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Varie sono le questioni che si pongono in materia di interoperabilità legale, la prima delle quali è, ictu oculi, la barriera linguistica. Questa ostacola la comprensione condivisa sotto un duplice aspetto: la difficoltà di espressione di concetti giuridici sovrapponibili è, infatti, esponenzialmente aumentata allorché l’espressione inerisca concetti giuridici differenti. L’incontro di due o più lingue,

13 Sul punto D. J. SVANTESSON, Solving the Internet Jurisdiction Puzzle, Oxford, 2017, 117 annota che «la completa interoperabilità legale non può essere raggiunta nel senso della uniformità delle legislazioni, […] è raggiunta allorché non vi siano più contrasti tra disposizioni normative».

14 Cfr. art. 4, comma 1 -sexies, l. 29 dicembre 2009, n. 197.

15 Sotto questo profilo appare funzionale, quale linea guida, l’organica statunitense che prevede l’inserimento della componente legale nello staff speciale alle dirette dipendenze del Comandante, esterno, quindi, ai direttorati operativi (le c.d. branche da 1 a 9). Posto che l’organizzazione concreta di una task-force è preordinata al raggiungimento dello specifico obiettivo assegnato e che, pertanto, anche l’organizzazione della cellula di consulenza legale dipende dalla missione, è opportuno che, nella sua massima espressione, la cellula sia in grado di esprimere consulenza giuridica nelle aree: a) del diritto internazionale militare (con attenzione, ad es., al diritto dei conflitti armati, alle regole d’ingaggio, al diritto del mare, delle operazioni aerospaziali e dell’intelligence, alle misure restrittive della libertà personale, agli accordi internazionali ed alle questioni attinenti alla giurisdizione dello Stato territoriale ove si svolge l’operazione); b) della giustizia militare; c) della responsabilità penale, disciplinare, erariale e civile; d) del diritto amministrativo e e) del diritto previdenziale.

Sotto un aspetto organizzativo si può ipotizzare una cellula posta al comando di un ufficiale superiore, quale consulente legale del comandante, avente alle dipendenze una sezione servizi legali (aree del diritto amministrativo, disciplinare, penale, erariale e civile) ed una sezione diritto operativo (aree del diritto dei conflitti armati e del diritto internazionale). Sul punto cfr. Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, Joint Task Force Headquarters – J.P. 3-33, Washington D.C., 2018, 217 e, più specificamente, Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, Legal Support – J.P. 3-84, Washington D.C., 2016, 36 ss.

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infatti, implica l’incontro tra sistemi valoriali e culturali differenti, con la conseguenza che, nel settore dell’interoperabilità legale, diviene di fondamentale importanza saper scindere il significante, ovvero la parte fisicamente percepibile del segno linguistico, dal significato, ovvero il contenuto o concetto mentale sottostante, di cui la lingua è veicolo di trasferimento16. Il problema, a ben guardare, non è che l’esponenziale dell’irrisolta questione dell’attribuzione di significato al fenomeno segnico nel contesto di una lingua: la semiotica odierna, infatti, descrive un rapporto segnico complesso, mediato dall’intervento della mente umana; in altre parole «qualcosa è segno non di per sé, ma perché è considerato come tale da qualcuno, l’interprete»17, questi attribuisce un significato al significante a seconda della costruzione sociale e contestuale che, nel contesto giuridico, è marcatamente prescrittiva18.

Volendo schematizzare, le difficoltà linguistiche ed interpretative nascono in situazioni in cui: a) concetti giuridici pienamente sovrapponibili possono esistere nell’ordinamento di provenienza, ma non in quello di destinazione;

b) la prospettiva culturale di destinazione e le peculiarità dell’ordinamento ricevente possono produrre imprevedibili modificazioni di significato, ove l’interprete necessiti di forzare la traduzione, “trapiantando” un concetto da un ordinamento in cui esso è nato ad un ordinamento diverso.

Parte della dottrina ha proposto, al fine di mitigare dette criticità, l’impiego di meta-concetti, idonei a descrivere concetti legali19: si potrebbe condividere questa impostazione, che ha il pregio di rendere palese la necessità di astrazione dei concetti20 (ben si potrebbe, astraendo, sovrapporre i concetti anglosassoni di actus reus e mens rea con quelli italiani di elemento psicologico e materiale del reato), se non fosse che essa, in ultima analisi, si limita a spostare il problema sulla ricerca di concetti condivisi21. Appare chiaro come in parte differente negli effetti giuridici prodotti siano i concetti di “contratto” di diritto italiano, di “agreement” e di “contract” di diritto anglosassone, per quanto lata quest’ultima espressione sia.

Altra parte ha proposto una interpretazione delle disposizioni sotto una prospettiva transnazionale22: così come, nel nostro diritto interno, è possibile dare una interpretazione costituzionalmente orientata di norme che, in quanto precedenti alla Costituzione stessa, parrebbero porsi in possibile contrasto con essa, è possibile dare una interpretazione convergente su principi comuni di disposizioni normative interne di diversi ordinamenti che non risultano sovrapponibili.

16 Per un approfondimento semiotico si rimanda a U. ECO, Trattato di semiotica generale, Milano, 2016, 19 ss., F. DE SASSURE, Corso di linguistcia generale, Bari, 1967, 25, A. GREIMAS, Semantica strutturale, Roma, 2006, 52 SS., A. GREIMAS e J. COURTÉS, Semiotica: dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Milano, 2007, 316 E, per un commento di filosofia del linguaggio, M. RECALCATI, Il vuoto e il resto: il problema del reale in Jacques Lacan, Milano, 2019 5 ss.

17 Così M. JORI e A. PINTORE, Introduzione alla filosofia del diritto, Torino, 2014, 164.

18 Secondo C. PALUMBO, Norma, diritto, interpretazione, Torino, 2016, 43, «l’analisi semiotica dei linguaggi o discorsi (giuridici) a qualunque livello, teorico, dogmatico e operativo, deve essere integrata da una analisi della loro dimensione pragmatica, intesa come parte integrante della loro semiotica, una pragmatica che comprenda alcune delle regole linguistiche specifiche che costituiscono un linguaggio o discorso, o lingua, giuridico per quello che è; e quindi contribuiscono potentemente alle scelte normative insite in qualunque attività giuridica e anche nella descrizione del diritto come è».

Sul punto, si rimanda anche a M. JORI, Il linguaggio giuridico, in AA. VV., Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, a cura di G. Pino, A, Schiavello e V. Villa, Torino, 2013, 264.

19 Sul punto, cfr. M. TROPER, Les Concepts de l’histoire constitutionnelle, in AA. VV., Comment écritic-on l’histoire constitutionelle?, a cura di C. M. Herrera e A. Le Pillouer, Parigi, 2012, 75 ss.

20 Sul punto, cfr. P. CIMIANO, E. MONTEL-PONSODA, P. BUITELAAR, M. ESPINOZA e A. GÒMEZ-PÉREZ, A Note on Ontology Localization, in Journal of Applied Ontology, 2010, V, 127.

21 A. SANTOSUOSSO e A. MALERBA, Legal interoperability as a Comprehensive Concept in Transnational Law, cit., 58.

22 C. H. BARON, The dialoge between Biomedicine and Law in an “IntraAmerican Transnational Perspective”, in AA. VV, Biomedical Sciences and the Law, a cura di A. Santosuosso, S. Garagna, B. Bottalico, C.A. Redi, Pavia, 2010, 87.

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Nemmeno la completa sovrapponibilità linguistica può, però, evitare problemi di comunicazione tra sistemi giuridici23, perché spesso accade che gli Stati componenti una coalizione siano titolari di differenti posizioni giuridiche soggettive di diritto internazionale, con la conseguenza che i meccanismi d’interoperabilità legale devono essere in grado di interfacciare sistemi giudici aventi diversi riferimenti sovraordinati. Un esempio assai chiaro di questa situazione emerge dal diritto internazionale umanitario applicabile agli Stati membri della Coalizione globale anti-ISIS, cui sono parte, ex plurimis, gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Italiana: mentre entrambi i soggetti sono tenuti al rispetto delle Convenzioni di Ginevra (le cui disposizioni sono ormai ritenute consuetudinarie), solo l’Italia è tenuta al rispetto del contenuto normativo dei Protocolli addizionali del 1977, dei quali gli Stati Uniti non sono parte.

La questione circa l’esatta definizione dell’ampiezza della sfera di tutela da accordare ai diritti umani, sia in virtù del diritto internazionale umanitario che in virtù di altre fonti pattizie, è spesso risultata latrice di rilevanti tensioni tra componenti una coalizione. Benché, infatti, si possa sostenere che la quasi totalità degli Stati sia ormai parte di almeno un trattato internazionale che, in aggiunta al diritto consuetudinario, imponga la protezione di alcuni fondamentali diritto umani, quali il diritto alla vita ed il divieto di tortura24, residuano comunque sostanziali differenze circa la concreta applicazione di queste garanzie25.

Questa considerazione conduce al terzo profilo problematico in punto di interoperabilità legale, ovvero la differente interpretazione data da ciascuno Stato delle disposizioni di diritto internazionale nei suoi confronti vincolanti. Quand’anche, infatti, uno o più Stati di una coalizione risultassero sottoposti ad un medesimo regime, sia esso pattizio o consuetudinario, ben potrebbero realizzarsi rilevanti differenze in punto interpretativo. Un esempio di scuola è dato dalla concreta applicazione dell’art. 51 della Carta dell’ONU quale eccezione al divieto generale di uso della forza nelle relazioni internazionali di cui all’art. 2, par. 4 della medesima Carta: il Regno Unito ritiene legittimo l’uso della forza, in limitate occasioni, al fine di evitare «una catastrofe umanitaria»26, posizione non condivisa dalla maggior parte degli alleati, che, per la legittimità dell’impiego della

23 In A. SANTOSUOSSO e A. MALERBA, Legal interoperability as a Comprehensive Concept in Transnational Law, cit., 60 così si esemplifica: «le relazioni tra diritto britannico e diritto statunitense illustrano questo [problema]: anche utilizzando il medesimo idioma, ovvero l’Inglese, possono venire in essere problemi di comunicazione di natura giuridica».

24 Sul punto, cfr. K. ABBOTT, A Brief Overview of Legal Interoperability Challenghes for NATO Arising from the Interrelationship Between IHL and IHRL in Light of the European Convention on Human Rights, in International Review of The Red Cross, 2014, XCVI, 107; V. MCCONACHIE, Coalition Operations: A Compromise or an Accomodation, in International Law Studies, 2008, LXXXIV, 235 ss.; C. DE COCK, Targeting in Coalition Operations, in AA. VV., Targeting: the Challenges of Modern Warfare, a cura di P. A. Ducheine, M. N. Schmitt e F. P. Osiga, Berlino, 2016, 235 e M. ZWANENBURG, International Humanitarian Law Interoperability in Multinational Operations, cit., 681.

25 Sul punto, cfr. T. MERON, The Humanization of Humanitarian Law, in American Journal of International Law, 2000, XCIV, 239; C. DROEGE, The Interplay between International Humanitarian Law and International Human Rights Law in Situations of Armed Conflict, in Israel Law Review, 2007, XL, 2, 310; N. PRUD'HOMME, Lex Specialis: Oversimplifying a More Complex and Multifaceted Relationship, in Israel Law Review, 2007, XL, 2, 356; D. BETHLEHEM, The Relationship between International Humanitarian Law and International Human Rights Law and the Application of International Human Rights Law in Armed Conflict, in Cambridge Journal of International and Comparative Law, 2013, II, 2, 180; M. MILANOVIC, Norm Conflict in International Law: Whither Human Rights?, Duke Journal of Comparative & International Law, 2009, XX, 69; K. WATKIN, Controlling the Use of Force: A Role for Human Rights Norms in Contemporary Armed Conflict, in American Journal of International Law, 2004, XCVIII, 1; G. CORN, Mixing Apples and Hand Grenades: The Logical Limit of Applying Human Rights Norms to Armed Conflict, in International Humanitarian Legal Studies, 2010, I, 52 e M. DENNIS, Application of Human Rights Treaties Extraterritorially in Times of Armed Conflict and Military Occupation, in American Journal of International Law, 2005, XCIX, 119.

26 Ministero della Difesa del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, The Manual of the Law of Armed Conflict, Oxford, 2009, § 1.6. Sul punto, cfr. anche P. GARGIULO, La Guerra - Profili di diritto internazionale e diritto interno, Quaderni dell'Istituto di studi giuridici dell'Università di Teramo, vol. III, Napoli, 2002, 88-89.

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forza, richiedono l’ulteriore condizione dell’adottata risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU27.

Se questo esempio, per quanto chiaro, può risultare scarsamente utile in un contesto di coalizione, che ovviamente presuppone l’avvenuto impiego della forza internazionalmente rilevante, è opportuno sottolineare che le differenze interpretative assumono una concreta rilevanza anche nella concreta condotta delle operazioni militari, definendo i parametri cui gli Stati si ritengono obbligati a fronte di una medesima norma di diritto internazionale. Nuovamente esemplificando, è ormai accettato, quale norma di ius cogens, l’obbligo di fare oggetto di attacco i soli obiettivi militari, ovvero cose o persone che, cumulativamente, forniscano un contributo effettivo all’azione militare dell’avversario e la cui neutralizzazione costituisca un vantaggio militare preciso28. Se questa interpretazione è condivisa, ad es. da tutti gli Stati membri dell’Unione europea, altrettanto non può dirsi per gli Stati Uniti che, pur accogliendo il principio di distinzione, adottano una interpretazione assai meno estensiva di “obiettivo militare”, inteso come qualunque entità che contribuisca efficacemente non solo alla capacità del nemico di combattere ma anche al generale sostegno allo sforzo bellico29. Ne consegue che uno stesso sito produttivo, avente stretta funzione economica non direttamente connessa alle operazioni militari, potrebbe essere considerato un obiettivo legittimo da parte di forze statunitensi impiegate in una coalizione e un obiettivo protetto da parte di forze partner.

Come notato in dottrina, «altre divergenze possono sorgere relativamente ai seguenti punti:

a) la nozione di danno collaterale, cioè i danni provocati a beni civili quando si colpisce un obiettivo

militare legittimo, si presta a differenti interpretazioni anche tra gli stessi Stati parti del I Protocollo. Il danno collaterale non deve essere eccessivo rispetto al vantaggio militare previsto mediante l’attacco ad un obiettivo militare. Taluni Stati hanno dato una interpretazione restrittiva del principio di proporzionalità, poiché ritengono che il vantaggio militare non vada commisurato ad ogni singola azione o una parte dell’attacco, ma in relazione all’attacco militare nel suo complesso. A tal fine, Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito hanno fatto una dichiarazione ad hoc al momento della firma e ratifica del I Protocollo; b) L’art. 56 del I Protocollo impone limitazioni agli attacchi contro opere e installazioni che racchiudono forze pericolose, come le dighe e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Gli Stati Uniti non considerano l’art. 56 come dichiarativo del diritto internazionale consuetudinario; c) Secondo il I Protocollo la popolazione civile ed i beni civili in territorio nemico non possono essere oggetto di rappresaglia. Gli Stati Uniti non considerano questa proibizione, che secondo la IV Convenzione di Ginevra del 1949 vale solo per il territorio occupato, come rispondente al diritto consuetudinario»30.

Un ultimo fattore da tenere in considerazione, inerente più la politica internazionale che il diritto, è la legittimità percepita di una data condotta: benché uno Stato possa ritenere legittima un’azione militare potrebbe decidere di non assumersi il rischio che questa possa essere percepita, da tutta o parte della comunità internazionale, come illegittima31. Dalla prassi internazionale appare emergere che gli Stati assumano, tra gli altri, come parametro incidente sulla decisione di porre in

27 Sul punto, cfr. N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino, 2017, 53 e E. CANIZZARO, Diritto internazionale, Torino, 2016, 83.

28 La regola è, ormai considerata consuetudinaria (cfr. Regole 7 – 10 in Comitato Internazionale della Croce Rossa, Customary IHL Database, Cambridge, 2005). È, comunque, contenuta all’art. 52, del I Protocollo Addizionale.

29 Sul punto cfr. Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, Law of War Manual, Washington D.C., 20016, § 5.7.6.2.

30 N. RONZITTI, L’applicabilità del dieitto internazionale umanitario, in AA. VV., Le forze di pace nell’Unione europea, Roma, 2005, 170, nota 10.

31 Sul punto, cfr. D. GODDARD, Understanding the Challenge of Legal Interoperability in Coalition Operations, in Journal of National Security Law & Policy, 2017, IX, 227, ove si argomenta che «anche ove uno Stato interpreti ed applichi una regola in buona fede, ciò non significa che gli atri attori possano condividere la sua posizione, specialmente nell’ipotesi in cui la stessa regola, ovvero la sua applicazione, non si presenti chiara o sia controversa».

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essere o meno una condotta il rischio che questa possa essere giudicata illegittima da parte di altri soggetti di diritto internazionale. Questo sia che gli Stati siano parte di una convenzione, la quale eventualmente preveda il giudizio di un panel, sia che gli Stati non siano parte di una specifica convenzione e che, dunque, il giudizio di altri soggetti di diritto internazionale (siano essi altri Stati, organizzazioni internazionali o comitati internazionali), pur non legalmente vincolante, sia

comunque politicamente influente32.