• Non ci sono risultati.

Prime sollecitazioni pittoriche e cinematografiche

5.1 Una precoce attenzione all’immagine

Si è visto come, partendo dal primato della visività, e, più generalmente, di tutti i sensi, si possa ricercare un’affinità con il pensiero fenomenologico, mettendo al centro dell’indagine parisiana il tentativo di riportare sulla pagina un’esperienza. Si affronterà ora il modo in cui l’approccio visivo emerge e si fa strada anche e soprattutto in maniera mediata, attraverso cioè il continuo rapporto dell’autore con le immagini cinematografiche e pittoriche. La confessione di un primissimo contatto e di una precoce attrazione per la pittura è fatta da Parise stesso che, nel corso di un’intervista, afferma:

Mi sono sempre occupato di pittura. Da ragazzo volevo fare il pittore, ma poi, molto rapidamente ho lasciato i pennelli per la penna […]. Un letterato generalmente non è un artista, quasi sempre è semplicemente un letterato. Cioè si rifà alla letteratura degli altri e non alla vita. Un pittore non ha mai questo alibi. Un pittore deve guardare la realtà e fare uscire direttamente dal proprio io, dal proprio inconscio l’espressione artistica. Il letterato è indiretto e un pittore è diretto perché va direttamente sulla tela ed ha un rapporto diretto con il proprio oggetto. Ci sono anche letterati, cioè degli uomini che scrivono, che sono artisti allo stesso modo dei pittori, ma sono sempre stati estremamente rari.431

Come si vedrà meglio più avanti, Parise avvia il proprio percorso di artista tentando di dipingere: questa fase, brevissima, lascia subito posto al momento della scrittura. E mentre, come spiega l’autore, un pittore agisce in maniera immediata,

431 G. PARISE, Natura d’artista, a cura di M. Portello, «Eidos», I, 1, ottobre 1987, p. 50. Si tratta

dell’intervista con E. Parlato dal titolo Conversazione con Goffredo Parise per la terza rete radiofonica della RAI, rubrica «L’arte in questione», 20 aprile e 31 agosto 1986.

2

creando una sorta di canale diretto tra il proprio inconscio e l’espressione artistica, il letterato opera, tranne rarissimi casi, in modo indiretto, quasi sempre dietro un filtro. Mi pare allora che il forte interesse dimostrato fin da giovanissimo per il cinema e la pittura si inserisca nel più vasto desiderio di trovare una via immediata tra io e mondo. Non a caso l’attrazione per le immagini in movimento e quelle pittoriche vede un periodo di particolare intensità nella prima fase di produzione letteraria, quando sembra che l’autore sia alla ricerca di modi appunto diretti di approccio con la realtà.

Tentando di recuperare i primi “movimenti” e i primi interessi che hanno portato poi l’autore a fondare gran parte della propria poetica sul tema della visività, credo infatti utile partire dalle suggestioni di tipo cinematografico e contemporaneamente pittorico alla base dei primi testi. Mi riferisco innanzitutto al

Ragazzo morto e le comete, la cui stesura inizia a Venezia nel 1948, quando Parise ha

diciotto anni. Nel 1950, sebbene in un primo momento Neri Pozza sembri accogliere con entusiasmo il romanzo, l’editore chiede revisioni e correzioni. Di fronte a tale richiesta, Parise risponde con particolare determinazione:

Caro Signor Pozza: In riscontro alla Sua del 7 ottobre, Le dichiaro che dopo matura riflessione e dopo maturo esame dei Suoi consigli e delle Sue esortazioni (consigli ed esortazioni delle quali ho cercato di tener conto e di cui gliene sono grato), sono rimasto fermo nella mia determinazione di veder pubblicato il mio lavoro senza ulteriore modifica e quindi anche con le sue acerbità e storture, inevitabili del resto per chi come me s’accinge per la prima volta ad entrare nel campo letterario. Un tale mia determinazione è giustificata, a mio modesto avviso, dalla circostanza che le modifiche da Lei prospettatami verrebbero a toccare il libro proprio nella sua sostanza; significherebbero quindi per me un abbandono e quanto meno una deviazione dal carattere che m’ero proposto di dare al libro stesso. Deve capire quindi che non una cieca superbia mi spinge a mantenere inalterata la mia opera e neanche una cieca ostinazione, ma soltanto l’amore verso il mio libro così come l’ho ideato e riprodotto, perché solo così come è attualmente mi pare e lo sento quale parte di me stesso. Gradisca pertanto i sentimenti della mia immutata amicizia.432

Parise si mostra dunque estremamente risoluto a non voler apportare alcuna modifica al romanzo; tale determinazione si rivela d’altra parte efficace,

Capitolo V – Prime sollecitazioni pittoriche e cinematografiche

concludendo il percorso di edizione. Nel maggio del 1951 Il ragazzo morto e le comete è infatti pubblicato in mille copie. Sebbene l’insuccesso di vendite sia quasi totale, parte della critica si esprime favorevolmente, accostando spesso Parise ad autori come Truman Capote e Edgar Allan Poe. Mi riferisco in particolare agli interventi di Geno Pampaloni, Enrico Falqui, Emilio Cecchi e Giuseppe Prezzolini. Pampaloni capta le ragioni della scrittura di Parise individuandone i modelli e sottolineandone soprattutto il carattere di originalità:

la malinconia di specie metafisica che circola in ogni pagina, questo sentimento della poesia impossibile è una delle intuizioni più profonde, forse è il vero tema del libro, forse addirittura la segreta ragione di scrivere del Parise… I surrealisti, certo, gli hanno insegnato molto: e la prodigiosa indifferenza di Radiguet, il mondo fermentante di Truman Capote, i dolci fantasmi di Alain Fournier; e anche, credo, Il cielo è rosso di Giuseppe Berto, con cui divide il paesaggio veneto e lo scenario di rovina; ma è anche uno scrittore che ha parecchio del suo… L’affascinante lirismo che a poco a poco si colora di funebre e si conclude lievemente nell’elegia… forse è un tema crepuscolare. Ma il Parise l’investe con linguaggio nuovo, ne fa un elemento narrativo preciso… È difficile non riconoscervi il grafico di tanta poesia contemporanea. Il giovane Parise è entrato sicuro nel pieno di questa tematica romantica che ci è toccata in eredità, e vi ha portato un fervore nuovo di fantasia, e il sentimento consapevole di una deserta sconfitta.433

Anche Falqui accosta l’esordio di Parise a Poe e Capote («s’impongono di rigore i richiami e i raccostamenti a tutti gli illustri fabbricanti di “racconti straordinari”, da Poe a Capote»434), ricordando anche il realismo magico di

Bontempelli e il surrealismo di Landolfi. Tuttavia, il critico esorta alla prudenza nel rintracciare i modelli letterari, e insiste sul valore di naturalità e spontaneità dell’opera, affermando che nel Ragazzo morto «non può non sorprendere l’intensa visionarietà dei suoi capitoli, tenuti in un’incessante magari gravosa alternativa di fumesco e di macabro, con qualche punta di maggior crudezza verso il grottesco»435.

Da segnalare infine un’ulteriore osservazione di affinità all’opera di Truman Capote da parte di Emilio Cecchi: «leggendo, mi veniva in mente Altre voci, altre stanze di

433 L’intervento, uscito su «Il Ponte» (novembre 1953), si trova ora in parte riprodotto in C.

ALTAROCCA, Goffredo Parise, cit., pp. 35-36.

434 E.FALQUI, Novecento letterario, Serie IV, Vallecchi, Firenze 1954, pp. 428-432. Ora in C.ALTAROCCA,

Goffredo Parise, cit., pp. 36.

4

quell’altro giovanissimo allucinato […]. Non pensavo tuttavia a nessun diretto rapporto di derivazione. Pensavo piuttosto che, come dopo l’inflazione neorealistica, in America, il gusto simbolista, con Capote, era rientrato dalla finestra, qualcosa di simile sembrava stesse accadendo in Italia con Il ragazzo morto»436.

Il libro vedrà poi una seconda edizione presso Einaudi: nel 1963 Parise propone infatti a Calvino, allora consulente dell’editrice torinese, di ripubblicare le sue opere437; tuttavia questa intenzione fallisce e il testo esce per Feltrinelli nel 1965:

ci sono piccole correzioni e due monologhi vengono soppressi; tuttavia, come afferma l’autore stesso nella nota editoriale:

in sostanza il romanzo è rimasto qual era. […] Il libro conserva le fratture narrative, di tempo e di luogo, che andavo studiando in quegli anni in margine alla lettura e alle indicazioni (puramente liriche, allora) di tre grandi “tradizionali”: Dostoevskij, Melville e Kafka, ma anche un poco, devo ammetterlo, a quelle del prode Maldoror. E in seguito alle profonde, reali, universali fratture del monolite “uomo” avvenute in questo secolo e in questa ultima livida guerra ideologica.

Altre importanti indicazioni fornite da Parise sulla nascita del libro e sul contesto nel quale si è sviluppato si trovano nel risvolto di copertina dell’edizione Einaudi del 1972 (poi riprodotto in quella Mondadori del 1985 e Rizzoli del 1997), dove addirittura l’autore confessa che l’unica cultura ad aver ispirato il testo è di tipo cinematografico:

ho scritto questo libro a diciotto anni, con il sentimento con cui, a quell’età, si scrivono poesie: ma io non avrei potuto scrivere poesie e mai le scrissi in seguito perché “la nebbia agl’irti colli” e altre letture scolastiche me lo impedirono. Montale lo conobbi più tardi. La sola cultura che ha ispirato questo libro è cinematografica: ero un appassionato frequentatore di cinematografi. Alcuni film mi hanno dato grandi emozioni: ringrazio perciò Sir Carol Reed (Il fuggiasco, Il terzo uomo), Sir David Lean e molti altri ignoti registi (chi ha girato L’amaro tè del

generale Yen e chi Lettere d’amore e chi Lo studente di Praga?); altre fonti di

ispirazione furono la guerra del 1939-45 che ho vissuto e non

436 E.CECCHI, Di giorno in giorno, Garzanti, Milano 1959, p. 392.

437 Si veda la lettera di Parise a Calvino del 5 novembre 1963: «Caro Calvino, mi si consiglia di

ripubblicare i miei due primi libri Il ragazzo morto e le comete e La grande vacanza. […] Ti scrivo per sentire da te se la cosa potrebbe interessare a Einaudi e se tu ritieni opportuna o interessante una ristampa presso questo editore». Il carteggio con Calvino si trova ora in Goffredo Parise, a cura di M. Belpoliti e A. Cortellessa, cit., pp. 200-208.

Capitolo V – Prime sollecitazioni pittoriche e cinematografiche

dimenticherò mai, il dolore degli uomini in quegli anni non di benessere e il “tramonto dell’Occidente”. Riletto a ventitré anni di distanza capisco perché molti critici lo giudicarono una novità letteraria. Forse lo era, proprio perché non era una novità “letteraria”. A diciotto anni non si è “padroni dello strumento”, si vede la vita a batticuore e non come un paesaggio vasto e lontano: inconsapevolmente scrissi un libro lirico e cubista (cioè romantico) sull’amicizia tra due ragazzi, al tempo dimenticato del tramonto e della fine dell’Occidente. Molti hanno detto che è il mio libro migliore ma io non ho mai creduto di essere stato un “enfant prodige”, anzi ero “naturalmente” ingenuo, come ora del resto, perché chi vuole vivere e scrivere in modo da commuovere gli animi non può conoscere astuzia.

È necessario infine segnalare un’altra riflessione dell’autore a proposito degli inizi della sua attività di scrittore, in riferimento al clima culturale dell’epoca:

avevo diciotto anni e detestavo la letteratura “tradizionale”. In Italia quegli anni erano dominati da “letteratura” neorealista, verista e intimista (Vittorini, Moravia, Pavese). I grandi scrittori come Gadda e Comisso erano pressoché esiliati dai “filoni” correnti. I giovani, alla scuola di Vittorini, producevano “letteratura” di volta in volta neorealista, verista, intimista (Pasolini, Calvino, Cassola). Personalmente lavorai isolato dalle scuole a un tipo di approccio letterario che vorrei “per associazioni” o “collage” (brutta parola fino a ieri di moda ma che preferisco alla consumatissima definizione di massa “sperimentale”). Questi tentativi, che costituiscono quasi una cineteca personale di volti, immagini e sensazioni deliberatamente priva di nessi storici (così pensavo il romanzo “odierno”), nacquero dunque in un contesto letterario, italiano e straniero, del tutto opposto. Non davo alcuna importanza al linguaggio, allora, come ora, rendendomi conto dell’eresia nei confronti dei più, degli “oi pòlloi” come li definisce Socrate. Perché sono profondamente convinto che il linguaggio scaturisce direttamente dal rapporto tra il contesto interno (microbiologia espressiva dell’autore) e il contesto esterno (macrobiologia del mondo storico-sociale e non) in armonia nei due sensi. Cioè quando uno dei due non prevale sull’altro ma entrambi si integrano.438

Mi pare che siano racchiuse, in queste dichiarazioni dell’autore, certe fondamentali linee della sua scrittura che saranno poi riprese e affrontate in tutta l’opera. In particolare, si tratta della curiosità per il cinema unita al tentativo di lavorare per “associazioni” o collage, più vicino in effetti a un approccio pittorico che letterario. Tale tendenza sembra nascere non tanto da una teorizzazione, bensì proprio da una necessità (che inizialmente non presta nemmeno troppa importanza

6

alla cura del linguaggio) di far emergere il “contesto interno” dell’autore, in equilibro con il “contesto esterno”: solo, cioè, quando la voce dello scrittore trova spazio in modo armonico con l’ambiente sociale e storico che lo circonda, quando la sua pagina è necessaria, c’è la possibilità di una parola sincera. Si tratta di una condizione apparentemente semplice ma in realtà di difficile attuazione439 (altrimenti, forse, il Sillabario sarebbe arrivato fino alla lettera “z”). Per trovare il proprio stile dunque,

sembra che Parise sia passato proprio da un’esperienza interamente visiva, dominata dal cinema e dalla pittura. Come confessa Parise riferendosi all’esordio letterario:

ci sono stati tempi nella mia vita in cui andavo al cinema due volte al giorno. I miei primi palpiti di scrittore sono stati stimolati dal cinema […]. Ho scritto il mio primo racconto, anzi il mio secondo racconto (inedito) I movimenti remoti, dopo aver visto Il fuggiasco di David Lean. Anche ne Il ragazzo morto e le comete ci sono molti ricordi di quel film. Quando scrivevo Il ragazzo morto e le comete sentivo sempre la musica de Il

terzo uomo.440

Parise conferma l’importanza del Terzo uomo, per la stesura del Ragazzo morto e

le comete, anche in un’intervista rilasciata per «Flash Art», affermando, a proposito del

film: «quelle macerie, quella Vienna notturna, quel contrabbando oscuro hanno messo in moto in me una serie di sensazioni che si sono tradotte nelle pagine visionarie del romanzo»441. E anche Bandini ricorda la forte influenza del cinema

439 A tale proposito si veda una riflessione di Parise contenuta in una lettera a Giovanni Comisso, in cui

l’autore afferma: «Gli scrittori scrivono: ebbene, io sono uno scrittore che non ha voglia di scrivere. Sento che non è possibile, dato il mio temperamento, esprimermi senza passione, o senza ira, o senza sentimenti, e questi mi mancano o non sono abbastanza forti in questo momento da spingermi a scrivere. Tuttavia scrivo lo stesso, quando mi vien voglia, e lascio lì a depositare. Il globo è coperto da una valanga informativa e presuntuosa, di libri e di giornali, non vale correre la gare della presenza, essa è una gioia effimera che non mi soddisfa e non mi ha mai attratto. Non cerco il perfezionismo ma il dire ciò che sento di dire e quando lo sento» (Lettera di G. Parise a G. Comisso mandata da Roma il 12 giugno 1965, contenuta in Lettere a Giovanni Comisso di Goffredo Parise, cit., p. 47).

440 Ivi, pp. 5-6. Tale dichiarazione ne ricorda una molto simile di Calvino, il quale confessa: «ci sono stati

anni in cui andavo al cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra diciamo il Trentasei e la guerra, l’epoca insomma della mia adolescenza. Anni in cui il cinema è stato per me il mondo. Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva la proprietà d’un mondo, la pienezza, la necessità, la coerenza, mentre fuori dello schermo s’ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma» (I.CALVINO, Autobiografia di uno spettatore, prefazione a F.FELLINI, Quattro film, Einaudi, Torino 1974, ora in I.CALVINO, Romanzi e racconti, III, a cura di M.

Barenghi e B. Falcetto, Mondadori, Milano 1994, p. 27).

441 L.MENEGHELLI, Intervista. Goffredo Parise, «Flash Art», novembre 1986, ora in M.QUESADA (a cura

Capitolo V – Prime sollecitazioni pittoriche e cinematografiche

nella scrittura di Parise, il suo entusiasmo in particolare per Jean Vigo, «che sapeva fondere in maniera così straordinaria il grottesco e il patetico»442. Come afferma

giustamente Del Tedesco, «è ipotizzabile che la visionarietà di Parise abbia tentato una via d’espressione nel mezzo cinematografico, che gli è però incompatibile»443: si

tratta cioè di un’attrazione molto forte, sviluppata soprattutto nei primi anni di attività letteraria, che poi si è pian piano affievolita (dopo gli anni Sessanta, Parise abbandona definitivamente l’ambiente del cinema, sebbene saltuariamente recensisca alcuni film).

Non c’è dubbio comunque che Il ragazzo morto e le comete (come pure La grande

vacanza, 1953) sia un testo costruito per collage: il libro è infatti organizzato per

accostamenti di situazioni (La nascita, Le tre situazioni, La festa) che non presentano rapporti di continuità. Come afferma Crotti, tale struttura è formata «tramite un processo associativo»: l’insieme dei brani, privi di una cornice che possa legarli, crea dunque l’effetto di una «parete sulla quale i vari quadri siano collocati in modo asimmetrico e caotico, in modo tale che le aree si sovrappongano e le linee si intersechino»444. Inoltre, come nota ancora Crotti, mentre il primo e il terzo capitolo

sono suddivisi in brevi paragrafi aventi un titolo (il quarto presenta un solo paragrafo), per i restanti capitoli la divisione interna non è compiuta: ma è proprio tale assenza di frazionamento a creare una maggiore impressione di struttura a collage, particolarmente complessa e articolata, che avvicina la struttura del testo alle esigenze del linguaggio cinematografico e teatrale. Tali istanze sono oltretutto rafforzate dall’uso molto frequente di deittici. Si veda ad esempio l’incipit:

442 La citazione si trova in F.BANDINI, L’esordio di Goffredo Parise: Il ragazzo morto e le comete, in G.FOLENA

(a cura di), Tre narratori: Calvino, Primo Levi, Parise, cit. Si legge infatti: «Non soltanto i libri alimentavano questo nostro modo fantastico di vivere la città. C’era anche il cinema. Quello del consumo quasi quotidiano e poi quello delle pellicole del primo cineclub cittadino. Ricordo l’entusiasmo di Parise per Jean Vigo, il regista francese morto nel 1934 a ventinove anni; Vigo che sapeva fondere in maniera così straordinaria il grottesco e il patetico; che in Zéro en conduite, passando attraverso i personali ricordi di un’infanzia offesa, rappresentava l’atmosfera sognante di una rivolta in un dormitorio di collegio; che in Atalante univa il buffo e il tragico in maniera dissacrante e anarchica. Vigo ci portava a pensare che una delle tante strade per arrivare alla poesia fosse anche la satira, il sarcasmo» (p. 106).

443 E.DEL TEDESCO, Goffredo Parise. Il cinema è una «confiserie», «Studi novecenteschi» XXVIII, numero 61,

giugno 2001, p. 191.

444 I.CROTTI, Per una fenomenologia del fantastico nel primo Parise, in EAD., Tre voci sospette. Buzzati, Piovene,

8

Questa è una sera d’inverno. Prima che il buio e il gelo arrivino nei cortili a tramontana per tutta la notte, Giorgio, Abramo e gli altri ragazzi accendono fuochi con foglie fradice, rami morti e carta raccattata nelle immondizie. […]

A quest’ora si illuminano le finestre nella soffitta dove abita la famiglia di Abramo. […]

Ora la guerra è finita, Abramo, Giorgio hanno quasi diciott’anni e l’altro ragazzo, quello che era sempre con loro, quindici.445

Ancora, l’attacco della situazione intitolata La festa sembra decisamente la presentazione e l’invito a una solenne celebrazione: «Signore e signori, questa è la grande festa, la gara notturna delle barche e la morte dei topi sedentari portati via dalla corrente»446. Ma la situazione di tipo scenico non è data solo dalla struttura

compositiva: si può affermare infatti che sia proprio la tendenza a descrivere ogni cosa, fino a certi personaggi e addirittura sentimenti, attraverso le immagini, a creare un testo fortemente connotato dal punto di vista cinematografico e teatrale. Quella particolare attenzione all’elemento visivo che si è riscontrata nei Sillabari e nei testi di

reportage è dunque già chiaramente identificabile nel testo d’esordio (che anzi sembra

richiedere un maggior impianto formale, se così è lecito leggere la struttura a collage e l’uso dei deittici). Gli esempi di tale tendenza sono numerosissimi: già nel primo capitolo, nel paragrafo intitolato Edera, il sentimento della felicità è identificato con un’immagine. «Per un attimo la felicità sono proprio queste immagini di bellezza solare, acquatica e subacquea, la gioia di penetrare nei punti profondi e caldi con gli occhi aperti sapendo nuotare poco e faticosamente; la vita è molto breve se appaiono nelle sere d’inverno senza più luce e senza più acqua riscaldata dal sole».447

Ancora, «queste immagini nelle sere d’inverno, questa, di Raoul elegante, degli

Documenti correlati