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La vulgata attribuiva la fondazione di Roma a Romolo. Romolo avrebbe creato l’urbe dal nulla: ne avrebbe delimitato sacralmente il territorio, avrebbe istituito un asilo per attirare uomini ad abitarvi, avrebbe rapito le donne confinanti per garantire loro una discendenza, avrebbe infine creato le istituzioni necessarie al funzionamento della comunità urbana da lui realizzata. Siamo in presenza più che di una fondazione di una vera e propria creazione566, che rappresenta una rottura completa rispetto ad una situazione antecedente. Tale frattura è simboleggiata dalla uccisione di Remo da parte del gemello Romolo, nel momento in cui quello, con atto irrisorio, scavalca le mura che questo ha iniziato ad edificare.

Diversi elementi inducono a considerare Remo il paradigma del mondo selvaggio567, mentre Romolo, che pure inizialmente partecipa alle iniziative di Remo e quindi al suo mondo, a un certo punto se ne distacca, per creare una comunità legale che si impone come un qualcosa di diverso e inconciliabile rispetto alla condizione antecedente. Sotto questo aspetto il mito di Remo e Romolo presenta un significato simile a quello della leggenda degli Orazi (in entrambe la gemellarità cela un mito di fondazione)568, sennonché questa non pare dotata della completezza di cui sembra, viceversa, fornito quello. Mentre infatti la leggenda degli Orazi lascia intuire il mito di fondazione che vi è sotteso, ma che rimane comunque avvolto nelle pieghe di eventi con il sapore della storicità, il racconto di Romolo pare fin da subito ed in ogni sua parte concepito per spiegare l’origine di Roma; e proprio questa sua ‘artificiosità’ induce a considerarlo non originario. Si tratta ovviamente

566 Così si spiega anche perché Remo e Romolo agiscano essi stessi come auguri al momento della fondazione: tutto ha inizio con loro, prima non esistono sacerdozi, cfr. Liou-Gille, Une lecture ‘religieuse’ de

Tite-Live I. Cultes, rites, croyances de la Rome archaïque, cit., p. 21.

567 Liou-Gille, Une lecture ‘religieuse’ de Tite-Live I. Cultes, rites, croyances de la Rome archaïque, cit., p. 28; M. Polia, Imperium. Origine e funzione del potere regale nella Roma arcaica, Firenze 2001, p. 177; Briquel, Le sillon du fondateur, cit., p. 16.

568 Noi sappiamo che fonti tarde (Lid., De mag. 1,5 e soprattutto, annotazione che debbo alla dottoressa B. Girotti, Jord., Rom. 52,9-12) fanno di Remo, seppur gemello di Romolo, il primogenito. Ebbene non si tratta di una deformazione seriore della tradizione. Già Dionigi (Dion. Hal. 3,18,3; 3,19,4) adombrava, con riguardo allo scontro tra Orazi e Curiazi, una anzianità fra gemelli. Si è detto (Mencacci, Orazi e Curiazi, uno

scontro fra trigemini ‘gemelli’, cit., p. 141) che ‘evidentemente, nel racconto di Dionigi si sommano due

schemi narrativi diversi, ugualmente ‘forti’ e diffusi ma non del tutto conciliabili: quello dello scontro gemellare da un lato, e quello della prova che mette a confronto un personaggio (fratello) minore e dunque svantaggiato con un gruppo di persone apparentemente più forti di lui -ma in realtà destinate a soccombere di fronte alla sua dissimulata superiorità’. Pur tenendo per vera questa affermazione anche con riguardo al mito di Remo e Romolo, si può interpretare la primogenitura di Remo nel senso che Remo, forzando il parto, e quindi ottenendo di nascere prima del tempo dovuto, sia divenuto predestinato a rappresentare il caos, il mondo selvaggio, l’universo non regolato dall’ordine che è ordine, cioè rispetto, di tempi oltre che di spazi (cfr. Carandini, Remo e Romolo, cit., pp. 379-380).

di una percezione che rimarrebbe tale, priva, cioè, di qualunque fondamento, se non vi fossero elementi che inducessero a datare questo mito all’epoca degli ultimi re di Roma, quelli originari dell’Etruria569.

In generale si è constatato che ‘la tradizione nel suo insieme tende a far slittare fino all’epoca di Romolo (...) fatti che si dislocano nel tempo e che appartengono, almeno in parte, all’epoca dei re di origine etrusca’570. A titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività si può ricordare che:

• secondo la tradizione, attestata ad esempio da Varrone e Plutarco571, Roma sarebbe

stata fondata da Romolo seguendo il rito etrusco;

• a Romolo è erroneamente attribuita da parte di Plutarco572 la fossa di fondazione al

mundus, presso il Comizio, da riferire forse alla rifondazione avvenuta sotto i

monarchi etruschi573;

• Livio e altri autori sostengono che Romolo avrebbe recepito dal mondo etrusco le

insegne del potere o una loro parte574. Anche la bulla aurea e la pompa trionfale sarebbero venute dall’Etruria575;

569 A. Mastrocinque, Romolo. La fondazione di Roma tra storia e leggenda, Este 1993, pp. 194-195, attribuisce la tradizione su Romolo all’epoca dei re etruschi di Roma. D’accordo con altri autori io escludo che la tradizione su Romolo si sia affermata in età repubblicana, come invece sostenuto tra altri da Th. Mommsen, Die Remuslegende, Hermes 16 1881, pp. 1-23, che vedeva nella gemellarità tra Remo e Romolo un riflesso della collegialità consolare, o da ultimo da T. P. Wisemann, Remus. Un mito di Roma, Roma 1999, per il quale Remo simboleggerebbe la plebe che negli anni intorno al 300 era riuscita, alla fine di una secolare lotta, ad ottenere gli stessi diritti del patriziato. Sulla ricostruzione delle diverse fasi della saga romulea di cui fin dapprincipio avrebbe fatto parte la gemellarità, Cornell, Aeneas and the twins: the

development of the roman foundation legend, cit., pp. 1-32.

570 D. Musti, La tradizione storica sullo sviluppo di Roma fino all’età dei Tarquinii, in M. Cristofani (a cura di), La grande Roma dei Tarquini, catalogo della mostra, cit., p. 11. Vedi anche Tagliamonte, v. Forum

Romanum (fino alla prima età repubblicana), cit., p. 315, che pure attribuisce queste retrodatazioni al

‘diffuso antietruschismo di buona parte delle fonti letterarie’.

571 Varro, LL. 5,143; Plut., Rom. 11,1. Cfr. Liv. 1,44,4. Fonte di Plutarco per questa parte doveva essere il dodicesimo libro delle Antiquitates rerum humanarum di Varrone. ‘Tuttavia, se esiste una forte concordanza sia nell’attribuire origine etrusca a questi riti sia nella cerimonia del sulcus primigenius, esiste anche una differenza di rilievo: Varrone non nominava esplicitamente, almeno nel passo citato, il mundus, ma parlava di un orbis urbis principium, che sembra indicare il circuito, il perimetro della città’, Ampolo, nel commento, in C. Ampolo e M. Manfredini (a cura di), Plutarco. Le vite di Teseo e di Romolo, cit., p. 298.

572 Plut., Rom. 11,1-2.

573 A. Carandini, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 2003, p. 29 nota 50 e p. 54 nota 40. Sull’argomento rimando a quanto scritto nel precedente capitolo.

574 Liv. 1,8,3; Dion. Hal. 3,61; Lid., De mag. 1,8.; Aelian., Anim. 10,22. Attribuiscono significativamente ai Tarquinii, invece, l’introduzione in Roma delle insegne del potere: Dion. Hal. 3,62; Strabo, Geog. 5,2,2; Flor. 1,5,6 e 1,8,5; Zon. 7,8. Sulla ricezione dei fasci dall’Etruria in particolare Sil. Ital., Pun. 8,483-485. Contesta l’origine etrusca delle insegne del potere con argomentazioni che non mi paiono sempre convincenti, De Francisci, Intorno all’origine etrusca del concetto di imperium, cit., pp. 26-37.

575 Per la bulla Plin., Nat. Hist. 33,10; Plut., Quaest. rom. 101; Macr., Sat. 1,6,11. Per la pompa trionfale Plut., Rom. 16,8. Sul significato della bulla aurea, la cui introduzione sarebbe da attribuire a Tarquinio Prisco, J. Martínez-Pinna, Tarquin l’Ancien, “fondateur de Rome”, in Condere Urbem, Luxenbourg 1992, pp. 96-97.

• il tema della lupa che nutre un bambino, presente nella leggenda di Romolo, lo si ritrova anche in una stele di Bologna databile al V/IV secolo a. C.576, la cui iconografia richiamerebbe uno schema di arte arcaica di fine VI sec. a. C.577;

• Varrone riferisce che secondo Volnio i nomi delle tre tribù (Tities, Ramnes,

Luceres) in cui era tradizionalmente distinta la popolazione romana delle origini (e

la cui creazione si fa risalire a Romolo) erano etruschi578;

• il ratto delle Sabine perpetrato da Romolo per dare ai suoi sudditi donne da cui avere una discendenza, e che è causa della guerra contro Tito Tazio, potrebbe risalire, almeno in parte, alla tradizione etrusca. Il ratto avvenne in occasione della festa dei Consualia durante i giochi celebrati nell’ippodromo. ‘Si l’on admet avec Denys l’existence de jeux athlétiques et a fortiori avec Ovide la présence de ludions, il faut nécessairement songer que ceux-ce se déroulaient selon l’usage étrusque qui autorisait la présence des femmes et non selon la pratique grecque qui l’interdisait. Même si l’on pense que ces jeux étaient seulement étrusques, il convient aussi d’imaginer une disposition du public où les femmes pouvaient être melées aux hommes; ce qui était l’usage en Ètrurie et non à Rome’579 (se si ammette con Dionigi l’esistenza di giochi atletici e a fortiori con Ovidio la presenza di ludi, bisogna necessariamente sottolineare che questi qui si svolgono secondo l’uso etrusco che autorizza la presenza delle donne e non secondo la pratica greca che l’interdice. Anche se si pensa che questi giochi siano solamente

576 Momigliano, The origins of Rome, cit., p. 59; Ampolo, nell’introduzione, in C. Ampolo e M. Manfredini (a cura di), Plutarco. Le vite di Teseo e di Romolo, cit., p. XXXV.

577 Ducati, Come nacque Roma, cit., p. 82. E’ stato detto che (R. Bianchi Bandinelli, M. Torelli, L’arte

dell’antichità classica. Etruria Roma, cit., scheda Arte Romana n. 10) la stele rappresenta la lupa in un

atteggiamento che richiama quello della lupa capitolina e che non ha altri rimandi nella tradizione romana. Vi sarebbe, pertanto, la possibilità di considerare la lupa capitolina il prodotto di maestranze etrusche (anche se la lupa capitolina non è rappresentata nell’atto di allattare; ma lo è la lupa della stele felsinea che vi si ricollega). L’ipotesi oggi è messa in dubbio da quella parte della dottrina che, in occasione del restauro della lupa capitolina, sulla base della tecnica impiegata per realizzarla, l’ha considerata opera di età medioevale (A. M. Carruba, La Lupa Capitolina, Roma 2007; A. La Regina, articolo apparso sul quotidiano La Repubblica il 17 Novembre 2006, poi ripreso da P. Pruneti, La lupa di Roma è medioevale, Archeologia Viva 121 2007, p. 17; posizione discussa in un incontro-dibattito tenuto alla Università La Sapienza di Roma in data 28/02/2007, di cui un sunto ad opera di G. M. Della Fina è apparso sul quotidiano La Repubblica il 1 Marzo 2007. Sull’argomento vedi ancora G. M. Della Fina, La Lupa capitolina non è più etrusca?, Archeo 4 2007, pp. 41-51). Recenti analisi al radiocarbono paiono effettivamente datare la lupa capitolina ad età medioevale, A. La Regina, articolo apparso sul quotidiano La Repubblica il 9 Luglio 2008.

578 Varro, LL. 5,55. Vedi anche Cic., De rep. 2,14; Proper. 4,1,31-32. Diverso è l’ordine delle tribù in Livio 1,13,8; 1,36,2: Ramnes, Tities, Luceres. Come per le trenta città della Lega Latina o le trenta curie di Roma, il numero tre avrebbe una funzione ideologica. La divisione del popolo in tre tribù si spiegherebbe con la mentalità romana arcaica per la quale il numero tre rappresenterebbe la totalità organizzata, Liou-Gille, Une

lecture ‘religieuse’ de Tite-Live I. Cultes, rites, croyances de la Rome archaïque, cit., pp. 72-73.

579 J. R. Jannot, Enquete sur l’enlevement des Sabines, in Le Rome des premiers siecles. Legende et Histoire.

Actes de la Table Ronde en l’honneur de Massimo Pallottino (Paris 3-4 Mai 1990), cit., p. 139. In generale

etruschi, conviene anche immaginare una disposizione del pubblico in cui le donne possono essere mescolate agli uomini; secondo quello che è l’uso in Etruria e non a Roma).

• la cosiddetta Roma Quadrata, il nome attribuito, come abbiamo visto, da alcune fonti alla Roma fondata da Romolo, potrebbe essere frutto di speculazioni posteriori sulla suddivisione in quattro parti dell’Urbs, operata secondo la tradizione da Servio Tullio580;

• il tempio di Giove Feretrio, in quanto collegato dalla tradizione al trionfo celebrato da Romolo, sarebbe pure esso elemento attribuibile alla monarchia etrusca, poiché l’introduzione del trionfo a Roma è riconducibile alla monarchia dei Tarquinii581.

Se ora da questo livello generale, che induce a porre la tradizione su Romolo all’epoca dei Tarquinii, scendiamo più nei particolari, siamo in grado di attribuire la tradizione su Romolo all’epoca del penultimo re di Roma, Servio Tullio, grazie ad una serie di dati di cui si riporta di seguito un elenco, senza, anche in questo caso, alcuna pretesa di esaustività:

• esistono tradizioni che collocano le vicende che hanno come protagonisti i fratelli

vulcenti, Aulo e Celio Vibenna, ora all’epoca di Romolo582 ora all’epoca di Tarquinio Prisco e Servio Tullio583;

• secondo una tradizione, a mio parere fededegna, Servio Tullio sarebbe originario di

Vulci. Da Vulci proviene una fibula, databile alla prima metà del VII secolo, con la rappresentazione di un tema che alcuni studiosi interpretano come una leggenda indigena isomorfa a quella dei gemelli di Roma584;

Servio Tullio è ricordato per aver ampliato il pomerium, cioè per aver esteso la

comunità cittadina585, e a ciò si collega l’attribuzione al sesto re dei comizi centuriati. Anche Romulus è ricordato per aver ampliato la comunità cittadina,

580 Mastrocinque, Romolo. La fondazione di Roma tra storia e leggenda, cit., pp. 100-101. Cfr. Baistrocchi,

Arcana urbis. Considerazioni su alcuni rituali arcaici di Roma, cit., pp. 123-135. Sull’argomento rimando in

generale a quanto detto nel precedente capitolo.

581 Mastrocinque, Romolo. La fondazione di Roma tra storia e leggenda, cit., p. 100. Vedremo però oltre che l’introduzione del culto di Giove Feretrio è forse antecedente e che in opposizione, almeno in parte, ad esso la monarchia etrusca introdusse il culto a Giove Ottimo Massimo.

582 Varro, LL. 5,46; Dion. Hal. 2,36,2. 583 Tac., Ann. 4,65.

584 Carandini, Remo e Romolo, cit., p. 94; Id., Archeologia del Mito. Emozione e ragione fra primitivi e

moderni, cit., pp. 242 ss.; M. Pacciarelli, Raffigurazioni di mito e riti su manufatti metallici di Bisenzio e Vulci, ibid., pp. 315-322; M. T. D’Alessio, in A. Carandini (a cura di), La leggenda di Roma, cit., p. 255.

includendovi gruppi Sabini; non a caso al leggendario fondatore di Roma è attribuita la realizzazione dei comizi curiati586;

• Romolo è ricordato per aver fondato un asilo587; simile tradizione esisteva anche

per Servio, a cui era attribuita la fondazione sull’Aventino di un asilo dedicato a Diana588. Nel caso di Romolo l’asilo costituiva il presupposto per la creazione della comunità di Roma. Nel caso di Servio era il presupposto per la formazione di una confederazione/nazione latina589.

586 Liv. 1,13; Gell., Noc. Att. 13,14,2.

587 Liv. 1,8,5-6; Plut., Rom. 9,3; Dion. Hal. 2,15,3-4; su Calpurnio Pisone e Catone come gli autori più antichi che hanno parlato dell’asilo romuleo e sul significato antiromano che sarebbe in questo implicito, Ampolo, nel commento, in C. Ampolo e M. Manfredini (a cura di), Plutarco. Le vite di Teseo e di Romolo, cit., pp. 293-294, il quale, pur rilevando che l’istituto dell’asilo o il suo nome sono di origini elleniche, sottolinea come esso possa esprimere anche una realtà giuridico-religiosa indigena. Sull’antigrecità di Catone e il suo uso della cultura greca al fine di dimostrare la superiorità del popolo romano, C. Letta, L’<Italia dei mores

romani> nelle origines di Catone, Athenaeum 62 1984, pp. 3-30. Sulle tendenze storiografiche filogreche di

Dionigi di Alicarnasso, D. Musti, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica. Studi su

Livio e Dionigi d’Alicarnasso, Roma 1970. De Sanctis, Storia dei Romani, I, cit., pp. 217-220, riteneva

l’asilo romuleo una leggenda con significato antiromano, gli negava origini greche, lo attribuiva ai Latini, e pensava che il luogo sul Campidoglio ove era localizzato l’asilo fosse ‘un mero luogo consacrato e così sottratto al consorzio umano perché colpito da fulmine o altre simili ragioni’. Il significato antiromano dell’asilo romuleo e la sua riconducibilità all’elemento latino, che avrebbe inteso con ciò giustificare l’esclusione di Roma dalla Lega Latina, è pure sottolineato da Accame, I re di Roma. Nella leggenda e nella

storia, cit., p. 159. Ogilvie, A commentary on Livy. Books 1-5, cit., p. 62, pensa che dovesse esistere un asilo

nella sella tra le due cime del Campidoglio, antecedente all’inclusione della collina nella città. Secondo J. Martínez-Pinna, Tarquinio Prisco, cit., pp. 146-147: ‘(...) la instituciòn del Asylum fue introducida en época indeterminada, aunque lo màs tarde en el siglo III a. C., por diricta influencia griega, como un intento màs por vincular el origen de Roma a ambientes helénicos’ (l’istituzione dell’asilo fu introdotta in epoca indeterminata, al più tardi nel secolo III a. C., per diretta influenza greca, per lo più con l’intento di legare l’origine di Roma ad ambienti ellenici). In questo modo si veniva anche a nobilitare il carattere marginale della popolazione romana delle origini; una marginalità che costituiva un tratto comune alla tradizione più antica sulle popolazioni laziali come dimostrano le marginalità di Romolo, Ceculo, Caco, tutti descritti originariamente come briganti. Ad una tradizione tarda per l’asilo romuleo pensa anche Last, The founding of

Rome, cit., p. 369, che la spiega però con la necessità di giustificare il ratto delle Sabine. Per quanto riguarda

il significato ideologico sotteso all’asilo, A. Mastrocinque, Romolo alla luce delle nuove scoperte, in A. Carandini e R. Cappelli (a cura di), Roma. Romolo, Remo e la fondazione della città, catalogo della mostra, cit., p. 54, considerando l’asilo spazio precluso alla ferinità, gli attribuisce la stessa interpretazione data al

pomerium, di limite tra mondo urbano/ordine e mondo extraurbano/caos.

588 Fest. p. 460 L; Liv. 1,45,2; Dion. Hal. 4,26,3-5; Varro, LL. 5,43; ILS 4907.

589 Per una proposta di localizzazione del tempio di Diana sull’Aventino, D. Bruno, La topografia dei culti

dell’Aventino ricostruita, Workshop di Archeologia Classica 3 2006, pp. 113-114. Sull’asilo di Servio come

modello dell’asilo romuleo e sull’asilo efesino come fonte di ispirazione per entrambi, Mastrocinque,

Romolo. La fondazione di Roma tra storia e leggenda, cit., pp. 111-112. M. Gras, Le temple de Diane sur l’Aventin, REA 89 1987, pp. 47-61, nega che il tempio di Diana sull’Aventino costituisse un culto federale,

sostenendo, fra l’altro, che in ciò non poteva avere a modello il tempio di Artemide ad Efeso che avrebbe assunto un significato federale solo a partire dal IV sec. a. C. In realtà a fare da modello al culto sull’Aventino sarebbe stato il solo asilo efesino. Saremmo pertanto in presenza non di un ieron koinon, ma di un ieron asylon, da intendere come un luogo di accoglienza e protezione per immigrati greci provenienti dall’Asia, che si inserisce nel quadro più ampio degli Artemisia edificati in Occidente dagli immigrati Focei. D. Von Berchem, Trois cas d’asylie archaïque, MH 17 1960, pp. 21-33, ha dimostrato come l’asilo di Servio si inserisca perfettamente nel quadro mediterraneo del VI sec. a. C., trovando parte della sua motivazione in ragioni economiche, proprio come i pressoché contemporanei asili di Efeso e Naucrati. Per lo studioso la presenza dell’asilo sull’Aventino giustificherebbe l’esclusione del colle dal pomerio. Anche Richard, La

population romaine à l’époque archaïque, cit., p. 53, pensa che l’asilo avesse una fuzione essenzialmente

commerciale, costituendo un centro di scambi internazionale. Grant, History of Rome, cit., p. 29, ritiene che il santuario di Diana sull’Aventino potesse avere come scopo anche quello di attirare immigrati spossessati dei

loro beni, ciò che avrebbe giustificato l’esclusione dell’Aventino dal pomerio fino all’età di Claudio. Ciaceri,

Le origini di Roma, cit., pp. 213-215, giustifica l’esclusione dell’Aventino dal pomerio col suo essere

disabitato, come si ricaverebbe dalla lex Icilia de Aventino del 456 a. C. Per lo studioso il culto federale di Alba Longa si sarebbe spostato ad Aricia dopo la distruzione della città e di qui sarebbe poi stato importato a Roma da Servio (p. 277). Colonna, Etruria e Lazio nell’età dei Tarquinii, cit., p. 531, ritiene, viceversa, che nell’età dei Tarquinii l’Aventino fosse abitato. In questo senso anche De Francisci, Primordia civitatis, cit., p. 665, che si basa su Varro, LL. 5,152 e Plut., Rom. 23,3. Liou-Gille, Une lecture ‘religieuse’ de Tite-Live I.

Cultes, rites, croyances de la Rome archaïque, cit., p. 360, sostiene, a mio parere giustamente, che

l’Aventino non venne compreso nel pomerio da Servio perché sede di un culto federale, e come tale extra- territoriale. Per la studiosa il culto federale di Diana sarebbe stato istituito a Roma da Servio Tullio su ispirazione della lega ionica di Efeso. Solo intorno al 500 a. C., quando le città latine in guerra con Roma non avrebbero potuto più riunirsi qui per celebrare il culto, esse avrebbero costituito un nuovo centro federale ad Aricia, dove già doveva esistere un culto a Diana. Difficilmente, se fosse già esistito un culto federale ad

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