Infine, è doveroso estendere lo sguardo alla gestione del periodo nella poesia di Molin, di cui ci si propone di delineare il profilo sintattico. La costruzione sintattica dei componimenti è prevalentemente connotata da una significativa convergenza di strategie difficili. Prevedibilmente, in molti casi il periodo è turbato da anastrofi o iperbati, o talvolta, dal confluire di entrambe le forme. Per citare qualche caso:
son. V (vv. 1-2) Piangea Madonna, et da begli occhi fore visibilmente uscian chiare faville; son. XL (v. 8) ch‟a‟ sassi fea di lagrimar desio son. LXXII (v. 4) d'almi pregi d'honor vi mostra degno
LXIV
Inoltre, è diffuso l‟uso di una ipotassi con principale franta da una serie di subordinate come addendi frastici. A titolo esemplificativo:
Malta, ch‟al fin respira
da l‟assalto crudel, da l‟alta forza, 100 che la circonda e sforza,
mostra, che quel, cui d‟honor vero caglia, poco teme del mondo impeto od ira
Nel passo, tratto dalla ottava stanza della canz. XXXVIII, si riconosce una frattura tra il soggetto, Malta (v. 99), e la sua predicazione differita al v. 104. Dunque, sintatticamente, si ravvisa la presenza di un soggetto in prima posizione (in apertura di stanza proprio) con dilatazione predicativa, ritardata dall‟incassatura di due relative (v. 99 e v. 101).
Infatti, l‟aspetto più interessante della sintassi moliniana corrisponde ad un modulo frequentemente riproposto: ovvero il ritardo nella predicazione principale, posposta principalmente alla seconda quartina, in altri (rari) casi addirittura alla prima terzina. Si è cercato di riassumere queste situazioni estreme nella seguente tabella esplicativa:
Luogo della predicazione Riferimento testuale
Al v. 5 Son. XXVIII Son. XLIX Son. L Son. LV Al v. 6 Son. XXXI Al v. 7 Son. XXVII Son. XXIX Al v. 9 Son. XXV Son. XXVI Son. XLVI
Come si può notare, l‟uso è spesso proposto in sequenze di sonetti caratterizzate da continuità tematica, come ad esempio la sezione morale (sonn. XXV-XXXI), quasi con l‟intenzione di marcare anche da un punto di vista di postura sintattica la familiarità. In secondo luogo, dalla numerazione si può rilevare anche una decisa predilezione da parte di Molin per la sezione morale e in morte. Ad esempio non si annovera nessun caso nella sezione amorosa. Il dato è interessante se si osserva che una simile gestione del periodo, così estremamente complessa e articolata, è accuratamente evitata nelle sezioni amorose (dove la difficoltà è prevalentemente metrica e contenutistica). Si prendano ora a in considerazione, a titolo esemplificativo, alcuni casi.
LXV
Son. XXVIII Chi mi vedesse in questa valle ombrosa errar pensoso a passi torti et lenti,
et fermarmi talhor con gli occhi intenti,
o giù posarmi in qualche parte herbosa, 4 certo diria: “Questi gran pena ascosa
porta, et bisbiglia in sé co' suoi tormenti”. Né sa, che co' pensier del vulgo spenti
sento in me l'alma a pien lieta e gioiosa 8 Son. XLIX Alma, che sei nel ciel bella et gradita
come fosti qua giù leggiadra et cara, da quel lume sovran, c‟hor‟ ti rischiara
et fa per gratia al tuo splendore unita, 4 mira il buon padre tuo, che „l mondo addita per la virtù, che dal suo dir s‟impara, lo qual piangendo la tua morte amara
procura al nome tuo perpetua vita, 8 Son. XXVII L'aura soave, et l'acqua fresca et viva,
che dolce spira, et l'herbe impingua e i fiori tenere et verdi, et di sì bei colori,
quant'huom mai vide in altra piaggia o riva, 4 e'l cantar degli augelli et l'ombra estiva
et questi boschi et questi amici horrori son proprio luoghi, ove a mondani errori
alma involar sì può nobile et schiva. 8 Son. XXV Hor che dal vulgo errante a voi ritorno,
vaghe contrade a' miei desiri amiche per trovar posa a l'alte mie fatiche,
et viver de' miei dì queto qual giorno, 4
s'anime dive in sì bel luogo adorno, come già volser le memorie antiche, regnano anchor; né son schive o nemiche,
c'huom mortal venga a lor sacro soggiorno; 8 fatemi insieme voi d' habitar degno
gli alberghi vostri, et come qui m'appaga
lo star, d'havermi a voi non sia discaro 11
Un caso interessante, infine, che si ritiene meritevole di segnalazione si attesta nella sestina spirituale LXIII:
Signor, senza misura et senza tempo, ch'infondi a l'universo e stato e vita; et di nulla creasti il mondo e 'l cielo,
LXVI pentito, abbracci, et può contrita un'alma, 5 far di molt'anni amenda in un sol giorno,
piacciati, prego, a l'ultimo mio giorno, di cui già parmi, che s'appressi il tempo;
sì mi sento gravar le membra, et l'alma, salvarmi, et non guardar l'andata vita; 10 che gli error miei confesso, et la mia colpa, ma fa lei degna di tornare al cielo.
La torsione del periodo è tale da scindere il soggetto dalla predicazione – il primo nella prima stanza, la seconda nella seconda – e da frantumare ulteriormente la predicazione in due momenti (vv. 7 e 10). Sicuramente una tale difficoltà sintattica, posta in apertura di testo, è perfettamente consona alla forma metrica ospitante, la sestina, ed è infatti accompagnata dal convergere di altre soluzioni di complessità formale (per l‟analisi del componimento cfr. pp. 213-217).
Un‟ulteriore elemento di torsione è dato, in Molin, dalle frequenti inarcature, talvolta isolate, talvolta in vere e proprie sequenze protratte. Innanzitutto, completato uno spoglio sui testi approfonditi in questo lavoro di ricerca, si possono distinguere enjambement di tipo cataforico e anaforico. Per la prima tipologia, senza dubbio più diffusa, si segnalano i seguenti casi:
Vieni o diletta di quest'alma, et quella
mercé, che ben può dar vergine avara (son. IX, vv. 5-6) Qui vivo in libertà, qui nulla interna
cura mi preme, et quel, che più m'è caro (son. XXVIII, vv. 9-10) Qual duol mai pareggiar potrai l’avaro
Fato, ch‟ a noi tolse... (son. XXXIX, vv. 1-2) Quand'io penso, Signor, a le infinite
mie colpe, a gli errori miei, temo et pavento (son. LIII, vv. 1-2)
Inoltre, in tre occasioni si riconosce il medesimo contre-rejet, ma sempre con significato differente:
Ma non s‟accorse pria che le tue chiare
virtù fatto le havean scorno palese (son. XLII, vv. 5-6) Hor che febre mi tien grave, et smarrita
la virtù sento, et non mi presta aita (son. LXIV, vv. 6-7) Principe aventuroso, a la cui rara
LXVII
Molin, in alcuni componimenti, confonde il lettore con una dittologia aggettivale in rejet, che ha l‟effetto di rendere particolarmente marcata l‟inarcatura; si vedano:
d‟habitar teco, et queste alte et diverse
piante producan sempre… (son. XXVI, vv. 13-14) come veggio restar confusa e mesta
Morte, anzi oppressa al tuon, ch‟indi rimbomba (son. XLVIII, vv. 3-4) Dateli, o Muse, il faticoso et raro
pregio de' vostri sempiterni allori (son. LXVII, vv. 5-6) Per la seconda tipologia di inarcature invece si notino:
figlia sì rara, et ricovrate l’opra
sparsa da Morte in far chiaro il suo vanto (son. XLVIII, vv. 10-11) Angela in carne humana, et serafina
vera del Ciel, che già nel mondo errante (son. LVII, vv. 1-2) la qual s'a perdonar a questa vita
larga non fosse ne l'estremo giorno (canz. LXIII, vv. 21-22) serbi natura, et voglia
schiva del mondo scelerato et fello (canz. LXXIV, vv. 20-21)
Gli enjambements più diffusi in Molin spezzano il sostantivo (soggetto o complemento) dal verbo o viceversa; si rilevano i seguenti casi: son. XXX (vv. 5-6); son. XL (vv. 12-13); son. LVII (vv. 9-10); son. LIX (vv. 3-4 e 6-7); son. LXVI (vv. 5-6 e 7-8); son. LXVII (vv. 1-2 e 12-13) e son. LXXII (vv. 6-7 e 12-13). Tra questi i luoghi più interessanti sono:
SVeLSe et TRoncò da queSTo PRato humano
lei, ch‟era un fior cui par non nacque mai (son. XLIII, vv. 13-14)
Nel sonetto, in morte di Irene di Spilimbergo, l‟inarcatura è marcata dalla dittologia verbale sottrattiva (e rilevante anche per l‟asperitas fonica) e dalla estrema brevità del contre-rejet, limitato ad un solo pronome. Le scelte sono significative perché conferiscono drammaticità agli ultimi versi del componimento, che descrivono proprio la morte della giovane. Significativo anche:
et per natia bontà pien d’alto merto
togliesti; il nostro Hippolito è sotterra; (son. LXIV, vv. 11-12)
con enjambement a cavallo tra le terzine, unico caso attestato nel canzoniere, e molto marcato.
LXVIII
Tra questi, inoltre, è rilevante soffermarsi su due ulteriori esempi ambigui e difficili connotati da una ricercata ambiguità fra i termini in rejet. Quindi:
move, chi fia che mai queti o tranquille
l'alma, ch'ognihor convien, ch'arda et sfaville (son. V, vv. 6-7)
“Tranquille” comunemente presenta un significato di natura aggettivale, aspettativa che viene invece turbata con l‟apparizione del contre-rejet “l‟alma” evidentemente non in corrispondenza con il presunto aggettivo e che induce dunque il lettore ad una correctio attribuendo al termine un (insolito) valore verbale. Lo stesso meccanismo si rileva anche in son. XXX (vv. 5-6):
L'alma di travagliar stanca et dispera sorte miglior temendo il suo reo fato
“Stanca” si riconosce immediatamente con valenza aggettivale, che il lettore ad una prima lettura sarebbe portato ad estendere anche a “dispera” nel significato di “disperata”. Al contrario, solo l‟inatteso contr-rejet permette di attribuire al termine il suo corretto valore verbale.
Come anticipato, in alcuni componimenti si riconoscono interessanti catene di inarcature, che contribuiscono a creare un effetto contorto e complesso. Ad esempio, si consideri il son. LXIV:
Cari et fedeli miei, mentre al ciel piacque vissi et le noie de l'human vita
passai con l'alma a l'amor vostro unita,
che ben del mio s'avide, e si compiacque: 4 ma, perch'ogni huom qua giù per morir nacque, hor che febre mi tien grave, et smarrita la virtù sento, et non mi presta aita
cibo, ch'io prenda, o succo d'herbe, o d'acque: 8 e il son. LXV:
Basti cantar, che d'Aragona nacque donna, che 'l ciel da la più chiara Idea
tolse, e in formarla a se medesimo piacque 14
Non mancano, inoltre, moduli interrogativi in Molin spesso marcati da pronunciate intensificazioni d‟uso. Il caso più estremo corrisponde, senza dubbio, al madrigale XXIII, la cui struttura corrisponde ad un intimo (e serrato) dialogo con sé stesso (per l‟analisi cfr. pp. 85-86):
LXIX -Alma d‟amor gioiosa hor che sospiri? -Per soverchio diletto;
-Dunque il piacer d‟amor reca martiri? -Sì, dov‟ha troppo affetto;
-Ma che pon freno a suoi maggiori desiri? -Sperar men de l‟obietto:
-Et, s‟huom la speme adempie, onde i sospiri? -Da continuo sospetto;
O novo e strano effetto,
falsa amorosa voglia, se dal suo maggior ben nasce la doglia.
5
10
I vv. 1 - 3 -5 -7 corrispondono a domande di un endecasillabo a cui segue sempre una breve risposta equivalente al successivo settenario.
Il son. XLV, invece, intensifica l‟uso interrogativo nella prima quartina, che ospita ben quattro interrogazioni, questa volta non omogeneamente distribuite; nel dettaglio:
Dimmi Hippolito mio dove n‟andasti quinci partendo? A i lieti campi? Al regno di Pluto? Et, s‟ei t‟udì, perché ritegno ti fe‟, se di tornar pur lo pregasti? […]
perch‟indi almen de‟ tuoi l‟amica schiera non movi in segno a consolar talhora,
che duolsi, et chiama te matino et sera? 4
11
A ben guardare, il modulo recupera il modello interrogativo anticipato nel son. immediatamente precedente (son. XLIV, vv. 7-8), contribuendo così da un lato a legare anche da un punto di vista formale due componimenti fra loro connessi per il contenuto (cfr. pp. 163-165) e, d‟altro lato, la sequenza compulsiva di domande, che si snoda con continue infrazioni del patto metrico sintattico, contribuisce a evidenziare il dolore incredulo per la morte del destinatario, Ippolito de‟ Medici.
Con quest‟ultima valenza si riconosce anche il marcato uso attestato nel madrigale LII, incluso sempre nella sezione in morte (per l‟analisi cfr. pp. 181-183). Infatti:
Che giova il lagrimar? Che giova il duolo, dove non ha rimedio il suo tormento? Anzi accresce martir vano lamento? […]
Et chi non piangeria diviso in tanto, 11 d'ogni suo ben, che fisso in cor lo porte?
Et, se quinci ne vien la doglia e 'l pianto chi gli può terminar meglio di Morte?
O pianto, o duol, ch'in me potete tanto
La ripetitività che attraversa il componimento, e che contribuisce a evidenziare lo smarrimento del poeta, è marcata anche dalla ripetizione delle invocazioni (v. 15) e di termini chiave, come ad esempio l‟immagine del pianto (v. 1 e v. 13) e del dolore
LXX
(“duolo” v. 1 e “doglia” v. 13), a conferma dell‟attenzione moliniana a favore di un sistema formale coerente.
La strategia di intensificazione, attestata per il modulo sintattico, si riscontra anche per le ipotetiche. Il meccanismo è evidente considerando il son. LXIX (vv. 6-14):
Questi son pur quei colli (occhi miei vaghi allarghiam qui pur noi l'alma et la vista) dove già Roma gloriosa, hor trista,
non dà men duol, ch'altrui mirando appaghi: quel, che bramasti pria, rendavi hor paghi,
se può cosa appagar, ch'insieme attrista;
anzi a l'obbietto di cotanta vista
cada l'affanno; et sol gloria ne invaghi; che, s'ogni opra mortal struggono i tempi
da le memorie sparse entro al suo seno,
alziam la mente a' suoi più chiari essempi; o più, ch'altro, famoso almo terreno;
come ogniun, che ti mira, ingombri et empi,
se non di duol, d'honesta invidia almeno.
4
8
11
14
Come per il madr. LII, anche in questo caso si rileva l‟intensificazione della struttura sintattica “distintiva” e, d‟altro lato, l‟insistenza diffusa della ripetizione come caratteristica formale del componimento. Si riconosce, infatti, anche per il riproporsi ossessivo della rima identica (vv. 2-7), della ripetuta rima derivativa (vv. 1-8, 3-6 e 4-5), del costrutto “pria” – “hor” (vv. 3-5) e di termini chiave, come “gloriosa” – “gloria” (vv. 3, 8) e “duol” (vv. 4, 14). La ridondanza formale, il ripetersi dell‟identico, per contrasto accentua la tragicità del contenuto, che corrisponde ad un‟amara riflessione sul mutato aspetto di Roma, la cui gloria è invece al tramonto.
Lo stesso uso si attesta, con la medesima funzione, anche nel son. VI:
Se del vecchio Titon schiva ti desti
candida Aurora anzi 'l tuo tempo usato, rallenta prego hor ch'io mi poso al lato
d'ogni mio bene, i tuoi passi sì presti; 4 o, se col tuo venir forse m'infesti
invidiosa del mio dolce stato, ritrova amico a' tuoi desir più grato
sì, che seco lo star non ti molesti. 8 Ma, se 'l tuo corso a tempo si rinova,
et me inganna il piacer de la mia gioia
sì, che par, ch'io con colei poco soggiorni, 11 sollecita, che 'l Sol pronto si mova
LXXI tosto a quel bene, ond'ho tutt'altro a noia. 14
Anche in questo caso nel momento in cui sceglie di apportare il modulo ipotetico, Molin lo esaspera proponendone una triplice ripetizione, con equilibrata simmetria nelle distribuzioni.
L‟intensificazione di un modulo sintattico è, evidentemente, cara a Molin che la ripropone in ripetute occasioni, come ad esempio anche in:
così di tutto tema, et tutto gelo,
tutto speme divengo, et tutto foco (son. LIII, vv. 10-11)
o:
L'aura soave, et l'acqua fresca et viva,
che dolce spira, et l'herbe impingua e i fiori tenere et verdi, et di sì bei colori,
quant'huom mai vide in altra piaggia o riva, 4 e'l cantar degli augelli et l'ombra estiva
et questi boschi et questi amici horrori son proprio luoghi, ove a mondani errori
alma involar sì può nobile et schiva. (son. XXVII, vv. 1-8) o:
Hor a tanto sospetto, ov’è quel saggio
discorso, ove „l valore, ove’ l coraggio? (canz. XXXVII, vv. 159-160)
Infine, si è posta l‟attenzione sull‟uso e distribuzione delle avversative in Molin. Prendendo in considerazione i sonetti (53 in questa silloge), si contano 18 avversative, sempre introdotte dalla congiunzione “ma”, non necessariamente in punta di verso. L‟aspetto più interessante non è però il dato quantitativo, bensì dove si attestano.
v. 1 X
v. 2 LVI
v. 3 XLVI
v. 4 XII
v. 5 IV; LXII; LIII; LVII; LXIV; LXX; LXXI
v. 6 - v. 7 - v. 8 - v. 9 VI; XLIII v. 10 LVI v. 11 - v. 12 VII; XXXI; XXXV v. 13 XII v. 14 -
LXXII
Come si deduce dalla tabella, Molin predilige l‟incipit della seconda quartina e della seconda terzina, ovvero rispettivamente i vv. 5 e 12, per avviare una avversativa che stravolga le affermazioni precedentemente proposte. Dunque la correctio non divide il testo simmetricamente tra quartine e terzine, bensì poco prima o poco dopo il naturale confine metrico. Il dato è interessante in quanto, considerate le osservazioni relative anche alla posizione delle dittologie e più in generale al profilo formale di Molin, emerge il ritratto di una poesia che avrebbe l‟intenzione di presentarsi in una maniera non troppo scontata, capace di sorprendere con elementi non facilmente prevedibili, con contenuti in alcuni casi lontani dalla tradizione e dagli andamenti più stereotipati.