1. L’organizzazione del lavoro politico
La centralità della propaganda ha caratterizzato il sistema sovietico sin dalle origini. Ai tempi della guerra civile il lavoro politico si era imposto come necessità per la diffusione dell’ideo- logia ufficiale tra i cittadini e nell’esercito. Col passare degli anni, l’attività di propaganda crebbe affinando i mezzi e rag- giungendo la massima espressione nell’epoca staliniana e in par- ticolare nel corso della seconda guerra mondiale, allorché a so- stegno dello sforzo bellico si diede forte impulso al lavoro poli- tico per le truppe.
Nell’esercito sovietico il lavoro politico era affidato ai politruki o politrabotniki – i commissari politici – che avevano dominato il sistema militare sin dai tempi della guerra civile ampliando i propri compiti fino a divenire veri e propri consulenti dei Co- mandi militari. I commissari politici si spingevano nelle trincee per sostenere moralmente i soldati e incitarli alla resistenza contro il nemico per la salvezza dello Stato socialista; organizzavano conferenze fra i militari sovietici per rafforzarne la formazione politica. Il loro compito spesso però travalicava la funzione di propagandisti: nel corso dei combattimenti sotto Stalingrado emerse come l’incompetente ingerenza dei commissari politici nella direzione delle operazioni belliche inducesse, spesso, a grossolani errori, mettendo in difficoltà i Comandi militari. Il 9 ottobre 1942 l’istituzione dei commissari venne abolita e si isti- tuì il Comando unico dell’esercito.
Per quel che riguarda la propaganda fra i prigionieri di guer- ra, essa fu sperimentata fra 15.000 militari polacchi catturati all’indomani della firma del patto Ribbentrop-Molotov e del- l’invasione della Polonia, e internati nei campi presso Kozelsk,
Starobelsk e Ostaskov. Qui erano stati organizzati corsi con lezioni puntuali e specifiche di cultura marxista. Gli argomenti spaziavano dalla Rivoluzione d’ottobre alle cause della vittoria del socialismo in Unione Sovietica, fino ad arrivare al «Benesse- re materiale e culturale dei lavoratori dell’Urss»; si discutevano anche temi relativi all’«inizio della nuova guerra imperialista» e alla politica estera dell’Unione Sovietica. L’attività prevedeva inoltre la lettura di giornali sovietici, seguita da discussioni sugli argomenti trattati, la proiezione di documentari sulla storia dell’Urss, nonché discussioni sulle iniziative generali da realiz- zare nei campi1.
Dopo il giugno 1941 il lavoro di propaganda si orientò in due direzioni: la propaganda fra le truppe avversarie e la propa- ganda antifascista fra i prigionieri di guerra. Quest’ultima si articolava nel lavoro politico di massa tra i prigionieri delle sin- gole nazionalità e nei corsi delle scuole antifasciste, centrati sui temi del marxismo-leninismo.
Il lavoro politico era gestito dal Comitato esecutivo del Komintern (Ikki), affiancato da speciali sezioni, reparti e istrut- tori del Purrka, la Direzione politica dell’Armata Rossa, con la quale collaboravano altre istituzioni ideologiche, tra cui il Con- siglio di propaganda politico-militare, l’Ufficio di informazione sovietico, il Comitato radiofonico pansovietico, le organizzazio- ni clandestine di partito e le formazioni partigiane. A sostegno della Direzione politica dell’Armata Rossa, l’Ikki creò una spe- ciale Commissione per il lavoro politico fra i prigionieri – che indicheremo come Direzione politica per i prigionieri di guerra – composta da Walter Ulbricht, Vincenzo Bianco, Zoltán Szántó e Johann Köplenig, gli ultimi due rispettivamente membri dei partiti comunisti ungherese e austriaco.
I contenuti della propaganda politica erano stabiliti dalle risoluzioni del partito e del governo sovietico, dalle direttive del Comitato di difesa statale (il Gko) e della stessa Direzione po- litica dell’Armata Rossa, dalle disposizioni del ministero della Difesa e dai decreti dell’Ikki. La propaganda si realizzò attra- verso diverse forme e metodi: conversazioni individuali e di gruppo con i prigionieri, tenute dai commissari politici sovietici o dagli esuli comunisti delle diverse nazionalità; lezioni; riunio- ni; conferenze, nel corso delle quali si prendevano decisioni approvate dai prigionieri.
giorni del loro arrivo nei campi, in maniera strutturata, nei primi mesi del 1942, coinvolgendo subito, per quel che concerne gli italiani, i prigionieri del Csir e, dalla fine del 1942, anche i super- stiti dell’Armir.
2. Gli obiettivi della propaganda
Nell’organizzazione della propaganda antifascista, la Dire- zione per il lavoro politico tra i prigionieri si prefiggeva come compito principale la creazione di «un movimento antifascista di massa tra i prigionieri», con lo scopo di realizzare obiettivi a breve e a lungo termine. Tra gli obiettivi a breve termine si indicavano: la fine dell’alleanza italo-tedesca; la diserzione tra le truppe nemiche; il rovesciamento del regime fascista.
Nel Programma delle iniziative della squadra dei compagni
Teresˇcˇenko e Edo, al paragrafo dedicato ai «Criteri per un cor-
retto approccio politico» si legge:
Il compito del movimento […] è quello di creare una piattaforma
politica che orienti la massa fondamentale dei prigionieri contro la parte-
cipazione dell’Italia alla guerra e a favore della coalizione democratica. A tale scopo gli slogan politici principali della propaganda saranno: 1) Uscita dell’Italia dalla guerra contro la coalizione anglo-sovieti- co-americana.
2) Rottura dell’alleanza tra l’Italia e la Germania, che costringe l’Italia a proseguire la guerra contro l’Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica. Il rovesciamento del governo di Mussolini deve essere il terzo obiet- tivo e deve fondarsi sulla considerazione che, per colpa di Mussolini, è iniziata la guerra che non sembra volgere al termine e che qualunque governo italiano, veramente nazionale e non di tipo fascista, che si doves- se formare ora in Italia, porrebbe fine alla guerra contro i paesi democra- tici e si sgancerebbe immediatamente dall’alleanza con la Germania, un’alleanza mortale per il popolo italiano2.
Com’è evidente, prima dell’armistizio la propaganda ebbe obiettivi di carattere puramente militare, collegati all’urgenza dell’Unione Sovietica di alleggerire gli impegni al fronte; fino all’8 settembre, dunque, mirò a convincere i prigionieri italiani a firmare appelli da lanciare fra le truppe combattenti o da in- viare per radio al popolo italiano.
I prigionieri, debitamente addestrati e inseriti in speciali unità mobili che facevano capo alle varie divisioni dell’esercito
sovietico, partecipavano direttamente alle azioni di propaganda al fronte3, attuate con megafoni e ricetrasmittenti4.
Altro mezzo molto diffuso ed efficace, in cui venivano coin- volti i prigionieri, era la diffusione sulla linea del fronte di volantini firmati da singoli o da gruppi di prigionieri. Nel solo primo anno di guerra gli specialisti dell’Armata Rossa elabora- rono almeno 3.500 volantini diversi, e complessivamente nel corso della guerra ne vennero composti e diffusi 25.0005. Ad esempio, un volantino fatto arrivare alle truppe italiane il 13 settembre portava le firme di due soldati italiani da poco cadu- ti prigionieri. Il testo proponeva i motivi di solidarietà tra i lavoratori: «Stiamo partendo per andare a lavorare e fatichere- mo in mezzo a coloro che sono lavoratori e contadini come noi»; «in nome di cosa combattiamo contro i russi, contro i lavoratori ed i contadini russi?». L’altro tema fondamentale era la falsità della propaganda fascista: «Ci hanno detto che i russi torturano e fucilano: è una menzogna. E attraverso simili menzogne ci hanno ingannato e ci hanno condotto come si fa con il bestiame»6; oppure: «combattendo a Rostov e poi vicino Mosca ci convincemmo completamente che la propaganda lan- ciata dai nostri capi era una miserabile menzogna e che in se- guito il destino ci riservava l’annientamento e non la promessa di vittoria e di pace»7. Nei volantini rivolti alle truppe combat- tenti e negli appelli al popolo italiano tramite radio Mosca compare la tesi, avanzata dal Pcd’I sin dal 1941, che il popolo italiano rifiutasse la guerra di aggressione contro l’Urss8. La massa dei lavoratori combattenti era assolta dalle responsabi- lità del conflitto, che si facevano ricadere esclusivamente sul regime, mentre veniva suggerita una solidarietà e una fratel- lanza proprio con coloro che il fascismo aveva indicato come nemici, i «lavoratori e contadini russi».
Il volantino diffuso nel febbraio 1943 e firmato dal soldato Antonio Astediano – alpino della 10a compagnia, battaglione «Mondovì», 10° rgt. divisione «Cuneense» – recitava:
Sulla nostra terra è incominciata la guerra. Nel mentre voi patite il freddo e versate il vostro sangue per i tedeschi, i tedeschi maledetti e traditori a Stalingrado si sono dati prigionieri ai russi. I prigionieri rumeni ci hanno raccontato che quando i tedeschi hanno visto il peri- colo di essere massacrati hanno spinto i rumeni di fronte ai carri armati e alle pallottole, mentre loro, i tedeschi, hanno preferito darsi prigio- nieri9.
L’assurdità dell’alleanza con la Germania e la mancanza di affinità del popolo italiano con quello tedesco erano altri motivi ricorrenti.
Perché vi scriviamo questa lettera? Perché noi non possiamo permet- tere che voi nostri compatrioti continuate a combattere contro i russi invincibili (cosa già nota a tutti) per gli interessi e i vantaggi dei banditi di Hitler che a noi sono completamente estranei.
Il popolo italiano non ha già abbastanza sofferto per questa intermi- nabile guerra di occupazione?
Non ha già forse perduto i suoi migliori figli per questa insensata battaglia sui campi di Francia di Jugoslavia e di Africa? Basta, o camerati, di tutto ciò: bisogna porre fine al sacrificio che non ha alcun senso giu- stificabile10.
La radio costituiva un mezzo di comunicazione e propagan- da di straordinaria efficacia in guerra e la dirigenza sovietica la utilizzò a fondo per comunicare sia con le proprie truppe e con i movimenti di resistenza, sia con le truppe avversarie e con le popolazioni degli stati in guerra. A quest’ultimo scopo su inizia- tiva degli esuli comunisti furono create, in collaborazione con il governo sovietico e la segreteria del Komintern, stazioni radio per la Germania, l’Ungheria, la Romania, la Jugoslavia, la Fran- cia, l’Italia, l’Austria, la Bulgaria, cui si aggiungono le radio polacche che dall’inizio del conflitto trasmettevano dal territo- rio russo e ucraino, e quattro radio cecoslovacche11.
Il 26 maggio 1943 il maggiore Polikarpov, presidente del Comitato per la radiodiffusione e l’informazione radiofonica presso il Consiglio dei commissari del popolo dell’Urss, scriveva a Sˇcˇerbakov che sarebbe stato «molto importante utilizzare i prigionieri di guerra per aumentare l’efficacia della propaganda nelle lingue straniere»:
Notizie attendibili da Berlino, riportate dalla missione sovietica a Stoccolma, confermano che la pubblicazione di materiali sui prigionieri di guerra produce un effetto notevole sui radioascoltatori. Il Comitato radiofonico al momento tuttavia non è in possesso di materiale sui prigio- nieri di guerra. I compagni che lavorano con i prigionieri italiani hanno dichiarato che vi è la possibilità di organizzare trasmissioni radiofoniche con la partecipazione persino di generali italiani. Le chiedo, pertanto, l’autorizzazione ad inviare regolarmente nei lager dei prigionieri di guer- ra una squadra per la registrazione degli interventi e di informare in questo senso i compagni direttori dei lager12.
A seguito della proposta di Polikarpov a giugno gli attivisti del lager di Tambov elaborarono un appello agli italiani per un’«Italia, libera, felice ed indipendente», che fu trasmesso quello stesso mese da radio Mosca:
Uomini e donne di tutta Italia, ascoltate il grido di fede, di entusia- smo e di incitamento alla rivolta che da lontano vi lanciamo noi prigio- nieri in Russia. Noi che abbiamo combattuto contro un popolo forte, disciplinato e ben comandato, vi invitiamo a rispondere a questa doman- da che voi stessi il 10 giugno […] vi siete posti: «Che cosa abbiamo guadagnato in tre anni di guerra?». […]
La guerra è il peggiore castigo che il fascismo ha dato all’Italia. Uomini in arme, operai e contadini, non sentite quanto sia grave il peso della totale sconfitta, quanto inutile sia il vostro sacrificio, di breve durata la vostra resistenza […], quante difficoltà riservi l’avvenire ai nostri figli e alle nostre spose qualora si persista nella guerra?
[…] Ribellatevi in massa contro i capi fascisti, fate cessare la produ- zione militare delle fabbriche, tutte ora asservite ai tedeschi […]. Lottate contro il fascismo, provocatene la caduta in modo da arrestare in tempo l’imminente invasione anglo-americana13.
L’appello, nel quale va sottolineato il riferimento all’«inva- sione anglo-americana», proseguiva con slogan contro il fascismo e Mussolini e con l’esaltazione dei successi dell’Armata Rossa.
Il 25 luglio, in occasione della caduta del fascismo, 38 uffi- ciali reclusi a Suzdal’ – fra cui tre colonnelli e due tenenti colon- nelli – inviarono un messaggio al popolo italiano, che esordiva con l’invito a desistere dalla guerra «assurda e disastrosa»: quali vantaggi avrebbe avuto il popolo italiano da quella guerra, che si combatteva «soltanto per una ristretta cerchia di plutocrati, che si arricchiscono con le industrie di guerra mentre il popolo languisce, colpito da razionamenti e ristrettezze di ogni genere, mentre i migliori figli d’Italia hanno trovato inutilmente la morte in terre lontane»?14
Quello che secondo gli attivisti di Suzdal’ fu «il maggior successo politico del campo 160» è il messaggio del 18 gennaio 1944, firmato da 460 ufficiali; vi si dichiarava gratitudine verso quanti, sia reparti regolari sia formazioni partigiane, stavano combattendo per la liberazione dell’Italia «dalla tirannide nazifascista»; si affermava il desiderio dei prigionieri di unirsi ad essi; si lodava l’«efficace azione» e il ruolo svolto fino a quel momento «dai partiti politici antifascisti, vera espressione dei sentimenti e della maturità degli italiani nonostante vent’anni di
oscurantismo fascista», auspicando l’instaurazione di un gover- no democratico che conducesse l’Italia alla sua ricostruzione materiale e morale15.
Questi messaggi radiofonici erano un modo per intervenire da lontano nella vita politica italiana commentandone le fasi cruciali: la caduta del fascismo, l’armistizio dell’8 settembre, la dichiarazione di guerra del Regno del Sud alla Germania, il congresso di Bari dei partiti del Cln (cui fu inviato un messaggio cui aderirono però solo 90 ufficiali del campo 160)16, la caduta del governo presieduto da Ferruccio Parri, al quale fu indirizza- to un messaggio di solidarietà il 25 gennaio 1946.
Con l’evolvere della situazione al fronte e con l’approssimar- si della fine del conflitto, il lavoro di propaganda tra i prigionieri di guerra andò gradualmente mutando e, prima del rimpatrio, l’aspetto politico divenne dominante. Sul lungo periodo, infatti, l’obiettivo della propaganda indicato dalla Segreteria del Comi- tato esecutivo del Komintern, era «formare antifascisti coscienti e attivi, a preparare nuovi reparti militari nazionali ed anche nuovi quadri per i rispettivi movimenti comunisti»17. Alla lotta contro il fascismo si affiancò l’intento di offrire un’immagine positiva del sistema sovietico. Scriveva Bianco agli istruttori po- litici il 27 aprile 1943:
Oltre a rivelare il carattere menzognero e reazionario del fascismo voi dovete spiegare «che cos’è l’Unione Sovietica», per esempio, dalla rivoluzione borghese-democratica per arrivare alla seconda guerra mon- diale. […] Per spiegare cos’è l’Unione Sovietica porterete come esempio il fatto che le masse lavoratrici possono e debbono lottare per costruire un regime che possa non solo distruggere le cause della guerra ma che permetta agli stessi lavoratori di guidare lo stato e costruire la propria vita, come in Unione Sovietica, senza capitalisti né camicie nere18.
Il lavoro di propaganda non doveva rivolgersi solo agli ele- menti già in qualche misura ricettivi, ma al più largo numero. In una relazione a Togliatti sul campo di Tëmnikov, ad esempio, Edoardo D’Onofrio criticava che l’istruttore Buzzi avesse reclu- tato per il gruppo attivo antifascista solamente «elementi che in Italia non furono mai iscritti al Pnf»; per D’Onofrio occorreva aumentare «il numero degli antifascisti attivisti nei campi» e indurre «anche la massa dei prigionieri, e non solo gli attivi, a pronunciarsi pubblicamente sui problemi politici attuali (guer- ra ai tedeschi ecc.)»19.
Dall’esigenza di un lavoro di massa derivava anche una certa cautela nelle strategie di «indottrinamento», ben visibile ad esempio nel contrasto che oppose Teresˇcˇenko e Robotti alla scuola di Krasnogorsk. In una lezione, Teresˇcˇenko aveva au- spicato la realizzazione per tutta l’umanità di una società comu- nista caratterizzata dalla «più autentica giustizia sociale». Robotti criticò davanti ai prigionieri Teresˇcˇenko, sostenendo che gli obiettivi della scuola dovevano limitarsi all’antifascismo: «Lot- tare contro il fascismo, colpevole di tutte le sventure dei nostri popoli: è questo il compito principale della scuola».
Da un documento del 1946 sui risultati del lavoro del Gupvi, il lavoro di propaganda nei campi aveva questi obiettivi:
– assicurarsi un atteggiamento di lealtà della massa dei prigionieri nei confronti dell’Urss;
– assicurarsi che i prigionieri di guerra riescano a comprendere la responsabilità dei loro eserciti nelle distruzioni provocate sul territorio dell’Urss e che, quindi, abbiano un atteggiamento coscienzioso verso il lavoro nei lager;
– educare, attingendoli dal novero dei prigionieri di guerra, anti- fascisti tenaci, i quali, una volta tornati in patria, siano in grado di con- durre la lotta di riorganizzazione dei propri paesi sui principi democra- tici e di sradicamento dei residui del fascismo;
– smascherare i responsabili delle atrocità e gli elementi fascisteg- gianti20.
Per realizzare questi scopi, nel 1946 il Gupvi aveva organiz- zato le seguenti attività nei lager per i prigionieri di guerra: 4.924 assemblee dei prigionieri, 985 comizi, 13.952 conferenze e rela- zioni, 51.626 letture di gruppo di quotidiani, 37.997 colloqui individuali, 14.338 comunicazioni sulla situazione politica in- ternazionale, 15.848 concerti ed altre attività dilettantistiche, 3.298 spettacoli cinematografici. Nel corso di quell’anno, si contarono 92.771 iscritti ai gruppi antifascisti, tra i quali 25.670 attivisti21.
Le dimensioni dell’impegno sovietico nella propaganda con- fermano la sostanziale vocazione educativa del comunismo, che faceva dell’Unione Sovietica un’enorme scuola in cui tutti dove- vano ricevere gli insegnamenti che avrebbero estirpato lo spirito del capitalismo e formato l’«uomo nuovo» del socialismo. L’in- tero sistema del Gulag aveva, almeno formalmente22, una fina- lità rieducativa. Anche nel caso dei prigionieri di guerra il cospi-
cuo lavoro di propaganda si giustificava, oltre che con la finalità di formare un ristretto nucleo di attivisti comunisti, con questo più vasto progetto.
3. Il lavoro politico «di massa»
Come si è accennato, vi erano due livelli distinti di lavoro politico: il primo era destinato alla massa dei prigionieri delle diverse nazionalità; il secondo, non accessibile a tutti, consiste- va nell’istruzione praticata nelle scuole antifasciste. Per entram- be le attività, gli istruttori dovevano attenersi alle direttive, ai suggerimenti e ai programmi stabiliti dalla Direzione per il lavo- ro politico tra i prigionieri di guerra.
Il lavoro politico di massa, oltre che a diffondere su larga scala i principi dell’antifascismo, doveva servire a individuare quei soggetti che, avendo dimostrato interesse per le sollecita- zioni e i contenuti proposti, avrebbero potuto approfondirne lo studio nelle scuole.
La direttiva della Segreteria del Comitato esecutivo del Komintern del 5 febbraio 1943 indicava le seguenti iniziative:
1. Ampliare la scuola per i prigionieri di guerra fino a 300 persone con un corso di tre mesi per la preparazione di istruttori e di responsabili per il lavoro tra i prigionieri di guerra.
2. Organizzare corsi brevi (4-5 settimane), che coinvolgano fino a 1000-1500 prigionieri di guerra per la preparazione degli attivisti.
3. Organizzare seminari speciali per gli ufficiali prigionieri di guerra.
4. Lavorare sull’addestramento dei prigionieri di guerra per for- mare battaglioni con la prospettiva di trasformarli in seguito in reparti militari nazionali.
5. Assicurare nei campi l’ascolto di trasmissioni delle radio antifasciste popolari nelle rispettive lingue.
6. Pubblicare al più presto opuscoli (di massa) su questioni ri- guardanti i paesi dei prigionieri di guerra ed il sistema politico, l’eco- nomia e la cultura in Unione Sovietica, sulla vita dei popoli sovietici e, in particolare, sulla guerra patriottica dell’Unione Sovietica contro gli invasori fascisti23.
La direttiva sollecitava anche a trasformare i giornali per i prigionieri in giornali «dei prigionieri», facendo collaborare questi ultimi con contributi e articoli.
Un Progetto di un piano di lavoro tra i prigionieri italiani, conservato negli archivi del Komintern, suggeriva metodi e con- tenuti per il lavoro politico fra i prigionieri. Si consigliavano conversazioni che non sembrassero obbligatorie, con quattro o cinque prigionieri, con domande sui «problemi di principale interesse». Si suggeriva di studiare più a fondo coloro che si dichiaravano antifascisti o comunisti perché tra quelli si poteva- no celare «gli agenti fascisti». Dopo averne accertato il sincero