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in prima linea nelle proteste

Nel documento Entrare nel merito del merito (pagine 58-61)

I

n Siria, malgrado il controllo del regi- me sugli atenei, non è stato seconda- rio il ruolo avuto dagli studenti nelle proteste che stanno facendo vacillare il regime alauita di Bashar Al Assad. E questo, spiegano gli analisti, è avvenuto gra- zie alle nuove opportunità di comunicazione offerte dai social network diffusi in primo luo- go tra gli universitari.

Nel Paese crogiuolo di razze e religioni che oc- cupa il centro geografico del mondo arabo (su 18 milioni di abitanti, ai quali si sono aggiunti circa 1.600.000 rifugiati iracheni, sono sunniti il 74%, alauiti il 13%, cristiani il 10%, drusi il 3%), oltre a dieci università statali che dipen- dono dal Ministero dell’Istruzione superiore ci sono 18 atenei privati gestiti da fondazioni, sulla base di regolamenti e controlli di qualità per gli accrediti internazionali. Circa l’80% dei 250.000 studenti frequenta le quattro mag- giori università pubbliche di Damasco, Alep- po, Homs e Hama.

«La priorità del sistema universitario siriano – spiega Souad Al Azzawi, docente di Inge- gneria ambientale alla Baghdad University e consulente per l’istruzione accademica in Siria – è applicare il piano di riforma dell’istruzio- ne superiore secondo lo schema del Processo di Bologna, compreso l’aggiornamento e il miglioramento dei programmi scientifici, dei curriculum, delle ricerche».

Nel settore pubblico, aggiunge, «servono so- prattutto nuove politiche formative e l’ade- guamento agli standard internazionali» men- tre gli atenei privati «hanno grandi opportu- nità di fare la differenza perché già applicano il sistema occidentale dei crediti delle ore di istruzione: cerchiamo di usare testi di studio stranieri e di introdurre nuovi metodi inse- gnamento e di gestione».

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Teatro romano a Bosra, in Siria Teatro romano a Bosra, in Siria

Dall’inizio delle proteste defla- grate a metà marzo a Deraa, nel sud del Paese al confine con la Giordania, non si placano le ma- nifestazioni per il riconoscimento dei diritti civili, la fine del control- lo poliziesco e una distribuzione più equa delle risorse dello Sta- to, in gran parte in mano al clan alauita.

Qual è stato il ruolo delle univer- sità nelle proteste? «A mio avviso più che le aule universitarie in se stesse, sono stati i social media, soprattutto Facebook e Twitter ad aggregare e in qualche modo a catalizzare la protesta» rimarca in un colloquio con Universitas Habib C. Malik, docente di Storia moderna alla American Lebanese University di Beirut e tra i più acu- ti osservatori delle proteste che stanno cambiando gli assetti del Nord Africa e del Medio Oriente. «Ma teniamo anche presente che si tratta di due facce della stessa medaglia: gran parte degli uten- ti della rete frequenta l’universi- tà e in un certo senso i social me- dia hanno spianato la strada agli studenti.

Anche in Siria, dove pure l’uni- versità è così strettamente sotto il controllo statale, se anche non sono stati resi politicamente atti-

vi dai docenti, molti fra i giovani manifestanti sono stati allertati e coinvolti dai loro compagni e dai gruppi su Facebook.

In Tunisia e in Egitto il ruolo dei professori è stato molto maggio- re a causa della maggiore libertà di insegnamento nelle università, e diversi docenti, come si è visto al Cairo, hanno preso posizione contro Mubarak».

Gli elementi comuni alle manife- stazioni a Deraa, a Homs, a Lata-

kia, Qamishli, Koban e nelle altre città sono il risultato della disoc- cupazione e della mancanza di libertà patita dalla popolazione, anche se le proteste hanno mo- strato un diverso grado di orga- nizzazione e l’assenza di leader- ship, causata dallo smantella- mento dell’opposizione interna negli ultimi trent’anni, non aiuta la ribellione a darsi un’espressio- ne politica.

«Quella di Deraa resta una pro-

testa locale, mentre la maggior parte dei manifestanti di Dama- sco sono giovani universitari, ben coordinati su Facebook e alcuni legati a dissidenti politici attual- mente in prigione» spiega Stefan H. Winter, docente di Storia otto- mana alla Université du Québec di Montreal. «D’altra parte, una delle pagine di Facebook che sta indirizzando le rivolte è gestita da un membro dei Fratelli musul- mani residente in Svezia e sta as- sumendo una sfumatura sempre più religiosa che molti attivisti ri- fiutano».

Si sa anche dai dispacci di Wiki- leaks che i dissidenti esiliati re- sidenti a Washington e Londra sono appoggiati dagli Stati Uniti e non godono di grande popola- rità in Siria.

Difficile perciò ravvisare quali sia- no le componenti sociali di que- sta rivolta, la meno conosciuta della “primavera araba”.

Per lo storico inglese Patrick Sea- le, tra i massimi esperti della Siria, «le richieste dei giovani manife- stanti rientrano in tre grandi ca- tegorie, delle quali le prime due sono riconducibili alla sfera poli- tica ed economica.

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Chiedono la libertà di stampa e di associazione politica – sottolinea – libertà dalla brutalità della po- lizia, dalla tortura e dagli arresti arbitrari, libertà per i prigionieri politici».

Essi reclamano altresì «lavoro, ali- menti e alloggi a prezzi accessibi- li, prospettive di sviluppo econo- mico e il castigo per certi perso- naggi corrotti più vicini ai vertici del potere».

Ma c’è una terza richiesta che «è importante forse tanto quanto le altre due ed è la richiesta di digni- tà: i cittadini ordinari vogliono essere trattati con rispetto dalle autorità, e non insultati, picchia- ti, o semplicemente ignorati». Tra i motori della protesta figura in primo luogo, in Siria come ne- gli altri Paesi arabi, la disoccupa- zione giovanile che miete le sue vittime sia fra i laureati che non trovano un lavoro sia fra i giovani della classe operaia che non ve- dono futuro.

Ad essi, prosegue lo storico, van- no aggiunti gli intellettuali che con le loro richieste di libertà di espressione, di pubblicazione e di dibattito su ogni aspetto della vita nazionale costituiscono for- se «la più frustrata fascia sociale della popolazione».

Ci sono poi i piccoli imprenditori che hanno visto lo sviluppo del- la propria impresa bloccato dalla corruzione del clan al potere e in- fine gli islamici, che dopo il mas- sacro ordinato da Hafez Al Assad ad Hama nel 1982 contro i Fratel- li musulmani hanno covato un rancore sordo contro il regime, nonostante con la costruzione di imponenti moschee gli alauiti ab- biano cercato di ricondurre i mo- vimenti islamici sotto il controllo dello Stato.

A fine maggio, mentre il presi- dente siriano ammetteva che «al- cuni errori sono stati commessi dalle forze di sicurezza» nel re- primere la rivolta, gli Stati Uniti hanno deciso di imporre sanzio- ni contro Bashar al Assad e sei dei suoi principali collaboratori per abusi di potere e violazioni dei diritti umani dopo due mesi di proteste che, secondo fonti delle organizzazioni umanitarie, avrebbero provocato almeno 850 morti, in massima parte civili, e migliaia di arresti illegali.

Quel che è certo, è che nessuno dei leader internazionali, come dimostra la differenza di tratta- mento riservata al popolo siriano rispetto alla solidarietà dimostra- ta dall’Occidente verso quello tu-

nisino, egiziano e libico, è dispo- sto a incoraggiare la protesta in Siria, bastione della stabilità re- gionale tra le convulsioni dell’I- raq, le ambizioni nucleari dell’I- ran e l’allontanamento della Tur- chia da Israele.

È un fatto che dalla fine della Guerra dei Sei giorni, nel 1967, non si era sparato un colpo sulle Alture del Golan. Ma gli incidenti scoppiati nell’arco di tre settima- ne nei pressi di Quneitra, dove il 5 giugno l’esercito israeliano ha

aperto il fuoco contro gli attivi- sti che tentavano di sfondare il confine (cfr. Asianews), causando alcune vittime e decine di feriti, mostrano il tentativo del regime di dirottare le tensioni interne verso Israele, il nemico di sempre, a pochi mesi dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza che l’Autorità Nazionale Palestinese si appresta a presentare alle Na- zioni Unite.

L’Università di Damasco (foto shamsouri)

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Souad N. Al-Azzawi Souad N. Al-Azzawi

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