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PROCEDURE AGGIUNTIVE

6.4.1 GASTROSTOMIA DECOMPRESSIVA

Un elemento importante per il successo del trattamento della Sindrome di Boerhaave è la decompressione gastrica.

Questa può essere attuata tramite l’esecuzione di una gastrostomia, oltre che attraverso il posizionamento di un sondino naso gastrico di diametro adeguato e mantenuto in aspirazione.

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La decompressione gastrica permette di prevenire il reflusso di acido gastrico a livello del tratto inferiore toracico esofageo e di ridurre la pressione intraluminale, agevolando la guarigione del sito di rottura.

6.4.2 DIGIUNOSTOMIA

La digiunostomia permette la nutrizione enterale del paziente che in questo modo può essere iniziata qualche giorno dopo l’operazione chirurgica e protratta fino alla guarigione della lesione.

Un apporto nutritivo corretto e ricco di proteine, diminuisce il rischio infettivo e i giorni di degenza in terapia intensiva, secondo le linee guida SINPE.

6.4.3 TRACHEOTOMIA

Le estese infezioni della cavità pleurica conseguenti alla rottura esofagea, possono determinare atelettasia del parenchima polmonare e insorgenza di insufficienza respiratoria.

L’esecuzione precoce di una tracheotomia e la ventilazione meccanica permettono di migliorare la ventilazione a livello alveolare riducendo la resistenza delle vie aeree e il lavoro dei muscoli respiratori.33

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7. SEPSI

La complicanza principale della Sindrome di Boerhaave è la sepsi, che si presenta inesorabilmente con il passare delle ore in seguito alla rottura dell’esofago.

La sepsi è definita dal Sepsis 3 “una disfunzione d’organo potenzialmente fatale causata da una disregolata risposta dell’ospite all’infezione”.

La sepsi è una patologia tempo-dipendente il cui esito clinico dipende dalla rapidità di riconoscimento e dall’efficacia della gestione clinica a partire dalla prima ora.

Inizialmente, gli effetti sistemici della sepsi furono attribuiti ad una risposta infiammatoria sistemica eccessivamente marcata da parte del paziente. Ad ogni modo, successive ricerche evidenziarono come, a questa prima fase, seguisse un’altrettanta eccessiva attivazione da parte dei sistemi anti-infiammatori.

Ad oggi, si ritiene che l’infezione scateni nell’ospite una risposta complessa, variabile e prolungata in cui meccanismi sia pro-infiammatori che anti-infiammatori contribuiscono all’eliminazione del patogeno responsabile determinando però al contempo un danno d’organo.

Per tale ragione, la definizione di sepsi, formulata all’inizio degli anni ‘90, come un’infezione in cui fossero presenti almeno 2 dei 4 criteri di SIRS, è stata oggi abbandonata.

Questa definizione era legata alla visione della sepsi come condizione morbosa conseguente ad un’eccessiva attivazione dei sistemi pro-infiammatori.

Ad oggi, si riconoscono nella sepsi, non solo una disregolazione a carico dei sistemi pro ed anti- infiammatori, ma anche profonde modificazioni a carico di altri apparati quali il

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sistema cardiovascolare, il sistema nervoso, il sistema endocrino, il normale metabolismo cellulare e la coagulazione. Si tratta quindi di una vera e propria sindrome multiorganica; è l’insieme di tutte queste funzioni dell’organismo e di come queste sono influenzate dalla sindrome a determinare la prognosi del paziente affetto.

I punti cardine del trattamento della sepsi oggi sono costituiti dalla precoce identificazione della malattia e dal controllo dell’infezione sia attraverso il trattamento antibiotico sia tramite le manovre di supporto rianimatorio.

Al fine di standardizzare e fornire un riferimento ai medici che si trovano a trattare tale sindrome, a partire dal 2004 sono periodicamente pubblicate le linee guida della Surviving Sepsis Campaign nelle quali vengono raccolte tutte le evidenze attualmente disponibili in merito al trattamento della sepsi e sono indicati i punti cardine della terapia, sia della sepsi che dello shock settico.

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8. IgGM EV Pentaglobin

L’utilità dell’utilizzo delle immunoglobuline per via endovenosa nel paziente settico oggi è supportata e dibattuta da molti studi.

Le preparazioni di immunoglobuline EV presentano diversi meccanismi d’azione, come la neutralizzazione dell’antigene, il blocco e l’espressione dei recettori per Fc presenti sui fagociti, la modulazione della risposta citochinica, l’interferenza con il sistema del complemento attivato e la modulazione delle cellule con funzioni immunologiche.

Rispetto alle immunoglobuline standard utilizzate nella pratica clinica che contengono più del 96% di IgG, l’utilizzo di preparazioni di IgGM EV che contengono 38g/L di IgG, 6g/L di IgM e 6g/L di IgA, consente di usare un prodotto molto più simile al plasma umano. Al momento è disponibile solo una preparazione di IgGM EV sul mercato: il Pentaglobin.36

È stato dimostrato che IgGM EV neutralizza il superantigene streptococcico più efficacemente rispetto alle preparazioni standard di IgG, inibendo in modo significativo la sua attività mitogenica e citochinica.37

Il ruolo delle nel paziente settico è stato valutato clinicamente negli ultimi 30 anni.

Il fattore più indagato è stata la correlazione con la mortalità, la quale si è dimostrata ridotta in diversi studi38,39 in seguito all’utilizzo di IgGM EV anche a dosi basse, tra 0,25 e

0,4 ml/Kg/die.

In letteratura è possibile comunque trovare studi nei quali si dimostra come le immunoglobuline non presentino alcuna influenza positiva sull’outcome e sulla mortalità del paziente.

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Uno studio del 2005 per esempio ha sottolineato come la mortalità sia legata ad una antibioticoterapia errata; estrapolando comunque dalla casistica i casi con terapia antibiotica non corretta, è stato comunque possibile dimostrare come la mortalità fosse nettamente minore nei pazienti ai quali erano state somministrate IgGM EV rispetto ai casi controllo. Gli autori hanno stimato che l’incremento di sopravvivenza per l’antibiotico terapia appropriata è del 64,7%, mentre quello dato dall’utilizzo delle immunoglobuline è del 26,9%, risultando quindi una vita in più salvata su 4 pazienti che ricevono IgGM EV.40

Una review del 2018 pubblicata sul “Journal of Critical Care”36 ha confrontato 23 studi clinici

e 5 meta-analisi incentrate sull’utilizzo delle immunoglobuline IgM arricchite, concludendo che il dibattito è ancora in atto essendo nella letteratura riscontrabili risultati contrastanti, nonostante la nuova definizione di sepsi nel Sepsis-3 stabilisca l’utilità e le potenzialità dell’utilizzo di tali prodotti.

Un ostacolo notevole all’utilizzo delle immunoglobuline è determinato dal prezzo elevato del Pentaglobin, dato che un flacone da 100 ml di soluzione da infusione 50mg/ml costa 660 euro. La posologia consigliata nelle infezioni gravi è di 5 ml (0,25 g)/Kg di peso corporeo al giorno per tre giorni consecutivi, valutando successivamente ulteriori somministrazioni a seconda del quadro clinico, con un costo quindi indubbiamente molto alto.

Sono stati eseguiti studi anche sull’incidenza determinata dall’utilizzo delle immunoglobuline sui giorni di degenza in terapia intensiva; la maggior parte delle osservazioni non ha riscontrato alcuna differenza significativa tra il gruppo controllo e quello a cui era stato somministrato il Pentaglobin.42-46

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Yavuz et al.44 riscontrò che la degenza in terapia intensiva risultava più lunga nei pazienti a

cui erano state somministrate immunoglobuline rispetto al gruppo controllo, ma riportò anche che la mortalità nei primi era significativamente ridotta, in accordo col fatto che i sopravvissuti hanno una degenza più lunga in UTI rispetto ai deceduti.

Il Pentaglobin non ha inoltre mostrato alcun effetto sull’incidenza delle miopatie e/o delle polineuropatie in terapia intensiva, sui livelli dei marker infiammatori come IL6, sulla disfunzione multiorgano, sulla durata del sostegno emodinamico tramite vasopressori del paziente con shock settico e insufficienza respiratoria severa o sull’incidenza dello shock settico nei pazienti con sepsi grave.36

Sulla durata della ventilazione meccanica, la somministrazione di IgGM EV sembra invece avere un effetto positivo, come anche sulla diminuzione delle infezioni post operatorie, sulla diminuzione dell’endotossina batterica in pazienti settici e sulla diminuzione del tempo di ricovero e della mortalità per infezioni.

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