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di un popolo semibarbaro» (-)

.

L’istruzione in colonia:

scuole cattoliche per la «civiltà italiana»

Qualche giorno prima di morire, padre Leandro, di fronte al peggiora- re delle proprie condizioni di salute, nominò viceprefetto apostolico il suo confratello padre Felice della Vergine, il quale fu poi destinato a reggere la missione fino alla nomina del nuovo prefetto da parte di Pro- paganda Fide.

Nel breve periodo in cui fu a capo della prefettura, padre Felice istaurò con le autorità coloniali rapporti distesi, non tanto in virtù di una collabo- razione attiva, quanto piuttosto della volontà o della spontanea propen- sione del religioso a non creare situazioni di conflitto. Nel riferire al mini- stro degli Affari esteri, incarico che dal  maggio  era di nuovo rico- perto da Tittoni, delle circostanze della morte di padre Leandro, Cerrina Feroni parlava del viceprefetto come di un uomo «di carattere simile a quello di padre Leandro ed anzi più pacifico e amante del quieto vivere», e si diceva certo che non avrebbe procurato «noie nell’esercizio del suo mi- nistero». Tuttavia l’autorità coloniale, sia pure all’interno di una valuta- zione nel complesso positiva della presenza missionaria, tentò in certo mo- do di esercitare la propria influenza per orientare le scelte da farsi in cam- po missionario. Cerrina Feroni fece difatti notare al ministro come padre Felice, «nonostante le sue buone qualità», fosse alsaziano, ragione per cui riteneva opportuno che la nomina definitiva a prefetto apostolico non ca-



. Nato nella cittadina alsaziana di Gebweiler, il  luglio , padre Felice della Ver- gine, al secolo Heinrich Zollinger, era entrato nell’ordine dei trinitari nel  ed era sta- to ordinato sacerdote nel . Cfr. ACOSST, AAMissioni Benadir, , Missionari in Benadir

e Madagascar, ad vocem.

. APF, NS, vol. , , rubr. , foll. -, lettera di padre Felice della Vergine al padre generale dei trinitari, Chisimaio,  luglio .

. ASMAI, I, Somalia, b. , fasc. , rapporto di Giovanni Cerrina Feroni al ministro

desse su di lui. Il reggente si spingeva anche oltre, esprimendo un giudizio negativo su un altro religioso e indicando al ministro le caratteristiche che il nuovo prefetto apostolico del Benadir avrebbe dovuto possedere: D’altra parte Padre Faustino, che attualmente trovasi alla missione di Kisimajo e che è italiano, non sembra abbia né la cultura né la intelligenza necessaria a reggere la missione. Per queste considerazioni mi permetto esprimere il voto che sia nominato Prefetto Apostolico un missionario il quale, oltre ad essere italia- no, abbia doti di intelligenza, di moderazione e di spirito pratico, scevro cioè da soverchio idealismo evangelizzatore, doti indispensabili perché l’opera della missione non abbia a procurarci imbarazzi.

Le indicazioni del reggente vennero recepite da Tittoni, che il  set- tembre si rivolse al presidente dell’Associazione nazionale per soccorre- re i missionari cattolici italiani per chiedere che il successore di padre Leandro fosse «un missionario di cittadinanza italiana e che per la sua intelligenza e la sua indole continui a contribuire, col suo apostolato, a quell’opera di civiltà e di progresso che va compiendo il Governo del Re in Benadir». Ciò da un lato costituiva una conferma dell’importanza conferita alla missione e alla nazionalità dei religiosi che vi operavano da parte delle autorità italiane, dall’altro lato sembrava mostrare che in realtà non esisteva per il Benadir una coerente e programmata politica religiosa del governo, che si limitava piuttosto ad affrontare di volta in volta i singoli problemi. Nondimeno la designazione del nuovo prefetto apostolico venne seguita con attenzione dal ministro, che tentò di indi- rizzare in certo modo la scelta di Propaganda Fide per il tramite del- l’Associazione nazionale per soccorrere i missionari cattolici italiani: Ella sa che la designazione d’una persona idonea alle funzioni di Prefetto Apo- stolico interessa grandemente il R. Governo. Tenuto specialmente conto delle pre- senti condizioni e della natura di quella Colonia, è necessario che il successore di padre Leandro sia persona la quale affidi di agire nella sua missione religiosa con tatto ed intelligenza. Le sarei pertanto grato se prima che la scelta sia fatta un rap- presentante di codesta benemerita associazione conferisse con me a tal riguardo.

 . Ibid.

. Ivi, lettera «confidenziale» di Tommaso Tittoni al presidente dell’Associazione na- zionale per soccorrere i missionari cattolici italiani, Roma,  settembre . Nella stes- sa data Tittoni aveva scritto a Cerrina Feroni che avrebbe cercato di adoperarsi il più pos- sibile «affinché la scelta del nuovo Prefetto Apostolico cada su persona che tranquilla- mente compia la sua missione senza creare difficoltà a codesto Governo» (ivi, lettera di Tommaso Tittoni a Giovanni Cerrina Feroni, Roma,  settembre ).

. Ivi, lettera «confidenziale» di Tommaso Tittoni al presidente dell’Associazione na- zionale per soccorrere i missionari cattolici italiani,  settembre , cit.

Nonostante alla fine le responsabilità del caso padre Leandro fossero state scaricate in larga parte su Mercatelli, le parole di Tittoni sottinten- devano con una certa evidenza un giudizio non positivo sul precedente prefetto e confermavano la fondatezza delle preoccupazioni – del go- verno e non solo dell’ex commissario generale – per le conseguenze di un’azione missionaria in colonia. La richiesta era comunque tardiva, vi- sto che la corrispondenza tra il ministro generale dei trinitari e Propa- ganda Fide per la designazione del nuovo prefetto apostolico aveva avu- to luogo alla fine del mese di agosto. Sin dal  agosto infatti il ministro generale dell’ordine, padre Antonino dell’Assunzione si era rivolto alla congregazione vaticana per raccomandare come prefetto apostolico del Benadir padre Guglielmo di San Felice e il  agosto Propaganda Fide aveva emesso il decreto di nomina.

Nei mesi che precedettero l’arrivo in colonia del nuovo prefetto, pa- dre Felice si concentrò principalmente sui lavori di costruzione della ca- sa di Gelib. Appena dieci giorni dopo la morte di padre Leandro, egli aveva presentato una richiesta al residente di Giumbo per la costruzio- ne di una casa in muratura per i missionari, ancora alloggiati in una ca- panna, di un piccolo edificio per la scuola e di «un luogo per i medica- menti degli infermi». Da Giumbo la richiesta era stata inoltrata a Mo- gadiscio e da qui a Roma, motivo per cui l’autorizzazione del ministero degli Affari esteri partì solo il  ottobre. La risposta era, «in linea di mas- sima», positiva, anche se si invitava l’autorità coloniale ad assicurarsi che sul terreno ove i fabbricati sarebbero dovuti sorgere non vi fossero «di- ritti riconosciuti di indigeni» e a precisare che il governo si riservava ogni diritto circa la proprietà del terreno stesso.

Padre Guglielmo di San Felice, al secolo Giuseppe Riccio, era nato a Napoli nel ; entrato nei trinitari a  anni, era stato ordinato sacer- dote nel  e aveva successivamente esercitato attività pastorale nella parrocchia di Santa Maria alle Fornaci, fondando la Pia unione della Ma- donna delle Grazie, con oltre  soci. Dopo la sua nomina a prefetto apostolico del Benadir, padre Guglielmo venne ricevuto dal ministro Tittoni, il quale ne riferiva al reggente in questi termini:



. Cfr. APF, NS, vol. , , rubr. , fol. , lettera di padre Antonino dell’As- sunzione a Propaganda Fide, Roma,  agosto .

. ASMAI, ISomalia, b. , fasc. , istanza di padre Felice della Vergine al residente di Giumbo, Giumbo,  luglio  e lettera di Giovanni Cerrina Feroni al ministero degli

Affari esteri, Mogadiscio,  agosto .

. Ivi, lettera del ministro degli Affari esteri a Giovanni Cerrina Feroni, Roma,  ottobre .

. ACOSST, AAMissioni Benadir, , Missionari in Benadir e Madagascar, ad vocem e

Anche padre Guglielmo appartiene ai missionari dei Trinitari Scalzi, ed egli qui in Roma era da molti anni curato di Santa Maria delle Fornaci, presso Porta Ca- valleggeri. Lo dicono uomo energico, colto, pratico. Egli è stato da me ricevuto in presenza del Direttore Centrale per gli affari coloniali, e nell’occasione ha avuto speciali raccomandazioni affinché la sua azione s’informi sempre alla mas- sima prudenza e tenendo presenti le particolari condizioni della colonia e degli indigeni, condizioni che indicano precisamente a che cosa deve limitarsi per ora e per molto tempo ancora l’azione di una missione religiosa.

Sia pure con una certa cautela, Tittoni, che in passato aveva avallato e di- feso una linea che escludeva o rinviava una presenza missionaria in Be- nadir, dimostrava ora una maggiore apertura nei riguardi dei trinitari. Il mutato atteggiamento di Tittoni era evidente, ad esempio, nel biglietto di risposta da lui inviato al barone Fernando Perrone di San Martino, gentiluomo di corte della duchessa d’Aosta, il quale, in occasione del- l’incontro con padre Guglielmo, gli aveva fatto pervenire tramite que- st’ultimo una lettera di raccomandazione della duchessa per la missione trinitaria. Rispondendo al barone, Tittoni, nell’impegnarsi con la du- chessa d’Aosta ad «aiutare ed appoggiare in ogni miglior modo il nuovo Prefetto Apostolico del Benadir», riconosceva nell’azione missionaria intrapresa dai trinitari in colonia i due elementi guida della «santità» e del «patriottismo». Il giorno stesso, inoltre, egli telegrafò al ministro dei Lavori pubblici chiedendo cinque biglietti gratuiti per il viaggio dei missionari in partenza per il Benadir, e qualche giorno dopo inviò un telegramma al comandante Saporito di stanza nella colonia Eritrea, pre- gandolo «di voler essere utile al padre Guglielmo e ai suoi compagni per agevolarli nel miglior modo possibile nella loro partenza».

Sul cambiamento intervenuto nella linea adottata dalle autorità ita- liane nei riguardi della missione cattolica del Benadir incisero fattori di- versi. La rilevanza politica assunta dal caso padre Leandro e il clamore suscitato intorno all’inchiesta che aveva portato all’allontanamento di Mercatelli dal Benadir indussero con ogni probabilità il ministero a pri- vilegiare la strategia del dialogo con le forze cattoliche in campo, che si erano dimostrate tutt’altro che sprovvedute. Nondimeno, il mutamento di rotta rappresentava, come si è detto, il segnale di una tendenza più ge-



. ASMAI, I, Somalia, b. , fasc. , lettera di Tommaso Tittoni a Giovanni Cerrina Fe- roni, Roma,  ottobre .

. Ivi, lettera di Tommaso Tittoni al barone Fernando Perrone di San Martino, Ro- ma,  gennaio .

. Ivi, telegramma di Tommaso Tittoni al ministro dei Lavori pubblici, Roma,  feb- braio .

nerale che investiva le classi dirigenti del paese, avvicinandole all’eletto- rato cattolico, non da ultimo sul terreno del nazionalismo. Viceversa la diversa linea delle autorità italiane nei riguardi della missione trinitaria non può essere spiegata alla luce di trasformazioni sostanziali interve- nute nell’amministrazione della colonia, la cui gestione non conobbe si- gnificative cesure per lo meno fino all’aprile del , quando entrò in vigore la legge organica costitutiva della colonia della Somalia italiana, che ne fissava l’ordinamento, consacrandone politicamente la ripartizio- ne in colonia della Somalia italiana meridionale o Benadir e protettorati della Somalia settentrionale.

D’altra parte, l’eco suscitata sino a quel momento dalla vicenda del- la missione trinitaria a livello politico e sugli organi di stampa aveva rag- giunto livelli di tensione considerati eccessivi anche da parte di quegli esponenti del mondo cattolico, legati per lo più ad ambienti conciliato- risti, che ne avevano sostenuto l’impianto. Sia da parte delle autorità ci- vili sia da parte delle autorità religiose vi era dunque a questo punto l’in- teresse a evitare il più possibile situazioni di conflitto e a garantire una condizione di adeguata tranquillità. Forse anche per questa ragione nei mesi immediatamente successivi alla morte di padre Leandro furono prese ben poche iniziative da parte dei missionari, la cui azione si con- centrò principalmente in attività di tipo edilizio: fabbricazione di mat- toni e costruzione della casa. Le condizioni in cui, al suo arrivo, nel mar- zo del , padre Guglielmo trovò la missione furono così di relativa

stasi, come se, scriveva il prefetto al generale dei trinitari, morto padre Leandro, fosse «venuta a mancare l’opera di carità in parte». I religio- si che, con i cinque nuovi arrivati, erano ora complessivamente otto, era- no distribuiti nelle due stazioni fondate sino a quel momento: Gelib e



. Cfr. L. de Courten, L’amministrazione coloniale italiana del Benadir. Dalle compa- gnie commerciali alla gestione statale (-) (parte prima), in “Storia contemporanea”,

IX, , , pp. -, in particolare pp. -.

. Come risulta dal rapporto inviato dal reggente Cerrina Feroni al ministero degli

Affari esteri, padre Guglielmo giunse a Chisimaio con altri quattro confratelli il  marzo

 (ASMAI, I, Somalia, b. , fasc. , rapporto di Giovanni Cerrina Feroni al ministero

degli Affari esteri, Mogadiscio,  aprile ).

. ACOSST, AAMissioni Benadir, , relazione di viaggio e della missione di padre Gu-

glielmo di San Felice a padre Antonino dell’Assunzione, Chisimaio,  marzo . Del- lo stesso tenore la descrizione della missione fornita dal reggente della colonia Cerrina Feroni: «La malattia e la morte di padre Leandro, la costruzione degli edifici dopo [...] hanno fatto sì che sinora la missione non abbia alcuno sviluppo e quasi nulla sia stata l’azione da essa esercitata» (AUSSME, D-, Somalia, b. /bis, fasc. , G. Cerrina Feroni, Be- nadir. Domande formulate dal Direttore Centrale degli affari Coloniali al Comandante Cerrina Feroni sulle più importanti quistioni riguardanti la Colonia del Benadir,  ago- sto ).

Chisimaio. Nella prima, ove la casa era in via d’ultimazione, si trovava- no un altro religioso tedesco, padre Gottardo, e i tre fratelli italiani Can- dido, Francesco e Martino, mentre nella seconda si erano stabiliti, oltre al prefetto, padre Felice e i trinitari italiani padre Faustino e fratel Be- nedetto. Molto probabilmente, recandosi in Benadir, padre Guglielmo si trovò in una situazione ben lontana da quanto in Italia gli era stato pro- spettato: i confratelli non si dedicavano ad alcuna attività pastorale, ma «si erano dato [sic] al lavoro facendo mattoni e fabbricando da se [sic]

la casa»; non vi era «nessuna speranza» di convertire i somali; il cibo scarseggiava; il clima metteva a dura prova la salute. Il prefetto aveva sì riscattato sei schiavi, ma la conclusione cui, già il  marzo, appena due settimane dopo il suo arrivo, egli perveniva era che in Benadir, in quel periodo dell’anno, non si poteva fare nulla a ragione delle piogge, per cui era meglio far ritorno il prima possibile in Italia per dare a voce «rag- guagli di tutto», essendo necessario che tanto il padre generale che il car- dinale prefetto di Propaganda Fide avessero «una perfetta cognizione della missione».

A Propaganda Fide padre Guglielmo aveva in realtà fornito infor- mazioni sullo stato della prefettura il  marzo, in una relazione nella quale si sottolineavano soprattutto le estreme difficoltà incontrate dal- l’azione missionaria. Oltre a vivere in condizioni di precarietà e insicu- rezza che limitavano di molto la portata e l’efficacia degli interventi, i missionari, secondo il prefetto apostolico, erano fortemente ostacolati dalla «terribile diffidenza» nutrita nei loro riguardi dai somali, i quali erano stati convinti dai loro capi religiosi che i bianchi gli avrebbero por- tato via i bambini. Anche a Propaganda Fide padre Guglielmo aveva dunque manifestato il proprio scetticismo rispetto alla possibilità di con- vertire i somali, trattandosi di «popolazioni che difficilmente si potran- no condurre al retto conoscimento del bene», non solo «a cagione dei malvaggi [sic] santoni», ma anche a causa dell’ostilità delle donne. Ben- ché non fosse chiarito in modo esplicito perché le donne si opponesse- ro all’azione missionaria, è probabile che ciò fosse legato alla convinzio- ne che i bianchi avrebbero portato via i loro figli.

In ogni caso, prima di partire, padre Guglielmo si rivolse a Cerrina Fe- roni, chiedendo l’autorizzazione all’apertura di una nuova sede della mis- sione nella stazione di Brava, ove manifestò l’intenzione di aprire anche un



. ACOSST, AAMissioni Benadir, , relazione di viaggio e della missione di padre Gu-

glielmo di San Felice a padre Antonino dell’Assunzione, Chisimaio,  marzo , cit. . Cfr. APF, NS, vol. , , rubr. , foll. -, relazione di padre Guglielmo di San Felice a Propaganda Fide, Chisimaio,  marzo .

ospedale. Dinanzi a questa nuova richiesta Tittoni, pur giudicando inop- portuno, in linea di massima, che si derogasse a quanto stabilito a suo tem- po con padre Leandro, non escluse totalmente la possibilità prospettata dal prefetto, al quale, mostrando un atteggiamento ben diverso dal passa- to, chiese di presentare «prime proposte in forma concreta».

Rientrato in Italia nel mese di maggio, padre Guglielmo provvide a presentare una proposta più precisa direttamente al ministro nella pri- ma metà di agosto. L’apertura di una stazione missionaria nella città di Brava era collocata dal prefetto in un orizzonte molto ampio quanto generico, che partiva dall’analisi, sia pure a grandi linee, della situazio- ne del Benadir, enfatizzava i vantaggi economici che l’Italia avrebbe ri- cavato dalla colonizzazione, sottolineava l’omogeneità d’intenti tra go- verno della colonia e azione missionaria in nome della «rigenerazione di quel popolo semibarbaro», giustificava l’apertura a Brava di una scuola e di un ospedale gestiti dai missionari con motivazioni patriotti- che. A differenza di quanto aveva scritto al padre generale e a Propa- ganda Fide, a Tittoni padre Guglielmo presentava la situazione attuale e potenziale del Benadir in termini molto ottimistici, su alcuni punti di segno diametralmente opposto rispetto a quanto riferito ai suoi supe- riori ecclesiastici, con toni che suonavano di incitazione al consolida- mento e all’estensione della presenza coloniale italiana. Al ministro il prefetto scriveva infatti che nella regione il clima era generalmente buo- no «e l’europeo può dimorarvi senza preoccupazioni», il suolo era «fe- race e ubertosissimo», non solo «lungo le estesissime vallate dei fiumi, ove l’agricoltura esercitata in uno stato il più rudimentale ripromette il raccolto persino quattro volte l’anno; ma ancora nelle immense pianu- re boscose ancor vergini al ferro agricolo». Dal punto di vista del terri- torio, il Benadir si sarebbe presentato insomma come una regione che offriva molte possibilità all’«incremento dell’industria e del commer- cio». Ancora più stridente rispetto alla descrizione presentata a Propa- ganda Fide e al padre generale era la visione che padre Guglielmo of- friva dei somali. Mentre, scrivendo dal Benadir, il prefetto aveva riferi- to di una ostilità diffusa dei somali nei riguardi dei bianchi e dei mis- sionari, egli affermava ora che le popolazioni locali «non sono affatto



. ASMAI, I, Somalia, b. , fasc. , rapporto di Giovanni Cerrina Feroni al ministero

degli Affari esteri, Mogadiscio,  aprile , cit.

. Ivi, lettera di Tommaso Tittoni al governatore del Benadir, Roma,  maggio . . APF, NS, vol. , , rubr. , fol. , lettera di padre Guglielmo a Propagan- da Fide, Napoli, s.d., protocollata da Propaganda Fide il  maggio .

. Cfr. ASMAI, I, Somalia, b. , fasc. , relazione di padre Guglielmo a Tommaso Tit- toni, s.d., protocollata dal ministero degli Affari esteri il  agosto .

refrattarie ai portati della civiltà» e gli indigeni «bramosi» di appren- dere la lingua italiana. Il religioso esortava dunque il governo a pren- dere iniziative adeguate per dare stabilità all’organizzazione coloniale di quella regione «grande due volte l’Italia», da cui «può molto ripro- mettersi la Patria». Solo dopo aver descritto con toni oleografici la si- tuazione della colonia e i vantaggi derivanti dalla presenza italiana pa- dre Guglielmo arrivava al cuore della questione, che rappresentava l’og- getto della sua richiesta. Ma più che illustrare un progetto missionario nelle sue articolazioni, egli sciorinava, ricorrendo a un armamentario re- torico ormai sufficientemente consolidato, l’idea della legittimità e ne- cessità di un intervento rigeneratore di conquistatori e missionari in no- me di una civilizzazione dei popoli barbari.

Secondo il prefetto apostolico, l’opera missionaria si incontrava con quella «di ogni buon governo» sul piano della «civiltà» di cui l’una e l’al- tro erano portatori, ovvero sul piano della rigenerazione dei popoli dai

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