3.4.2 LE TECNICHE DI CAMPIONAMENTO E REPERTAZIONE E LE METODOLOGIE DI ESTRAZIONE
3.4.3. PROFILI GENETICI TIPIZZAT
DA REPERTI BIOLOGICI ACQUISITI NEL CORSO DI PROCEDIMENTI PENALI
Discorso a parte è quello inerente ai profili genetici acquisiti in un procedimento penale, in quanto il procedimento e relativi protocolli che conducono a produrre i suddetti profili sono più articolati e complessi: non si applica perciò una regola comune per la loro analisi e tipizzazione.
affermando al comma 1: << se nel corso del procedimento penale, a cura dei laboratori delle Forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione, sono tipizzati profili di DNA da reperti biologici a mezzo di accertamento tecnico, consulenza tecnica o perizia, l'autorità giudiziaria procedente dispone la trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA per la raccolta e i confronti >>.
Il comma 2 amplia invece il potenziale flusso di informazioni della banca dati statuendo quanto segue: << se non sono state effettuate le analisi di cui al comma 1, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, ovvero in seguito all'emanazione del decreto di archiviazione, il pm competente ai sensi dell'art.655 c.p.p può chiedere al giudice dell'esecuzione di ordinare la trasmissione dei reperti ad un laboratorio delle Forze di polizia ovvero di altre istituzioni di elevata specializzazione per la tipizzazione dei profili e la successiva trasmissione degli stessi alla banca dati nazionale del DNA >>.
Come già detto in precedenza, con la nozione di “reperto biologico” si intende il materiale acquisito sulla scena del crimine, o comunque, su cose pertinenti al reato.
È immediatamente d'obbligo una precisazione: gli atti parlamentari circoscrivono lessicalmente l'ambito di operatività di suddetta norma. Si parla infatti della sola ipotesi legata alle “cose pertinenti al reato” di tal ché sembrerebbe che il legislatore non abbia tenuto conto della distinzione terminologica tra “raccolta” (effettuabile non solo su soggetti viventi o su cadaveri, ma anche su luoghi e
cose) e “prelievo” (intervento che viene effettuato chiaramente su un soggetto vivente, come sostenuto in dottrina).23
Occorre tuttavia rilevare che alcune pratiche di raccolta di materiale biologico da “cose” possa assumere gli estremi di un escamotage per aggirare e vincere l'ostruzionismo del soggetto che rifiuti il prelievo di materiale “staccato dal corpo umano”; la casistica spazia difatti dal reperimento di oggetti abbandonati sulla scena del crimine (es: mozzicone di sigaretta) al rilevamento di tracce su cose (es: saliva prelevata da un bicchiere) il tutto in modo considerato assolutamente legittimo.
Ma non è tutto: merita di essere segnalato un orientamento giurisprudenziale che ritiene i mezzi di ricerca della prova idonei ad acquisire materiale biologico. Difatti secondo la Corte, nel caso in cui un soggetto manifesti il suo dissenso al prelievo, il giudice è pienamente legittimato ai sensi dell'art. 507 c.p.p., a disporre perquisizioni domiciliari al fine di rinvenire e sequestrare oggetti contenenti tracce biologiche.24
La fase di raccolta con successiva estrazione di DNA di reperti trovati sulla scena del crimine è estremamente 23 L. Marafioti – L. Luparia, p.84, op. cit.
24 Cass. Sez 4, 12 Luglio 2004: nel caso di specie il giudice aveva disposto la perizia medico-legale per accertare la corrispondenza tra il materiale biologico acquisito sul luogo del reato ed i profili genetici dei soggetti imputati per violenza sessuale di gruppo. Di fronte al diniego di questi di sottoporsi a prelievo, è stata disposta la perquisizione con successivo sequestro dei capi di abbigliamento e di altre cose appartenenti agli imputati, affinché si potesse raccogliere il loro materiale biologico.
delicata in quanto numerose possono essere le alterazioni ambientali causate sia dall'intervento sul posto delle forze dell'ordine, sia da soggetti esterni (c.d. Inquinamento delle prove).
Ad ogni modo il campionamento dei reperti acquisiti avviene mediante procedure informatizzate, le quali si rendono indispensabili per finalità di gestione e di analisi degli stessi reperti: si pensi a titolo esemplificativo, al campione biologico misto, il quale si rinviene sopratutto nella vittima del reato di violenza sessuale di gruppo. In questo caso il profilo genetico tipizzato non è affatto riconducibile ad un solo soggetto per cui è necessario procedere alla estrazione differenziale del DNA al fine di separare il materiale genetico presente nelle mucose della vittima con quello del liquido seminale degli stupratori.
Discorso a parte risulta essere quello sui campioni di materiale biologico “degradati” a seguito di sostanze inquinanti o inibitrici, ovvero definiti tali per la loro stessa scarsità di presenza sulla scena del crimine: in tutti questi casi purtroppo le analisi daranno come risultato il solo profilo genetico parziale.
Sebbene sia certo che un risultato, seppur minimo, sia stato ottenuto, vanno considerate allora anche le tecniche che ci consentono di ottenere un risultato parziale, le quali soventemente si spingono oltre i dettami dei protocolli accettati e condivisi dai laboratori accreditati e certificati: un esempio ci è offerto dai “LCN profiles”, ovvero i profili ottenuti da materiale genetico scarso o altamente
degradato. Per superare l'intrinseco handicap, la tecnica prevede allora un numero di cicli ripetitivi affinché si possa ottenere un risultato accettabile; ciò comporta intuitivamente l'accettazione di un altro tipo di rischio poiché, ovviamente, più si effettuano ripetizioni, maggiore sarà la probabilità di ottenere profili artefatti.
L'utilizzo di tali profili dovrà pertanto essere preso per quello che è, vale a dire una mera indicazione che necessita di ulteriori quanto necessari riscontri rispetto ad un normale profilo genetico, affinché il risultato ottenuto possa essere considerato non solo utile ma soprattutto convincente a fini investigativi e giudiziari.