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Il principio di riserva di legge nell’ambito del diritto amministrativo sanzionatorio

Le aliquote vanno fissate da parte degli Stati, rispettando il prin­ cipio di non discriminazione, vale a dire di una parità di trattamento

4. Il principio di riserva di legge nell’ambito del diritto amministrativo sanzionatorio

4.

Il principio di riserva di legge nell’ambito del diritto amministrativo

sanzionatorio.

Il significato del principio della riserva di legge non è lo stesso nell’ambito nè del diritto penale nè del diritto amministrativo sanzio­ natorio, essendo visibili gravi incoerenze come avvertito in diverse oc­ casioni dal Tc: l’identica natura giuridica di illecito penale e di illecito amministrativo non presuppone una subordinazione, in tutti i casi ed in forma indiscriminata, agli stessi principi; in concreto non può dirsi che i principi penali debbano trasporsi nel diritto sanzionatorio ammi­ nistrativo, giacché non si tratta di un’applicazione diretta ma che de­ ve farsi tenendo conto di «alcune particolarità» (S'rc 18/1981).

Ciò presuppone che il principio di riserva di legge non si applica in tutta la sua dimensione. Di conseguenza non è possibile, non senza preoccupazione, definire le caratteristiche proprie del principio de­ scritto. E neppure è possibile precisare quali siano le ragioni che giu­ stificano le conseguenze derivanti dalla sua applicazione, per adattare all’ambito del diritto amministrativo sanzionatorio i principi previsti dall’art. 24 della CE. Infatti la norma si riferisce in forma inequivoca­ bile alle garanzie processuali proprie del sistema giurisdizionale. Quin­ di non si possono trasporre letteralmente al campo del procedimento amministrativo sanzionatorio, salvo che per i profili necessari per tu­

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t e la r e i valori fondamentali che si trovano contenuti nella norma

( Ss t c 77/1983, del 3 ottobre e 74/1985 del 18 giugno); non tanto per i principi contenuti nell’art. 25 della CE, che d’accordo ad un interpre­ tazione letterale, risulta applicabile tanto al potere penale dei Tribu­ nali come alla potestà sanzionatoria dell’Amministrazione.

E che ciò sia in relazione ad alcuni principi affermati all’art. 25 della CE, è stato confermato dal Tc quando ha precisato che l’appli­ cazione non può farsi stridii sensu « in relazione alla normativa delle violazioni e sanzioni amministrative prendendo come riferimento fat­ tispecie e sanzioni penali stridu sensu » (Stc 42/1987 del 7 aprile, FJ2, in merito al principio di riserva di legge, che concordano con le sen­ tenze Stc 2/1987, del 21 gennaio, FJ9, e 69/1989 del 20 aprile, F J l); introducendo così, nel principio di riserva di legge, alcuni profili che non sempre dal punto di vista giuridico sono facilmente giustificabili.

4.1. Ci si sofferma ora ad analizzare l’art. 25 della CE che dice « nessuno può essere punito o sanzionato per azioni od omissioni che nel momento in cui si sono verificate non costituiscono delitto, o vio­ lazione amministrativa, secondo la legislazione al momento vigente ». Bisogna rilevare inizialmente che l’imprecisa redazione ha suscitato un dibattito attorno al contenuto ed ai limiti della potestà sanziona­ toria dell’Amministrazione, stabilita dalla norma, che « deriva dal principio di legalità delle violazioni e delle sanzioni », per trasformarsi, per il cittadino, in un diritto soggettivo », che consiste nel non subire sanzioni, se non nei casi normativamente disciplinati ed imposti dal­ l’Autorità competente » (St c 77/1983 del 3 ottobre FJ2).

Pure nel diritto di altri Paesi, il principio di legalità o la riserva di legge ha riconoscimento costituzionale, analogo all'art. 25.1 della CE. L ’ utilizzazione del termine « legislazione vigente » ha dato origine ad una confusione sull’esistenza o meno di riserva di legge in materia di sanzioni, confusione che non ha impedito l ’affermazione di questo principio in materia di violazioni amministrative e sanzioni tributarie, fondata su un’interpretazione congiunta degli artt. 25.1, 9.3, 53.1 e 103 della CE.

Alla riserva di legge ordinaria si deve aggiungere quella della Ley organica di diritto penale, interpretata dalla dottrina secondo gli artt. 25 della CE e 81.1 de la Lg t. Non basta: la giurisprudenza costituzio­ nale, come risulta dalla St c 25/1984 del 23 febbraio (FJ3), afferma che « la legislazione in materia penale si traduce nella riserva assoluta di legge. Orbene questa riserva di legge in materia penale, che vuol di­

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re riserva di Ley Organica, è un’affermazione che non può farsi senza collegare tra loro gli artt. 81.1 della Lgt e 25.1 della CE. Lo sviluppo dell’art. 81.1 che richiede una Ley Organica, si otterrà quando le corri­ spondenti norme sanzionatone si applicheranno ai diritti fondamenta­ li ».

L ’esistenza della riserva di legge non contraddice l’uso nella cita­ ta norma dei termini « legislazione vigente » che probabilmente può spiegarsi, con l’obiettivo della citata norma, di riferirsi unitariamente ad illeciti penali ed amministrativi.

In effetti, vista la sostanziale identità di entrambi gli illeciti, l’art. 25 del CE li regola congiuntamente, quando la funzione repressi­ va che si produce nell’uno e nell’altro ambito ha diversa intensità: nel campo penale si può essere privati della libertà o di altri diritti fonda- mentali a differenza — in principio — che nell’ambito amministrati­ vo, il che può richiedere due leggi diverse, una organica e un’altra or­ dinaria.

D ’altra parte, è logico che l’art. 25.1 della CE abbia impiegato una terminologia ambigua, per stabilire una riserva generica di legge, per essere applicata a tutto il sistema punitivo dello Stato, lasciando aperta la possibilità di distinguere tramite la Ley Organica od ordina­ ria i diversi profili del principio di legalità. Questo è stato l ’orienta­ mento che ha assunto il legislatore in materia tributaria, disciplinan­ do tramite la Ley Organica (Leyes 2/1985 del 29 aprile; 6/1995 del 20 luglio) la normativa della Lg t relativa alle violazioni amministrative tributarie.

Non ci sono dubbi sull’esistenza del principio di riserva di legge in materia di sanzioni che proprio il Tc ha affermato nella St c 77/1983 del 3 ottobre, stabilendo che il primo limite che trova la potestà san- zionatoria dell’Amministrazione nell’art. 25 della CE è la legalità. Di qui la necessità che la potestà sanzionatoria sia basata sulla legge. Successivamente nella St c 42/1987 del 7 aprile precisa il termine « le­ gislazione vigente » dicendo « il termine “ legislazione vigente” conte­ nuto nell’art. 25.1 è l’espressione della riserva di legge nel diritto am­ ministrativo sanzionatorio ». La sua applicazione non è limitata alle fattispecie e sanzioni penali, e « determina la necessità che la potestà sanzionatoria dell’Amministrazione sia fondata in una legge » ( St c

72/1983 del 3 ottobre), giacché il potere sanzionatorio dell’Ammini- strazione ha carattere eccezionale.

È chiaro, dal punto di vista formale, « il rango delle norme che individuano le fattispecie » delle violazioni amministrative e delle san­

zio n i, n el senso ch e il te r m in e legislation vigente è s ta to in t e r p r e t a t o in sin tesi n el F J 5 d e lla St c 3/1988 d e l 21 g e n n a io e s u c c e s s iv a m e n te n el senso c h e il p r in c ip io d i le g a lità si tra d u c e in un d ir it t o s o g g e t t iv o d i n a tu ra fo n d a m e n ta le (St c 77/1983 d e l 3 o t t o b r e ), p r o t e t t o con l ’ a m p io ric o rs o d’amparo c o s titu z io n a le ».

Prescindendo da altre questioni che allungherebbero questa rela­ zione, una volta affermata l’esistenza di una riserva di legge in mate­ ria di violazioni e sanzioni amministrative, bisogna domandarsi con quale intensità la legge stabilisce direttamente ed in forma categorica questo principio o se solamente deve dare criteri generali volti a deli­ neare la disciplina concreta, o parte di essa, in via regolamentare. In definitiva se la riserva di legge ha carattere assoluto o relativo.

Anche se la questione sia dubbia per alcuni autori, la St c 25/1984 del 23 febbraio, ha riconosciuto l’esistenza di una riserva di legge asso­ luta in materia di violazioni amministrative tributarie; tuttavia que­ sta tesi non ha fondamento alcuno, perché non esiste nessuna norma costituzionale che così stabilisca, e neppure nessuna interpretazione del Tc. In effetti, anche se la riserva di legge è un mandato costituzio­ nale che s’impone al legislatore democratico, limitando il suo potere per attribuire all’Amministrazione la facoltà di legifieare per determi­ nate materie, non significa che la legge contenga rinvìi o norme rego­ lamentari, se non unicamente « che tali rinvii rendano possibile una norma indipendente e non chiaramente subordinata alla legge, perché questo suppone una degradazione della riserva fatta nella Costituzio­ ne in favore del legislatore » (St c 83/1984 del 24 luglio).

Perciò avendo presente la funzione della riserva di legge emer­ gente dall’art. 25.1 della CE e le particolarità proprie del suo oggetto non ci si dovrebbe sorprendere che la St c 42/1987. del 7 aprile (FJ2), abbia affermato « l'interpretazione della riserva di legge stabilita nel- l’art. 25.1 non può essere restrittiva rispetto alle leggi che prevedono violazioni e sanzioni amministrative, come un rinvio alle fattispecie e sanzioni penali stristu sensv. Lo impediscono anche pure, ragioni di ri- partizione delle potestà pubbliche, provenienti dal modello costituzio­ nale; inoltre ragioni, che non si possono dimenticare, che riguardano le potestà regolamentari in certe materie ( St c 2/1987 del 21 gennaio), ed anche da ultimo esigenze di prudenza e di opportunità che possono variare nei diversi ambiti dell’ordinamento territoriale ( St c 87/1985 del 6 giugno) o materiale » (nello stesso senso Ss t c 101/1988 dell’8 giu­ gno FJ3 e 29/1989 del 6 febbraio FJ2).

Per queste ragioni si può affermare che il principio di legalità nel­ — 270 —

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l’ambito del diritto amministrativo sanzionatorio « come esigenza del­ la legge per tipizzare le infrazioni amministrative non deve interpre­ tarsi in maniera assoluta », opinione che può considerarsi maggiorita­ ria in dottrina per le infrazioni e sanzioni tributarie, dove esiste una tendenza che afferma che si sia in presenza di una riserva relativa, in modo che solo sarebbe necessario che la legge prevedesse i profili suffi­ cienti per determinare i limiti entro i quali può emanarsi un regola­ mento, il cui contenuto sarà definito da una legge di autorizzazione. Praticamente la dottrina e la giurisprudenza dei più A lti Tribu­ nali Spagnoli, analogamente a quelle di altri Paesi, riconoscono che nell’attuale sviluppo dello Stato sociale il ricorrere alle fonti regola­ mentari è inevitabile, e conveniente in tutte le materie del c.d. diritto penale economico; per questo la riserva di legge del diritto ammini­ strativo sanzionatorio si definisce come « tendenzialmente assoluta » nel senso che la legge seleziona i fatti per definire la tipologia della condotta vietata, il bene giuridico tutelato e la sanzione applicabile, mentre si limita il regolamento ad una semplice normativa tecnica, al­ la specificazione della fattispecie nel suo disvalore giuridico.

Apparentemente lo schema seguito dalla normativa sulle viola­ zioni tributarie in Spagna è quello descritto nel paragrafo precedente. Dopo la legge 95/1995, anche se il contenuto del primo paragrafo del- l ’art. 77.1 della Lc t considera infrazioni tributarie le fattispecie san­ zionate « nelle leggi », il paragrafo secondo dello stesso articolo indica che le infrazioni e sanzioni « si giudicheranno secondo questa legge e le restanti norme tributarie », l’art. 78.2, viene ad ammettere che « nei li­ miti stabiliti dalla legge » le norme regolamentari dei tributi specifica­ no i presupposti delle violazioni semplici in accordo con la natura e la caratteristica delle singole imposte. Quest’ultima norma introdotta dalla legge 10/1985 è stata fortemente criticata sotto il profilo della le­ galità sanzionatoria, ma il Tc non si è potuto pronunciare nella sen­ tenza 76/1990 del 26 aprile, giacché i ricorrenti hanno fatto riferimen­ to indirettamente all’art. 78.2 della Lg t « non si aggiunge nessun alle­ gato o motivo d’impugnazione (...), e neppure si menziona l ’articolo (...) fra i precetti espressamente impugnati, né nell’introduzione, né nelle motivazioni scritte del ricorso, e pertanto non sono state messe in discussione » (FJ5).

La questione è stata, tuttavia, risolta dalla interpretazione conse­ guente alle altre sentenze del Tc, come la St c 42/1987 del 7 aprile (F J 2 ), dove si è precisato che la riserva stabilita dall’art. 25.1 della CE estende la sua efficacia, a quanto stabilito in altre norme costitu­

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zionali, e che, pertanto non include « la possibilità che le leggi conten­ gano rinvii a norme regolamentari » solo quando con tali rinvìi si ren­ da possibile la creazione di una normativa indipendente e non invece subordinata alla legge (St o 83/1984 del 24 luglio), in quanto questo potrebbe presupporre una degradazione della garanzia fondamentale che il principio di riserva di legge contiene: assicurare che la normati­ va sulle libertà che spettano ai cittadini derivi esclusivamente dalla volontà dei suoi rappresentanti. In questo modo si stabilisce come li­ mite per la validità della legislazione in materia ammmistrativa san- zionatoria, l’esistenza di una norma materiale che preveda la violazio­ ne tributaria, ed in particolare nell’art. 78.2 della Lg t.

4.2. Assieme a questa garanzia di carattere formale relativa al sistema di produzione normativa, il Tc ne ha identificato nell’art. 25.1 della CE una seconda, « di ordine materiale e di efficacia assoluta » tanto in ambito strettamente penale quanto in quello delle sanzioni amministrative, garanzia che riflette la speciale influenza del princi­ pio di certezza in materia di libertà individuale, e si traduce nell’im­ perativa esigenza di predeterminare la normativa delle condotte illeci­ te e delle sanzioni corrispondenti (49/1987 del 27 aprile, FJ2: la sua interpretazione viene confermata nel Stc 3/1988 del 21 gennaio, 8 giu­ gno FJ3; 29/1989 del 6 febbraio FJ2; 69/1989 del 20 aprile F J l e 136/1989, del 19 luglio FJ3).

Così si riconosce, come una delle manifestazioni del diritto fonda- mentale consacrato nell’art. 95.1, il principio di tipicità. Questo non può spiegarsi solamente con la mera previgenza della previsione nor­ mativa all’azione od omissione punita: si esige che la sua individua­ zione sia precisa, in modo che si trovi in essa chiaramente delineata la condotta sanzionabile. Il principio di tipicità giustifica l’esigenza di lex certa o, se si preferisce l’esigenza di certezza o di chiara precisione del comportamento del soggetto, della tassatività della determinazio­ ne legale delle condotte che costituiscono l’infrazione, e pertanto l’ap­ plicazione della sanzione, che riguarda il principio di legalità è perfet­ tamente coerente con l’art. 25.1 della CE.

Tale esigenza può essere soddisfatta attraverso diverse tecniche sempre che i comportamenti illeciti siano definiti chiaramente nella norma che li configura come sanzionabili; o come dice la St c del 16 giugno 1984, sempre che la norma che individua la condotta costituti­ va dell’illecito sia precedente alla realizzazione dell’azione: a garanzia del fatto che la qualificazione come infrazione di una determinata

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condotta « non è facoltà discrezionale dell’Amministrazione ma pro­ priamente attività giuridica che esige come presupposto obiettivo il previo inquadramento normativo della fattispecie ».

In realtà, malgrado ciò nell’ambito sanzionatorio tributario sono frequenti le fattispecie imprecisamente delineate ed ambigue, le for­ mule aperte ed in bianco e le clausole di estensione analogica, che molte volte impediscono di conoscere con certezza quali siano le con­ dotte sanzionate, in contrasto con il principio di tipicità di cui all’art. 77.1 Lg t, di stabilire come infrazioni « le azioni e omissioni tipiche e sanzionate nella legge ». Nella normativa vigente in materia, originata dalla legge 95/1985, si è fatto ricorso a forme imperfette di tipizzazio­ ne che non sono esenti da problemi.

In primo luogo, per il carattere in certo modo incompleto dei tipi di infrazione, che, a somiglianza delle c.d. « norme sanzionatone in bianco », proprie del Diritto Amministrativo sanzionatorio, specifica- mente in materia economica, vanno integrati con la normativa tribu­ taria relativa alle infrazioni. In effetti, non è possibile accertare se si è omesso totalmente o parzialmente il versamento dell’ammontare del­ l’imposta, se si è ottenuto un beneficio fiscale, se non si fa riferimento alle norme materiali che disciplinano il tributo, norme che in definiti­ va dovranno essere utilizzate per stabilire se sia intervenuta o meno la violazione della norma.

La tipologia dei delitti tributari, presuppone pure una condotta specifica come l’ammontare dell’imposta, le ritenute, etc., l ’obbligo di tenuta dei registri contabili; ma la tipizzazione è ancora più imprecisa — solo apparentemente — nel campo delle violazioni amministrative tributarie, per la loro stessa natura giuridica.

In effetti, per regola generale, le norme penali non proibiscono nè ordinano niente, ma si limitano solamente ad ammonire che determi­ nate condotte saranno punite: pertanto non esistono delitti oltre a quelli di cui alle fattispecie tipiche. Al contrario, le sanzioni tributarie tipiche non sono autonome, ma fanno rinvio ad altre norme che con­ tengono divieti o obblighi, perché per l’inadempimento del contri­ buente si presuppone l’applicazione di una sanzione. Per tali ragioni le tipologie di violazioni amministrative tributarie difficilmente posso­ no ritenersi complete e direttamente individuanti la condotta illecita, ma per regola generale ciò nasce dell’unione delle due norme. La nor­ ma che stabilisce l’obbligo o il divieto è quella che avverte che a qual­ siasi inadempimento corrisponderà una sanzione.

ta delle infrazioni, attraverso l’elencazione tassativa delle condotte, salvo alcune eccezioni, è praticamente impossibile. Su questo punto la giurisprudenza ha riconosciuto, nella Stc 219/1989 del 21 dicembre: « non viola l’esistenza della lex certa il rinvio, per l’individuazione del precetto delle violazioni amministrative, ad altre norme che discipli­ nano obblighi e doveri concreti. Sempre che sia già individuabile nella disposizione legislativa con un sufficiente grado di completezza, la pe­ na che deriva da quell’inadempimento ».

Di fronte alle critiche che si sono manifestate nei confronti della tipizzazione delle violazioni amministrative tributarie ordinarie san­ zionate dalla 1. 10/1985, le modificazioni introdotte con la 1. 25/1985 hanno perfezionato tecnicamente la descrizione della tipologia con l’art. 78.1 della Lg t, poi con l’art. 82 hanno introdotto criteri di gra­ duazione delle sanzioni in modo da soddisfare sufficientemente la con­ dizione della tipizzazione. In ciò che si riferisce alla tipizzazione delle sanzioni, contrariamente ai principi stabiliti in ambito penale, dove esiste una relazione diretta fra il delitto e la pena, dal punto di vista amministrativo sanzionatorio — come pure tributario — la legge dif­ ficilmente può ampliare la classificazione del tipo di violazione ammi­ nistrativa, prevedendo per ogni violazione un cumulo di sanzioni an­ che flessibili. In tal modo l’Amministrazione, in considerazione dei singoli casi, e nel rispetto dei criteri di graduazione della sanzione le­ galmente stabiliti, applicherà una sanzione per ogni violazione ammi­ nistrativa. Questo sistema non è l’unico applicato, ma costituzional­ mente è l’unico corretto secondo la St c 207/1990 del 17 dicembre, nel­ la quale si ammette una certa flessibilità in merito alla corrispondenza tra violazione amministrativa e sanzione: « si può lasciare un certo margine più o meno ampio alla discrezionalità del giudice o dell’Am ­ ministrazione, ma in nessun modo si può lasciare completamente a lo­ ro l’applicazione della medesima ».

4.3. I principi esaminati finora sono stati raccolti nell’art. 25.1 della CE e costituiscono, come ha precisato la St c 1133/1987 del 21 lu­ glio (FJ4), « Un’evoluzione dello Stato di diritto sulla facoltà d’impor­ re sanzioni da parte dell’Amministrazione ». Da questi principi deriva una serie di regole che rafforzano le garanzie dell’amministrato a fron­ te della potestà sanzionatoria deH’Amministrazione, per una maggiore certezza giuridica, che trovano fondamento nel principio costituziona­ le di legalità sanzionatoria.

Questi principi e regole, non sempre trovano chiaro fondamento — 274 —

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nella lettera dell’art. 25 della CE, ma si considerano contenuti nel di­ ritto penale democratico, precisamente per la loro applicazione nel campo delle sanzioni del diritto tributario, nonostante permangano dubbi ed incertezze. È conveniente, in ogni caso, fare alcune precisa­ zioni, senza scendere tuttavia nel particolare.

a) La prima riguarda il principio d’irretroattività della legge, assoluto per le norme sanzionatone penali, secondo l’esigenza di lex previa, di cui all’art. 25.1 della CE e sancito pure nell’art. 9.3 che ri­ guarda « le disposizioni sanzionatone sfavorevoli o limitative di diritti personali » che ha provocato dubbi di costituzionalità delle citate nor­ me, con le conseguenze negative sulle decisioni dei giudici.

L ’opinione della dottrina in merito al principio d’irretroattività, come manifestazione indiretta del principio di legalità, secondo la giu­ risprudenza del Tc nelle sue St c 8/1981, del 30 marzo (FJ3), 15/1981 del 7 maggio (FJ7), 35/1981 dell’ l l novembre (FJ3), 131/1986 del 29 ottobre (FJ2) e 237/1993 del 12 luglio, sembra volta a considerarne il fondamento nell’art. 9.3 della CE, almeno in riferimento al problema della retroattività della legge più favorevole, che a sua volta deve in­ tendersi legata al principio d ’irretroattività in materia sanzionatoria, in merito alla esclusione del ricorso di amparo constitucional.

b) In secondo luogo, un altro principio derivato dell’art. 25.1 della CE è quello della proibizione dell’analogia in peius nell’applica­ zione delle norme che disciplinano violazioni e sanzioni. In questa ma­ niera, rimane esclusa, secondo il principio di legalità (che comporta l’esigenza della lex strida) la procedura analogica come fonte di crea­ zione di violazioni e sanzioni non espressamente tipizzate dalla legge. Così si limita l’attività giudiziaria e si evita che il giudice si trasformi