LA CORTE D’APPELLO DI TORINO ED IL PROCESSO AD ERIKA DE NARDO
3.2. Il processo a Pietro Maso
Nato a San Bonifacio il 17 luglio 1971, Pietro Maso ricorre alla Corte di Assise di Appello di Venezia (sez. II), che pronunzia la propria sentenza il 30 aprile 1993. Maso è imputato insieme a Giorgio Carbognin e a Paolo Cavazza, suoi amici, perché, agendo in concorso con loro e con Burato Damiano, minore degli anni 18, ha posto in esecuzione un disegno criminoso che ha cagionato, con premeditazione e per motivi abbietti e futili “la morte di Maso Antonio e Tessari Rosa, padre e madre di Maso Pietro, adoperando sevizie e agendo con crudeltà verso di loro, nonché profittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da ostacolare la pubblica e la privata difesa”1.
Il fatto è costituito dall’efferata aggressione ai genitori del giovane, “colpiti da numerosi colpi inferti con oggetti contundenti, al capo e al viso, tanto che le loro fattezze erano state parzialmente sfigurate”2.
In prima istanza, giudicato dal Tribunale per i minorenni di Venezia, Pietro Maso è stato ritenuto capace d’intendere e di volere ed è stato condannato, con la
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Corte di Assise di App. di Venezia, sez. II, sent. 30 aprile 1993 (in minuta il 13 maggio 1993), n. 12, p. 1.
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diminuente della minore età, alla pena di ventitré anni di reclusione1.
Si è parlato al riguardo di progettazione criminosa, legata al fatto che Maso avesse emesso un assegno con falsa firma della madre, consegnandolo al Carbognin per estinguere un debito: il crimine si legava, quindi, a ragioni riconducibili ad un fatto economico ed involgenti un calcolo opportunistico ispirato a grettezza morale e sete di denaro.
Anche in questo caso, la famiglia si rivela grembo del crimine. Il delitto, finalizzato all’acquisizione di disponibilità finanziarie, chiama in causa motivi di gretto interesse.
Si passa alle perizie (affidata per Maso al prof. Andreoli, che si avvale “della collaborazione del prof. Gatti” e dei professori Rizzuto e Pistoleri, oltre che del dottor Berto e della dottoressa Monari), per raggiungere una valutazione anche diagnostica e clinica delle cause che hanno indotto all’azione criminale.
Come vedremo nel capitolo che segue, si individua una condizione di semi-infermità mentale di Maso, ma rileva soprattutto il disturbo narcisistico della personalità dello stesso, resa più grave da motivi di indole sociale
1 Gli altri tre imputati sono stati giudicati da una normale Corte
di Assise territoriale che li ha giudicati semi-infermi di mente. Risultano condannati, concesse loro le circostanze attenuanti generiche ed i soli Carbognin e Cavazza con l’attenuante dell’art. 114, punto 3, c.p., equivalenti, mentre a Maso è stata erogata la pena suddetta di reclusione. Cfr. Ibid., p. 3.
ed ambientale, perché il luogo di residenza vede i giovani impegnati in una gara ispirata a motivi egoistici e di antagonismo dozzinale (competere, ad esempio, per la conquista di qualche ragazza).
Di nuovo emerge dalla situazione l’insieme dei motivi ispiratori che guidano la nostra indagine: la famiglia è il grembo del crimine perché risulta il luogo in cui si accelerano le spinte dissolutrici dei valori etici, che, mediante la prevenzione opportuna, di cui diremo anche in seguito, si possono potenziare. Si ammetta pure la diminuente della semi-infermità mentale di cui scrive il prof. Andreoli, ma nulla può consentire se non la “conferma dell’impugnata sentenza”1 e l’invocata riduzione di un terzo della pena “per effetto della chiesta ammissione al rito abbreviato”2, per cui “visti gli artt. 605, 591, punto 1, lett. c), 592, c.p.p., la Corte di Appello dichiara inammissibile l’impugnazione del Procuratore della Repubblica di Verona e del Procuratore generale di Venezia avverso la sentenza 29 febbraio 1992 della Corte di Assise di Verona, sul punto della ritenuta diminuente dell’art. 114, punto 3, c.p., per inosservanza delle disposizioni dell’art. 581, punto 1, lett. c), c.p.p.”3. Si riconferma la sentenza impugnata appellata, e si esclude, con questo, il rito abbreviato, che non sarebbe illegittimamente precluso
1 Corte di Assise di App. di Venezia, sez. II, sent. 30 aprile 1993,
cit., p. 123.
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Ibid., p. 128.
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all’imputato, ma che non si giustifica per la mancanza, al momento della scelta del rito, “di uno dei presupposti necessari alla sua instaurazione”1, tenuto conto delle aggravanti della crudeltà e della “minorata difesa”2.
Nella fattispecie, si è in presenza della sussistenza di elementi accessori costituenti circostanze aggravanti ed essi sono idonei e sufficienti “per irrogare la pena dell’ergastolo”3. Se si propende per una pena più limitata nel tempo, Maso e il suo “sgherro cieco e fidato, il Carbognin”4, la responsabilità dei rei va pienamente riconosciuta, senza “il beneficio della riduzione per l’invocato rito speciale”5.
Quello che emerge dall’intera situazione, è, comunque, un quadro desolante: l’aver “funzionalmente fruito di certe opportunità di conoscenza dei luoghi e delle persone, accoppiando ad esse il tempo notturno e la minorata difesa che la notte, in un piccolo paese, comporta, realizzano, a giudizio della Corte, l’incontrovertibile sussistenza dell’affermata gravante, con conferma, anche su detto punto, dell’impugnata decisione”6. Si può giungere, poi, al giudizio di bilanciamento “tra le ritenute attenuanti (turbe
1 Corte di Assise di App. di Venezia, sez. II, sent. 30 aprile 1993,
cit., p. 129.
2 Ibid., p. 130.
3 Corte di Assise di App. di Venezia, sez. II, sent. 30 aprile 1993,
cit.,, p. 131. 4 Ibid., p. 97. 5 Ibid., p. 133. 6 Ibid., p. 122.
psicofisiche degli imputati), la diminuente della semi- infermità e le aggravanti confermate”1. Rimane la gravità del delitto che, del resto, non si potrebbe individuare sulla sola base di turbe psichiche su cui è scesa, fin da principio, l’ombra del dubbio. In ogni caso, la sola rilevanza peritale del singolo soggetto non ci dà ragione del vuoto morale e dell’assenza dei valori cui si dovrà porre, anche in via preventiva, per altri casi virtuali, l’insieme delle apposite basi di sostegno.
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