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Il primo volume della Storia dei papi: struttura e periodizzazione

Il primo volume della Storia dei papi contiene la prima delle tre parti dedicate ai papi del Rinascimento il cui esame si chiude col terzo volume dell’opera147. Dal punto di vista complessivo, la distribuzione della materia,

gli spazi dedicati a ciascun pontefice (ogni volume consta in media di seicento pagine, senza contare l’appendice con le fonti) coniugano la scansione cronologica con l’evidenza tematica, sottolineata a volte nella stessa formulazione dei sottotitoli.

Se i primi tre volumi si situano all’interno del grande tema del Rinascimento, il quarto tocca il confronto dei papi medicei con la fase di avvio della Riforma luterana (dal pontificato di Leone X a Clemente VII, passando per il breve pontificato di Adriano VI) e il quinto è interamente dedicato a Paolo III Farnese (1534-1549).

I volumi dal sesto all’undicesimo sono racchiusi nel nodo tematico costituito dalla coppia Riforma/Restaurazione cattolica, dal pontificato di Giulio III (1550-1555) a quello di Clemente VIII (1592-1605): è la fase della riorganizzazione disciplinare e gerarchica, della riaffermazione del quadro dogmatico e del corpus dottrinario e dell’avvio di quel processo che potremmo definire di “tridentinizzazione”.

Anche i volumi dodicesimo e tredicesimo esprimono un nucleo cronologico-tematico esemplificato nel sottotitolo, Storia dei Papi nel periodo

147 Inizialmente la traduzione italiana dei primi tre volumi -usciti in Germania

rispettivamente nel 1886, nel 1889 e nel 1895 - dell’opera di Pastor si ebbe a Trento a cura del sacerdote trentino Clemente Benedetti, negli anni 1890-1896; successivamente la traduzione dell’intera opera fu curata sempre da Angelo Mercati e Pio Cenci negli anni dal 1908 al 1934. L’opera ebbe, comunque, diverse edizioni rivedute per i singoli volumi e svariate traduzioni, in francese, spagnolo, inglese, olandese.

della Restaurazione cattolica e della guerra dei Trent’anni, da Leone XI (1605, solo diciassette giorni di pontificato) a Gregorio XV (1621-1623).

I volumi, infine, dal tredicesimo al sedicesimo usciranno postumi: da papa Barberini, Urbano VIII (1623-1644), fino a Pio VI (1775-1799).

Il primo volume si apre con una introduzione dal titolo Il Rinascimento letterario in Italia e la Chiesa148 e comprende le biografie dei papi

Martino V (1417-1431), Eugenio IV (1431-1447), Niccolò V (1447-1455) e Callisto III (1455-1458). Il secondo volume è dedicato a Pio II (1458-1464), Paolo II (1464-1471) e Sisto IV (1471-1484). Il terzo è dedicato a Innocenzo VIII (1484-1492), Alessandro VI (1492-1503), Pio III (1503, morto pochi giorni dopo l’elezione) e Giulio II (1503-1513).

Nonostante la critica sferzante espressa da qualche collega austriaco

di Pastor (ad esempio, da Adolf Druffel), il primo volume godette di un buon successo: esso era nato, tra l’altro, sotto gli auspici di Leone XIII cui si doveva l’apertura dell’Archivio Segreto Vaticano.

Destinatario della dedica di apertura del primo volume, il pontefice inviò a Pastor una lettera (che si riporta in appendice) in cui manifestava la propria benevolenza verso il giovane storico e l’attenzione all’impresa che si accingeva a compiere con la pubblicazione del primo volume. La lettera assume un particolare significato alla luce della specifica politica culturale intrapresa dal pontefice Pecci.

Il primo volume si articola in quattro libri. Libro I: Sguardo sulla storia dei papi dal principio dell’esilio avignonese alla fine del Grande Scisma (1305- 1417); Libro II: Il ristabilimento dell’autorità papale e la sua lotta coll’opposizione conciliare. I principii della rinascenza a Roma. 1417-1447; Libro III: Niccolò V, il fondatore del mecenatismo pontificio, 1447-1455; Libro IV: Callisto III, il propugnatore della cristianità contro l’Islam, 1455-1458.

La periodizzazione scelta da Pastor individua nella cosiddetta “cattività avignonese” un punto di svolta. Iniziata nel 1309, quando

148 In seguito alla pubblicazione del volume furono avanzate vigorose critiche alla tesi

della divisione tra un “Rinascimento pagano” e uno “cristiano”, critiche citate, peraltro, dallo stesso Pastor nella prefazione alla seconda edizione del volume.

Clemente V scelse come residenza papale la città di Avignone, questa fase, cruciale per la vita della chiesa occidentale, vide un periodo lungo settant’anni di permanenza del papato lontano da Roma.

Com’è noto, i papi dell’ “esilio” furono sette, tutti francesi149, e la

maggioranza dei cardinali proveniva dalla Francia meridionale150. Il profilo

francese della chiesa, in questa fase, è accentuato anche dalla crescita, attorno ai pontefici, di reti parentali e amicali favorite da elargizioni e “doni” economicamente vantaggiosi151.

Il periodo avignonese è, inoltre, caratterizzato dal consolidamento della politica beneficiaria che conobbe un salto di qualità nella misura in cui su quella pratica andarono convergendo riflessioni di carattere teorico- speculativo e giuridico152: cumulo dei benefici, uso frequente della dispensa

dalla cura d’anime e altre pratiche, compresa la simonia, portavano all’ampliamento delle risorse economiche e, con esso, a forme non sempre accettabili, di arricchimento: «Che accanto a ciò crescessero anche lusso e sensualità – nota Pastor - corruttibilità e ogni sorta di abusi, chi non lo comprende o vorrebbe negarlo?»153.

149 Essi furono: Clemente V (Bertrand de Got, 1305-1314), Giovanni XXII (Jacques

Duèze, 1316-1334); Benedetto XII (Jacques Fournier, 1334-1342); Clemente VI (Pierre Roger, 1342-1352), Innocenzo VI (Etienne Aubert, 1352-1362); Urbano V (Guillaume Grimoard, 1362-1370); Gregorio XI (Pierre Roger de Beaufort, 1370-1378).

150 Può essere utile ricordare i dati delle promozioni cardinalizie dal 1316 al 1375: 90

francesi, 14 italiani, 5 spagnoli, un inglese e nessuno proveniente dai territori tedeschi.

151 Durante tutti i pontificati avignonesi, ad eccezione di quello di Benedetto XII,

furono particolarmente numerosi i parenti e i conterranei della Guascogna, del Quercy e del Limosino destinatari di doni e favori. Spicca per l’utilizzo di questa pratica, Clemente V: “del milione di fiorini d’oro di cui disponeva alla fine del suo governo, più di 800.000 andarono a suo nipote, il conte di Lomagne, per il quale in precedenza aveva comperato il castello di Monteux per custodire i soldi e il tesoro”. Cfr. H. G. Beck, K. A. Fink, J. Glazik, E. Iserloh, op. cit., p. 62.

152 Cfr. Pàsztor E., La curia romana all’inizio dello Scisma d’Occidente in Gualdo R.L., Roma o

Avignone? In margine a due recenti congressi sul Grande Scisma d'Occidente e sul papato avignonese in

«La Cultura» 17 ( 1979), p. 443. Le riserve di benefici furono estese con Giovanni XXII, finché Urbano V, nel 1363, avocò al papa la collazione delle chiese patriarcali, arcivescovili, vescovili e dei monasteri di maggiore importanza.

Forme di “attenta e precisa” amministrazione venivano, d’altra parte, sperimentate nel regime fiscale: è del 1331, infatti, la creazione da parte di papa Giovanni XXII della Camera apostolica, un organo amministrativo fondamentale, ben strutturato al centro e alla periferia, il cui funzionamento era affidato ai nunzi e ai collettori, incaricati di raccogliere il denaro in tutte le zone della cristianità.

I caratteri di questa fase sono riassunti, nell’analisi di Pastor, nella definizione di “Lati oscuri e belli del periodo avignonese” con il quale titola il primo paragrafo del Libro I.

Non è priva di significato la rilevanza che lo storico dà al raffinato livello culturale raggiunto dai papi avignonesi ed espresso dalla presenza di una delle più grandi biblioteche dell’Europa del tempo, paragonabile a quella dell’Università di Parigi, oltre che dall’incremento dello sviluppo urbanistico.

Nel corso della metà del secolo XIV fu costruito il palazzo dei papi154, abbellito da artisti italiani – ad esempio, Matteo Giovanni da

Viterbo, allievo di Simone Martini - insieme ad una serie di costruzioni per le abitazioni dei cardinali, dei funzionari della curia, degli stranieri; furono costruiti, ancora, nuovi conventi, case per le attività commerciali – tutte iniziative, queste, che incrementarono notevolmente i traffici cittadini –, nonché una poderosa cinta di mura.

Sotto il pontificato di Giovanni XXII furono erette, nelle vicinanze della città, le residenze estive di Pont-Sorgue e di Château-neuf-du-Pape: un così raffinato livello culturale, raggiunto dai papi avignonesi, comprendeva anche l’attenzione per la musica. Persino le polemiche contro le nuove tendenze musicali dell’epoca, note come ars nova, furono, quindi, un segnale importante del processo di cambiamento che cominciava a investire anche

154 A questo proposito bisogna notare come anche la liturgia, prima concepita per il

vescovo, il clero e il popolo si chiuda nel cerimoniale palatino. D’ora in poi il pontefice fu un sovrano sottratto al suo popolo; ad Avignone, semplici ecclesiastici e pellegrini potevano intravederlo solo quando -protetto dalle guardie del corpo- si recava ospite alla tavola di un cardinale, visitava un luogo di villeggiatura o allorché il suo cadavere era portato in cattedrale. Le funzioni importanti di governo erano, come il cerimoniale, tutte accentrate nel palazzo.

la tradizione liturgica, aprendola ad una utilizzazione e ad una fruizione autonome, più vicine a gusti e valori “profani”.

Se alla fioritura “avignonese” fece da contraltare la decadenza morale e materiale della «Roma senza papi» - sottolineata con accenti accorati da Pastor per il quale «i papi potevano fare a meno di Roma ma non Roma dei papi» -, il nucleo di problemi di ordine più prettamente politico che la Chiesa dovette affrontare fu di carattere più complessivo e di grandi proporzioni.

Non solo una delle fasi della guerra dei cento anni – nella quale il papato diede un appoggio politico e finanziario alla monarchia francese – ma lo scontro, «l’ultima grande battaglia tra l’Impero e il Papato», secondo Schimmelpfennig, tra la vocazione ierocratica di Giovanni XXII e l’imperatore Ludovico di Wittelsbach, il “Bavaro”. Fu, questa, una delle tappe del contrasto tra potere imperiale e potere papale, nel corso del quale l’assenza del pontefice da Roma giocò un ruolo, seppur ridotto, nel dare all’azione imperiale una maggior consistenza politica.

Lo scontro, in ogni caso, rimaneva all’interno della dimensione universalistica delle due istituzioni, Chiesa e Impero. L’interdetto contro l’imperatore Ludovico lanciato da Giovanni XXII (l’11 luglio 1324) e la sentenza imperiale (del 18 aprile 1328) con la quale venne deposto il pontefice sono la punta emergente di un conflitto le cui ragioni avevano radici più profonde e che, infatti, accompagnarono la storia dei rapporti tra religione e impero e, poi, quella tra religione e Stati nazionali, ponendosi come elemento caratterizzante della prima età moderna: erano queste le «maggiori difficoltà» contro le quali, secondo Pastor, il papato doveva lottare e che, proprio per questo, aggiungevano merito a quello «zelo ardente per la dilatazione della fede cristiana» nelle lontane terre d’Oriente; merito che Pastor ascrive ai papi avignonesi, sottolineando come la loro attenzione per l’Africa, l’India, la Cina fosse stata spesso trascurata155.

La lucida analisi di Marsilio da Padova, consegnata al Defensor pacis del 1324, è di questi anni cruciali. Senza entrare, qui, nel merito delle tesi sviluppate nell’opera – importanti per la riflessione sulla definizione dell’autorità sovrana, sulla natura coattiva della legge, in quanto criterio del giusto e dell’utile legato alla volontà umana, e sui soggetti detentori e titolari della legge – basta dire che queste idee contribuirono a costruire un modello politico alternativo a quello teocratico. Condannate come eretiche nel 1327, le idee di Marsilio erano troppo radicali «per avere un’efficacia immediata, ma la loro influenza indiretta fu grande e profonda»; e certamente non potevano essere accolte da Pastor per il quale l’autore del Defensor pacis era «un precursore di Lutero e Calvino».

Opera “sofistica”, questa, nella misura in cui, attribuendo ai pontefici la decadenza e la “turbolenza d’Italia”, trascurava il fatto che «il papato proteggeva a tutto potere il re d’Angiò, re di Napoli, allora il più potente dei principi italiani, mentre avversava in tutti i modi la venuta in Roma di Ludovico il Bavaro».

Se per Pastor, dunque, l’analisi di Marsilio era pregiudizialmente inquinata da una visione non equa del ruolo giocato dal potere papale in Italia, lo storico non era benevolo nemmeno verso quegli apologeti come l’italiano Agostino Trionfo e lo spagnolo Alvaro Pelayo: «Il troppo zelo trascinò la maggior parte di questi [apologeti] a scipite e false affermazioni (...). In opposizione allo sconfinato cesaropapismo di Marsilio – siccome gli estremi si toccano – essi allargarono tanto l’autorità pontificia da fare apparire il papa come semidio e padrone assoluto di tutto il mondo. È chiaro che repliche di tal fatta non erano atte a rendere inefficaci quegli assalti della scepsi politica contro l’autorità del potere papale»156.

Alla critica nei confronti dello «sconfinato cesaropapismo di Marsilio» si collega la valutazione negativa della comparsa e del consolidamento di una sorta di visione nazionale che Pastor registra nella

vicenda romana di Cola di Rienzo: «Alla rovina della grande unità politica del medio evo seguì il particolarismo egoistico dell’età moderna, l’esclusiva accentuazione e la morbosa esaltazione dell’idea di nazionalità»157. E

l’esemplarità del «particolarismo egoistico dell’età moderna» è ben rappresentata dal caso della Francia e delle sue pretese gallicane, avanzate fin dal tempo di Filippo IV di Valois.

Nella prospettiva con la quale Pastor guarda al papato avignonese emerge con chiarezza la natura universalistica della Chiesa: occorre che essa sia e rimanga essenzialmente “cattolica”, che non preferisca nessuna lingua o nazione perché questo “ridurrebbe la Chiesa a strumento di un esclusivo nazionalismo”. La stessa definizione di “cattività avignonese”, usata ad esempio da Dante e Petrarca, gli è estranea, portato com’è ad osservare i problemi emergenti in quella fase – organizzativi, politici, del costume morale del clero, del rapporto tra papa e collegio cardinalizio – in un’ottica che continua ad essere “romana” in quanto universale. E se, certo, per Pastor, l’assenza fisica della corte papale dalla Città Eterna, rappresentò un fattore di debolezza, di perdita, soprattutto, di prestigio internazionale e, in definitiva, di decadenza di Roma, sottolineava, d’altra parte, l’azione positiva del governo di alcuni pontefici.

Nel contrapporre, ad esempio, al carattere assolutamente mondano del papato di Clemente V, gli atti di Innocenzo VI, ne elogiava le intenzioni moralizzatrici: «Egli purgò la corte papale da una moltitudine di inutili favoriti, la cui unica attività consisteva nell’ordire intrighi e soddisfare la propria cupidigia. Assai economo per natura delle proprie sostanze e convinto che a maggior ragione doveva esserlo coi beni della Chiesa, bandì dalla Corte ogni lusso, soppresse ogni spesa inutile e licenziò i servitori superflui»158.

Il bersaglio polemico contro il lusso e lo spreco della corte papale avignonese si accompagnava, in molti, all’invocazione del ritorno a Roma.

157 Cfr. L. v. Pastor, Storia dei papi, op. cit., p. 83. 158 Cfr. L. v. Pastor, Storia dei papi, op. cit., p. 87.

Non a caso, Pastor fa riferimento, oltre che a Vincenzo Ferrer e a Brigida di Svezia, a Caterina da Siena: un certo tipo di profetismo mistico nasceva, com’è noto, proprio a ridosso di momenti estremamente critici, in nome di una profonda riforma della Chiesa che coinvolgesse sia gli assetti istituzionali che il “popolo dei fedeli”. Delle lettere della santa senese a Gregorio XI - «infermiccio e pauroso pontefice», l’ultimo papa francese – Pastor riporta ampie citazioni, sottolineandone, assieme al ruolo persuasivo che esse giocarono nel chiudere la parentesi avignonese, l’ansia di riforma, spirituale e morale, gli appelli alla pace e alla giustizia che Caterina esprimeva. Nel settembre del 1376, Gregorio XI lasciava Avignone per raggiungere Roma.

Teso a interpretare – con un giudizio che evita di insistere sugli elementi di discontinuità – il periodo avignonese dentro il quadro universalistico della cattolicità romana, Pastor trascura comprensibilmente quanto invece la storiografia recente ha messo in luce, cioè la possibilità di un disegno politico sotteso alla vicenda avignonese: un vero e proprio programma angioino che prevedeva, in Italia, un equilibrio tra l’influenza francese e quella imperiale159. Secondo G. G. Merlo, ad esempio, la fase

avignonese sarebbe il «segno dell’inserimento del papato nella chiesa di Francia». E, ancora, «gli sviluppi peculiarmente politici del papato trovano in Avignone (tranquilla e sicura come Roma non lo era mai stata) possibilità di esprimersi in una volontà di direzione complessiva dell’Europa: un’Europa che si voleva guelfa e guidata dal papato stesso e dalla casa di Francia»160.

159 Si veda G. Tabacco, La casa di Francia nell’azione politica di papa Giovanni XXII, Roma,

Ist. Storico Italiano per il Medio Evo, 1953. Uno studio significativo su questo periodo è di G. Mollat, Les papes d’Avignon, Paris, Editions Letouzey & Ané, 1964. A parere di G. G. Merlo il merito dello studioso è quello di aver contribuito «in maniera decisiva al definitivo superamento della rigida e impropria visione del papato, succube del Regno di Francia ». Cfr. G.G. Merlo, Dal papato avignonese ai grandi scismi: crisi delle istituzioni ecclesiastiche? in La

Storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea, a cura di N. Tranfaglia e M. Firpo, Il medioevo, 1, I quadri generali, Utet, Torino, 1988, p. 454. Di parere contrario G. Martina, Storia della Chiesa, cit.

Da storico cattolico, formatosi nel clima culturale di fine Ottocento, alle prese con il diverso significato politico degli Stati-Nazione, con avanzati processi di secolarizzazione e con l’emergere della questione sociale, Pastor riformulava il concetto di “cattolicità” in una prospettiva che teneva conto dei percorsi che la chiesa di Roma aveva compiuto nella fasi più critiche della sua storia.

2. L’ “orribile periodo dello scisma” nella storia della