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Prima e dopo il carcere: il perpetuarsi della marginalità

Gli itinerari della marginalità

3.6. Prima e dopo il carcere: il perpetuarsi della marginalità

Il dato ricorrente, nell’ascoltare le narrazioni delle persone intervistate e nell’a- nalizzare il materiale quantitativo, è quello di un rapporto di continuità della con- dizione di marginalità, che tocca la complessità dei percorsi di vita delle persone  coinvolte.

Andando a ritroso nelle vite delle persone, si è visto come in primo luogo i con- testi di provenienza siano quasi sempre caratterizzati da fragilità ed emarginazione  sociale, che può assumere varie forme, ma in genere la precarietà economica è il  dato ricorrente attorno a cui spesso ruotano svariate altre problematiche (familiari, sanitarie, di disagio).

La successiva fase detentiva, in secondo luogo, solo in rarissimi casi costituisce un’occasione formativa e di sviluppo di competenze in grado di agevolare il tentati- vo di reinserimento nel mercato del lavoro. Nella stragrande maggioranza dei casi, la partecipazione ai corsi di formazione avviene “tanto per far passare il tempo” e le sempre più rare occasioni di attività lavorative svolte in carcere sono prive di  contenuto professionalizzante.

“Le prime due volte ho fatto dei corsi. Uno da manutentore, uno da cad, computer art de- signer praticamente, disegno grafico col computer. Giusto per impegnare il tempo. L’altro corso invece l’avevo fatto a Cuneo, di elettronica o elettromeccanica, una cosa del genere, andavo lì giusto per passare il tempo [...] giusto per non rimanere rinchiuso da mattina a sera dentro quella specie di bugigattolo.” (Int. N. 20)

La stessa percezione negativa viene di frequente espressa in riferimento ai corsi di formazione proposti dopo l’uscita dal carcere, durante l’inserimento nel progetto Logos.

“Io ero andato in (sede di un’agenzia formativa che eroga corsi di formazione per ex-dete- nuti, nda), utilità zero, se non come una specie di posteggio autonomo, cioè che uno si alza la mattina e dice faccio qualcosa, per evitare di stare dentro casa.” (Int. N. 9)

“No, non ho fatto nessun percorso di formazione perché io avevo… la risorsa ce l’avevo io, e quindi siamo riusciti a saltare quel pezzetto lì, perché se no avrei dovuto fare quel pezzo di formazione prima che io non ho fatto.” (Int. N. 10)

Dalle parole di molti intervistati, emerge un’immagine di corsi di formazione che, più che un’opportunità, costituiscono un fardello attraverso cui passare per 

poter finalmente essere inseriti da un punto di vista lavorativo e superare la condi- zione di marginalità.

Proseguendo con le fasi della narrazione, tuttavia, ben presto si palesa l’ulteriore livello di frustrazione: quello legato alla presa di coscienza dell’inutilità della bor- sa-lavoro come trampolino per un inserimento lavorativo più stabile e alla chiara percezione di essere sfruttati da tale meccanismo.

Dai percorsi narrati, quindi, emerge in maniera piuttosto netta la distanza tra la normativa sulle modalità di assistenza e i suoi effetti. Da un lato, la normativa  nazionale prevede per esempio l’individualizzazione del trattamento (artt. 1 e 13 Ordinamento Penitenziario, l. 354/75) come corollario della funzione rieducativa attribuita alla pena. Anche la normativa internazionale più volte prescrive l’offerta di interventi efficaci in vista del reinserimento sociale. Le European Prison Rules  (Raccomandazione R2006 del Consiglio del Ministri agli Stati Membri), in parti- colare, all’art. 26.3 prescrivono che il “lavoro deve permettere, per quanto possi- bile, di mantenere o aumentare le capacità del detenuto di guadagnarsi da vivere  normalmente dopo la scarcerazione”, mentre i commi 6 e 7 dello stesso articolo prevedono che “nei limiti compatibili con una razionale selezione professionale e con le esistenze di ordine e disciplina, i detenuti devono poter scegliere il genere di lavoro che desiderano effettuare. L’organizzazione e le modalità di lavoro negli  istituti penitenziari devono avvicinarsi, per quanto possibile, a quelle che regolano un lavoro analogo all’esterno, al fine di preparare i detenuti alle condizioni della  vita professionale normale.”

Le norme che prescrivono modalità di assistenza imperniate attorno al concetto  di reinserimento attraverso l’offerta di interventi di istruzione, formazione e lavoro che tengano conto dei bisogni e degli interessi del singolo e che siano volti a svi- lupparli, si traducono in realtà con il rafforzamento delle condizioni di precarietà  dello status lavorativo di fatto provocato dallo stesso meccanismo della formazione e delle borse-lavoro.

Allargando la lente di osservazione, un processo di valutazione dell’impatto di singoli progetti di reinserimento non può prescindere da una riflessione più gene- rale sul complesso dispositivo penale-carcerario-assistenziale, che, nell’epoca del mercato sociale, si traduce nella logica della dipendenza dell’utente del servizio (De Leonardis, 2009), la quale, a sua volta, riflette la dipendenza delle istituzioni  dall’esistenza e dal consolidamento delle underclass, che giustificano l’impiego di  risorse nell’attuazione di politiche di recupero sociale. Gli interessi corporativi dei professionisti della riabilitazione delineati in primis da Cohen (1985) sono dunque in piena sintonia con il più generale interesse neo-liberista a consolidare il ruolo dei poveri e del precariato (Wacquant, 2008). E’ in tale quadro che riteniamo pos- sa essere interpretato il diffuso malcontento espresso dalle persone intervistate e che vada analizzato il tendenziale consolidamento dello status di “eccedente” (De Giorgi, 2002), che, in epoca post-fordista e di carenza di capitale in relazione alla

moltitudine, si traduce nella violenta esclusione dai diritti di cittadinanza, in primis quello al lavoro.

Si tratta di un aspetto in genere tralasciato dalle valutazioni sull’efficacia dei  progetti di reinserimento, di norma attente quasi esclusivamente al tema della reci- diva, ma che cionondimeno riteniamo non vada trascurato e su cui anzi occorrereb- be sviluppare un sempre più approfondito confronto tra la progettualità e la ricerca  sul campo.