2 INTRODUZIONE ALLA PROPULSIONE ELETTRICA
2.1 Principi base della propulsione spaziale
Uno dei fattori che maggiormente condiziona il progetto di un veicolo spaziale e la realizzazione della sua missione è senza dubbio lo stato dell’arte delle tecnologie propulsive. La capacità di mettere in orbita attorno alla terra un certo carico utile è ad esempio legata all’impulso fornito dai motori a razzo dei lanciatori, mentre le missioni spaziali interplanetarie sono limitate dalla quantità di energia disponibile negli stadi superiori del veicolo. Per soddisfare le richieste imposte dalla grande varietà di missioni spaziali realizzate e quelle future, sono stati ideati e tuttora in via di sviluppo innumerevoli tipi di sistemi propulsivi. Comunque, a fronte di questa varietà, tutti i sistemi propulsivi si possono ricondurre a tre principi fondamentali:
- la pressione di radiazione solare; - le azioni gravitazionali;
- lo scambio di quantità di moto attraverso espulsione di propellente.
Il primo principio è alla base del concetto di vela solare. Il sole emette un flusso costante di energia che alla distanza di 1 AU1 ha un’intesità media pari a I
s=1358 W/m2
e varia con l’inverso del quadrato della distanza dal sole, 1/r2. Considerando che i quanti di energia (fotoni) viaggiano alla velocità della luce, c, a tale flusso di energia corrisponde una forza per unità di superficie
6 2 N 4.5 10 m s s I p c − = = ⋅
.
(2.1)Questa è la cosidetta pressione di radiazione solare, che rappresenta una delle principali cause di perturbazione per i satelliti in orbita medio-alta. Ad una altitudine di 1000 km la resistenza aerodinamica dovuta all’atmosfera residua rappresenta solo il 10 % di quella dovuta alla pressione di radiazione solare.
Come anticipato la pressione di radiazione se opportunamente sfruttata può rappresentare una forza propulsiva anziché una perturbazione. Un veicolo spaziale
dotato di un rapporto superfice-massa molto elevato è in grado si sfruttare al meglio questa forza. In base alla superficie esposta al sole si ottiene la spinta sul veicolo dalla relazione F = KAnps, dove An è l’area della sezione del veicolo ortogonale alla
congiungente sole-satellite e K un coefficiente che tiene conto delle proprietà di assorbimento delle radiazioni da parte della superficie esposta (K = 0, corpo nero ideale, K = 2 specchio ideale). Una trattazione più approfondita delle possibilità e dei limiti della navigazione a vela solare è riportata in [3], [4].
Il secondo principio sfrutta il campo gravitazionale dei pianeti per modificare direzione e modulo della velocità del veicolo (gravity assisted swing by). È molto utilizzato nelle missioni spaziali interplanetarie in quanto permette di effettuare trasferimenti orbitali a velocità elevate e costo zero (senza consumo di carburante), sebbene con tempi e complessità della missione elevati. Questo metodo è stato sfruttato da tutte le missioni interplanetarie dagli anni settanta (ad esempio le missioni
Voyager e Mercury) fino ad oggi (ad esempio le missioni Galileo e Cassini).
Lo scambio di quantità di moto attraverso l’espulsione di massa è il principio più comunemente applicato nei veicoli spaziali e quello classicamente associato al termine di propulsione. Un gran numero di sistemi di propulsione a razzo è stato sviluppato per soddisfare i vari requisiti di spinta delle differenti missioni e manovre orbitali. Questi metodi si differenziano tra loro in base al processo accelerativo e al tipo di energia utilizzati. I processi accelerativi utilizzati nella propulsione a razzo si possono distinguere in
- gasdinamico: è un processo nel quale un gas mantenuto ad alta pressione e temperatura all’interno di una camera di reazione viene accelerato per mezzo di un’espansione in un condotto di forma opportuna (ugello);
- elettrostatico: è un processo nel quale viene accelerato un fluido ionizzato per mezzo di forze elettrostatiche ottenute con un’opportuna combinazione di elettrodi; - elettrodinamico: è un processo nel quale si accelera un fluido ionizzato ma
globalmente neutro (plasma) per mezzo di forze elettromagnetiche (forze di Lorentz) derivanti dall’interazione, nel plasma in movimento, di una corrente ed un campo magnetico tra loro perpendicolari.
Le forme di energie utilizzate per ottenere la spinta si possono distinguere in - chimica, liberata in seguito ad una qualsiasi reazione chimica esotermica; - nucleare, liberata in seguito a fissione o fusione nucleare;
- elettrica, richiesta per generare i campi elettrici e/o magnetici necessari per ionizzare e/o accelerare il propellente.
L’equazione di moto di un satellite che ottiene la sua accelerazione dall’espulsione della massa di propellente, deriva direttamente dalla conservazione della quantità di moto tra satellite e getto di scarico:
,
s e
m v& =m&v (2.2)
dove ms è la massa del satellite ad un dato istante, v& è il suo vettore di accelerazione,
ve è il vettore di velocità del getto di scarico rispetto al satellite, e m& è la portata di
massa del propellente espulso. Il prodotto m&ve, rappresenta la spinta del razzo, T, e può essere trattata come una forza esterna applicata al satellite.
Il suo integrale nel tempo è l’impulso totale, I, e il rapporto di T rispetto alla portata in peso, m&g0, è stato storicamente denominato come impulso specifico,
0 0 e s T v I mg g = = &
.
(2.3)L’impulso specifico è una unità di merito per la propulsione a razzo che misura essenzialmente l’efficienza nell’utilizzo del propellente. Viene misurato in secondi e quindi assume lo stesso valore qualunque sia il sistema di misura adottato. In generale l’impulso specifico di un propulsore elettrico risulta da 2 a 100 volte superiore a quello di un propulsore chimico.
Assumendo ve=cost l’integrazione dell’equazione (2.2) fornisce
o 0 0 ln ln e s f f m m v v g I m m Δ = =
,
(2.4)dove mo e mf sono, rispettivamente, la massa iniziale e la massa finale (al termine della
fase di sparo) del razzo e Δv il suo incremento di velocità. La relazione (2.4) è la formula di Tsiolkovsky per i razzi ideali. Essa si può anche scrivere come
0 1 e 1 s v v p v g I o m e e m Δ Δ − − = − = −
,
(2.5)essendo mp la massa di propellente.
Le manovre spaziali sono usualmente definite in termini del Δv necessario alla loro realizzazione. La (2.5) evidenzia che per una data missione spaziale, caratterizzata da un dato incremento di velocità Δv, l’elevata velocità di scarico dei propulsori elettrici (o equivalentemente il loro elevato impulso specifico) riduce la frazione di carburante
mp/m0, rispetto a quella richiesta dall’utilizzo dei propulsori chimici. A parità di massa totale del propellente e di carico utile, la maggiore efficienza di utilizzo del propellente
ha come conseguenza l’aumento del numero di manovre possibili o il tempo di vita del satellite.
In tabella 2.1 si riportano i valori di Δv richiesti da alcune manovre tipiche.
Missione Δv [m/s]
Fuga dalla superficie della Terra (impulsiva) 11200
Fuga da un’orbita di 540 km (impulsiva) 3150
Trasferimento dalla Terra a Marte e ritorno* 34000
Trasferimento dall’orbita Terrestre all’orbita di Venere e ritorno* 16000 Trasferimento dall’orbita Terrestre all’orbita di Mercurio e ritorno* 31000 Trasferimento dall’orbita Terrestre all’orbita di Giove e ritorno* 64000 Trasferimento dall’orbita Terrestre all’orbita di Saturno e ritorno* 110000
Compensazione resistenza aerodinamica 320/anno
Sollevamento orbitale (da 250 km a 600 km) 200
EWSK per satelliti geostazionari 2/anno
NSSK per satelliti geostazionari 49/anno
Tabella 2.1 – Valori dell’incremento di velocità Δv tipici di alcune missioni di interesse (*trasferimenti tramite manovre di Hohmann), [2], [7].