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L'istituzione della banca dati dna tra istanze di modernizzazione dell'accertamento penale e perduranti ritardi attuativi

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Academic year: 2021

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PREMESSA

Come ogni settore della vita e della società, anche il processo penale, ha dovuto confrontarsi con l'evoluzione scientifica, la quale ha apportato la conoscenza di sempre più moderni strumenti che si sono dimostrati idonei nel tempo, a sovvertire vecchi dogmi ed insuperabili certezze. Quanto alla materia probatoria, il termine “evoluzione” è sicuramente adatto per spiegare come nuove tecniche di investigazione scientifica si apprestino ad entrare nell'ambito del processo penale. Difatti, sebbene il terzo libro del c.p.p.,intitolato “Prove” indichi i mezzi di prova ed i relativi mezzi di ricerca della prova,non dobbiamo tralasciare la nuova tecnica investigativa introdotta nell'ambito europeo a seguito del Trattato di Prum del 2005. Parleremo infatti dell'utilizzo dei dati del DNA, che si inscrivono nella sistematica tradizionale come prova scientifica.

Come tutte le novità, anche l'utilizzo di suddetti dati non è stato, e non è tuttora, esente da critiche, mosse in particolar modo se si tengono in considerazione i parametri dettati dalla nostra Costituzione e quelli sovranazionali dettati dalla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU).

Perno centrale del dibattito è costituito dalla eventuale possibilità di contemperare le esigenze di giustizia, che pertanto legittimerebbero l'utilizzo dei dati del DNA, con le esigenze, tutelate sia a livello costituzionale che

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sovranazionale, della privacy individuale la quale si esplica non soltanto in riferimento al singolo individuo, ma può altresì riguardare il suo stesso nucleo familiare, l' ambiente abituale, la comunità di cui è parte.

A questo proposito, già l'art.8 CEDU disciplinante il diritto al rispetto della vita privata e familiare, afferma propriamente quanto segue : << ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio, e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che l'ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. >> Possiamo da subito notare come la nozione di vita privata sia di tipo generale, tale cioè da includervi molteplici aspetti dell'identità fisica e sociale, arrivando in tal senso a ricomprendere nel suddetto concetto anche quello di identità etnica; proprio la problematica del rispetto della vita privata e familiare è stata oggetto di un'importante pronuncia della Corte Europea di Strasburgo in merito alla controversia “S. e Marper c. Regno Unito” del 20081,

sentenza che, nel proseguo, ci farà da faro nel trattare in particolar modo il profilo relativo alla conservazione nella banca dati genetica per un tempo illimitato, di campioni e di 1 C. Eu. 4 Dicembre 2008, S. & Marper vs UK

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profili del DNA di persone non condannate.

Per quanto riguarda invece il contemperamento con i principi di rango costituzionale, il primo problema si pone in riferimento all'art.2 Cost., che disciplinando la tutela e la dignità della persona afferma quanto segue: << la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale >>.

Ci si è chiesti infatti se questa esigenza “mediata” di privacy possa bilanciarsi, da un lato, con le esigenze di prevenzione e repressione dei reati riconosciute indirettamente dagli artt. 1; 2; 25; 112 Cost., e su altro versante, dall'art.13 L.85/2009 relativo alla durata ed alla modalità di conservazione dei dati genetici, i quali non possono essere distrutti immediatamente, (e pertanto dovranno continuare ad essere conservati per un tempo medio lungo, come vedremo) se non a seguito di una pronuncia di assoluzione con sentenza definitiva qualificata ( << “perché il fatto non sussiste” – “perché l'imputato non lo ha commesso” – “perché il fatto non costituisce reato” – “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” >> così recita il testo normativo).

Alla luce di ciò, sembra possibile affermare come tali soluzioni normative, adottate dal nostro legislatore per superare l'empasse del bilanciamento tra contrapposte esigenze, non siano le uniche conformi alla Costituzione

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ma siano le sole utilizzabili dal giudice comune per poter interpretare tuttavia al meglio i canoni costituzionali.

Ulteriore problema si pone altresì in riferimento all'art.13 Cost., che disciplina la libertà personale. Il testo della norma stabilisce che: << la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza,indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro 48 ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi di carcerazione preventiva>>.

Già si evince, in modo automatico e consequenziale, come eventuali disposizioni che possano limitare in qualunque modo la libertà personale, siano da ritenersi legittime solamente se disposte con atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge; occorre pertanto domandarci se il prelievo di campioni biologici, soprattutto di tipo coattivo, possa essere considerato legittimo alla stregua dei parametri costituzionali dato che, per le sue modalità di esercizio, rientrerebbe, quasi gioco forza, all'interno di quella

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categoria di atti lesivi della libertà personale e dei diritti individuali del singolo.

Il legislatore tuttavia, ha cercato di ovviare al problema, disciplinando, mediante due norme del c.p.p., proprio il prelievo coattivo. Quest'ultimo è difatti disposto dagli artt. 224bis e 359bis, i quali, apprestando le necessarie ed opportune garanzie costituzionali durante lo svolgimento delle operazioni, ci consentono di affermare che anche tali modalità di prelievo, caratterizzate dalla coercitività, rientrino nei binari delineati dal dettato costituzionale, non solo dal punto di vista processuale, ma anche per quanto riguarda il concetto stesso di libertà personale che, al pari di innumerevoli altri valori primari di natura etico-morale, gioco forza subiranno l'effetto della inevitabile “evoluzione”.

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Capitolo 1

IL TRATTATO DI PRUM

Sommario: 1.1 Quadro Comunitario; 1.2 Contenuto del Trattato; 1.3 Ratifica del Trattato da parte dello Stato Italiano.

1.1. Quadro Comunitario

Il Trattato di Prum è un trattato multilaterale concluso il 27 Maggio 2005 tra sette Stati dell'Unione Europea (Belgio – Francia – Spagna – Germania – Austria – Lussemburgo – Paesi Bassi) riguardante la cooperazione transfrontaliera, in particolar modo ai fini della lotta al terrorismo, alla criminalità, ed alla migrazione illegale.

Possiamo da subito notare la peculiarità di questo Trattato, il quale, sebbene concluso tra Stati appartenenti all'Unione Europea, non rientra nelle disposizioni del Titolo VI del Testo Unico Europeo (T.U.E.) relative alla cooperazione sia di polizia sia giudiziaria in materia penale (c.d. Terzo Pilastro) e, stante la sua contiguità con gli obiettivi comunitari e con lo stesso ordinamento comunitario, è estraneo al c.d. meccanismo di “ iniziativa comune “.

Ciò che prevale è pertanto la sola volontà degli Stati, i quali devono comunque attenersi ai principi ed alle disposizioni dell'ordinamento europeo. A tal fine, è lo stesso Trattato nelle sue premesse a stabilire che << desiderose di svolgere un ruolo pionieristico allo scopo di raggiungere,

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nell'ambito del miglioramento della cooperazione in Europa e fatte salve le disposizioni del Trattato sull'Unione Europea e del trattato che istituisce la Comunità Europea, […..] ; desiderose di trasferire le disposizioni del presente trattato nel quadro giuridico dell'Unione Europea,[...] ; nel rispetto dei diritti fondamentali come previsti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati interessati, in particolare nella consapevolezza del fatto che la trasmissione dei dati a carattere personale a un'altra Parte contraente presuppone un adeguato livello di protezione dei dati da parte della Parte contraente destinataria […..] >>2.

Per i suddetti motivi, il Trattato in questione viene spesso rinominato “ Schengen II° “ e con tale nome appare anche in molti documenti ufficiali.

A questi punti si delinea la strada per introdurre il Trattato nell'ambito giuridico europeo. Già in precedenza il Consiglio dell'Unione Europea aveva adottato due risoluzioni sullo scambio dei risultati di analisi del DNA; la n. 97/C 193/02 del 24 Giugno 1997,con la quale si invitavano proprio gli Stati membri a costituire banche dati del DNA, e la n. 2001/C/ 187/01 del 25 Giugno 2001, con la quale si esortavano nuovamente gli Stati membri ad utilizzare marcatori comuni per facilitare lo scambio dei risultati delle analisi tra gli stessi. Tra l'altro, proprio in 2 Sitografia www.interno.gov.it , punti 2-3-4 premesse al trattato

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riferimento a quest'ultima previsione, si raccomandava di distruggere quei marcatori dai quali si sarebbero potute ricavare informazioni sulle caratteristiche ereditarie.3

Successivamente alla conclusione del Trattato, altro passaggio significativo è stata l'adozione della decisione quadro del Consiglio del 18 Dicembre 2006 n. 2006/960/GAI diretta a stabilire le norme per lo scambio efficace e rapido di informazioni da utilizzarsi per indagini penali o per operazioni di intelligence.

Ancora, il 15 Gennaio 2007 su iniziativa dei Paesi contraenti, insieme ad altri otto Stati viene presentata al Consiglio Europeo una proposta di decisione sul rafforzamento della cooperazione transfrontaliera, in particolar modo sulla lotta al terrorismo ed alla criminalità4

ed il Consiglio Europeo, effettuate le verifiche di rito, accolse la decisione n. 2008/615/GAI del 23 Giugno 2008 presentata dai 15 Stati membri, mediante la quale sono stati creati i punti di contatto nazionale designati da ciascuno Stato, aventi il compito di comparare in modo automatizzato i “DNA PROFILES “, unitamente alla 3 F. Casasole,” La conservazione di campioni biologici e di profili del

DNA nella legge italiana, alla luce del dibattito europeo” in Cassazione Penale, 2009.

4 L. Marafioti – L. Luparia “Banca dati del dna e accertamento

penale” Giuffré, 2012, p.21. Sul punto si veda il parere del Garante

europeo della protezione dati emanato il 4 Aprile 2007 e pubblicato sulla GUCE, serie C, n.169 del 21 Luglio 2007 il quale ha denunciato le criticità del testo obiettando che la strategia scelta dai 15 stati proponenti, la mancanza di un'appropriata ponderazione delle misure legislative già esistenti a livello comunitario ( esempio : Europol – Eurojust ) ed infine la mancanza di un quadro sulla protezione dei dati che garantisse un livello adeguato di protezione.

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n. 2008/616/GAI che le dà attuazione, precisando, in modo ridondante, che l'atto contiene: << disposizioni basate sulle principali disposizioni del Trattato di Prum […] >>.

Parallelamente, al fine di garantire una tutela maggiore nonché adeguata dei diritti fondamentali dell'individuo, è stata adottata la decisione 2008/977/GAI in materia di protezione dei dati personali nell'ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. A partire da questo momento, le disposizioni del Trattato di Prum entrano pienamente ed a tutti gli effetti a far parte della legislazione europea.

1.2. Contenuto del Trattato

Il Trattato di Prum è composto da 8 capitoli, per un totale di 52 articoli. Relativamente all'argomento della banca dati DNA assume rilievo centrale il capitolo 2, contenente proprio la relativa disciplina, ma questa può essere meglio apprezzata dopo una sommaria analisi degli aspetti generali del Trattato medesimo ed un breve accenno agli altri capitoli componenti il suddetto Trattato.

Il capitolo 1 è composto da un solo articolo, suddiviso in 5 punti ed enuncia i principi ai quali gli Stati contraenti devono conformarsi; inoltre stabilisce il principio che la cooperazione non è uno strumento di interferenza col diritto europeo ma, è aperta ad ogni Stato membro dell'Unione col principale obiettivo di creare una collaborazione intensa tra i suddetti Stati per finalità ed esigenze di giustizia

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transfrontaliera.

Il capitolo 2 detta la disciplina dei profili di DNA e degli altri dati sensibili. Risulta composto da 14 articoli, prettamente relativi ai profili del DNA e dati dattiloscopici, nonché alla relativa trasmissione, ivi compresa quella di dati personali e non, e di altri dati. Con particolare riferimento ai profili del DNA devono essere presi in considerazione gli articoli dal 2 al 7 compreso.

In primo luogo è prevista la creazione e la gestione di schedari nazionali di analisi DNA ad opera degli stessi Stati contraenti; il trattamento dei dati registrati in tali schedari viene effettuato secondo gli standard del diritto nazionale ed è stabilito che i suddetti dati debbano contenere esclusivamente i profili del DNA proveniente dalla parte “non codante” o altrimenti detta “muta” del DNA ed un riferimento; non è pertanto possibile che tali dati contengano elementi idonei alla identificazione diretta del soggetto interessato.

Agli articoli successivi è prevista una procedura di consultazione automatizzata dei profili DNA che può avvenire solo caso per caso e nel rispetto del diritto nazionale dello Stato contraente che effettua la consultazione. Mediante tale procedura si può ovviamente constatare una concordanza tra un profilo DNA trasmesso ed uno registrato nello schedario dello Stato contraente: tale risultato verrà comunicato in via automatizzata al punto di contatto nazionale (trattasi della procedura di comparazione automatizzata dei profili DNA). La

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trasmissione di dati in caso di concordanza di profili deve sempre avvenire sulla base del diritto nazionale dello Stato richiedente.

Infine vi possono essere casi in cui il profilo DNA di un determinato soggetto che si trova nel territorio dello Stato contraente vada disperso; l'art.7 del Trattato disciplina proprio questa eventualità stabilendo che, in tal caso, lo Stato contraente deve concedere la collaborazione giudiziaria mediante prelievi, analisi e trasmissione del profilo DNA ottenuto, mediante un iter che prevede la comunicazione inerente lo scopo della richiesta di tale procedura, successiva presentazione di un'ordinanza o di un atto di inchiesta emesso dalle autorità competenti dal quale risultino le condizioni per il prelievo e quelle per la relativa nonché contestuale analisi del materiale genetico, nell'ipotesi in cui il soggetto si trovi nel territorio dello Stato richiedente. Le condizioni preliminari al prelievo e all'analisi del materiale genetico, nonché quelle relative alla sua trasmissione, vengono unificate in base al diritto dello stato richiedente.

Disciplina simile è quella che viene riservata dalle disposizioni previste dall'articolo 8 all'articolo 15 compreso, relative ai dati dattiloscopici.

Si afferma infatti come tali dati, siano essi di carattere personale e non, possano essere trasmessi in base al diritto nazionale dello Stato richiedente, specialmente quando occorra prevenire violazioni penali, quando si sia in presenza di grandi manifestazioni ed occorra tutelare

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l'ordine pubblico; in tali casi tuttavia i dati di carattere personale debbono essere cancellati entro un anno dal loro utilizzo.

I capitoli successivi del Trattato ineriscono invece alle misure di lotta contro la migrazione illegale – alle altre forme di cooperazione – altre disposizioni generali – alle disposizioni generali in materia di protezione dei dati, ed infine, alle disposizioni applicative e conclusive.

Doveroso puntualizzare come, proprio in materia di protezione dei dati, il Trattato, pur rinviando alla legislazione nazionale, non consente di garantire una omogeneità in tale disciplina tra tutti gli Stati contraenti, posto che ciascuno di essi ha peculiari sistemi di garanzie tali da non armonizzarsi ad uno standard comune.5 Per tali

motivi, l'art.34 cerca di superare l'empasse stabilendo che il livello di protezione dei dati, negli Stati contraenti, deve quantomeno corrispondere a quello previsto dalla Convenzione del Consiglio Europeo del 28 Gennaio 1981, in materia di protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale, nonché a quello previsto dalla raccomandazione n. R (87)15 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, inviata agli stessi Stati membri.

5 In tal senso L. Marafioti – L. Luparia “Banca dati del DNA e

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1.3. Ratifica del Trattato da parte dello Stato Italiano

Con Legge 85/2009 l'Italia ha ratificato il Trattato di Prum, approvando il D.D.L. n. 2042 nel testo votato dal Senato e modificato, in parte, dalla Camera, nonostante gli emendamenti presentati fossero stati quasi tutti respinti. L'Italia già nel 2006 aveva dichiarato di voler aderire al suddetto Trattato, siccome legislativamente e tecnicamente sprovvista di una banca dati del DNA, nonché per il vincolo di recepimento del diritto europeo in quanto Stato membro dell'Unione medesima. Nonostante ciò vedremo come, alla luce della situazione odierna, lo Stato Italiano sia ancora sprovvisto di una banca dati nazionale del DNA.

Passando ad analizzare il contenuto della Legge 85/2009, il capo I, intitolato “ disposizioni generali “ stabilisce che << il Presidente della Repubblica è autorizzato ad aderire al Trattato concluso il 27 Maggio 2005 relativo all'approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo – la criminalità e la migrazione illegale>>. Si continua affermando che << piena ed intera esecuzione al Trattato è data a decorrere dal novantesimo giorno successivo al deposito dello strumento di adesione, in conformità a quanto disposto dall'articolo 51, paragrafo 3, dello stesso Trattato >>.

Infine è stabilito che << le autorità di riferimento per le attività del Trattato sono individuate con uno o più decreti

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del Ministro dell'Interno e del Ministro della Giustizia >>.6

Anche l'Italia, pertanto, al pari degli altri Stati membri, ha (rectius: avrebbe!) recepito il contenuto del Trattato, inserendo, per appunto nella legge di ratifica, disposizioni riguardanti l'istituzione della banca dati nazionale DNA e del relativo laboratorio centrale per la banca dati nazionale DNA che, avranno il compito di tipizzare e conservare i profili DNA ricavati dal prelievo di campioni e reperti biologici. Sul punto non mancheranno tuttavia problemi relativi alla mancata operatività proprio della banca dati nazionale DNA, con il sospetto di un mancato contemperamento tra il diritto di privacy e le finalità di giustizia, per approdare addirittura al sollevamento di questioni di illegittimità costituzionale7 ed al mancato

rispetto del diritto sovranazionale per contrasto con norme CEDU8.

6 Sitografia www.ricercalegis.it

7 Corte Costituzionale, sentenza n. 238/1996

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Capitolo 2

IL PRELIEVO DEI CAMPIONI BIOLOGICI

Sommario: 2.1 Ambito definitorio e relativo utilizzo per finalità investigative; 2.2 Dinamiche operative alla luce delle norme del c.p.p : articoli 224 bis e 359 bis.

2.1. Ambito definitorio e relativo utilizzo per finalità investigative

Per far sì che il laboratorio centrale e la banca dati nazionale DNA possano tipizzare e “custodire” profili di DNA, è necessario preliminarmente effettuare una operazione tecnica, tra l'altro disciplinata dallo stesso c.p.p., trattasi del “prelievo di campioni biologici,” intendendosi con tale dicitura la quantità di sostanza biologica (es: peli, mucosa del cavo orale, capelli) prelevata da un soggetto identificato ( c.d., identità nota) sottoposto a tipizzazione del relativo profilo del DNA . Tuttavia, e spesso succede, è facile incorrere nell'errore di equiparare tale espressione con quella di “reperti biologici”, intendendosi con quest'ultimo tecnicismo la quantità di materiale biologico trovato sulla scena del crimine o su cose pertinenti al reato.

Ora, sebbene le due nozioni debbano essere tenute distinte a fini meramente concettuali, è altrettanto indubbio che per l'utilizzo delle stesse a fini investigativi un

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particolare collegamento sussista.

Difatti per quanto concerne la tipizzazione del profilo del DNA è senz'altro possibile effettuare una comparazione tra il “reperto” ed il “campione” biologico, laddove per il reato commesso nel caso concreto, vi siano uno o più soggetti sospettati di esserne l'autore materiale, ovvero manchino del tutto persone sospettate, rilevandosi pertanto utile ( ed auspicabilmente doveroso) il verificare se il materiale biologico reperito sulla scena del crimine appartenga a soggetti “noti” o perché abbiano già commesso o perché siano già stati imputati di reati della medesima indole.

Altrettanto valga qualora sulla scena del crimine non venga rinvenuto materiale biologico ma tuttavia esistano una o più persone sospettate di aver commesso quel certo reato. Anche in questo caso è evidente come possa essere utile in sede investigativa verificare se il materiale biologico reperito sulla scena di delitti rimasti irrisolti possa appartenere ad una delle persone sospettate.

Chiaro il fine dell'utilizzo di tali strumenti investigativi: pervenire all'accertamento dei reati rispondendo al tempo stesso a solide esigenze di giustizia.

Tralasciando momentaneamente la procedura prettamente tecnica di tipizzazione del profilo del DNA ricavabile dai campioni biologici, analizziamo nel proseguo le “modalità operative” del prelievo, anche in forma coercitiva, tenendo presenti le norme di procedura penale nonché le esigenze di tutela della vita privata e dei dati personali del soggetto da sottoporvisi, in questo caso tuttavia da considerarsi

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minoritari.

2.2. Dinamiche operative alla luce delle norme del c.p.p: articoli 224 bis e 359 bis

I prelievi e gli accertamenti medici, che possono avere in determinati casi anche natura coercitiva, utili per poter tipizzare, in una successiva seconda fase tecnico-investigativa, il profilo del DNA, sono subordinati al rispetto di due fondamentali requisiti: 1) la gravità del reato perseguito e 2) l'assoluta indispensabilità del mezzo investigativo per la prova dei fatti.

Tali requisiti sono coincidenti con quelli richiesti da due nuove norme del c.p.p. che hanno modificato, o per meglio dire innovato, l'assetto delle prove peritali e di quelle espressamente previste nella fase delle indagini preliminari aventi ad oggetto gli accertamenti coattivi ivi disposti: trattasi degli artt. 224 bis e 359 bis.

L'art.224 bis c.p.p., (introdotto a seguito della l. 85/2009 e situato nel libro terzo del codice) normativizza, in modo costituzionalmente orientato, i provvedimenti del giudice, già previsti per le sue funzioni dal precedente ed autonomo art.224 c.p.p.

In particolare, la nuova norma, indica casi, modalità e tempistiche circa le perizie che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale anche laddove non sussista il consenso della persona da sottoporre all'esame del perito. A tal fine, la norma, appresta una

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sequenza procedimentale ad hoc con cui si attiva la perizia coattiva. Prima di analizzare lo svolgimento tecnico-procedurale di suddetta perizia, si rende necessario effettuare un tentativo di definizione della nozione di prelievo biologico coattivo: suole intendersi comunemente, con tale locuzione, quella operazione che interviene sulla realtà corporale dell'individuo senza il suo consenso, contemplando il ricorso alla coercizione fisica per vincerne l'eventuale resistenza e consentendo di asportare una quantità di sostanza biologica tendenzialmente modesta e destinata alla comparazione genetica, contribuendo di fatto alle finalità di accertamento proprie del procedimento penale.

Oltre agli elementi standard, comuni ad ogni provvedimento che dispone un accertamento peritale, sono disposte dal testo normativo dell'art.224 bis alcune indicazioni calibrate sull'acquisizione strumentale del campione biologico, come ad esempio l'obbligo di inserire nell'ordinanza le generalità della persona da sottoporre ad esame e quanto altro valga ad identificarla; la precisazione del luogo, giorno ed ora stabiliti per il compimento dell'atto; le modalità di compimento dello stesso; la facoltà per il soggetto di farsi assistere dal difensore di fiducia pena la nullità dell'atto; l'eventuale disposizione di accompagnamento coattivo qualora il soggetto non compaia senza addurre legittimo impedimento: in tal caso l'uso dei mezzi di coercizione fisica è strettamente limitato per il tempo necessario all'esecuzione del prelievo o

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dell'accertamento.

Occorre, tra l'altro, sottolineare l'ossimoro utilizzato dal legislatore. Sebbene la norma in questione difatti, ci parli di provvedimenti (con marcata accezione del termine plurale), l'unico di questi espressamente menzionato è l'ordinanza motivata con la quale, (oltre a contenere gli avvisi di cui al comma 2, lettere a,b,c,d,e,f ) è stabilito che : “qualora si proceda per delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni e, se negli altri casi per l'esecuzione della perizia è necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di capelli – di peli – di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo di DNA o accertamenti medici e non vi è il consenso della persona da sottoporre all'esame del perito, il giudice anche d'ufficio ne dispone l'esecuzione coattiva qualora risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti ”.

Secondariamente, la norma in questione, si presta a svariati dubbi interpretativi sopratutto per quanto concerne alcuni dei suoi elementi fondamentali, quali i soggetti passivi9; i casi applicativi nonché le modalità di

9 L'articolo 224 bis consentendo prelievi coattivi anche su terzi estranei alle indagini, sembra rispondere al c.d. “screening genetico di massa” tramite il quale è possibile effettuare la comparazione tra i reperti biologici della scena del crimine ed i campioni biologici di una comunità di soggetti che non siano necessariamente indiziati. Tale tecnica venne utilizzata nell'omicidio Fronthaler; dove si è risaliti all'autore del delitto comparando il DNA rinvenuto sulla vittima con il DNA degli abitanti di sesso maschile del luogo, previo loro consenso, più specificatamente si è risaliti al reo (che non si era sottoposto a

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esperimento del prelievo.

Proprio in relazione a tale ultimo punto si afferma, all'interno del testo normativo, il divieto di disporre: operazioni contrastanti con espressi divieti di legge; operazioni che possano mettere in pericolo la vita, l'integrità fisica o la salute dell'interessato o del nascituro; operazioni che siano tali da provocare sofferenze di non lieve entità.

Difatti, relativamente alla scelta della tecnica da impiegare, il 5 comma stabilisce che “...a parità di risultato, sono prescelte le tecniche meno invasive”. Nonostante appaia condivisibile che la scelta sul tipo di tecnica da utilizzare per il prelievo risponda ai criteri di minore offensività e sacrificio minimo, non è specificato quale sia, in concreto, il soggetto legittimato alla scelta medesima: si ritiene però, pacificamente, che sia lo stesso giudice ad indicare, col provvedimento medesimo, le tipologie di misure applicabili, precisandone altresì le modalità di adozione, fermo restando il dettato costituzionale.

Su altro versante, resta ferma l'eventuale possibilità che sia la persona interessata a chiedere di essere sottoposta ad una tecnica di prelievo, ritenuta, a suo stesso avviso, meno pregiudizievole della propria libertà personale nonché dei propri diritti individuali coinvolti, affinché si possano escludere tutte quelle limitazioni non rigorosamente funzionali alle esigenze processuali.

Infine, l'art.224 bis ha colmato il vuoto normativo creatosi a prelievo) mediante l'affinità genetica col DNA del padre.

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seguito di un'importante pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza n.238/199610, dichiarò

l'incostituzionalità dell'art.224 comma 2 c.p.p nella parte in cui consentiva al giudice di disporre, nell'ambito delle operazioni peritali, misure incidenti sulla libertà personale dell'indagato, dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificatamente previste nei casi e modi dalla legge. Sebbene in via generale la duttilità operativa che permea l'ampio potere dell'organo giurisdizionale di adottare tutti i provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali, presenti indubbi vantaggi che consentono, tra l'altro, di sopperire alle carenze di una disciplina peritale generica e sommaria, non offre però una base giuridica che rispetti i parametri costituzionali dell'art.13 Cost., il quale, delineando una riserva di legge assoluta, nonché una riserva di giurisdizione motivata, stabilisce che: <<... non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge...>>

In definitiva quindi, la Consulta stabilì che: “il prelievo coattivo ematico travalica la libertà personale, invadendo la 10 La pronuncia trae origine da una nota vicenda di cronaca: nel corso di un procedimento penale per il reato di abuso della credulità popolare, essendosi attribuita alla statua raffigurante la Madonna una miracolosa lacrimazione di sangue, il p.m. di Civitavecchia aveva chiesto di procedere con incidente probatorio a perizia medico-legale allo scopo di accertare se il materiale ematico rinvenuto sulla statua appartenesse al proprietario della stessa o ai suoi familiari; questi, tuttavia, si erano rifiutati di fornire il campione di sangue necessario alla comparazione.

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sfera corporale della persona”.11

Possiamo quindi affermare come un intervento del legislatore al fine di regolare i casi in cui procedere a prelievo coattivo del DNA, nei confronti di quali soggetti e secondo quali modalità, si rendeva non solo auspicabile, ma anche de iure condendo indispensabile e necessario. Sempre in linea con la precipua finalità di colmare l'impasse giuridico creatosi a seguito della pronuncia del Giudice delle Leggi, tredici anni dopo è stato introdotto l'art. 359 bis c.p.p., recante disposizioni in materia di prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi . La norma, inserita all'interno della fase delle indagini preliminari, compie un salto di qualità in chiave garantista in quanto, subordinando la concessione di prelievi e di accertamenti coattivi richiesti dal pubblico ministero al sindacato giurisdizionale, anche qualora si sia in presenza di casi urgenti dal cui ritardo possa derivare danno grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, disciplina una sorta di sub-procedimento autonomo in grado di adattarsi funzionalmente alle mutevoli esigenze investigative del p.m.

Il testo normativo prevede due varianti procedurali del prelievo forzoso: la prima, di tipo ordinario, prevede un'autorizzazione giurisdizionale laddove manchi il consenso della persona interessata; la seconda, è attivabile nei soli casi di urgenza, fermo restando che il 11 Corte Costituzionale, 27 Giugno 1996, n.238, in Gazzetta Ufficiale

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decreto motivato con il quale lo stesso p.m dispone lo svolgimento delle operazioni, dovrà essere convalidato dal giudice delle indagini preliminari nelle 48 ore successive12.

In generale tuttavia, dobbiamo considerare che anche il testo di suddetto articolo richiama fortemente l'articolo 224 bis; entrambi condividono il medesimo oggetto rappresentato dagli “atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali il prelievo di peli, di capelli, di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici “13.

Proprio in riferimento alla concisa nozione di accertamenti medici si snodano dubbi interpretativi (avendo l'impressione di trovarsi dinanzi ad una ridondante quanto posticcia aggiunta) che sfociano, tra l'altro, in probabili dichiarazioni di illegittimità costituzionale ancora per contrasto con l'art.13 Cost; ci si chiede difatti se con tale nozione si intendano semplicemente degli esami clinici o se, l'ampiezza della locuzione ci conduca a ricomprendere al suo interno ulteriori metodiche diagnostiche che poco si adatterebbero all'ambito prettamente legislativo.14

Ulteriore problema in riferimento al testo della norma è quello relativo alla identificazione ed individuazione dell'autore del reato; già nell'analisi dell'art. 224 bis si era 12 Si noti quindi la centralità dell'organo giurisdizionale che vede nel pm il soggetto che sollecita le operazioni di prelievo, e nel gip colui che ne autorizza lo svolgimento.

13 Circa le tipologie di prelievo si presenta ancora un margine di incertezza al momento di stabilire se l'elenco degli atti richiamati abbia un carattere tassativo o meramente esemplificativo.

14 L.Marafioti – L.Luparia, “banca dati del DNA e accertamento penale”, Giuffrè Editore 2010

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parlato dello screening di massa che sembrerebbe legittimamente consentito a causa di mancata tassatività del testo letterale della norma in questione, e la medesima condizione si riscontra anche nell'incipit dell'art. 359 bis che recita : “fermo quanto disposto dall'articolo 349, comma 2- bis”.

Sorprende, al contrario, trovare ricompresi tra le norme dettate in tema di perizia che l'art.359 bis richiami a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità degli esiti, i soli commi 2,4,5 art.224 bis, e non il suo comma 7, che, ricordiamo, prevede l'obbligatoria presenza del difensore dell'interessato alle operazioni di prelievo. Lascia perplessi inoltre, constatare come alla violazione di identiche disposizioni, vengano associate conseguenze processuali diverse a seconda che l'esigenza del prelievo si profili a fini di indagine (nullità ed inutilizzabilità delle informazioni) o che ci si muova nell'ambito di una perizia (sola nullità delle medesime).

Consci del fatto che l'art.349 comma 2-bis c.p.p., consente alla polizia giudiziaria di eseguire coattivamente il prelievo di campioni biologici qualora ciò sia indispensabile per identificare una persona sottoposta ad indagini, anteriormente all'entrata in vigore della legge 85/2009 si era optato per una interpretazione estensiva dell'art.359 bis che consentisse di effettuare tali operazioni anche su persone già note col fine precipuo di trarre spunti investigativi utili.

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è stato inevitabile: allo stato attuale abbiamo pertanto una netta distinzione tra le due norme dedicate rispettivamente da un lato, alla identificazione del sospettato con l'art.349 (per risalire alle generalità anagrafiche di persone sconosciute) e, dall'altro, con l'art.359 bis, all'individuazione dell'autore (rispettando le garanzie da quest'ultimo previste).

Ricapitolando possiamo allora riassumere i tratti comuni delle due disposizioni in materia di prelievi coattivi, significatamente cioè gli artt. 224 bis e 359 bis:

A) l'operazione, che viene disposta dal pubblico ministero previa autorizzazione del giudice; B) i destinatari dell'accertamento, che sono l'indagato, la persona offesa, le parti private, nonché i terzi15 ; C) il soggetto da sottoporre

all'esame, che previamente informato delle necessità investigative abbia però negato il proprio consenso al prelievo; D) l'esecuzione di tale operazione, che dato il suo carattere coercitivo deve essere assolutamente indispensabile per la prova dei fatti; E) il procedimento che autorizza legittimamente il prelievo coattivo e che deve ...riguardare un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a 15 La scena del crimine sovente risulta contaminata da tracce biologiche di soggetti terzi, tra cui la stessa vittima. In questi casi la tipizzazione del profilo di DNA svolge funzione di discrimine rispetto al DNA del colpevole. Si rammenti infatti che l'analisi della scena del crimine è tuttora basata sulla c.d. “teoria di Locard” (nota anche come “principio dell'interscambio”) secondo la quale tutti coloro che entrano in contatto con un oggetto o con una persona nell'ambito di una scena del crimine, si trasmettono reciprocamente delle tracce.

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tre anni, nonché in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge.

Per concludere, nonostante il timore che tali operazioni ledano invincibilmente il diritto al rispetto della dignità personale (da qui la previsione di utilizzare modalità poco invasive che possano comunque condurre a risultati determinanti per fini investigativi) è indubbio che simili tecniche di reperimento delle prove riescano a garantire maggiore concretezza delle indagini investigative nonché delle loro finalità e come tali meritevoli, de iure condendo, di iniziative.

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CAPITOLO 3

BANCA DATI NAZIONALE DEL DNA E LABORATORIO CENTRALE PER LA BANCA DATI DEL DNA

Sommario: 3.1 La disciplina attuativa; 3.2 Ambito definitorio; 3.3 Istituzione della banca dati dna ad uso forense (cenni); 3.4 Le attività tecniche: dal prelievo alla banca dati dna; 3.4.1 Dinamiche operative e tipizzazione del profilo del dna; 3.4.2 Le tecniche di campionamento e repertazione e le metodologie di estrazione del profilo; 3.4.3 Profili genetici tipizzati da reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali; 3.4.4 Parametri internazionali di affidabilità e certificazione dei laboratori nelle analisi dei reperti e dei campioni; 3.5 Il trattamento dei dati e dei campioni biologici: art. 12 e 13 L.85/2009; 3.6 Istituzione e specializzazione del corpo di polizia penitenziaria; 3.7 Le istituzioni di garanzia.

3.1. LA DISCIPLINA ATTUATIVA

Le norme dei regolamenti di attuazione della banca dati dna e del laboratorio centrale, disciplinano le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici e dei profili genetici, le competenze del personale tecnico-professionale ivi addetto, i criteri per la cancellazione e/o distruzione dei relativi campioni biologici, nonché le attribuzioni del responsabile della banca dati e di quello del laboratorio centrale.

Punto cardine è l'art.16 della legge 85/2009 intitolato “regolamenti di attuazione” che sancisce quanto segue:

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<< 1. Con uno o più regolamenti adottati, entro quattro

mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'art.17 comma 2 legge 23 Agosto 1988, n.400, […...] sono disciplinati in conformità ai principi e ai criteri direttivi della presente legge:

a) il funzionamento e l'organizzazione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale, le modalità di trattamento e di accesso per via informatica e telematica ai dati in essi raccolti, nonché le modalità di comunicazione dei dati e delle informazioni richieste;

b) le tecniche e le modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici, nonché, nel rispetto delle disposizioni di cui all'art.13 comma 4, i tempi di conservazione dei campioni biologici e dei profili di DNA;

c) le attribuzioni del responsabile della banca dati nazionale del DNA e del responsabile del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, nonché le competenze tecnico-professionali del personale addetto; d) le modalità e i termini di esercizio dei poteri conferiti dall'art.15 al CNBBSV (Comitato Nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita);

e) le modalità di cancellazione dei profili di DNA e di distruzione dei relativi campioni biologici nei casi previsti dall'art.13;

f) i criteri e le procedure da seguire per la cancellazione dei profili di DNA e per la distruzione dei relativi campioni biologici , anche a seguito di riscontro positivo tra i profili

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del DNA oggetto di verifica, al fine di evitare la conservazione, nella banca dati e nel laboratorio centrale, di più profili del DNA e più campioni biologici relativi al medesimo soggetto.

2. Gli schemi dei regolamenti di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere, ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia […...]. Benché la suddetta norma appaia ineccepibile quanto a tecnica legislativa, sembra tuttavia opportuno attendere l'emanazione di regolamenti specifici che consentano di stabilire precipuamente le finalità (nonché l'applicabilità) di tutte le attività previste dalla norma in questione. La scelta del legislatore in subiecta materia appare pertanto condivisibile in quanto consente di affrontare in una seconda fase, i necessari aggiustamenti affinché si possano consentire modifiche delle stesse norme regolatrici che, a qualsiasi titolo, non appaiano più congrue con le finalità degli eventuali nuovi standard tecnico-scientifici. In ciò la dottrina più attenta è concorde.

3.2. AMBITO DEFINITORIO

Prima di procedere ad analizzare l'istituzione nonché le attività tecniche della banca dati nazionale del DNA, è necessario compiere quello che si potrebbe definire “sforzo nomenclatorio”, che consentirà di “muoverci” agevolmente all'interno di un ambito definitorio prettamente tecnico, e per ciò stesso avulso dalle competenze forensi strictu

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sensu intese.

Già in precedenza abbiamo parlato di prelievo di campioni biologici e di reperti biologici i quali, mediante procedure tecniche di analisi, consentono di tipizzare il profilo del DNA. È pertanto d'obbligo stabilire cosa si intende (anche ai fini della già citata l.85/2009) con la nozione di DNA: tale acronimo indica l'acido desossiribonucleico depositario dell'informazione genetica di ciascun individuo sotto forma di una sequenza lineare di nucleotidi identificata con una serie di simboli (nello specifico con le lettere ACGT) che ci consente di ricavare per l'appunto l'informazione ereditaria di un individuo.

Tralasciando la composizione genetica prettamente scientifica, con relativo funzionamento, possiamo comunque affermare che tutte le cellule nucleate del nostro corpo, i nostri tessuti, e i nostri fluidi biologici (tra i quali ricordiamo: saliva, urina, sudore, ecc..) contengono DNA. Ovviamente parlando di banche dati e di prelievi di materiale biologico, dobbiamo precisare che si effettua un riferimento mirato al sangue ed alla saliva, intesi a tal fine come “fluidi di elezione”.16 Infatti il sangue, essendo ricco di

cellule nucleate, è meno soggetto ad eventuali “interferenze” nel prelievo17 rispetto alla saliva, che,

16 A. Scarcella “Prelievo del DNA e banca dati nazionale”, Cedam 2009, p.81

17 Anche se il campione di sangue medesimo sconta un gap culturale dovuto all'immaginario collettivo che lo lega indissolubilmente all'utilizzo della siringa; è pertanto d'obbligo ricordare come l'evoluzione delle tecnologie consenta attualmente di utilizzare

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essendo prelevata dal cavo orale, è altamente soggetta alle contaminazioni di altra natura (si pensi a quelle derivanti dall'ingestione o dalla masticazione del cibo).

Ciò detto effettueremo un breve excursus sull'istituzione della banca dati DNA ad uso forense e analizzeremo successivamente le modalità di prelievo, gli strumenti utilizzati a tal fine, i soggetti abilitati ad effettuare il prelievo medesimo, fino a pervenire alla tipizzazione (fase finale dell'iter) del profilo del DNA.

3.3. ISTITUZIONE DELLA BANCA DATI DNA AD USO FORENSE (CENNI)

La banca dati nazionale del DNA nasce con il dichiarato intento di facilitare l'identificazione degli autori di delitti. È stata introdotta nel nostro ordinamento con l.85/2009 con la quale si reperisce il contenuto del Trattato di Prum ratificato dal nostro Paese già nel 2005; si tratta della prima legge organica sull'acquisizione ed il trattamento della bioinformazione genetica a fini forensi, intendendosi con tale espressione l'informazione derivante dalle analisi di determinate caratteristiche fisiche o biologiche di un certo individuo. In campo forense infatti, la bioinformazione può essere utilizzata per stabilire se una persona è: colui che è stato in un certo posto o venuto a contatto con determinati oggetti e/o soggetti.

tecniche di prelievo per nulla invasive, in grado di assicurare comunque un efficace risultato.

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La previsione sulla quale si fonda l'intero sistema del database genetico forense è l'art.5 della legge, con il quale si prevede l'istituzione separata tra la banca dati nazionale del DNA (collocata presso il Ministero dell'Interno – dipartimento per la pubblica sicurezza) ed il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA (collocato presso il Ministero della Giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria).

Le funzioni svolte da tali “istituzioni” sono complementari: il laboratorio centrale si occupa: a) della tipizzazione, ovvero dell'estrazione del profilo del DNA nei confronti di determinati soggetti tassativamente elencati all'art.9; b) della sua successiva trasmissione alla banca dati nazionale la quale, a sua volta, gestisce solamente i profili identificativi, svolgendo così le competenze specifiche che le sono attribuite dall'art.7.

Una prima considerazione qui si impone: difatti, dal punto di vista concettuale, spesso si incorre nell'errore di pensare che le due attività nonché le stesse strutture del laboratorio e della banca dati, siano gestite in modo separato anche a livello “fisico”: ciò in quanto nella pratica, sussiste una sostanziale differenza qualitativa tra i dati conservati in banca dati (laddove il profilo identificativo inserito contiene le sole informazioni ottenibile dai marker utilizzati) e quelli conservati in laboratorio18. La banca dati è quindi,

18 In tal caso il campione biologico è infatti una fonte potenzialmente infinita di informazioni personali e pertanto è necessario che non sussista un collegamento specifico tra il “profilo” ed il “nome”

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essenzialmente, un centro di elaborazione informatica delle sole sequenze alfanumeriche identificative (i marker per l'appunto) estratte da campioni o reperti biologici; sequenze che provengono da fonti esterne alla stessa banca. Il laboratorio centrale è invece il luogo del trattamento del profilo specificatamente identificativo, e rappresenta uno, per non dire il principale, canale di approvvigionamento della banca dati.

Per quel che concerne ciò che si potrebbe definire una “questione terminologica” posta in essere dall'art.6, dobbiamo far chiarezza su alcuni concetti cardine:

a) con il termine trattamento si intende qualunque operazione o complesso di operazioni effettuate anche senza l'ausilio di strumenti elettronici riguardanti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, la tipizzazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati stessi. b) col termine accesso si intende la consultazione, anche informatica, dei dati e delle informazioni contenute nella banca dati.

c) per dati identificativi si intendono i dati personali che permettono l'identificazione diretta dell'interessato (tale definizione è stata attinta dal codice della privacy).

d) infine per quanto concerne la tipizzazione si intende il complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che

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conducono alla produzione del profilo del DNA.

Non ultimo per importanza, un breve cenno merita essere in questa sede dedicato al “familial searching”. Sappiamo che a livello prettamente scientifico il dato genetico è caratterizzato dalla ereditabilità di una quota pari al 50% dei geni appartenenti e trasmessi da ognuno dei genitori biologici al proprio figlio. Ciò significa che ogni profilo inserito in banca dati rappresenta non solo l'impronta genetica di quell'individuo, ma anche quella dei suoi stessi genitori biologici.

Ebbene, tale caratteristica può essere ottimizzata secondo la tecnica del “familial searching” mediante la quale si ricerca non una perfetta corrispondenza ( o “full match”) tra i profili inseriti in banca dati e quelli provenienti dalla scena del crimine, ma una corrispondenza parziale che possa mettere in correlazione un probabile vincolo di parentela tra l'autore del fatto criminoso e coloro che sono schedati in banca dati: il risultato sarà l'ottenimento di una lista di nomi di soggetti sospettati che verranno contattati per verificare se abbiano un parente che possa aver commesso il delitto.19

19 A. Scarcella “Prelievo del DNA e banca dati nazionale”, Cedam 2009, p.73.

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3.4. LE ATTIVITA TECNICHE :

DAL PRELIEVO ALLA BANCA DATI DEL DNA

L'Italia è uno tra gli ultimi Paesi industrializzati a disciplinare normativamente l'istituzione della banca dati nazionale DNA e del relativo laboratorio. Nel richiamare il panorama internazionale a livello comparativo possiamo agevolmente constatare come, soprattutto i laboratori che si occupano di analisi del DNA, siano suddivisi in tre tipologie: vi sono quelli che si occupano esclusivamente di analisi legate alle indagini, quelli che si occupano esclusivamente di analisi legate alle banche dati DNA, ed infine quelli che si occupano di entrambe le tipologie di analisi.

Il nostro legislatore ha preferito conservare contemporaneamente sia i campioni/reperti biologici sia i relativi profili, nonostante un nutrito gruppo di scienziati abbia, di contro, osservato che la conservazione anche dei campioni biologici sia pressoché inutile ai fini dell'identificazione del soggetto e comporti altresì un rischio di violazione dei diritti individuali ingiustificato a seconda del celato uso che ne si vuole fare.20

A sostegno di questa tesi è in uso in Inghilterra il processo di identificazione basato sul NDNAD (National DNA 20 È utile capire quali siano le potenzialità estraibili estraibili dal campione biologico di riferimento: una cosa è cercare la corrispondenza esclusiva tra individuo e campione e una cosa è ricavarne informazioni diverse utili ad altri scopi.

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Database) che prevede l'utilizzo di tre elementi: il reperto, il campione, l'indagato. Qualora sussista una corrispondenza tra il profilo tipizzato dal campione inserito nel NDNAD, l'indagato potrà comunque chiedere una nuova tipizzazione che metta a confronto il profilo estratto dal reperto con quello proveniente da un suo stesso campione; è così possibile accertarsi dell'effettività dell'identificazione.

Tornando alla l.85/2009, gli artt. 7 e 8 stabiliscono il riparto di competenze tecniche tra la banca dati nazionale del DNA ed il laboratorio centrale, caratterizzando la prima come unico punto di raccolta e di raffronto a fini di identificazione di profili di DNA di una nutrita serie di soggetti;21 il secondo, come istituto non meno importante

legittimato alla conservazione dei campioni biologici utilizzati per la tipizzazione del profilo del DNA dei soggetti stessi, nel rispetto delle specifiche modalità e casistiche previste.

3.4.1. DINAMICHE OPERATIVE E

TIPIZZAZIONE DEL PROFILO DEL DNA

L'art.9 della l.85/2009 recita quanto segue:

<< 1. Ai fini dell'inserimento del profilo del DNA nella banca

21 I soggetti indicati dall'art.9 comma1 sono: persone scomparse o loro consanguinei; cadaveri e resti cadaverici non identificati; profili relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali.

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dati nazionale del DNA, sono sottoposti a prelievo di campioni biologici :

a) i soggetti ai quali sia stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari ;

b) i soggetti arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto ;

c) i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo ;

d) i soggetti nei confronti dei quali sia stata applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo ;

e) i soggetti ai quali sia stata applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza detentiva.

2. Il prelievo di cui al comma 1 può essere effettuato esclusivamente se si procede nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 per delitti, non colposi, per i quali è consentito l'arresto facoltativo in flagranza. Il prelievo non può essere effettuato se si procede per i seguenti reati : a) reati di cui al libro 2, titolo 3, capo 1, tranne quelli di cui agli art.368, 371 bis, 371 ter, 372, 374 aggravato ai sensi dell'articolo 375, 378 e 379, e capo 2, tranne quello di cui all'art.390 c.p ;

b) reati di cui al libro 2, titolo 7, capo 1, tranne quelli di cui all'art.499 e capo 2, del c.p ;

c) reati di cui al libro 2, titolo 8, capo 1, tranne quelli di cui all'art.499, e capo 2, tranne quello di cui all'art.513 bis, del c.p ;

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d) reati di cui al libro 2, titolo 8, capo 1, del c.p ; e) reati di cui al regio decreto 16 Marzo 1942, n.267 ; f) reati previsti dal c.c ;

g) reati in materia tributaria ;

h) reati previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al d. lgs 58/1998.

3. Nel caso di arresto in flagranza di reato o di fermo di indiziato di delitto, il prelievo è effettuato dopo la convalida da parte del giudice.

4. I soggetti indicati dal comma 1 sono sottoposti a prelievo di campioni di mucosa del cavo orale a cura del personale specificatamente addestrato delle Forze di polizia o di personale sanitario ausiliario di polizia giudiziaria.

5. Le operazioni sono eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto. Delle operazioni di prelievo è redatto verbale.

6. Il campione prelevato è immediatamente inviato, a cura del personale procedente, al laboratorio centrale di cui all'art.5 comma 2, per la tipizzazione del relativo profilo e la successiva trasmissione alla banca dati del DNA. >>.

Da questo angolo visuale possiamo immediatamente affermare che il punto focale della banca dati del DNA è costituito dai profili di DNA dei soggetti individuati ai sensi dei primi due commi; l'individuazione dei potenziali interessati dal prelievo di materiale biologico è stata effettuata secondo un criterio basilare e graduato rappresentato dalla sottoposizione degli stessi a misure

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restrittive della libertà personale ( aspro e sterile sembra essere il continuo dibattito giurisprudenziale tra coloro che sostengono una illiceità del prelievo, affermando una marcata illegittimità costituzionale, e coloro che invece fanno perno sulle prevalenti e necessarie esigenze di giustizia.

A dirimere la mai sopita querelle ci si mette anche il legislatore, in quanto l'applicazione concreta del suddetto criterio sembra sfociare in una demarcazione illimitata che spazia dai soggetti nei cui confronti sono state applicate misure provvisorie di restrizione della libertà personale, a coloro che sono detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile.22

3.4.2 . LE TECNICHE DI CAMPIONAMENTO E REPERTAZIONE E LE METODOLOGIE DI ESTRAZIONE

DEL PROFILO

Tralasciando per un attimo i profili di legittimità costituzionale sull'argomento in questione, analizziamo la procedura tecnico-operativa del prelievo di campioni biologici con successiva estrazione e tipizzazione del profilo di DNA.

In primis occorre precisare che la banca dati riceve profili utili in quattro casi diversi; a) il laboratorio centrale ha il 22 Viene utilizzata l'espressione “anagrafe criminale” basata sulla catalogazione desossiribonucleica di tutti i soggetti a vario titolo ristretti nella libertà personale. In tal senso, B. Galgani “Commento

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compito di trasmettere i profili dei soggetti che sono candidati all'inserimento in banca dati in quanto considerati come “sospetti perenni”. Tali soggetti sono coloro che, ai sensi del già citato art.9, vengono sottoposti a misura cautelare o pre-cautelare, a misura di sicurezza, a pena detentiva a seguito di sentenza definitiva di condanna, ciò sempre che si proceda per delitto non colposo per il quale sia consentito l'arresto in flagranza.

b) l'autorità giudiziaria tenuta, in relazione a ciascuno specifico procedimento pendente, a trasmettere i profili di DNA tipizzati da reperti biologici acquisiti nel corso del procedimento, mediante perizia o accertamento tecnico. c) invio alla banca dati, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria procedente, di tutti i profili genetici già anteriormente acquisiti nell'ambito di un qualsiasi procedimento penale;

d) recezione dei profili genetici relativi a persone scomparse, a loro consanguinei, a cadaveri o resti cadaverici non identificati.

La precipua funziona della banca dati è pertanto quella di confrontare periodicamente e sistematicamente tutti questi profili, al fine di ottenere uno dei seguenti e possibili risultati: un match tra un nuovo profilo proveniente da una scena del crimine e quello già presente in database; un match tra un nuovo profilo individuale e quello proveniente dalla scena di un crimine risalente o rimasto irrisolto (trattasi di una speculative search che condurrà alla soluzione del cold case); un match tra due profili personali,

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inseriti successivamente, anche sotto diverso nome: in tale ipotesi la ricerca può segnalare il responsabile di più reati, svelando l'eventuale presenza di alias e contribuendo alla esatta individuazione dell'età anagrafica del soggetto; un match tra un nuovo profilo proveniente dalla scena del crimine ed uno proveniente da una vecchia scena del crimine: in tal caso l'individuazione del colpevole può pervenire mediante il collegamento emergente dai vari delitti.

Precisato ciò, torniamo alla procedura tecnico-operativa. I maggiori (e più utilizzati) fluidi d'elezione per il prelievo di materiale biologico risultano essere sangue e saliva essendo entrambi molto versatili per poter estrapolare e tipizzare il profilo di DNA di un determinato soggetto (ne basta infatti una quantità millesimale). Orbene, tali materiali necessitano di un “supporto” per il prelievo: possiamo elencarne tre diverse tipologie.

1) tamponi tradizionali (cotone e dracon): sono i più utilizzati ed economici, e si caratterizzano per dover necessariamente essere conservati a – 20° prima del loro utilizzo. Vengono smaltiti come rifiuti speciali.

2) tamponi-spazzolini in carta cromatografica: non necessitano della catena del freddo per la loro conservazione e potrebbero non essere smaltiti come rifiuti speciali qualora subiscano un trattamento chimico preventivo della matrice.

3) carta cromatografica: permette una conservazione infinita del prelievo, facilita l'estrazione del DNA e la sua

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tipizzazione, nonché le procedure di certificazione del prelievo.

Tutte queste tipologie di supporto possono essere processate con una pluralità di metodi di estrazione, mentre i soli supporti in carta cromatografica trattati possono essere tipizzati senza il distacco del DNA.

La seconda fase del processo è quella relativa all'estrazione del DNA intendendosi con tale espressione l'insieme dei protocolli aventi la finalità di isolare il materiale genetico dagli altri componenti cellulari o da qualsiasi altra sostanza presente nel campione prelevato (es: batteri, sali, solventi, ecc..). Tra i principali metodi di estrazione del DNA per uso forense troviamo i seguenti:

1) estrazione organica classica in fenolo/cloroformio; 2) estrazione con resine di silice in fase liquida; 3) estrazione con colonnine filtranti a resina di silice; 4) estrazione con resine magnetiche in fase liquida; 5) estrazione con resine magnetiche in fase solida;

6)estrazione su carta cromatografica trattata chimicamente. Tra tutte queste modalità la migliore risulta essere l'ultima in quanto le carte cromatografiche trattate assolvono il duplice compito di supporto per il prelievo nonché quello di conservazione, arrivando a svolgere anche il compito di isolamento/estrazione del DNA.

Per quanto concerne infine la tipizzazione, il DNA è contenuto nel nucleo cellulare sotto forma di cromosomi con struttura a doppia elica le cui unità costitutive sono rappresentate dai nucleotidi. I cromosomi sono suddivisi in

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zone codificanti e non, e proprio all'interno di queste ultime troviamo le c.d. “regioni ipervariabili”: per ciascuna di queste sono stati definiti i STR (Short Tandem Repeats) ovvero i microsatelliti utili per identificare geneticamente un individuo. La tipizzazione del DNA proprio a fini identificativi avviene mediante la tecnica denominata PCR (Polymerase Chain Reaction) grazie alla quale si rendono analizzabili le diverse regioni genetiche dell'individuo; analisi che indubbiamente fornirà risultati utili anche per ulteriori accertamenti genetico-forensi.

È grazie a tutte queste operazioni che, dall'Italia, la Banca Dati Nazionale del DNA può attingere al Co.D.I.S. (Combined DNA Index System) ed attraverso questo condividere, comparare e ricercare profili genetici ottenuti da altri organismi internazionali accreditati ufficialmente e formanti un globale, immenso database.

3.4.3. PROFILI GENETICI TIPIZZATI

DA REPERTI BIOLOGICI ACQUISITI NEL CORSO DI PROCEDIMENTI PENALI

Discorso a parte è quello inerente ai profili genetici acquisiti in un procedimento penale, in quanto il procedimento e relativi protocolli che conducono a produrre i suddetti profili sono più articolati e complessi: non si applica perciò una regola comune per la loro analisi e tipizzazione.

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