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La prima ricezione delle Cronache

Le ‘anticipazioni’

Alla fine di marzo del 1955 le Cronache di filosofia italiana saranno finalmente pubblicate, ma alcuni giorni prima sono anticipate da due estratti che, a giudizio di chi scrive, hanno avuto un ruolo da non trascurare nella ricezione dell’opera. La stessa recensione di Togliatti, la cui importanza è difficile da sopravvalutare, costituisce il culmine di un percorso volto a valorizzare alcune importanti esigenze che emergono dal volume. Si è in precedenza cercato di mostrare l’influenza che la nuova politica culturale del PCI, sancita dalla riunione della commissione culturale del 3 aprile 1952, ha avuto sulla composizione delle Cronache; ora questa influenza viene ‘mostrata’ attraverso queste anticipazioni del volume, da cui emerge sia la vicinanza anche etica ad autori cari alla tradizione comunista italiana come Gramsci e Gobetti, sia la prospettiva metodologica assunta – e quest’ultima non senza un richiamo gramsciano. Il 16 febbraio del 1955 Maria Garin invia a Laterza l’Epilogo delle Cronache, e l’editore subito decide di pubblicarlo su «Cultura moderna» di marzo, come a indicare l’orientamento base della sua Casa1

. Il testo, già ricordato più volte, è molto ricco e complesso e va davvero a costituire una sorta di ben articolato programma, di cui val la pena richiamare almeno alcuni punti particolarmente significativi. Innanzitutto Garin proclama «il tramonto della storia garantita», dell’«ultima teologia», la «teologia della libertà che trionfa sempre perché ha per sé l’eterno, dell’umanità che procede necessariamente de claritate in claritatem»2. Il riferimento, chiaramente a Croce, trae spunto dalle tragiche parole del 1944 in cui il pensatore napoletano aveva addirittura adombrato la possibilità della finis Europae3. Garin prende le distanze in maniera netta da aspetti del pensiero crociano rispetto ai quali già svariati anni prima si era posto in maniera molto critica4; la differenza è che adesso egli sottolinea come sia lo stesso Croce a vincere se stesso, come se fosse il Croce delle ricerche particolari a vincere il Croce più caduco che si era espresso nel sistema: «Anche se poi il Croce nella lotta

1 Nel processo di ‘avvicinamento’ di Garin al Partito comunista non va sottovalutato il ruolo di Laterza

che, pur non essendo egli stesso comunista e senza pretendere di far assumere alla sua Casa il ruolo già occupato dalla Einaudi, si stava aprendo a nuove esperienze culturali e a nuovi interlocutori.

2

Ivi, pp. 525-526.

3 Cfr. BENEDETTO CROCE, Scritti e discorsi politici (1943-1947) volume primo, a cura di A. Carella

Bibliopolis, Napoli 1993, p. 259.

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politica vivacemente combatté per posizioni giustificate proprio da certe tesi di quella sua ormai veneranda “filosofia dello Spirito”, in realtà innanzi alla morte delle cose più care, sembrò quasi concedere la sconfitta del sistema così rigorosamente costruito»5. Soprattutto, però, Garin pone la sua interpretazione del crocianesimo sotto l’egida di Gramsci e dell’esigenza messa da lui in campo di un Anti-Croce che sia anche un Anti- Gentile, da non intendersi come un semplice rifiuto ma come una spregiudicata analisi della nostra storia culturale, per svelarne «equivoci e ambiguità». Si comprende l’attenzione che dovevano destare queste parole di un intellettuale laico, che non aveva dato in precedenza particolari segni di vicinanza a una certa area politica, in coloro che ne Partito comunista stavano portando avanti una determinata politica culturale, la quale aveva tra i propri cardini proprio la formazione di un fronte progressivo che coinvolgesse intellettuali non necessariamente marxisti.

Un altro punto del denso Epilogo che va qui richiamato è l’osservazione sulla necessità che si fa più forte «di una filosofia come chiarificazione critica per un’azione realmente educatrice dell’umanità»6

. Questa chiarificazione – continua Garin – avrà senza dubbio bisogno della «lettura di nuovi testi», di «nuove esperienze», dell’«apertura di nuovi orizzonti», ma al contempo non potrà essere «seria e feconda se non attraverso una precisa inserzione in quella che è stata ed è la nostra condizione, di cui converrà valutare l’esatto senso». E subito dopo precisa che andranno riletti «De Sanctis e Labriola e Spaventa, non col gusto di condannare una precedente lettura, ma anzi per scorgerne il valore entro un tempo, e le intenzioni, e dar così forza e vigore alla nost ra lettura, nata su quella, anche se destinata a maturar contro quella»7. Si tratta sicuramente di un’importante espressione dello storicismo gariniano, volto a valorizzare la storia degli studi senza appiattirsi su quella, ma qui va osservata in primo luogo la vicinanza con le posizioni espresse da Togliatti nell’aprile del 1952, quando affermava che per una cultura socialista italiana lo studio della nostra tradizione nazionale è ancora più importante che quello dei teorici russi. E faceva i nomi, tra i classici, di Galileo Galilei e Giordano Bruno, ma tra i più recenti proprio di Francesco De Sanctis e Antonio Labriola; e nello studio Per una giusta comprensione del pensiero di Antonio Labriola apparso a puntate su «Rinascita» appena l’anno precedente, Togliatti aveva attribuito un posto di rilievo nella filosofia italiana

5 GARIN, Cronache di filosofia italiana cit., p. 526. 6 Ivi, p. 528.

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dell’Ottocento proprio a Bertrando Spaventa. Seppur in maniera meno palese rispetto al precedente riferimento gramsciano, si tratta di un effettivo terreno d’incontro tra il laico autore delle Cronache e la politica culturale del Partito comunista.

L’altro testo che anticipa le Cronache costituisce già per la sua ‘collocazione editoriale’ un avvio di dialogo con la politica culturale del Partito comunista. Il 24 marzo 1955 Carlo Salinari, che, come abbiamo ricordato, nel 1952 era alla guida della Commissione culturale del PCI, scrive a Garin ringraziandolo «per l’articolo assai bello che ci ha concesso di pubblicare sul nostro giornale»8: si tratta di La critica di Gobetti, il testo tratto da alcune pagine dell’ottavo capitolo delle Cronache, che sarebbe apparso sul «Contemporaneo» del 26 marzo. Nel seguito della sua breve lettera Salinari, da un lato, invita Garin a collaborare ancora in futuro con la loro rivista, e, dall’altro, afferma che il libro di Garin «a quanto ne ha detto Laterza» sembra «assai interessante», e assicura che cercheranno «appena esce di dargli grande rilievo sul Contemporaneo»9. Ancora una volta emerge il ruolo e la sensibilità di Laterza nel promuovere il volume anche in determinati ambienti, e, al contempo, un interesse già maturo da parte del mondo culturale comunista, rispetto al quale la recensione di Togliatti rappresenta forse un ‘salto di qualità’, ma certo non può dirsi del tutto imprevedibile. Per quel che riguarda nello specifico lo scritto apparso sul «Contemporaneo», si può osservare innanzitutto che la scelta del soggetto appare particolarmente significativa. Gobetti è per Garin un punto di riferimento etico, un giovane intellettuale che si era opposto al regime fascista pagandone le conseguenze; al contempo il suo nome «ben si collega con quello della maggior figura di “politico” in senso integrale di quegli anni amari: Antonio Gramsci»10. D’altronde lo stesso Togliatti, in una conferenza tenuta il 23 marzo 1952 all’Associazione di cultura di Bari pubblicata su «Rinascita», aveva affermato che «Piero Gobetti […], partendo da premesse diverse e seguendo un diverso cammino, e non essendo immune da un moralismo romantico non sempre accettabile, arrivava però a conclusioni analoghe a quelle di Gramsci»11. Ad ogni modo l’articolo del «Contemporaneo» è molto ricco, e

8 Salinari a Garin, 24 marzo 1955, Fondo Garin.

9 Ibid. Non sarebbe mancata sul «Contemporaneo» un’interessante recensione di Valentino Gerratana

(cfr. VALENTINO GERRATANA, I “leoni impagliati”, «Il contemporaneo», 16 luglio 1955, p. 3).

10

EUGENIO GARIN, La critica di Gobetti cit., p. 3 (e ID., Cronache di filosofia italiana cit., p. 354).

11 PALMIRO TOGLIATTI, L’antifascismo di Antonio Gramsci, in ID., La politica nel pensiero e nell’azione

cit., pp. 1069-1092:1079. Possiamo notare che Garin appena una settimana dopo presso la stessa sede avrebbe dovuto tenere una conferenza, che però fu annullata.

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presenta vari elementi che vanno sottolineati, anche solo per mettere in evidenza i motivi principali in grado di aprire a un dialogo con la cultura marxista. Il discorso si situa fin da subito su un piano politico: dopo «l’esaltazione dei distruttori», che aveva portato alla catastrofe della Grande Guerra – ma Garin applica lo stesso ragionamento anche al secondo conflitto mondiale –, non era seguita la «pazienza della ricostruzione»: i più pacati e pensosi si limitarono a guardare al passato, mentre la «critica della ragione illuministica postulava l’affermazione di una ragione storica per cui si era affaticato il grande pensiero dell’Ottocento, anche se non senza contrasti». Dal canto suo Gobetti, «uno dei pochi uomini nuovi di valore veramente positivo», aveva l’esigenza «di innestare l’azione politica nella comprensione della realtà e, in concreto, della storia italiana dal Risorgimento in poi»12. Come abbiamo visto, Garin non manca d’associare il nome del torinese a quello di Gramsci, ma al contempo possiamo notare che nelle Cronache si trova anche un riferimento a Croce, invece mancante nell’articolo sul «Contemporaneo». Nello scritto iniziale, infatti, l’esigenza di «intendere la storia, comprendere l’esperienza per agirvi dentro», prima che a Gobetti e a Gramsci, è ricondotta a Croce che nel famoso discorso di Oxford del 1930 aveva indicato «nella rivolta contro lo storicismo umanistico la radice della crisi europea», da cui derivava – e qui Garin si rifà alla conferenza crociana del 1926 sui Punti di orientamento della filosofia moderna – «il dovere preciso per l’uomo di pensiero di partecipare “alle indagini della storia e della scienza” per impegnarsi nel “travaglio della vita del suo tempo, politica e morale”»13

. Croce, Gobetti e Gramsci appaiono in qualche modo lungo una stessa linea, anche se va notato come Garin faccia qui riferimento a due testi rispettivamente del 1926 e del 1930, quando ormai Croce aveva assunto una posizione ben definita nei confronti del fascismo. In ogni caso, sul «Contemporaneo» questo riferimento crociano non compare, ma al contrario sono presenti altri giudizi che fanno trasparire un’immagine di Croce e dei crociani complessivamente più critica. Sicuramente Garin non manca di ricordare come Croce,

12

GARIN, La critica di Gobetti cit., p. 3 (e ID., Cronache di filosofia italiana cit., pp. 351, 353).

13

GARIN, Cronache di filosofia italiana cit., p. 353. Cfr. BENEDETTO CROCE, Punti di orientamento

della filosofia moderna, «La Critica», a. 24, 1926, pp. 321-327: 327. Questo testo di Croce è di

particolare importanza perché storia e scienza sono messe sullo stesso piano, e ad esse deve ugualmente partecipare l’uomo di pensiero. Siamo molto lontani dalle più equivoche riduzioni pragmatistiche della scienza negli scritti crociani di inizio Novecento – più volti stigmatizzati nelle Cronache – così come dal paragone, proposto negli ultimi anni della vita del filosofo, tra la scienza e un «Kochbuch, un libro di cucina, offerto agli uomini perché se ne valgano per produrre i tanti oggetti a loro utili nella vita» (CROCE, Indagini su Hegel cit., p. 273).

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assieme a Gaetano Salvemini e a Giustino Fortunato, fosse riconosciuto da Gobetti come un punto di riferimento, rispetto ai più recenti ‘vociani’ e ‘romantici inespressi’14

; era una tradizione di ‘concretezza’ sulla cui scia intendeva collocarsi. In questa prospettiva s’inseriscono le parole di Gobetti richiamate da Garin per cui stare con Croce voleva dire «combattere le porcherie torbide di quegli italiani che disonorano l’Italia»; ma immediatamente Garin ricorda anche lo «scatto di violenta reazione» avuto da Gobetti contro i «crociani dell’osservanza, già allora petulanti quanto insopportabili»15. Si tratta di una presa di distanza che può tranquillamente applicarsi anche ai crociani allora contemporanei di Garin, senza tuttavia mettere in discussione il ruolo avuto dallo stesso Croce, come avviene di qui a poco trattando di Domenico Petrini. A Petrini «sembrava che il Croce avesse detto l’ultima parola in fatto di critica del dannunzianesimo e di polemica liberale», che avesse tagliato i «sogni nietzschiani e sperellici» riportando la sua generazione all’«umile lavoro di ogni giorno»; Garin, tuttavia, gli obbietta che, come ricorda lo stesso Petrini, a prosperare era l’«Italia dannunziana», e propone qui una critica a Croce, più ancora che a Petrini, che non poteva non essere accolta con favore dalla cultura marxista. Petrini, infatti, portava alle estreme conseguenza la concezione metapolitica del liberalismo: «il liberalismo chi lo viva con fede, non può far politica». E commenta amaramente Garin che Petrini aveva davanti un’Italia tutta ideale, e che «ai “sogni sperellici” le ali erano state tagliate solamente in sogno». Croce – assieme chiaramente a Petrini – è accusato di astrattezza, rovesciandone così l’immagine presentata all’inizio. Gobetti – anche grazie a Marx e a Gramsci, come si vedrà tra breve – all’altezza del 1924 aveva chiari i limiti del liberalismo crociano, «non partito, non forza politica in lotta, ma equivoca teorizzazione dell’arte di governo». Sono equivoci che derivano dalle difficoltà dell’idealismo crociano e che – commenta Garin – solo nella lotta contro il fascismo si sarebbero dissipate; ma questi ultimi sono elementi appena accennati nell’articolo, mentre l’attenzione si concentra sulle più ambigue

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Al contempo – ricorda Garin – Gobetti si richiamava a Cattaneo piuttosto che a Gioberti, a Marx invece che a Mazzini; tuttavia Garin osserva che Gobetti non parla di Gentile, «la cui ansia religiosa e il cui fervore pedagogico traversarono il suo impegno culturale», e che «forse più di tutti pesò sulla sua prima formazione, e che continuò a influire, sia pure come un limite, sulla sua attività più matura» (GARIN, La critica di Gobetti cit., p. 3 e ID., Cronache di filosofia italiana cit., p. 354).

15

Ibid. e GARIN, Cronache di filosofia italiana cit., p. 357. Le parole di Gobetti sono tratte da PIERO GOBETTI, B. Croce e i pagliacci della cultura, «Energie nove», s. 1, n. 2, 15/30 novembre 1918, pp. 26- 27: 27, mentre nel secondo caso il riferimento è a ID., Odio i crociani, «Energie Nove», s. 1., n. 5, 1/15 gennaio 1919, p. 80

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posizioni crociane del dopoguerra. I crociani, infatti, troppo facilmente potevano attribuirsi il ruolo di «spettatori posti su un piano metapolitico ed esposti all’insidia di uno stato forte»16. Garin situa dunque la critica a Croce su un piano interamente politico: le difficoltà crociane provengono da uno iato non risolto tra una dimensione culturale, teorica in senso troppo astratto, e una dimensione pratica che può realizzarsi pienamente solo con la politica. Sicuramente questa difficoltà viene superata negli anni della lotta contro il fascismo – Garin pensa forse anche a un testo come La storia come pensiero e come azione – ma certo le cose non stavano in questo modo nell’immediato dopoguerra. Resta il dubbio che questo iato possa considerarsi per Croce nuovamente irrisolto dopo il secondo conflitto mondiale, quando il filosofo avrebbe intrapreso strade politiche anche controverse. Garin non si esprime in tal senso, ma di certo il Croce cui più volentieri si rivolgeva era il Croce degli anni Trenta – o anche quello delle Pagine sulla guerra – e non quello della seconda metà degli anni Quaranta e dei primi Cinquanta. Indubbiamente i giudizi su Croce apparsi in quell’articolo del «Contemporaneo» potevano anche essere assunti come elementi per una lotta politica e culturale da parte dei suoi lettori, ma questo esula da un’analisi del lavoro su Garin, soprattutto perché sia dal volume delle Cronache, sia anche solo dall’Epilogo apparso su «Cultura contemporanea», l’immagine di Croce che ne emerge è molto complessa e sfaccettata, e nel complesso certo non negativa.

L’aspetto che però doveva suscitare maggiori interessi nei lettori e nei responsabili del «Contemporaneo» è connesso alle osservazioni più strettamente legate alla politica dei comunisti. Dopo aver fatto riferimento a Salvemini, la cui «esigenza di assoluta chiarezza» e il cui «rigore morale» rappresentavano per Gobetti un modello, Garin afferma che l’orizzonte politico del giovane torinese non si limitava ai confini italiani, ma anzi egli era consapevole che in Russia era accaduto qualcosa con cui bisognava «fare i conti»: per Gobetti – continua Garin – la filosofia «è la storia» ma, «l’asse della storia del mondo, in quegli anni non sembrava passasse per l’Italia». Garin si sofferma dunque sull’analisi della Rivoluzione russa svolta su «Rivoluzione liberale», dove «la critica all’astratto filosofare si fa chiara e insistente» e «diventa formulazione precisa di un sicuro orientamento culturale». La simpatia di Gobetti (e possiamo aggiungere di Garin) per quanto stava accadendo in Russia è inequivocabile. I rivoluzionari russi –

16 Ibid. e GARIN, Cronache di filosofia italiana cit., pp. 363-364. Cfr. DOMENICO PETRINI, Guerra agli apolitici, «La Rivoluzione Liberale», a. 3, n. 10, 4 marzo 1924, p. 40.

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afferma Gobetti, riportato da Garin – «invece di educare il popolo rivelandogli la verità sentivano il bisogno di teorizzare l’azione e di agire praticamente secondo i resultati di questa teoria»17. Teoria e azione nei rivoluzionari risultano completamente saldate, in maniera che sembrerebbe simmetricamente opposta rispetto al Croce di quegli stessi anni del dopoguerra. Ma Garin sottolinea anche la differenza – tutta in favore di Gobetti – rispetto a Rodolfo Mondolfo «non solo nell’interpretazione di Marx, ma nella valutazione degli avvenimenti», e richiama poi le «osservazioni di Mondolfo sul leninismo e sulla rivoluzione russa, così caratteristicamente dominate dall’idea dello sviluppo progressivo che vanifica la spinta rivoluzionaria del marxismo»18. Gobetti criticava nel politico Mondolfo le incertezze e le contraddizioni tra il giudizio della «storia che si fa» e la sua «posizione pratica»; la sua elaborazione critica – commenta Garin – «era, forse più ancora di quel che Gobetti vedeva, legata all’idealismo e alla teoria del socialismo riformista che si risolveva nella progressiva ascesa delle classi medie». La critica a Mondolfo che qui propone Garin è, dunque, tutta politica, e legata ai valori e alla prospettiva del comunismo; e, inoltre, il suo ‘riformismo’, che, di fatto se non di principio, aveva come soggetto centrale le classi medie e non il proletariato, viene legato alle sue radici idealistiche in maniera molto più stretta di quanto avesse fatto lo stesso Gobetti19. Quest’ultimo, invece, «guardava a un altro Marx»: da Mondolfo «traeva l’accento di libertà posto sul “concetto luminoso di rovesciamento della praxis” contro le interpretazioni deterministiche del materialismo storico», ma al contempo respingeva ogni «equivoco riformista», battendo sulla teoria dell’iniziativa popolare diretta e della preparazione di un’aristocrazia operai capace di promuovere l’ascesa delle classi lavoratrici. Non si può qui non rilevare la chiara presa di distanza dalla prospettiva riformista, associata al lemma ‘equivoco’. L’unico tentativo marxista veramente serio – continua Garin – è per Gobetti quello dell’«Ordine nuovo»; e a

17 Ibid. e GARIN, Cronache di filosofia italiana cit., pp. 358-360. Cfr. PIERO GOBETTI, Storia della Rivoluzione russa I, «La Rivoluzione Liberale», a. 1, nn. 11-12, 4 maggio 1922, pp. 41-43: 43.

18 In realtà Mondolfo non è richiamato da Gobetti in relazione alla Rivoluzione russa, ma per la sua

lettura del fascismo. La polemica sul leninismo risale invece a un articolo di Mondolfo su Leninismo e

marxismo apparso su «Critica sociale» del 1919 e riproposto in Sulle orme di Marx, cui rispose Gramsci

con Leninismo e marxismo di Rodolfo Mondolfo, che Garin poteva aver letto in ANTONIO GRAMSCI,

L’ordine nuovo 1919-1920, Einaudi, Torino 1954. È probabilmente questo il testo che ha ‘ispirato’

Garin per queste ultime osservazioni su Mondolfo; d’altronde la critica gariniana è sostanzialmente in linea con quella di Gramsci. Si tratta dunque di un’ulteriore conferma della prospettiva entro cui va a inserirsi questa anticipazione sul «Contemporaneo» – per le Cronache il discorso è invece più complesso.

19 GARIN, La critica di Gobetti cit., p. 3 e ID., Cronache di filosofia italiana cit., pp. 360-361. Cfr. p. g.

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Gramsci guarda come «una forza del futuro»; dal politico e pensatore sardo Gobetti «ha avuto la certezza che quando il fascismo cadrà “sarà in nome di Marx che le avanguardie operaie e le élites intransigenti lo seppelliranno insieme con le sue lusinghe”». È un giudizio che non lascia adito a dubbi, e che conferma la possibilità di usare questo articolo come un testo di punta in una battaglia culturale. Subito dopo aggiunge che Gobetti da Gramsci e da Marx «ha imparato un senso nuovo della storicità, della libertà dell’uomo soggetto della storia, della lotta politica»20

. Sono queste parole che ben s’inseriscono nell’evoluzione del lavoro gariniano, che comunque, anche quando guarda a una prospettiva politica, non può che muoversi su un piano culturale. Nel complesso, invece, La critica di Gobetti per come appare sulla rivista sembra un testo apertamente orientato in un campo determinato, mentre visto nel suo contesto originario e avendo sotto gli occhi l’intero volume delle Cronache,