Passiamo ora ad affrontare la questione se, fra i compiti
spettanti al redemptor, vi fosse anche la progettazione (nel ca-
so si rivelasse necessaria) dell’opus publicum faciendum.
Occorre preventivamente avvertire, a tal riguardo, che le
fonti in grado di dare utili indicazioni per abbozzare una plau-
sibile risposta non sono molte, né tali, in ogni caso, da poter
supportare rappresentazioni eccessivamente generalizzanti.
Condiziona negativamente la ricerca, in particolare, la scarsità
delle notizie, desumibili da fonti epigrafiche e letterarie, in
merito al ruolo ricoperto dagli architecti
20nell’organizzazione
dei lavori pubblici, e ancor più in merito ai rapporti che questi
intrattenevano con i magistrati locatori e con i redemptores
21. I
82 PARTE PRIMA - CAPITOLO TERZO
19Cfr. infra, p. 234 ss.
20La formazione professionale degli architecti operanti in Roma, come è no- to, era indirizzata anche sugli aspetti ingegneristici dell’edificazione: cfr., per tutti, REPELLINI, Tecnologie, p. 333 ss.
21 Nelle iscrizioni che commemorano la costruzione di un’opera pubblica compare, di regola, il solo nome del magistrato committente (cfr. CALABILIMEN- TANI, Studi, p. 139 ss.; GROS, Templa, p. 53); solo raramente trova spazio il nome dell’architectus (v., per esempio, CIL X.4587; XI.6509; inoltre, CALABILIMENTA- NI, Epigrafia, p. 254 s.). Circa le fonti letterarie, vi sono soltanto due accenni (Cic., De leg. agr. II.13.32; Front., De aq. 100.1), per quanto mi risulta, che alludono
pochi autori, poi, che si sono occupati del problema in que-
stione non hanno potuto far altro che interpretare, in qualche
modo, il silenzio delle fonti; in altri casi, hanno prospettato so-
luzioni fondate essenzialmente sulle teorizzazioni vitruviane
relative ai compiti dell’architectus, nelle quali, però, risulta ge-
neralmente indistinto il campo della progettazione pubblica
rispetto a quella privata. Va aggiunto, per altro, che tale dot-
trina non si è espressa in modo univoco, ed ha ritenuto, da un
lato, che la progettazione inerisse alla redemptio, e rientrasse
pertanto fra i doveri dell’appaltatore
22; ha considerato, d’altro
OPUS PUBLICUM FACIENDUM LOCARE 83chiaramente ad un rapporto istituzionale di collaborazione tra gli architecti ed un organo pubblico, ma entrambi i casi presentano delle particolarità che non con- sentono di delineare i tratti del rapporto architectus-committente che a noi inte- ressa. Nel passo di Cicerone richiamato, infatti, gli architecti figurano tra gli appa- ritores dei decemviri agris dandis adsignandis adiudicandis; ora, non credo che a ta- li magistrati la proposta di riforma agraria avanzata dal tribuno P. Servilio Rullo, che per altro non fu approvata (v. LUZZATTO, Proposta, p. 91 e nt. 14), attribuisse una particolare competenza nel campo dell’edilizia pubblica. Mi sembra più pro- babile, invece, che gli architecti menzionati nel passo fossero dei tecnici, in qual- che modo adibiti alla misurazione della terra (v., in tal senso, anche DERUGGIERO, sv. ‘Architectus’, p. 646). Analogamente, nel senatoconsulto dell’11 a.C. (riportato nel passo di Frontino sopra menzionato), in cui viene disposta un’assegnazione di architecti a favore dei curatores aquarum, si stenta a ravvedere figure professionali interessate alla progettazione e alla posa di opere, mentre sembra più probabile che gli architecti in questione avessero mansioni di minor rilievo, connesse alla manutenzione degli acquedotti (v. ancora DERUGGIERO, loc. ult. cit.).
L’iscrizione funeraria recentemente scoperta, relativa a Lucius Cornelius (cfr. infra, in questo paragrafo), tuttavia, documenta l’eventualità (un tempo non am- messa: v. CALDERINI, Censura, p. 29) che fra gli apparitores del censor figurassero anche gli architecti. Circa, poi, il silenzio di Cicerone, nell’ambito della causa giu- niana (su cui v. supra, p. 19 s.), a proposito del ruolo ricoperto dall’architetto in occasione della posa ad perpendiculum delle colonne del tempio di Castore, cfr. GROS, Statut, p. 433.
22Cfr. DERUGGIERO, sv. ‘Architectus’, p. 645: «Di architetti pubblici civili nel vero senso della parola, cioè con officio stabile presso lo Stato o i municipii, non v’è traccia alcuna nelle fonti. La qual cosa trova la sua spiegazione nel fatto, che così in Roma come nei municipii prevaleva il sistema, per le opere pubbliche, non di carattere però essenzialmente militare, di farle eseguire da appaltatori (redemp-
lato, che fosse il committente pubblico a scegliersi un architet-
to di fiducia, il quale concepiva l’assetto strutturale dell’opera,
provvedeva alla stesura della lex locationis, seguiva quindi, per
conto del committente, i lavori in corso d’opera, procedendo,
alla fine, alla probatio
23.
Credo, in verità, che una soluzione valida per tutti i casi
non sia ragionevolmente prospettabile. È probabile che nelle
opere di minor conto, ove poco rilevava la capacità tecnica
dell’architetto, il redemptor curasse anche l’aspetto progettua-
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tores), i quali naturalmente provvedevano a tutto»; nel medesimo senso, v. anche CALABILIMENTANI, sv. ‘Architetto’, p. 574: «...privati o private società eseguivano i lavori, con propri architetti...».
La tesi qui richiamata, che vuole attribuire la progettazione all’appaltatore, poggia anche su una certa commistione, che sembra emergere in taluni casi, tra la figura dell’architectus e quella del redemptor. Per una dimensione anche impren- ditoriale dell’attività dei Cossutii (famiglia di architetti operante soprattutto in Grecia nel II-I secolo a.C.), v. RAWSON, Architecture, p. 38; TORELLI, Industria, p. 319; v., inoltre, CIL X.1614 e 3707, a proposito di L. Cocceius Auctus, architectus e nello stesso tempo redemptor, il quale forse curò nel 36 a.C., per conto di Agrippa, lo scavo della galleria del lago Averno (v. Strab. 5.4.5). Sul punto, in ter- mini più generali, v. anche VISKY, Qualifica, p. 59; BODEI GIGLIONI, Lavori, p. 121; GROS, Statut, p. 431; BRUNT, Labour, p. 83; DONDERER, Architekten, p. 70 s. Per una distinzione della figura dell’architectus rispetto a quella del redemptor, cfr., invece, PROMIS, Architetti, pp. 148, 159.
23Su questa linea interpretativa (tracciata alla luce del De architectura di Vi- truvio e dunque riferibile, più che altro, all’età augustea) si pone il MORTET, Re- cherches, p. 277 ss., sostanzialmente seguito, più di recente, dal GROS(Templa, praecipue, pp. 56 e 58; Statut, p. 440 s.).
In particolare, allude all’apporto tecnico, dato dall’architectus alla stesura della lex contractus, il seguente passo di Vitruvio (De arch. 1.1.10): «Item, aquarum ductiones et cetera, quae eiusmodi sunt, nota oportet sint architectis, uti ante ca- veant quam instituant aedificia, ne controversiae factis operibus patribus familiarum relinquantur, et ut legibus scribendis prudentia cavere possit et locatori et conducto- ri; namque si lex perite fuerit scripta, erit ut sine captione uterque ab utroque libere- tur»; in esso, per altro, il discorso si muove, in consonanza con gli scopi perseguiti dall’autore, su di un piano teorico e non si riferisce espressamente agli appalti pubblici.
le, e si potesse verificare quella confusione di ruoli — per lo
più ammessa dagli studiosi
24— tra redemptor e architectus.
Un discorso diverso, invece, deve essere fatto per quanto
concerne le grandi opere pubbliche
25, soprattutto alla luce di
una iscrizione funeraria recentemente pubblicata dal Molisani:
«L(ucius) Cornelius L(uci) f(ilius) Vot(uria),
Q(uinti) Catuli co(n)s(ulis) praef(ectus) fabr(um),
censoris architectus»
26.
È questa, infatti, una chiara testimonianza del fatto che i
censori avevano a disposizione, fra i propri apparitores, archi-
tetti di fiducia, che potevano curare la progettazione degli edi-
fici pubblici più importanti. L’architectus (cittadino romano)
Lucius Cornelius ricordato nell’epigrafe era stato comandante
del genio militare (praefectus fabrum), alle dipendenze del
console Q. Lutazio Catulo (78 a.C.); è probabile che, in quel
periodo, si fosse fatto apprezzare per le sue capacità tecniche,
e che quindi, per tale motivo, venisse poi chiamato dallo stes-
so Q. Lutazio Catulo, nel frattempo divenuto censore (65
a.C.), a progettare, nell’ambito del rifacimento dell’intera area
capitolina, la costruzione (o l’ampliamento) dell’archivio cen-
trale di Roma (il Tabularium)
27. In simili casi, evidentemente,
la presenza di un architectus fiduciariamente legato al magi-
strato committente doveva relegare il redemptor nel ruolo di
OPUS PUBLICUM FACIENDUM LOCARE 85
24V. supra in nt. 22 di questo paragrafo.
25Così, pure MACDONALD, Architects, p. 33; adde DONDERER, Architekten, p. 51. 26Cfr. MOLISANI, Lucius, p. 42; A.E. 1971 n. 61, p. 26; DONDERER, Architek-
ten, p. 212 ss.
27Per una simile ricostruzione del rapporto tra Q. Lutazio Catulo e Lucio Cornelio, v. MOLISANI, Lucius, p. 43 ss.; GULLINI, Architettura, p. 495. Circa, però, i dubbi che suscita l’iscrizione (CIL VI.1314 = ILS 35) che attribuisce l’edi- ficazione del Tabularium a Q. Lutazio Catulo, cfr. DEMARTINO, Considerazioni, p. 10 s.; PURCELL, Atrium, p. 139 s. Sulla restitutio del Capitolium operata da Lutazio Catulo avremo modo di ritornare infra, p. 138 nt. 96.
mero esecutore dei lavori, secondo un assetto del rapporto
giuridico intercorso col locator in tal senso definito.
Una limitazione, in questi termini, delle mansioni dell’ap-
paltatore trova, a mio giudizio, una conferma anche in ambito
municipale. Se guardiamo, infatti, alla lex parieti faciendo Pu-
teolana, in essa compaiono numerose clausole concernenti gli
aspetti architettonici e tecnico-costruttivi dei lavori affidati in
appalto
28. Ora, si ritiene pacificamente che i capitolati simili a
quello di Pozzuoli avessero la natura di leges dictae: il loro
contenuto, secondo quanto appureremo, veniva imposto uni-
lateralmente dall’amministrazione, senza che, in ordine allo
stesso, l’appaltatore avesse alcun margine di negoziazione
29.
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28Cfr. Lex. par. fac. Puteol. (già richiamata supra, p. 4 nt. 11), ll. I.9 ss.: «In
area trans viam paries qui est propter / viam, in eo pariete medio ostiei lumen / ape- rito, latum p(edes) VI, altum p(edes) VII facito. Ex eo / pariete antas duas ad mare vorsum proicito, / longas p(edes) II crassas p(edem) I (uncias tres). Insuper id limen / robustum, long(um) p(edes) VIII latum p(edem) I (uncias tres) altum p(edis) s(emissem) (uncias tres), / inponito. Insuper id et antas mutulos robustos / II, cras- sos s(emissem) (uncias duas) altos p(edem) I, proicito extra pariete / in utramq(ue) partem p(edes) IV. Insuper simas pictas / ferro offigito. Insuper mutulos trabiculas / abiegineas II, crassas quoque versus s(emissem) inpon‹i›to, // ferroque figito. Inasse- rato asseribus abiegnieis / sectilibus, crasseis quoque versus (uncias quattuor) dispo- nito ni plus s(emisse) (unciis tribus). / Operculaque abiegnea inponito; ex tigno pe- dario / facito. Antepagmenta abiegnea, lata s(emissem) (uncias tres) crassa (semun- ciam) / cumatiumque imponito ferroque plano figito./ Portula‹m›que tegito tegula- rum ordinibus seneis / quoque versus: tegulas primores omnes in ante/pagmento fer- ro figito marginemque inponito. Eisdem fores clatratas II cum postibus aesculnieis / facito statuito ocludito picatoque ita, utei ad aedem / Honorus facta sunt. Eisdem maceria extrema paries / qui est, eum parietem cum margine altum facito p(edes) X. / Eisdem ostium, introitu in area quod nunc est, et / fenestras, quae in parietem propter eam aream sunt, / parietem opstruito. Et parieti, qui nunc est propter / viam, marginem perpetuom inponito. Eosq(ue) parietes / marginesque omnes, quae lita non erunt, calce / harenato lita politaque et calce uda dealbata recte / facito. Quod opus structile fiet, in te[r]ra calcis / restinctai partem quartam indito. Nive maiorem / caementa‹m› struito quam quae caementa arda / pendat p(ondo) XV, ni- ve angolaria‹m› altiorem (unciis quattuor semuncia) facito». Per un commento a ca- rattere tecnico di tali clausole si veda WIEGAND, Bauinschrift, p. 702 ss.