del grano” che lo opponeva ad Ottaviano e Antonio, consigliando immediatamente prima degli accordi di Miseno (39 a.C.) di tenere sulla corda gli avversari per trarne il massimo vantaggio188. Sesto Pompeo invece venne a patti e, in cambio del comando sulle

180 FLOR. II, 18, 2: O quam diversus a patre! ; cfr. LUCAN., Phars. VI, 420-422: Sextus erat, Magno proles

indigna parente / cui mox Scyllaeis exul grassatus in undis / polluit aequoreos Siculus pirata triumphos.

181 APP., Bell. civ. V, 77; 83; CASS.DIO. XLVIII 19. 182 VELL. II, 73.

183 In proposito R.PUGGIONI-E.BADARACCO, Servus fugitivus negli eserciti tardo repubblicani, in Mercati e

mercanti di schiavi tra archeologia e diritto, I Convegno Interdisciplinare di Studi, Sassari 22 - 23 ottobre 2009, a cura di R. ORTU, c.d.s.

184 Su Menodoro cfr. la bibliografia suggerita da C.CAZZONA, Nota sulla fondazione della colonia di Turris

Libisonis: Iuli, Flavii, Aelii, Aurelii e Lurii nelle iscrizioni, cit., p. 269, nota 76.

185 CASS.DIO. XLVIII, 30, 7-8; APP., Bell. civ. V, 56.

186 Sul concetto di fides cfr. G. FABRE, Libertus. Patrons et affranchis à Rome (Collection de l‟École Française

de Rome, 50), Roma 1981, pp. 226 ss.

187 APP., Bell. civ. V, 78. 188 APP., Bell. civ. V, 70.

province transmarine di Sicilia, Sardegna e Corsica189, promise di far cessare il blocco granario e di inviare rifornimenti a Roma190.

Plutarco racconta che, nel banchetto celebrato dopo gli accordi di Miseno su una delle navi di Sesto Pompeo, Menodoro si sarebbe avvicinato cautamente al suo patrono per convincerlo ad approfittare della situazione per catturare Ottaviano ed Antonio, ma Sesto Pompeo avrebbe dimostrato una gran fermezza d‟animo, rifiutando di comportarsi da spergiuro dopo essere giunto a un compromesso191.

Tuttavia di nuovo Sesto Pompeo intraprese azioni di pirateria contro le coste dell‟Italia192 e i suoi rapporti con Ottaviano si incrinarono ancora. Menodoro, alla ricerca anche lui dell‟affermazione personale, cercò un accordo segreto con Ottaviano e attraverso la mediazione di Micilione gli consegnò Sardegna e Corsica, dopo aver concesso vettovaglie al liberto Filadelfo, in cambio del riconoscimento del grado equestre e dell‟anello d‟oro che lo simboleggiava193. Ma essere stato posto sotto le direttive del luogotenente Calvisius lo spinse nuovamente al ritorno a favore di Sesto Pompeo.

Infine cambiò ancora sponda, consentendo definitivamente ad Ottaviano di prendere possesso della Sardegna; poco dopo Sesto Pompeo fu sconfitto a Nauloco da Agrippa (36

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