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Procediamo con ordine Un primo significativo intervento

prestazioni atletiche, collocava il rapporto di lavoro sportivo, fra i

rapporti di parasubordinazione

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Poco sembrava adattarsi la subordinazione al rapporto di lavoro

sportivo, non solo per la presenza di vincoli che seppur funzionali al

migliore espletamento della prestazione avevano pur sempre evidenti

ricadute anche nella sfera personale e familiare dell‟atleta

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non

riscontrabili nelle ordinarie obbligazioni di lavoro, ma anche per il

carattere ludico delle mansioni a cui l‟atleta era chiamato e che

riservava pur sempre una certa libertà d‟invenzione, poco confacente

con il carattere della subordinazione.

Nonostante ciò, la dottrina maggioritaria era propensa a

ricondurre l‟attività degli atleti nel rapporto di lavoro subordinato

ispirandosi alla disciplina codicistica di cui all‟art. 2094 c.c.

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Se in dottrina, dunque, le posizioni erano alquanto varie, la

giurisprudenza, pur con isolate posizioni contrastanti, si è

notevolmente impegnata ad adattare il rapporto di lavoro subordinato

allo sport, inquadrando la prestazione dell‟atleta come lavoro

subordinato.

Procediamo con ordine. Un primo significativo intervento

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Non potendosi prescindere nello svolgimento dell‟attività sportiva anche da un notevole sforzo intellettivo, S. GRASSELLI, L’attività dei calciatori professionisti

nel quadro dell’ordinamento sportivo, in Giur. It., 1974, pp. 4 ss., già citato tra

coloro i quali riconducevano il rapporto di lavoro sportivo nel lavoro autonomo, riteneva appunto estensibile la disciplina contenuta negli art. 2222 ss. c.c., (da ciò faceva derivare tra l‟altro l‟inammissibilità del recesso unilaterale dell‟atleta e la configurabilità di una collaborazione coordinata e continuativa).

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Si pensi, ad esempio, ai ritiri in preparazione delle gare.

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In tal senso, A.MARTONE, Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir.

sport., 1964, pg. 117; C. GIROTTI, Il rapporto giuridico del calciatore

professionista, in Riv. dir. sport., 1977, pg. 183; R. BORRUSO, Lineamenti del

contratto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1963, pg. 72; F.POCHINI FREDIANI,

Aspetti sostanziali e processuali del “vincolo” dei calciatori professionisti, in Riv. dir. sport. 1967, pg. 179.

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giurisprudenziale risale al 1953 quando la Corte di Cassazione, con la

sentenza n. 2085

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affermò che il rapporto che legava un calciatore

all‟associazione calcistica, fosse un rapporto di appartenenza e

qualificò il relativo contratto di lavoro come di prestazione d‟opera,

fonte soltanto di un diritto di credito (tra l‟altro non risarcibile). Una

successiva pronuncia del 1961

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segnò un radicale mutamento

d‟indirizzo dei giudici di legittimità, i quali evidenziando i

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Cass., 4 luglio 1953, n. 2085, in Giur. lav., 1953, I, 1, pg. 828. In seguito alla sciagura aerea di Superga del 1949, nella quale perì l‟intera squadra di calcio del Torino, l‟associazione calcio Torino citò in giudizio la compagnia aerea sul cui aereo viaggiava la squadra, chiedendo le venisse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno derivante da lesione del credito, non potendo più godere delle prestazioni dei propri calciatori. La Suprema Corte respinse la domanda affermando, tra l‟altro, che il rapporto che legava un calciatore all‟associazione calcistica era un rapporto di appartenenza, configurando il contratto di lavoro come di prestazione d‟opera. In quell‟occasione la Cassazione affermò che le particolari caratteristiche del rapporto tra calciatori e società sportiva che li ha ingaggiati e gli ampi poteri dispositivi e di controllo potessero, al più, far considerare atipici i contratti che attengono alla prestazione di attività agonistica, ma non ne snaturano l‟essenza giuridica, che resta quella di un contratto di lavoro, fonte di un diritto di credito ritenuto all‟epoca, tra l‟altro, irrisarcibile.

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Cass., 21 ottobre 1961, n. 2324, in Foro it., 1961, I, pg. 1608. La Suprema Corte, pronunciandosi in merito ad una controversia tra la società Milan ed un suo calciatore ritenne sussistente il vincolo della subordinazione, individuabile anche «nell‟obbligo di mantenere un contegno disciplinato e una condotta civile e sportiva irreprensibile e regolare», nonché «nel divieto di prendere parte a manifestazioni sportive estranee alla società di appartenenza, anche se tenute nei periodi di riposo o di sospensione dell‟attività agonistica». In tale divieto i giudici individuarono, nel rapporto in questione, una manifestazione dell‟obbligo di fedeltà di cui all‟art. 2105 c.c. Le restrizioni cui lo sportivo poteva essere assoggettato anche nella vita privata, giustificate dall‟esigenza di preservare e conservare la piena efficienza fisica, erano da collegarsi all‟elemento fiduciario proprio del lavoro subordinato. A tali obblighi, peraltro, faceva da riscontro il potere della società di comminare sanzioni disciplinari in caso di inosservanza di essi da parte degli atleti o nell‟ipotesi di illeciti civili o sportivi imputabili al proprio tesserato. Infine, la Suprema Corte precisò come la natura subordinata del lavoro sportivo emergesse anche in virtù degli «accordi tra federazione e associazione dei giocatori alla regolamentazione collettiva», la quale si adeguava, per molti aspetti, ai princìpi fondamentali cui era improntata la disciplina legale del rapporto di lavoro subordinato (si pensi, ad esempio, al diritto ad un periodo annuale di riposo dell‟atleta o all‟obbligo previdenziale a carico delle società sportive). Per un commento alla sentenza in questione, si rinvia a F. PAGLIARA,

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fondamentali caratteri del rapporto di lavoro sportivo, inquadrarono

nella figura tipica del contratto di lavoro subordinato, sia la natura che

gli effetti giuridici del rapporto di attività sportiva lavorativa,

rinvenendo per la prestazione dei calciatori professionisti in

particolare, i requisiti della continuità, esclusività e professionalità,

essendo essi assoggettati al potere direttivo e gerarchico dell‟ente da

cui dipendevano ed essendo inseriti nel quadro di una complessa

organizzazione economica e tecnica di lavoro per il raggiungimento

dei fini suoi propri. Si sarebbe trattato, cioè, di sportivi che, a tal fine

retribuiti, impegnavano le proprie energie fisiche e le proprie attitudini

tecnico sportive a vantaggio della società di appartenenza,

obbligandosi a conformarsi alle istruzioni tecnico-sportive e alle

direttive dei dirigenti e degli incaricati della società, anche per tutto

ciò che riguardava gli allenamenti e le modalità di svolgimento di

questi. In ragione di ciò, la Corte ricondusse il rapporto di lavoro

sportivo nel rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.

Sul tema del rapporto di lavoro sportivo assume ancora