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Il primo soggiorno alla corte di Luigi XI (1476)

IL FILIUS FAMILIAS: FORMAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DI UN PRINCIPE ARAGONESE

1.4. Il principe francese (1476-1495)

1.4.1. Il primo soggiorno alla corte di Luigi XI (1476)

Si ritorni ai primi di luglio del 1476, quando Federico, ricevuto il salvacondotto dal re di Francia per mezzo di un corriere, si era mosso alla volta di Lione. Il morale del principe, provato dalle insidie e dalle umiliazioni affrontate in Borgogna, dove- va essere risollevato dalle parole offertegli dal Valois, il quale aveva scritto di pro- prio pugno un biglietto per invitarlo cordialmente a fargli visita. Così il Panigarola: «intendo prefato Re li scrissi tre righe gratiose di soa mano, confortandolo andasse da la Maestà soa»366. Giunto a Lione, l’Aragonese ebbe poi conferma delle fastose

accoglienze che re Luigi intendeva riservargli. Qui fu infatti ricevuto con grande onore dal Delfino e da altri signori della corte francese; quindi, accompagnato da questi «che lo acarezavano», ripartì per Roanne, dove lo attendeva il sovrano367.

366 Giovanni Pietro Panigarola a Galeazzo Maria Sforza, Salines, 14 luglio 1476, in CMB, II,

pp. 638-639.

Nella città della Loira l’incontro avvenne il 19 luglio368, in un clima di assoluta

cordialità che non disattese le aspettative. Le «carice assai» e i doni scambiati tra Federico e Luigi non sfuggirono naturalmente agli agenti diplomatici, come dimo- strano le missive, rispettivamente indirizzate a Galeazzo Maria Sforza e ad Ercole d’Este, del Panigarola e di Perotto di Vesach369. Anche il Commynes, ricordando

l’incontro fra il sovrano e il principe, sottolinea la buona disposizione di Luigi XI, intenzionato soprattutto a marcare la differenza rispetto al trattamento subito da Federico in Borgogna: «Le Roy l’octroya tres volentiers, et lui sembloit bien que c’estoit a la diminution du credit et renommee dudict duc de Bourgongne»370. Dal

canto suo, Federico era preceduto da una buona reputazione, che oltre al fasto di cui si circondava, degno di un principe reale, era supportata soprattutto dalla fama delle sue gesta militari in Borgogna. È ancora il Commynes, ad esempio, interpre- tando una convinzione comune negli ambienti della corte francese, a ricordare come il principe si fosse valorosamente battuto nel corso della battaglia di Grandson371.

Quei giorni di onori e svaghi cortigiani segnarono non poco il giovane aragone- se, il quale portò con sé, al suo ritorno a Napoli, un ricordo estremamente positivo di Luigi XI. A prova di ciò una lettera scritta dal duca di Calabria nel dicembre del ‘76, dove questi, spinto dall’entusiasta testimonianza di Federico, ringrazia il Valois per le accoglienze riservate al fratello minore:

Serenissime princpeps et Christianissime Rex et domine tamquam Pater honoratissime. Federicus frater meus a Celsitudine vestra rediens, abunde retulit quibus quantisque hono- ribus siblimitas vestra ipsum prosequuta est, et qua etiam benevolentia caritateque com- plexa fuit: de qua liberalitade magnifica et claritate vestri nominis predicare non desinit: fungitur frater meus officio suo in virtutibus sublimitatis vestre predicandis, ut acceptis beneficiis, gratitudine animi ac testificatione respondeat372.

368 Figliuolo, La cultura a Napoli cit., p. 305.

369 «Don Federico disse era partito dal prefato Re el giorno nanzi che monsignor de Contai ar-

rivasse, quale intende bene la prefata Maestà ha acarezato» (Giovanni Pietro Panigarola a Galeazzo Maria Sforza, La Rivière, 31 luglio 1476, ivi, p. 665); «Del signor don Federico abimo ultime nove como ei stato con lo re de Franza, el quale le abea facte honore et carice assai et certi doni, et era andato per imbarcharese, et qua se aspecta a dì a dì» (Perotto di Vesach al duca Ercole d’Este, del 21 agosto 1476 cit. in Figliuolo, La cultura a Napoli cit., p. 306 n.).

370 Ph. De Commynes, Memoirés, ed. J. Blanchard, vol. I, Ginevra 2007, p. 329. 371 Ibidem.

Un dispaccio di Sacramoro Menclozzi da Rimini al duca di Milano, datato 10 ottobre, supporta infine la tesi che quelle di Alfonso non fossero solo formalità del linguaggio diplomatico, e dona persino un colore politico alla buona disposizione del secondogenito nei confronti di Luigi XI: «dicto don Federico», scrive infatti lo sforzesco, «è tornato partesanissimo et araldo quodam modo del prefato re de Franza»373.

Naturalmente, al centro del primo soggiorno francese del principe vi erano pur sempre le trattative per il suo matrimonio. A Roanne si arrivò a definire finalmente un chiaro progetto: re Luigi propose nuovamente che Federico sposasse sua nipote Anna di Savoia – non una sua figlia minore, Giovanna, come pure i milanesi aveva- no sospettato374 –, la quale risiedeva oramai alla sua corte, e ricevesse il Rossiglione,

Perpignano e una condotta. Nonostante la proposta sembri apparentemente venire incontro alle istanze di Ferrante, in realtà l’intesa tra i sovrani mancava proprio circa i dettagli relativi alla dote, poiché l’ottenimento del Rossiglione si interpre- tava in due modi diversi. Il re di Francia voleva infatti dare al principe quelle terre strappate al re d’Aragona «infine a tanto le riscoterà», cioè temporaneamente, come garanzia, fino a quando, per intercessione di Ferrante, non le avesse poi rivendute al loro precedente signore. Insomma, quello stato sarebbe toccato a Federico solo al fine di permettegli una agiata permanenza in Francia; ma nell’ottica del Valois ciò avrebbe comunque portato benefici a Ferrante, in quanto il re di Napoli sarebbe figurato come mediatore di pace, rinsaldando il suo legame con i parenti iberici. Questa prospettiva si evince da una lettera inedita di Camillo Pandone – che era stato come si ricorderà camerlengo di Federico – scritta a Lorenzo de’ Medici il 12 gennaio 1478:

Lancilotto Macedonio quale andò in Franza per ambassatore (…) ha mandato uno partito per lo signore don Federicho multo bono. Scrive, et la cosa è multo queta, che la maestà del re di Franza ha grandissime intentione et voluntà havere don Federico con ipso et vogli dare la nepote per mogliera, et darli stato che se possa stare bene da quelle bande, et ultra di questo darli quelle terre che ha del re di Castiglia infine a tanto la rescoterà, et per mano della maestà del nostro re facta la pace infra sua maestà et la maestà del re di Castiglia375.

373 Sacramoro Menclozzi a Galeazzo Maria Sforza, Foligno, 10 ottobre 1476, ASM, Sforzesco

82, Roma cit. in Figliuolo, La cultura a Napoli cit., p. 305 n.

374 Giovanni Pietro Panigarola a Galeazzo Maria Sforza, Losanna, 14 maggio 1476, in CMB,

II, p. 493.

Ferrante, dal canto suo, mirava invece «a intromettersi direttamente nella con- troversia» sulla Contea del Rossiglione – cioè a svolgere un ruolo attivo che avrebbe impedito ai parenti iberici di sospettare della sua condotta, perché in fin dei conti re Luigi poteva sempre usare la faccenda come strumento per allontanare i due rami dei Trastàmara –, e proponeva di anticipare egli stesso la somma per l’acquisto di quelle terre al posto del cugino Ferdinando376. Quasi inutile dire come il Valois

vedesse questa intromissione come «molestissima», e non fosse in alcun modo di- sposto a cedere377. Non essendo possibile giungere a un rapido accordo, si pervenne

dunque alla decisione che Federico sarebbe dovuto tornare a Napoli, dove avrebbe preventivamente messo in ordine le pratiche necessarie al matrimonio, e le tratta- tive sulla dote sarebbero continuate a distanza, tramite l’invio di ambasciatori378.

Il principe ripartì dunque per Lione il 20 luglio 1476379, e da qui, il giorno 31, si

imbarcò per discendere il Rodano sino alla foce e montare, ad Aigues-Mortes, sulle galee napoletane che lo attendevano380. Durante il viaggio Federico si fermò ad Avi-

gnone, dove si congiunse al cardinale Giuliano della Rovere, che doveva anche lui tornare in Italia dopo una missione diplomatica presso Luigi XI, volta a scongiurare l’espansione francese nelle terre pontificie della Provenza. Poi si recò anche ad incon- trare re Renato, probabilmente a Marsiglia, dove sostò alcuni giorni381.

La mancata conclusione delle trattative di Federico non fu tutto sommato sgra- dita a Ferrante, il quale, non fidandosi del re di Francia, voleva ancora tenere il secondogenito disponibile per altri progetti. Il suo sguardo era infatti nuovamente volto alla possibilità di un matrimonio con la figlia dell’imperatore, Cunegonda d’Asburgo, con annessa per il principe l’investitura a vicario di Milano382. In tal

senso, l’idea poi accantonata di spedire Federico in Ungheria, della quale si è prece-

376 LdL, II, p. 268. 377 Ivi, p. 269.

378 Walsh, Charles the Bold cit., p.321.

379 Sul ritorno Federico ci è pervenuta una sua lettera inedita indirizzata al duca di Milano:

«Illustrissime dux et potentissime domine tamquam pater carissime. Retornandomene io in Na- poli per acqua come la maestà del signor re me ordena, mando da vostra illustrissima signoria lo magnifico barone de la Torella a visitare quella e referireli alcune cose de mia parte, la quale prego li voglia dare fide como a la mia propria persona. Recomandandome ad vostra illustrissima signoria et offerendome ad essa in tucte le cose li siano da piacere. Datum Luduni die ultimo julii MCCCCLXXVI» (Federico d’Aragona a Galeazzo Maria Sforza, Lione, 31 luglio 1476, in ASM, SPE, Napoli, 228, 51).

380 Figliuolo, La cultura a Napoli cit., p. 305. 381 Walsh, Charles the Bold cit., p. 321. 382 Figliuolo, La cultura a Napoli cit., p. 305.

dentemente trattato, poteva essere soprattutto un modo per agevolare, per il tramite di Mattia Corvino, queste complesse pratiche. Alla fine del 1477 Ferrante si mosse allora in entrambe le direzioni, inviando Lancillotto Macedonio alla corte Francese, dove questi giunse il 15 dicembre, e approfittando del momento di estrema fragilità della dinastia sforzesca, in seguito all’assassinio di Galeazzo Maria, per insistere sul matrimonio asburgico383.

Già dall’ottobre dell’anno prima, tuttavia, in corrispondenza del rimpatrio di Federico, il progetto francese aveva riguadagnato rapidamente terreno: fattore de- cisivo fu la stipula, in quel periodo, dei capitoli nuziali tra Ferrante e Giovanna d’Aragona. Il raggiungimento dell’agognato obiettivo – sugellato poi dalle cele- brazioni ufficiali del 14 settembre 1477 –, che era stato motore trainante di molte delle politiche matrimoniali che avevano riguardato suo figlio, spinse infatti il re di Napoli ad adottare una linea meno rigida riguardo alla questione della dote conces- sa da Luigi XI. Non a caso, nel gennaio del ‘78, Camillo Pandone potè affermare: «io extimo et tengho quasi certo che la cosa [il progetto nuziale] andrà avanti»384.

1.4.2. Il matrimonio con Anna di Savoia e il trasferimento in Francia (1478-1482) Il 28 marzo dello stesso anno Ferrante diede infine istruzione ai suoi due am- basciatori in Francia di concludere il matrimonio tra Federico e Anna di Savoia; questi eseguirono e, dopo qualche altro mese, il primo settembre, il contratto fu effettivamente firmato. In questo era previsto che il principe ottenesse come dote uno stato del valore di 12.000 lire tornesi e il titolo di pari di Francia: se poi nelle trattative con gli aragonesi di Spagna si fosse deciso di assegnare le contee di Cerda- gna e Rossiglione in pegno a Luigi XI, con la possibilità di tornare agli iberici sotto pagamento di un riscatto, allora queste sarebbero state consegnate a Federico, che avrebbe rinunciato allo stato assegnatogli e prestato nuovo omaggio feudale. Estinto il debito, egli avrebbe poi dovuto riconsegnarle a Luigi, e con la somma ricevuta come riscatto si sarebbe proceduto all’acquisto di un altro stato, che sarebbe stato dato in dote ad Anna di Savoia. Se invece Luigi XI avesse ottenuto il pieno possesso

383 LdL, II, pp. 268-269.

384 Camillo Pandone a Lorenzo de’ Medici, Napoli, 12 gennaio 1478, in ASF, MAP, XXXIV,

delle due contee, queste sarebbero andate al principe aragonese, anche in questo caso previo la restituzione dello stato inizialmente assegnatogli385.

Raggiunto dalla notizia della firma degli accordi mentre si trovata al comando delle genti d’arme regie in Toscana, il principe potè dunque ripartire alla volta della Francia.

Una fonte eccezionale per comprendere le peculiarità della missione francese di Federico è il Memoriale per l’occasione composto da Diomede Carafa386, che di fatto

gestiva le trame matrimoniali per conto di re Ferrante ed era stato, come si è detto, a stretto contatto con i principi aragonesi fin dalla loro infanzia387. «Signore mio,

bisognia havere avvertencia che vui non andate llà per visitare quillo Re et poi ve- nirvende, perché andate per far lì la vita vostra»: con questa premessa, con grande chiarezza, il Carafa metteva in evidenzia la sostanziale differenza tra la nuova pro- spettiva di Federico, concepita appunto come il compito a lungo termine di radicar- si in Francia in qualità di barone e cortigiano di Luigi XI, e l’impresa in Borgogna, dove, al di là dell’ardito progetto matrimoniale, gli obiettivi erano estremamente fluidi, da realizzarsi nel breve periodo. Se identica era la prospettiva di un servizio continuo nei confronti del re di Napoli – «vui andati non sulo per facti vostri, ma per tucte vostre facende ad un tracto» –, ed analogo l’invito ad «esponere totalmen- te» la sua persona per la causa, diverse erano dunque le modalità d’azione alla corte francese. Qui le cose andavano gestite con moderazione, a cominciare dal “gioco del- le fazioni”, in merito al quale si raccomandava in questi termini un atteggiamento neutrale e il rifiuto dello scontro diretto: «Et ve guardate, Signore mio, de prendere partialità in corte. Li partesani vostri siano li virtuosi et quilli che lo re ama, et ad tucti monstrare bono vulto et fare bona cera». Per «guadagniare lo animo» del re di Francia, inoltre, il Carafa giungeva persino a prescrivere a Federico di assecondarne

385 Friderici Tarentini principis et Anne Sabaudicae tabulae matrimoniales, la Lande, 1 settembre

1478 (D. Blondel, De Regni Neapolitani iure pro Tremollio Duce, Parigi 1648, pp. 39-54).

386 Sugli scritti del Carafa, i cui consigli ai principi per lo svolgimento della vita pubblica,

anche dal punto di vista lessicale, mettono fra l‘altro in luce una sovrapposizione tra vicari del re, funzionari e ambasciatori, per i quali sono individuabili, pur con le dovute specificità, analoghe prescrizioni comportamentali ed etiche, si veda anche: Figliuolo – Senatore, Per un ritratto del buon

ambasciatore: regole di comportamento e profilo dell’inviato negli scritti di Diomede Carafa, Niccolò Machia- velli e Francesco Guicciardini, in De l’ambassadeur cit., pp. 163-186.

387 Cfr.: D. Carafa, Memoriali, ed. F. Petrucci Nardelli, Roma 1988. Le successive citazioni sono

tratte dall’edizione di Lucia Miele: D. Carafa, Memoriale a Federico d’Aragona in occasione della sua

le «nature», per quanto nell’immediato avverse ai suoi interessi, poiché sul lungo periodo ciò avrebbe ripagato.

Forte è poi l’accento sul processo di costruzione dell’immagine: il principe e la sua corte – la cui gestione e selezione doveva dunque essere estremamente ocula- ta – sarebbero stati continuamente sotto osservazione («ve mirarando in qualunqua cosa farite et deriti») da parte del sovrano e dei suoi uomini, e la diffusione di una «bona opinione» sarebbe dovuta cominciare immediatamente, ancor prima dell’in- contro con Luigi XI («tanto più comença presto tale opera, tanto serà più presto li fructi sende aspectano»). Oltre che colpire positivamente i cortigiani e i baroni del re, di cui il Carafa, secondo un topos diffuso in Italia riguardo ai costumi francesi, sottolinea la soprattutto la superbia («quella generatione ei naturalmente superba»), grande attenzione andava posta anche nel conquistare l’«opinione» delle «gente et populi», dei «citadini de le terre» che per «una grande ventura» il principe avrebbe avuto modo di visitare nel suo viaggio d’andata: in questo caso si manifesta l’im- portanza attribuita, nel pensiero politico aragonese di cui il conte di Maddaloni era in qualche modo una sorta di “megafono ideologico”, a questa componente sociale, considerata uno straordinario strumento di diffusione del consenso, capace con la sua azione mediatrice di facilitare la penetrazione del signore negli agognati ruoli di gestione dello stato.

Come si era configurato per l’impresa di Borgogna, infine, un obiettivo conside- rato particolarmente importante, se non primario, e per il quale bisognava devol- vere «lo principale exercitio», era quello di ottenere da re Luigi ruoli di comando militare («conditione in lo mistieri de l’arme»).

In una lettera di Ferrante a Luigi XI, del novembre 1477, si assicura che il secondogenito andava in effetti a porsi al fedele servitio del sovrano francese, come prova di unione e intelligentia fra i due Regni388. A questa, fa inoltre eco un dispaccio

autografo dello stesso Federico, in cui si rimarca un profondo legame, maturato già nelle precedenti esperienze Oltralpe, con il sovrano francese, al quale il principe si riferisce significativamente come «suo patre et signore»:

388 «Havendo inteso la conclusione facta de lo matrimonio di don Federigho mio fiolo con la

nepote di mostra maestà, ho havuto non meno piacere comprhendere et chiaramente conoscere la benevolentie ho portata a vostra maestà non essere stata vana, che de lo dicto matrimonio e bene avenire di decto mio fillolo sape nostro Signore Dio che sempre ho desiderato di havere bona unione et intelligentia con la maestà vostra (...). Non mi resta a dire se non che spero non vi havereta mai de pentire de mia amistade o parentella, non solamente de lo bono et fedele servitio haverete del dicto don Federigho, lo quale andarà in tuto, ma di potere disponere de me et mei cose come de le proprie» (Ferrante d’Aragona a Luigi XI, Napoli, 3 novembre 1477, in ASM, SPE, Francia, 543, 110).

Serenissimo et Cristianissimo signore mio (...), non poteria credere la maestà cum quanta letitia habia inteso per lettere del signor re mio patre che la vostra maestà si sia degnata concederme per matrimonio la illustrissima madama Anna sua nepote, et acceptami per suo fillo et servitore, del che per havere conosciuto il cordiale amore de la maestà vostra ver- so de mi, per molte speriencie may dubitai. Conoscho non essere en mi tanta virtù che per quelle personalmente meritarle, ma la solita benignità de la maestà vostra come ne li altri honori et beneficii receputi così anchora en questo me ne fa digno et po’ essere certa la ma- està vostra che, poi entesi la conclusione de tal matrimonio, may la mente mia non ha altro pensato che essere preso a la presentia de quella, solo per servirla et obedirla a tuti soi co- mandamenti, sì chome obedientissimo figliolo et servitore debe fare a suo patre et signore389.

Nonostante nella primavera del ‘79 le pratiche fossero ormai sbloccate e le nozze si dessero per cosa certa, non mancavano però le difficoltà. Due erano in sostanza i punti critici: in primo luogo la questione della dote non era per nulla chiusa, anzi, l’accordo trovato sul Rossiglione, alla maniera di Luigi XI, si frantumò rapidamen- te contro la ferma opposizione di Ferdinando di Sicilia; e ancor più rilevante era il contrasto fra la politica italiana della Francia e quella del re di Napoli. Nella guerra seguita alla congiura dei Pazzi, Luigi XI era infatti schierato diplomaticamente in difesa di Firenze (unita nella lega con Venezia e Milano), contro il fronte aragone- se-pontificio.

Per Federico si prospettava quindi fin dall’inizio una difficile prova: l’amba- sciatore in Francia Lancillotto Macedonio, che aveva tracciato un quadro definito degli orientamenti politici del re di Francia nei confronti di Ferrante, era però fiducioso nella «virtù» del principe, che si sapeva «ben regere et navigare a tute aque», e del quale era certo che Luigi XI volesse «favorirse assai (...) al suo pro- posito»390.

Una volta sbarcato ad Aigues-Mortes all’inizio di aprile, come scrive Nicolas de’ Roberti, Federico si ritrovò dunque accolto freddamente, costretto ad attendere di esser ricevuto dal re per oltre un mese:

Lo illustrissimo don Federico è arivato a Monteargis, dovi è stato alcuni dì, et hancora lì è, spectando essere chiamato dal Re che’l li vada a fare reverentia (…). Pocha demustratione si è facta de sua venuta, che s’el sia cosa artificiosamente facta o pur di so pede, non lo pos-

389 Federico d’Aragona a Luigi XI, Talamone, 22 novembre 1477, in ASM, SPE, Francia, 543,

110-111.

so intendere. Circa ciò se ne fanno varii ragionamenti, ma io credo che Sua Maestà lo va

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