La pace, fenomeno di lunga durata come pochi altri, rientra a pieno titolo in quell'ambito che Mario Sbriccoli definisce “giustizia negoziata”, caratterizzato da uno spiccato carattere comunitario, diretto principalmente alla riparazione delle offese, dominato dall'oralità e regolato da norme e prassi condivise. Una giustizia che nell'affidarsi ad un giudice terzo, non lo individuava nell'esponente di un sistema strutturato in apparati, ma in un arbitro, designato dalle parti, di una contesa tra soggetti negozialmente paritari. Una giustizia molto variegata, che vedeva composizioni, transazioni, paci e quant'altro posare il loro carattere giudiziario
sull'elemento della riparazione, condizione alla base della riconciliazione finale. Una giustizia che ai nostri occhi può non sembrare operare in maniera troppo corretta, ma che molto probabilmente era vista all'epoca come l'unica pensabile, o quantomeno sicuramente più accettabile dell'altra giustizia possibile, quella egemonica dei poteri pubblici di apparato, che volendo far rispettare le leggi rischiava di apparire troppo repressiva e si allontanava dall'idea di giustizia da lungo tempo radicata nella società47.
Queste erano categorie ben radicate nell'anima degli uomini del tempo ed erano le stesse che guidavano la sensibilità dei giudici medievali, ai quali era parso chiaramente pericoloso infliggere condanne senza considerare il parere della parte offesa. Proprio per questo motivo l'attività ordinaria delle corti di giustizia italiane era avvolta dai forti legami che cingevano giustizia pubblica e modi privati di composizione delle dispute. Le paci private non solo erano accettate, ma addirittura incentivate dalle istituzioni pubbliche, che le vedevano in molti casi come il modo più veloce e gradito dalle parti in causa di risolvere le controversie mantenendo l'ordine pubblico. Tali pacificazioni erano poi caratterizzate da un profondo sovrasenso religioso: il forte nesso fra perdono, penitenza e riconciliazione che veniva espresso nei manuali dei confessori, avvolgeva con un mantello di sacralità le pratiche conciliative. In questo mondo, caratterizzato da una società cristiana che si diceva disposta a cancellare le peggiori infrazioni se gli uomini dimostravano la volontà di perdonare, dimenticando ogni impulso vendicativo, era normale che le vie della giustizia laica si intrecciassero facilmente con quelle della giustizia religiosa. In sostanza il perdono concesso al reo da parte della famiglia dell'offeso, poteva bastare alle istituzioni pubbliche per spezzare l'itinerario della causa in corso; queste infatti non si preoccupavano delle fasi intermedie delle trattative: colloqui fra le parti, negoziazioni per stabilire l'importo di un eventuale risarcimento, scrittura dell'atto di pace, erano tutti compiti lasciati per la maggior parte alle famiglie dei contendenti ed
47 Cfr. M. SBRICCOLI, Giustizia negoziata, giustizia egemonica. Riflessioni su una nuova fase
degli studi di storia della giustizia criminale, pp. 345 – 364, con particolare attenzione al
paragrafo 4, Giustizia negoziata e giustizia egemonica. Due tendenze nell'evoluzione del penale, in M. BELLABARBA a cura di, Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche
ai loro rappresentanti. L'unica cosa che interessava alle istituzioni, era prendere atto dell'eventuale pace conclusa tra le famiglie, ovviamente nei modi e nei tempi previsti dagli statuti cittadini.
A livello giuridico quindi, si poteva contare su una certa flessibilità delle procedure necessarie per arrivare ad un accordo. Flessibilità che invece, non era propria delle azioni rituali che si compivano durante lo svolgimento della cerimonia pubblica di pacificazione. Proprio questo bisogno di solennità dei rituali di pacificazione quattro-cinquecenteschi, accompagnato da un altro grande bisogno, quello di pubblicità, faceva sì che solitamente questi avessero luogo di fronte all'intera comunità, agli occhi della quale, in chiese o vie affollate, venivano svolti quei gesti simbolici, come il bacio, che si sono già visti più sopra. In tale maniera il rituale sanciva non solo l'avvenuta riconciliazione tra due famiglie, ma anche il ritorno all'interno della società del reo.
Anche se questo aspetto comunitario venne un po' a mancare nel corso del Seicento48, l'importanza delle pacificazioni private rimase. Come ha dimostrato lo storico Marco Bellabarba – occupandosi proprio del valore pubblico assunto da questi atti privati – l'ottenimento di una charta pacis era, in teoria, l'unico modo per rimanere lontano dal patibolo per chi fosse stato incolpato di omicidio: dimostrare di essersi riappacificato con la parte lesa era dunque il requisito essenziale per poter poi implorare la grazia al potere costituito ed ottenere per questa via una mitigazione della pena. La forca poteva così essere commutata in una più consolante pena pecuniaria, o in un periodo di prigione, galera o esilio. Ma l'ottenimento della charta
pacis non era scontato, e nonostante che ne venissero confezionate moltissime, la
realizzazione della pace non era cosa banale a causa dei vari intoppi cui si poteva andare incontro, primo fra tutti la mancata volontà di concedere il perdono da parte di chi era stato offeso. Difficoltà che nei casi di omicidio erano tra l'altro accentuate dal fatto che doveva essere stabilito quali fossero i soggetti abilitati a concedere il perdono, se la parentela agnatizia dell'offeso, oppure tutti i titolari del diritto
48 Cfr. Marco BELLABARBA, Pace pubblica e pace privata: linguaggi e istituzioni processuali
nell'Italia moderna, p. 207, in M. BELLABARBA a cura di, Criminalità e giustizia cit., pp. 189 –
ereditario, inclusi i rami femminili. Erano solitamente difficoltà cui, con un po' di pazienza e buona volontà, si riusciva a porre rimedio, ma nel caso in cui non si fosse riusciti ad ottenere la pace, la strada verso la grazia si faceva più complicata, anche se non si precludeva del tutto: era infatti costume diffuso in molti Stati italiani la concessione della grazia anche in assenza di un atto di pace. Sicuramente era così per quanto riguarda il Granducato di Toscana, ma anche nel Ducato sabaudo, nella Repubblica di Venezia e nello Stato pontificio «il Sovrano può fare queste grazie, ancorché non precedesse la pace, o la remissione della parte offesa, col concedere qualche dilazione ad ottenerla, o veramente col supplire il consenso e con l'ordinare la refezione dell'interesse, secondo che gli parerà»49.
Anche nei casi di reati meno gravi comunque, l'ottenimento della pace assicurava un trattamento preferenziale, procurando solitamente uno sconto delle pene sia detentive che economiche. Riguardo queste ultime può essere preso ad esempio lo statuto pesciatino del 1339, secondo cui la pena fissata per chi avesse stuprato o rapito una vergine, corrispondeva a 200 lire di denari piccoli (pena molto alta, seconda solamente alle sanzioni per omicidio o rapina); al reo però si presentavano anche delle soluzioni alternative: una era sposare la vittima entro un mese dall'emanazione della sentenza; un'altra era ottenere un atto di pace da lei e dai suoi parenti. In tale caso la sanzione scendeva a 50 lire, la metà delle quali sarebbe spettata alla parte offesa50.
Sembra proprio che la natura stessa della pace si riflettesse direttamente sulle istituzioni che ne permettevano l'adozione. Mi spiego meglio: esattamente come per ottenere la pace era necessaria una grande abilità nella mediazione e l'essere disposti a venire a patti con la parte avversa, al fine di arrivare ad un compromesso che potesse andare bene ad entrambe, sembra che per arrivare ad una soluzione giuridica che salvaguardasse l'ordine pubblico, le istituzioni fossero disposte non solo alla
49 Il passo in questione è di Giovanni Battista DE LUCA, Il Dottor volgare, ovvero il compendio di
tutta la legge civile, canonica, feudale e municipale …, evidenziato da M. BELLABARBA, Criminalità e giustizia cit., p. 205. Anche per quanto riguarda il caso toscano M. BELLABARBA, Criminalità e giustizia cit., p. 204, in cui lo studioso si serve di alcuni passi della Pratica universale del Savelli.
mediazione di uno strumento privato, come la pace, con cui venivano a patti con le parti in causa, sacrificando parte del loro potere giudiziario, ma addirittura a trovare escamotages e soluzioni di compromesso, come la concessione della grazia anche in assenza di un accordo di pace, che, seppur al di fuori dei canoni statutari, erano visti come la soluzione migliore per la salvaguardia dell'ordine sociale.