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Il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria e la mediazione

Nel documento La Mediazione e il Reclamo (pagine 48-65)

4. PROFILI DI COSTITUZIONALITA’ DELL’ISTITUTO

4.1 Il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria e la mediazione

Dopo la trattazione degli aspetti “operativi” della mediazione, avendo avuto riguardo agli effetti amministrativi e processuali di tale fase del rapporto tra contribuente e pubblica Amministrazione, è necessario soffermarsi sugli aspetti controversi di tale istituto, che possono sollevare dubbi sul rispetto delle norme costituzionali. Può apparire come una contraddizione in termini la mediazione di una pretesa (obbligazione tributaria), che per sue caratteristiche è indisponibile. Alludiamo al concetto quasi sempre denominato “principio di indisponibilità dell’imposta”, principio molto discusso nel suo significato. Venendo alla sostanza è da osservare che in tanti scrittori, che pur parlano di principio di indisponibilità, assistiamo allo svuotamento di rilevanza del principio stesso42. Tuttavia è certo che l’indisponibilità predicata come attributo caratteristico dell’imposta non costituisce affatto la conseguenza logica della concezione dell’imposta come mera obbligazione ex lege. Se l’obbligazione nasce solo dalla legge e ha le stesse caratteristiche di qualunque obbligazione, nulla può impedire al legislatore di regolarla come gli pare, attribuendo all’amministrazione Finanziaria il potere di disporne con la mediazione. Ed ecco allora la così detta indisponibilità ridursi a guscio privo di sostanza.

L’indisponibilità si riduce così a mero rispetto della disciplina legale dell’obbligazione d’imposta da parte dei funzionari fiscali. Non dissimile l’orientamento di altri scrittori, pur molto autorevoli43. Dobbiamo dire, senza riserva, che enunciata nei termini di cui

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Uno per tutti di R.Lupi, “Diritto tributario. Oggetto economico e metodo giuridico nella teoria della tassaione

economico-aziendale.”, ed Giuffrè, 2009. Si veda il paragrafo su “principi costituzionali e tipologia di entrate”.

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Nel senso che la inderogabilità o indisponibilità della obbligazione tributaria si risolve esclusivamente nella vincolatezza della attività amministrativa di imposizione, regolata in ogni suo aspetto dalla legge, al cui rispetto sono tenute tutte le parti del rapporto v. G. Tesoro, Il principio della inderogabilità nelle obbligazioni tributarie della finanza locale, in riv. it. dir. fin., 1937, ii, p.55 ss., iD., Principi di dir. trib., Bari, 1938, pp.52-53; M. Pugliese, Istituzioni di dir. fin., Padova, Cedam, 1937, 37;

45 sopra l’indisponibilità non è certo una prerogativa del credito di imposta ma di qualunque credito dello stato, tanto è vero che spesso, a supporto della teoria, è stata invocata la normativa di contabilità di stato, che non riguarda i crediti d’imposta ma qualunque credito dello stato. Tuttavia le cose non stanno affatto così. L’intuizione e l’esperienza stanno a dimostrarlo prima del ragionamento rigorosamente condotto. Il vero è, cioè, che la così detta indisponibilità non è un fantasma. Ma per rendersene conto bisogna innanzi tutto riconoscere che gli istituti forgiati dal diritto si contraddistinguono non solo per la loro struttura ma anche per la loro funzione44. Dal punto di vista strutturale l’imposta è, per lo più, una obbligazione, né più né meno. Sarà una obbligazione con qualche carattere specifico, ma pur sempre una obbligazione. Dal punto di vista strutturale il credito dello stato nascente da un contratto di compravendita non è diverso dal credito nascente da un atto di imposizione tributaria. Il discorso cambia se dal profilo strutturale si passa a quello funzionale. È la funzione che spiega la differenza tra credito di imposta e altri crediti dello stato. La legge di imposta è un atto con funzione di riparto. Essa non procede, perciò, alla creazione di una miriade di rapporti singolarmente intesi quasi fossero chicchi di una grandinata ma è funzionalizzata alla nascita di una miriade coordinata di rapporti che vengono a formare quasi le tessere di un unitario e complessivo mosaico mediante il quale si dà luogo alla ripartizione “razionale” tra migliaia (o talora tra milioni) di soggetti di un dato ammontare del carico complessivo da distribuire. La ripartizione non avviene a casaccio, né può essere frutto dell’arbitrio. Quale dunque, la funzione tipica di ciascuno della miriade di rapporti di obbligazione mediante i quali si attua l’applicazione di una data imposta non rispetto ad un singolo ma ad una platea, non di rado sterminata, di soggetti passivi? La concezione meramente strutturalista della obbligazione d’imposta, oggi in voga, non aiuta a rispondere al quesito che precede. La risposta è agevole se non ci si limita all’analisi strutturale e si affianca ad essa quella funzionale. E la risposta è del seguente tenore: la miriade di rapporti non unitariamente intesi e non concepibili come isole solitarie, attuano la funzione di giustizia nella ripartizione di un certo ammontare di spesa pubblica componendo e regolando con perequazione il potenziale

A.D. Giannini, Istituzioni di dir.trib., Milano, Giuffrè, 1951, p. 20, 57 e nota 5;Micheli-Tremonti, Obbligazioni (dir.trib.), in enc.dir., XXIX, p.453, nota 244.

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V.N.Bobbio, Dalla struttura alla funzione, ed. di Comunità, Milano, 1977, dove sono raccolti vari saggi in cui è svolta la teoria funzionalistica del diritto.

46 conflitto di interessi tra la platea dei soggetti passivi e l’ente pubblico. È qui che emerge e prende corpo il principio di indisponibilità in varie accezioni.

Esso significa, in primo luogo, obbligo degli organi della legislazione di scegliere, per il riparto, attraverso indici espressivi di forza contributiva dei soggetti colpiti; ed altresì obbligo di strutturare gli indici in modo da rispettare la perequazione o parità di trattamento nel riparto. A questo obbligo del legislatore corrisponde il diritto pubblico soggettivo di ciascun consociato al giusto riparto ossia a pagare imposte create da leggi giuste, per tali dovendosi intendere quelle che hanno rispettato i parametri degli artt. 2, 3, 53 Cost. Ogni violazione di codesti parametri può dar luogo a reazioni giuridicamente giustificate dei soggetti passivi d’imposta.

Ma una volta che la legge di imposta abbia fissato il catalogo dei criteri e dei principi in base ai quali si deve ripartire secondo giustizia (vale a dire secondo i dettami degli artt. 2, 3, 53 Cost.) un determinato ammontare di spesa pubblica nei confronti di una altrettanto determinata platea di soggetti passivi emerge un secondo profilo del fenomeno della indisponibilità che possiamo enunciare come segue.

Una volta codificata la legge di riparto (la legge di imposta), la stessa diventa intangibile per tutto il tempo della sua vigenza nei confronti di tutti i membri della platea contributiva che la legge stessa ha originariamente individuato. La legge stessa pone in essere un acquisito ed intangibile diritto soggettivo individuale, di ciascun singolo partecipante al riparto, nei confronti di ciascuno degli altri condebitori.

In termini figurativi è paragonabile alla situazione che si produce per la distribuzione dei dividendi in una società per azioni dove la facoltà degli organi amministrativi della società di determinare l’utile da distribuire non esclude affatto ma anzi resta distinto e non si confonde con l’obbligo di osservare la più perfetta e rigorosa giustizia distributiva nel riparto del dividendo fra i singoli soci al di fuori di qualunque criterio discrezionale. Secondo tale impostazione, i criteri di riparto stabiliti dalla legge di imposta non possono essere derogati da chi la pone in essere. Altresì con la legge di imposta è impossibile derogare all’interesse costituzionalmente tutelato dall’art. 53 della Cost.. Il riparto come formulato nel testo della legge di imposta non può derogare all’interesse costituzionalmente tutelato della capacità contributiva.

Nel qual caso si riscontrasse nell’ordinamento tributario, leggi che dispongono: rinunce, transazioni, sconti, abbuoni delle imposte, è necessario verificare che queste non siano viziate dalla violazione dell’art. 53 Cost. Rispetto all’art. 17-bis del d.lgs. 546 del 1992

47 occorre riflettere in tal senso, in quanto al comma 7 dispone che “ il reclamo può

contenere una motivata proposta di mediazione, completa nella rideterminazione dell’ammontare della pretesa.”, se tale proposta di mediazione non è accolta, al comma

8 si dispone che “l’ufficio formula una proposta di mediazione avendo avuto riguardo

all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio dell’economicità della pretesa amministrativa.” In proseguo la

norma in commento, oggi più che mai, ripropone il quesito sulla vigenza nell’attuale ordinamento del tanto discusso dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria. La ratio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria rappresenta un canone di eguaglianza dei cittadini nell’ambito dei rapporti tributari e presuppone l’imperatività delle disposizioni, per i rappresentanti dello Stato e per i privati, relativamente all’individuazione delle fattispecie impositive, dei soggetti obbligati al pagamento, del suo ammontare, delle modalità e delle forme di accertamento e di riscossione.

A fronte di tutto questo, numerosi interventi legislativi degli ultimi anni hanno messo seriamente in dubbio il suindicato principio. Ne sono un esempio i condoni emessi a vario titolo, il concordato fiscale, la conciliazione giudiziale, gli altri istituti deflativi pre-contenzioso e soprattutto la transazione fiscale45. Pur tuttavia, le critiche sollevate in tema di compatibilità da parte di alcuni istituti transattivi con il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria hanno avuto finora una giustificazione spesso condivisibile.

L’art. 17-bis, introducendo invece un tentativo, di fatto obbligatorio, di mediazione per qualsivoglia materia del contendere, sortisce la possibilità (quanto meno astratta) di comporre anche le liti che appaiono certe nel presupposto impositivo e che restano afflitte dalla sola alea dell’esito giudiziale finale. Il potere dell’Amministrazione di rinunciare a parte del credito vantato va conciliato con il principio di indisponibilità della pretesa tributaria. Si è così affermata la legittimità di derogare a si fatto principio solo laddove la discrezionalità nella conclusione di accordi transattivi rimanga finalizzata a un’oggettiva maggiore economicità dell’azione. Appare apprezzabile che il

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Nell’ottica di salvaguardia dell’occupazione e della continuità d’impresa, il legislatore ha introdotto e potenziato alcuni strumenti di prevenzione dell’insolvenza e, tra questi, la transazione fiscale e previdenziale, disciplinata dall’art. 182-ter L.F. L’istituto della transazione fiscale rappresenta un’opportunità che, seppur di complessa elaborazione, può consentire all’impresa in crisi, nell’ambito di processi di risanamento e ristrutturazione, di ridimensionare il carico tributario e programmarne il pagamento, con facilitazioni ben superiori rispetto a quelle ordinarie, compatibilmente con le aspettative di recupero dell’equilibrio economico e finanziario dell’azienda.

48 legislatore, diversamente dall’intervento in materia di transazione fiscale46, abbia parzialmente limitato la discrezionalità dell’Agenzia delle entrate, stabilendo che la stessa, nel valutare l’opportunità di addivenire ad una mediazione, debba tenere in considerazione gli elementi come l’incertezza delle questioni controverse, il grado di economicità e principio di sostenibilità della pretesa. Si ritiene che tale valutazione, in ottemperanza ai principi di trasparenza, imparzialità e correttezza (che devono caratterizzare l’azione amministrativa ai sensi dell’Art. 97 della Cost.) debba risultare dall’atto stesso di mediazione in modo da consentire una verifica. Nonostante tali accorgimenti, però, alti i rischi di un uso distorto di istituti transattivi come quello in commento (che nell’ipotesi più ottimistica possono tradursi in una applicazione non uniforme in tutti il territorio nazionale) a fronte di vantaggi in termini di economicità dell’azione amministrativa che sono puramente teorici e che risultano di difficile prova. Ed anche se la tendenza del legislatore sembra segno opposto,non si può fare a meno di ribadire che il principio di indisponibilità della pretesa tributaria non è un ostacolo da rimuovere, bensì una garanzia di giustizia dell’ordinamento tributario essendo finalizzato ad assicurare l’imparzialità che si identifica, poi, con la stessa giustizia e che non appare per tanto da essa scindibile.

4.2 Il preventivo reclamo amministrativo e la violazione del diritto all’azione

Già in precedenza abbiamo parlato dell’obbligo sancito dall’art. 17- bis al primo comma “chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo”, segue il comma secondo “la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del

ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.” Dal

disposto si desume con chiarezza che il contribuente preventivamente all’azione giudiziale deve esperire azione amministrativa, pena l’inammissibilità del ricorso rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Quindi l’azione giudiziale è preventivamente condizionata a quella amministrativa, per tale motivo è necessario

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In relazione alla quale, è lasciata piena discrezionalità all’Amministrazione finanziaria nella valutazione dell’opportunità di aderire alla proposta transattiva, soggiacendo all’unico vincolo che la decurtazione delle ragioni erariali non può essere superiore a quello accettato da altri creditori della medesima classe o quelle inferiori.

49 riflettere se tale condizione, violi il diritto all’azione. Tale diritto è contenuto nell’art. 24 della Cost. Il primo comma dell’art. 24 della Costituzione afferma che “tutti possono

agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. Si tratta di una

norma che – diversamente da quanto si riscontra in altri articoli della Carta fondamentale – si rivolge a “tutti” e non solo ai “cittadini”, estendendo, in tal modo, la garanzia a qualunque soggetto – pubblico o privato- che dovesse entrare in rapporto con il nostro ordinamento e che possa vantare una posizione giuridica di vantaggio verso altri soggetti privati o verso la Pubblica amministrazione, per far valere un proprio diritto o interesse legittimo.

La Corte costituzionale sottolinea l’importanza di tale diritto47, conseguentemente, ogni norma che tentasse di eludere (o, addirittura, eliminare) la possibilità di agire in giudizio, senza prevedere, in ogni caso, la facoltatività della scelta procedurale, potrebbe di per sé violare il principio costituzionale alla difesa, attesa la sua rilevanza sul piano della garanzia costituzionale. Altro significato assumerebbe, allora, l’alternatività, ma solo se, in prima istanza, si sia garantita la facoltatività, appunto. In questo senso la Corte si è espressa, su procedimenti che sottoponevano l’avvio del processo ad un preliminare ricorso48, dichiarandoli incostituzionali in quanto comprimevano il diritto alla difesa. Ritenne infatti la corte che il diritto di azione non debba essere troppo difficoltoso ne possa subire ostacoli rappresentati decadenze, che

47 Con la sentenza n. 18 del 1992, sottolinea come il diritto alla tutela giurisdizionale vada considerato tra “i principi

supremi del nostro ordinamento costituzionale, in cui è intrinsecamente connesso – con lo stesso principio democratico – l’assicurare a tutti e sempre, per qualsiasi controversia, un giudice e un giudizio”

48Con la sentenza 406 del 1993 dispone che “Come la Corte ha costantemente affermato, gli artt. 24 e 113 della

Costituzione non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilita', la quale puo' essere differita ad un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalita' di giustizia, con il limite, imposto al legislatore, dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa. In tale ottica, la disposizione dell'art. 33, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, che in materia di rimborsi dell'imposta di bollo subordina l'esperimento dell'azione giudiziaria al previo ricorso al Ministero delle finanze, si pone in contrasto - come gia' del resto altre analoghe disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte - con l'art. 24 Cost.. Infatti, vertendosi in materia di rimborsi su accertamenti documentali, una volta che questi siano stati compiuti con esito negativo non si profilano esigenze che possano giustificare il differimento dell'esperibilita' dell'azione giudiziaria. Percio', assorbiti gli ulteriori motivi di censura, l'art. 33, ultimo comma, citato, va dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede, in materia di rimborsi d'imposta, l'esperibilita' dell'azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo. - Sui principi su enunciati, v. sent. nn. 154/1992 e 470/1990, e particolarmente, riguardo a norme che comminavano la decadenza dall'azione giudiziaria in relazione al mancato esperimento di ricorsi amministrativi, sent. nn. 15/1991 e 530/1989.”

50 come nel caso si verificano a causa di una preventiva procedura amministrativa. La corte con alcune sue successive pronunce ha dato conferma di tale orientamento49. Tornando al disposto dell’art. 24 della Costituzione, inevitabilmente, si pone in connessione con altre norme di garanzia. Così, dalla generalità del principio alla difesa (art. 24, co. 1, Cost.) si passa – quasi come un corollario – all’art. 113 della Cost., il quale regola la tutela giurisdizionale di diritti ed interessi legittimi “contro gli atti della

Pubblica Amministrazione” (art. 113, co. 1, Cost.).

Come è stato osservato, il tempo può costituire un limite al diritto d’azione, ma, contemporaneamente e per altri versi, può influire in favore di chi è parte (imputato) in un processo.

È un limite quando le procedure stabiliscono termini di decadenza per l’esercizio di un diritto. Così è, infatti, per il ricorso amministrativo, atteso che l’inerzia conduce all’impossibilità di agire per la tutela dei propri diritti o interessi legittimi, determinando la sopravvivenza di situazioni lesive o la efficacia e l’inoppugnabilità di atti amministrativi, benché illegittimi. Detto questo, il reclamo ha natura di istanza amministrativa, suscettibile di convertirsi in ricorso giurisdizionale all’esito (negativo) del contraddittorio svolto presso la Direzione provinciale o regionale dell’Agenzia delle entrate. Il preventivo reclamo amministrativo non fa decadere il diritto all’azione, ma ne ritarda l’attivazione. L’obbligatorietà della domanda di riesame amministrativo dell’atto, dilati i tempi per la proposizione del ricorso giurisdizionale. Ma allora è necessario riflette se tale ritardo leda il diritto all’azione. In questo senso ci viene in aiuto la Corte costituzionale, che ha costantemente affermato che gli artt. 24 e 113Cost. non impongono una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità,

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Con la sentenza n. 233 del 1996 si dispone che “E' costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24 e 113 Cost., l'art. 3, ultimo comma, della legge 24 gennaio 1978, n. 27 (recante "Modifiche al sistema sanzionatorio in materia di tasse automobilistiche"), nella parte in cui non prevede, avverso l'ingiunzione di pagamento dell'Ufficio del registro, l'esperibilita' dell'azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo, in quanto - premesso che, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, l'assoggettamento dell'azione giudiziaria all'onere del previo esperimento di ricorsi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilita' dell'azione ad un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, deve ritenersi legittimo soltanto se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalita' di giustizia, fermo restando che, pur nel concorso di tali circostanze, il legislatore deve contenere l'onere nella misura meno gravosa possibile - l'ampiezza della copertura offerta dai richiamati parametri costituzionali e' tale da colpire non solo l'esclusione della tutela giurisdizionale, soggettiva e oggettiva, ma anche qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o anche difficile l'esercizio, particolarmente ove si tratti di controversie, come quella oggetto del giudizio 'a quo', attinente solo all''an' della pretesa creditoria della Pubblica Amministrazione, che non implicano accertamenti tecnici in funzione dei quali appaia necessario che la fase giurisdizionale sia preceduta da un esame in sede amministrativa. - Cfr., pure, S. nn. 56/1995, 360/1994 e 406/1993. - V., inoltre, S. nn. 40/1993, 15/1991 e O. n. 315/1995. red.: G. Le”

51 che può essere differita a un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia. Tuttavia, anche nel concorso di queste circostanze, il legislatore è tenuto a osservare il limite imposto dall’esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali. In coerenza con tali premesse, sono state dichiarate illegittime disposizioni che comprimevano l’esercizio del potere di azione giurisdizionale perché comminavano la sanzione della decadenza in relazione al mancato esperimento di ricorsi amministrativi50.

La mancata presentazione del reclamo comporta l’inammissibilità del successivo ricorso giurisdizionale, ovvero una conseguenza analoga – sul piano del rispetto e dell’effettiva attuazione del diritto di difesa – alla decadenza o alle preclusioni previste dalle norme già censurate dalla Corte. E la dottrina non ha mancato di rilevare questo aspetto, prospettando dubbi di costituzionalità analoghi a quelli sollevati in passato in altre occasioni51. Va tuttavia osservato che, nel caso in esame, il differimento dell’azione giurisdizionale è previsto per permettere alle parti di instaurare una fase di mediazione amministrativa intesa a prevenire la lite processuale, e perciò assimilabile ai tentativi obbligatori di conciliazione già previsti dall’ordinamento e ritenuti legittimi dalla Corte costituzionale. In particolare, la Corte ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di costituzionalità delle norme del codice di rito che, regolando il tentativo obbligatorio di conciliazione delle controversie di lavoro, avrebbero ritardato l’esercizio dell’azione e generato questioni processuali inutili e contrarie alla finalità perseguita, come quelle concernenti appunto l’improcedibilità della domanda in difetto

Nel documento La Mediazione e il Reclamo (pagine 48-65)