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Dall'interazione delle concezioni delle modalità e dei tempi verbali suddette con enunciati che contengono tempi al futuro sorge l'annoso problema presentato dallo stesso Aristotele nel nono capitolo del De interpretatione, e che consiste nel chiedersi se – al pari degli enunciati al passato e quelli al presente – anche per le coppie di affermazioni contraddittorie che vertono su eventi futuri valga la regola per cui l'una è (necessariamente) vera e l'altra (necessariamente) falsa, e se ciò comporti poi una qualche forma di fatalismo. È il problema dei cosiddetti 'futuri contingenti'.

La risposta soltanto abbozzata di Aristotele alla difficoltà sulla contingenza dei futuri si trova in De Interpretatione 9, 19a23-39 ed è stata variamente interpretata dai commentatori21. La celebre soluzione di Boezio

– in entrambi i suoi commenti – consiste nel dire che una parte della contraddizione è vera e l'altra è falsa in maniera indefinita, ciascun lato cioè gode della proprietà disgiuntiva di essere vero-o-falso, senza però essere attualmente vero o falso22.

Alberto sembra accettare l'idea boeziana secondo cui nelle coppie di affermazioni contraddittorie vertenti su eventi futuri non c'è una determinata veritas/falsitas, dal momento che ciascuna di esse può

21 ARISTOTELES LATINUS II 1-2, De interpretatione, ed. L. Minio-Paluello, p. 17.

22 Cfr. S. KNUUTTILA, Medieval Commentators on Future Contingents in De Interpretatione 9, in «Vivarium», 48 (2010), pp. 78-79. W. L. CRAIG, The Problem of Divine Foreknowledge

and Future Contingents from Aristotle to Suarez, Brill, Leiden-New York-København-

Köln 1988, pp. 86-87. I termini 'enunciato' e 'proposizione' sono usati interscambiabilmente, in accordo con l'uso albertino dei termini enuntiabile (o

egualmente accadere e non accadere (ad utrumlibet se habent). Negare ciò equivale a distruggere la nozione stessa di contingenza23. Nel difendere la

sua posizione Alberto richiama una formulazione «linguistica» del Principio di non contraddizione (affermatio vel negatio nunquam simul de aliqua vera erunt) e sostiene che essa può venir intesa soltanto come necessità della disgiunzione, ma non dei membri disgiunti, il che equivale a escludere la validità di ciò che oggi viene chiamato principio di bivalenza. Non possiamo quindi assegnare valori di verità determinate alle proposizioni riguardanti eventi futuri, poiché in questo tipo di enunciati manca ancora l'elemento che causa la verità o la falsità dell'enunciato stesso, ossia la res, in assenza della quale il semplice atto di affermare o negare non può essere vero o falso24. Dobbiamo guardare alla cosa stessa e

alle cause delle cose per stabilire se qualcosa accade o non accade25.

In questo quadro, dunque, spetta all'evento (cioè all'essere in atto di una res) il ruolo di fornire un valore di verità alla proposizione, esso è il cosiddetto truth-maker26. Di conseguenza, necessità e contingenza si

23 ALBERTUS MAGNUS, Commentarium super Perihermenias, l. 1, t. 5, c. 4, Ed. Paris., p. 418a: «[...] quia aliter non esset contingens».

24 Ivi, p. 418b: «Res enim ipsa causa est veritatis vel falsitatis: et dicere affirmativum vel negativum nihil facit ad hoc quod res sic vel non sic eveniat: propter dicere sive affirmare res non magis sic vel sic habebit se».

25 Ivi, p. 420b: «Sed manifestum est, quod in ipsa re et causis rerum ita se habet, vel quod fit, vel quod non fit».

26 Con tale termine intendiamo dunque ciò che è responsabile della verità/falsità di un enunciato, una nozione simile si trova in Aristotele (Categorie 14b, 14-22), cfr. ARISTOTELES LATINUS I 1-5, Categoriae, ed. L. Minio-Paluello, p. 38: «nam, si est homo, verus sermo est quo dicimus quod est homo, et convertitur […]; est autem verus sermo nullo modo causa subsistendi rem, res autem videtur quodammodo causa esse ut sermo verus sit». Nell'ottica di Alberto, dunque, un truth-maker non può essere una proposizione, ma soltanto qualcosa che è nel mondo. Il suo modo di render vero non è quello dell'implicazione logica, ma una forma di relazione che somiglia alla

necessitation di cui parla Armstrong, cfr. D. M. ARMSTRONG, Truth and Truth-makers, Cambridge University Press, New York 2004, p. 6.

predicano anzitutto di enti e di relazioni causali, e solo secondariamente denotano proprietà di enunciati:

Cum ergo orationes similiter verae sunt quemadmodum et res: quia in eo quod est res vel non est, oratio vera vel falsa dicitur, et sic se habent orationes ad necessitatem et contingentiam sicut et res. […] [N]ecesse est quod contradictoria similiter se habeant sicut res, hoc est, quod utrumque eorum determinate acceptum et possit esse et possit non esse. Hoc autem contingit in contingenti materia tantum: haec enim sunt talia, quod nec semper sunt, nec semper non sunt, sed aliquando sunt, et aliquando non sunt27.

È chiaro che il caso dei futuri contingenti è la spia di una concezione secondo cui le modalità vengono profondamente determinate da un quadro metafisico secondo cui gli enunciati mutuano il loro carattere di necessità o contingenza dal tipo di esistenza degli enti a cui si riferiscono. Conseguentemente, se un ente è necessario (cioè se esiste in ogni possibile istante) ogni enunciato vertente su di esso e contenente un qualunque tempo verbale sarà determinatamente vero o falso ad ogni possibile enunciazione, dal momento che esso svolge in ogni momento il ruolo di ciò che rende vera o falsa (truth-maker) delle proposizioni che lo riguardano28.

27 ALBERTUS MAGNUS, Commentarium super Perihermenias, l. 1, t. 5, c. 4, Ed. Paris., p. 422a. 28 Si usa ammettere che negli enunciati 'Dio esiste', 'tre è un numero primo' e 'Mario è in

cucina' ricorre lo stesso verbo al presente, ma con la differenza che nei primi due casi il verbo è usato atemporalmente e nel secondo caso temporalmente. Nel primo caso abbiamo un enunciato temporalmente definito, il cui valore di verità è indipendente dal momento dell'enunciazione, nel secondo invece l'enunciato è temporalmente

indefinito e il suo valore di verità dipende direttamente dal momento